TRIBUNALE DI BRESCIA – SENTENZA N. 1297/2025 DEL 14/11/2025

TRIBUNALE DI BRESCIA

SEZIONE LAVORO, PREVIDENZA E ASSISTENZA OBBLIGATORIA

in composizione monocratica e in funzione di Giudice del Lavoro, in persona della dott.ssa Isabella Angeli, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella controversia di primo grado promossa da Parte_1           con l’avv. BARBIERI RICCARDO

RICORRENTE

contro

Controparte_1 rappresentante pro tempore in  persona  del  legale con l’avv. CALIO’ MARINCOLA SCULCO ANGELA

RESISTENTE

Oggetto: Ripetizione di indebito

All’udienza di discussione, i procuratori delle parti concludevano come da rispettivi atti.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con  ricorso  del  1.08.2025 Parte_1 ha  adito  l’intestato  Tribunale  lamentando l’illegittimità della lettera datata 13.03.2025 con la quale CP_ ha comunicato l’esistenza di  un  indebito  sulla  sua  pensione  024-150001175116  Cat.  FS  per  Euro  33.858,76, preannunciandone il recupero.

Ha  chiesto  l’accertamento  negativo  del  credito  azionato  e  la  condanna  dell’CP_   a restituire quanto nelle more trattenuto a tale titolo. Ha premesso:

-           di aver ottenuto la liquidazione della pensione anticipata Quota 100 con decorrenza dal 1.08.2021;

-           di avere lavorato quale dirigente-accompagnatore per l’Associazione Sportiva Dilettantistica Polisportiva Erbusco, in forza di contratto di collaborazione ex artt. 25 e 28 comma 2 d.lgs. 36/2021 del 1.09.2023, con previsione di un compenso lordo forfettario di Euro 300 mensili;

-           di aver ricevuto l’impugnata comunicazione di indebito, fondata sull’asserita incumulabilità dei redditi da lavoro dipendente con il trattamento previdenziale percepito per tutto l’anno 2023.

Ha contestato la tesi dell’istituto, sostenendo che il rapporto intercorso con la polisportiva avesse natura di lavoro autonomo, come confermato dalla normativa speciale applicabile alla fattispecie; con conseguente compatibilità degli emolumenti percepiti con la pensione Quota 100, nei limiti di Euro 5000, ai sensi dell’art. 14 d.l. 4/2019.

Ha aggiunto che, in ogni caso, aveva ricevuto esclusivamente 600 Euro per i mesi di settembre e ottobre 2023, in quanto l’associazione aveva interrotto l’erogazione del compenso a seguito di squalifica. Dunque, in via subordinata, nell’ipotesi di qualificazione dell’attività come prestazione da lavoro dipendente, ha chiesto di limitare l’accertamento dell’incumulabilità tra il reddito effettivo con la pensione o comunque con i ratei corrispondenti al periodo di attività lavorativa.

Con  memoria  di  costituzione CP_ ha  chiesto  il  rigetto  del  ricorso,  deducendo  la legittimità del proprio operato, in linea con la normativa applicabile, come interpretata con propria circolare n. 117/2019 e dalla giurisprudenza di legittimità.

Ha affermato che il divieto di cumulo previsto dall’art. 14 comma 3 citato in ricorso operasse ex tunc, alla luce della ratio della norma – favorire il ricambio generazionale nel mercato del lavoro – ribadita anche dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 234/2022. Ha precisato che, nel caso di specie, non operasse la deroga prevista per i redditi da lavoro autonomo occasionale, avendo il ricorrente stipulato un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, disciplinata dall’art. 409 n. 3 c.p.c. e non dall’art. 2222 c.c.

***

Il ricorso è fondato nei termini di seguito esposti.

Come noto, ai sensi dell’art. 14 comma 3 d.l. 4/2019, il trattamento pensionistico in contesa “non è cumulabile, a far data dal primo giorno di decorrenza della pensione e fino alla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia, con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui”.

Preliminarmente deve escludersi che i redditi percepiti dal Pt_1 in forza del rapporto intercorso con l’Associazione Sportiva Dilettantistica Polisportiva Erbusco integrino redditi da lavoro “autonomo occasionale”.

È documentale che l’incarico ricoperto integrasse un’ipotesi di collaborazione coordinata e continuativa. Nello stesso contratto prodotto sub doc. 2 da parte ricorrente, infatti, vi è un espresso richiamo a tale tipologia contrattuale nonché all’art. 409 n. 3 c.p.c.

Nel documento sono richiamati, inoltre, gli artt. 25 e 28 d.lgs. 36/2021, che rispettivamente prevedono:

-           che “l’attività di lavoro sportivo può costituire oggetto di un rapporto di lavoro subordinato o di un rapporto di lavoro autonomo, anche nella forma di collaborazioni coordinate e continuative ai sensi dell'articolo 409, comma 1, n. 3 del codice di procedura civile”;

-           che il lavoro sportivo, nell’area del dilettantismo, si presume “oggetto di contratto di lavoro autonomo, nella forma della collaborazione coordinata e continuativa” alla ricorrenza di determinati requisiti, pacificamente presenti nella fattispecie in esame.

Le stesse parti, in effetti, hanno confermato tale qualificazione, traendone però conseguenze differenti.

Parte ricorrente, nello specifico, ha escluso l’applicabilità del divieto di cumulo di cui all’art. 14 cit., focalizzandosi sulla natura autonoma della collaborazione instaurata. La norma, peraltro, ammette la compatibilità della pensione Quota 100 esclusivamente con redditi che derivi da lavoro – oltre che autonomo – occasionale: è del tutto evidente che l’istituto della collaborazione coordinata e continuativa sia, per sua stessa natura, incompatibile con il carattere della occasionalità.

Ne consegue l’operatività dell’incumulabilità di cui all’art. 14 cit.

Come osservato anche dalla locale Corte d’Appello, nell’arresto citato in ricorso, la disposizione – oggettivamente foriera di dubbi interpretativi - è stata recentemente oggetto di esame da parte della Corte Costituzionale che, con sentenza n. 234/2022, ha in effetti sottolineato come la finalità del legislatore fosse garantire la sostenibilità del sistema previdenziale e favorire il ricambio generazionale nel mercato del lavoro.

Nello stesso intervento la Corte -  nel valutare la legittimità del diverso trattamento previsto per i redditi da lavoro autonomo e quelli da lavoro dipendente - ha sottolineato come sia stata di fatto introdotta una “sospensione del trattamento di quiescenza in caso di violazione del divieto di cumulo”, non  illegittima neppure considerando “la sproporzione che può in concreto determinarsi…fra l’entità dei redditi da lavoro percepiti dal pensionato che ha usufruito della cosiddetta “quota 100” e i ratei di pensione la cui erogazione è sospesa”; ciò alla luce della finalità legislativa di garantire un’effettiva uscita del pensionato dal mercato del lavoro.

La stessa Corte Costituzionale, dunque: da un lato, ha accolto una nozione di “incumulabilità” nel senso di “incompatibilità” del trattamento pensionistico con il lavoro dipendente, con conseguente sospensione del trattamento stesso in caso di violazione del divieto; dall’altro, ha escluso che la sproporzione tra i redditi e i ratei di pensione induca a ritenere illegittima la disposizione.

Dalla lettura congiunta di tali asserzioni può desumersi un’interpretazione della norma secondo la quale (solo) a partire dal momento della violazione del divieto, l’erogazione della pensione deve essere sospesa; essendo irrilevante la maggiore o minore differenza tra il rateo di pensione e la retribuzione percepita nel medesimo periodo, in ragione della ratio della disposizione.

La tesi sostenuta da parte ricorrente, secondo la quale andrebbe esclusivamente detratto dal rateo di pensione l’importo concretamente percepito, non può quindi essere accolta, in quanto incompatibile con il meccanismo di sospensione del trattamento citata dalla Corte Costituzionale.

Non colgono nel segno, peraltro, neppure le argomentazioni dell’istituto in ordine alla necessità di applicare la sospensione per l’intero anno, considerando:

-           che la sospensione del trattamento è strettamente correlata all’effettiva violazione del divieto di cumulo;

-           che la restituzione, da parte del pensionato, dei ratei percepiti prima della violazione stessa, durante i mesi di “non lavoro”, integrerebbe una misura sostanzialmente sanzionatoria non prevista dalle disposizioni applicabili;

-           che, infatti, il riferimento all’incumulabilità, ai sensi dell’art. 14 cit. “a far data dal primo giorno di decorrenza della pensione e fino alla maturazione dei requisiti per l'accesso alla pensione di vecchiaia”, non implica alcun effetto ex tunc della sospensione ma una mera specificazione del periodo di applicazione del divieto;

-           che l’interpretazione offerta dall’ente, infine, considerata anche l’irrilevanza dell’esiguità dei redditi percepiti ad incidere sulla legittimità della sospensione, determinerebbe una evidente violazione dell’art. 38 Cost., posto che il pensionato si ritroverebbe a dover restituire le (potenzialmente uniche) entrate percepite durante un periodo in cui non ha svolto alcuna attività lavorativa remunerata.

D’altro canto, in ordine a quest’ultimo aspetto, non può non rilevarsi come la stessa Corte Costituzionale – chiamata nuovamente a pronunciarsi sulla legittimità della disposizione

in esame alla luce del recente arresto della giurisprudenza di legittimità favorevole alla tesi dell’CP_ citato in memoria (Cass. 30994/2024) – abbia in sintesi affermato: che una pronuncia isolata della Corte di Cassazione non può considerarsi “diritto vivente”; che la stessa non sia ostativa ad una diversa interpretazione della disciplina da parte dei giudici di merito, laddove la ritengano maggiormente aderente al testo costituzionale.

Applicando   i   principi   enunciati   al   caso   di   specie,   deve   ritenersi   legittimo   il provvedimento dell’CP_ contestato con l’atto introduttivo del giudizio, con riferimento alle somme erogate nei mesi di settembre e ottobre 2023, pari ad Euro 5.209,04 lordi complessivi (doc. 6 fasc. ric.), stante appunto l’incumulabilità degli stessi con la percezione di redditi da lavoro non occasionale.

Non vi è, invece, alcun indebito con riferimento alle altre mensilità, posto che:

-           l’incarico di cui si discute è stato assegnato al ricorrente con decorrenza dal 1.09.2023;

-           nonostante  la  collaborazione  terminasse  formalmente  il  30.05.2024,  dal  mese  di novembre non vi è stata alcuna percezione di redditi da parte del Pt_1 , in ragione della sospensione degli emolumenti da parte dell’Associazione (per motivi disciplinari) nei mesi, per quanto di interesse, di novembre e dicembre 2023 (docc. 7 e 8 fasc. ric.).

Consegue a tale accertamento la condanna dell’CP_ alla restituzione degli importi in eccesso, rispetto alla somma indicata, eventualmente già trattenuti.

L’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alle questioni oggetto di giudizio giustifica la compensazione integrale delle spese di lite.

P.Q.M.

Definitivamente  pronunciando  ogni  contraria  istanza  ed  eccezione  disattesa  così provvede:

1          -           in         parziale           accoglimento  del       ricorso,            dichiara           la         legittimità            della comunicazione  di  riliquidazione  della  pensione  … trasmessa  da CP_   a Parte_1 e  datata  13.03.2025,  nei  limiti  di  Euro 5.209,04;

2          - condanna CP_ a restituire le somme in eccesso, rispetto all’importo indicato al punto 1, eventualmente già trattenute nei confronti del ricorrente, oltre interessi e rivalutazione nei limiti di legge;

3          - compensa le spese di lite.

Fissa il termine di 60 giorni per il deposito della sentenza. Sentenza provvisoriamente esecutiva.

Così deciso in Brescia il 12/11/2025

il Giudice del lavoro Isabella Angeli

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