T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 8645/2011

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 60 e 74 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale (…), proposto dalla Federazione Medico Sportiva Italiana Fmsi, rappresentata e difesa dall'avv. Avilio Presutti, con domicilio eletto presso lo stesso avv. Avilio Presutti in Roma, p.zza San Salvatore in Lauro, n. 10;

contro

Istat - Istituto Nazionale di Statistica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per l'annullamento, previa sospensiva

del provvedimento di approvazione dell'elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato di cui all'art. 1 co. 3 l. 196/09

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Istat - Istituto Nazionale di Statistica;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2011 il cons. Giulia Ferrari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Rilevato che nella suddetta camera di consiglio il Collegio, chiamato a pronunciare sulla domanda cautelare di sospensiva dell’atto impugnato, ha deciso di definire immediatamente il giudizio nel merito con sentenza resa ai sensi dell’art. 60 c.p.a., e ne ha dato comunicazione ai difensori presenti delle parti in causa;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

1. La ricorrente Federazione impugna l’Elenco ISTAT 2010, pubblicato nella Gazz. Uff. 24 luglio 2010 n. 171, recante l’indicazione delle Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato e individuate ai sensi dell’art. 1, comma 3, L. 31 dicembre 2009 n. 196, e ne chiede l’annullamento nella parte in cui illegittimamente la inserisce fra le suddette Amministrazioni nonostante la sua qualità di persona giuridica privata, che provvede in misura assolutamente prevalente con proprie entrate alla copertura dei costi afferenti l’attività svolta, come attesta la circostanza che circa il 75% delle entrate proviene da servizi offerti sul mercato a prezzi remunerativi;

2. Al fine di ricondurre la materia del contendere nei suoi esatti termini alcune preliminari precisazioni s’impongono.

Alla compilazione del contestato elenco l’ISTAT ha provveduto assumendo come norme classificatorie e definitorie quelle proprie del sistema statistico comunitario; in esso ha quindi ricomprese le “unità istituzionali” che ha riscontrato essere in possesso dei requisiti richiesti, per tale qualificazione, dal Regolamento UE n. 2223/96-SEC95. Il modus procedendi dell’Istituto è stato convalidato a livello legislativo dall’art. 1, comma 2, della legge di contabilità e finanza pubblica 31 dicembre 2009 n. 196, che definisce il proprio “ambito di riferimento” con richiamo agli “enti e agli altri soggetti” individuati dall’ISTAT come Amministrazioni pubbliche “sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti comunitari”. Il successivo comma 3 affida a detto Istituto anche il compito di provvedere annualmente all’aggiornamento del suo elenco. Nell’art. 6 del successivo D.L. 31 maggio 2010 n. 78, recante “misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, è ripetuto il richiamo – come destinatari dei provvedimenti intesi a ridurre il costo complessivo della Pubblica amministrazione e la sua incidenza sul bilancio dello Stato – ai soggetti individuati dall’ISTAT ai sensi del cit. art. 1, comma 3, L. n. 196 del 2009.

Le classificazioni dell’Istituto sono state quindi assunte dal legislatore come termine di riferimento per il controllo della spesa pubblica nel settore della Pubblica amministrazione e per il suo contenimento.

3. Nella redazione e nell’aggiornamento del suo elenco l’ISTAT ha espressamente dichiarato di voler utilizzare le classificazioni e la metodologia del SEC95, e a questo riguardo un’ulteriore precisazione s’impone.

La preoccupazione della CE, esplicitata con richiamo alle possibilità che le offre l’art. 6 del Regolamento (CE) n. 223 del 2009 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 marzo 2009, è di mettere in grado la Commissione (Eurostat) di disporre di un “sistema statistico europeo” e, quindi, di produrre “statistiche europee secondo principi statistici e norme prestabiliti”, che le consentano di controllare la spesa pubblica negli Stati membri e, quindi, di conoscere l’effettiva realtà economica di ciascun paese. Ha ritenuto che questo obiettivo è realizzabile ove gli Stati membri, in sede di trasmissione dei dati ad essa necessari per la verifica dei conti nazionali e dei rapporti di ciascuno di essi con le altre economie, utilizzino un vocabolario o linguaggio comune, che preveda identiche metodologie, classificazioni e nomenclature, ma solo nei rapporti diretti fra Comunità e Stati membri.

A ciò ha provveduto con il cit. SEC95, le cui classificazioni esauriscono la loro funzione nei suddetti rapporti, lasciando quindi completamente liberi i singoli Stati di conservare, nei rapporti interni, le proprie metodologie, nomenclature e classificazioni. Lo riconosce espressamente il Regolamento UE n. 2223 del 1996, che all’art. 1, comma 3, afferma che nessuno Stato membro è obbligato “ad elaborare, per le proprie esigenze, i conti in base al SEC95”.

L’opzione per la disciplina statistica comunitaria, nelle sue diverse articolazioni (criteri, definizione e terminologia), anche per i rapporti interni è quindi rimessa alla libera scelta del singolo Stato che peraltro, ove formalizzata con le procedure previste dal proprio ordinamento giuridico, lo vincola sia nel modus procedendi che negli effetti.

4. La scelta del legislatore nazionale è stata nel senso di recepire integralmente il sistema statistico europeo nell’individuazione dei soggetti la cui attività comporta per la Pubblica amministrazione un costo che si riflette pesantemente sul bilancio complessivo dello Stato e sui quali è quindi necessario intervenire con misure restrittive diversamente quantificate, e ciò a prescindere dalla loro natura giuridica (persona giuridica pubblica o privata) e dalle modalità previste per la nomina degli organi rappresentativi e di governo.

Il criterio di identificazione (id est la nomenclatura utilizzata) comune a tutti i settori di attività, e quindi anche a quello della Pubblica amministrazione, è quello comunitario di “unità istituzionale”, inteso come centro elementare di decisione economica caratterizzato da uniformità di comportamento e da autonomia decisionale nell’esercizio della propria funzione principale.

La necessità di fare riferimento, agli effetti classificatori, agli “attuali indirizzi comunitari” è stata espressamente affermata anche dal Consiglio di Stato, sez. VI, con l’ordinanza 16 luglio 2008 n. 3695.

Nel settore della Pubblica amministrazione il SEC95 (prg. 2.69) riconosce la qualifica di “unità istituzionale”: a) agli “organismi pubblici”, che gestiscono e finanziano un insieme di attività principalmente consistenti nel fornire alla collettività beni e servizi non destinabili alla vendita; b) alle “istituzioni senza scopo di lucro” dotate di personalità giuridica che, come i primi, agiscono da produttori di beni e servizi non destinabili alla vendita, ma per esse alla duplice condizione che “siano controllate e finanziate in prevalenza da Amministrazione pubbliche”, sì da incidere in modo significativo sul disavanzo e sul debito pubblico, situazione quest’ultima ritenuta ricorrente nel caso in cui i ricavi per proprie prestazioni di servizi, in condizioni di mercato, non riescono a coprire una quota superiore al 50% dei costi di produzione. Donde la necessità di un continuo intervento pubblico, realizzato mediante contributi non necessariamente statali, per assicurare il pareggio di bilancio.

Il raffronto è quindi fra costi complessivi ed entrate proprie, costituenti il corrispettivo economico del servizio reso a soggetti terzi.

5. Venendo al merito deve essere disattesa la censura dedotta dalla ricorrente dedotta nel primo motivo di doglianza, secondo cui essa avrebbe personalità di diritto privato, con la conseguenza che ad essa non sarebbe applicabile il regime previsto dall’impugnato provvedimento. Dalle argomentazioni innanzi svolte emerge infatti, con palese evidenza, l’irrilevanza della natura giuridica, pubblica o privata, che l’ordinamento nazionale riconosce al singolo soggetto interessato. Si tratta infatti di distinzione irrilevante agli effetti classificatori atteso che il SEC95 richiede come condizione per qualificare “unità istituzionali pubbliche” i soggetti operanti senza scopi di lucro nel settore dell’Amministrazione pubblica che essi siano soggetti al controllo di una Pubblica amministrazione e che dal raffronto fra spesa complessiva sostenuta per la loro attività istituzionale e le entrate proprie, costituenti corrispettivo per i servizi resi, queste ultime coprano la prima in misura superiore al 50%. Di qui l’ininfluenza, secondo le regole comunitarie recepite dall’ISTAT, della qualificazione giuridica, pubblica o privata, che gli ordinamenti nazionali assegnano a detti soggetti e all’attività da essi svolta.

6. E’ invece fondata ed assorbente la censura, sempre dedotta con il primo motivo di doglianza, con la quale si contesta che la ricorrente, nel suo operare, possa essere considerata soggetta a “controllo pubblico” e si sostiene quindi la mancanza, nei suoi riguardi, dell’elemento nel quale “il Manuale del SEC95 sul disavanzo e sul debito pubblico” individua (punto 1.2 dei “criteri di classificazione delle unità nel settore delle Amministrazioni pubbliche”) “un criterio fondamentale ai fini della classificazione”,

La nozione comunitaria di “controllo” non s’identifica con quella recepita nel nostro ordinamento, e cioè innanzi tutto controllo sugli atti (in particolare sul bilancio di previsione e sul conto) da parte di un soggetto pubblico sopraordinato, ma si sostanzia nel potere giuridicamente riconosciuto ad un’Amministrazione pubblica di “determinare la politica generale e i programmi” della singola unità istituzionale, cioè di stabilire in via autonoma gli obiettivi che essa è chiamata a raggiungere e le modalità che deve seguire per realizzarli, con atti che in effetti sono di amministrazione attiva, e quindi non verificabili nella loro concreta esistenza con riferimento agli atti di controllo nel significato specifico e nella funzione ad essi assegnati dall’ordinamento nazionale.

D’altro canto, come già si è accennato, l’uso improprio – alla luce di detto ordinamento – del termine “controllo” trova giustificazione nella necessità per il legislatore comunitario di fare ricorso ad una terminologia che, in larga approssimazione, ricomprenda situazioni che i legislatori nazionali identificano con termini specifici e diversi. E’ il caso, ricorrente negli atti di paternità comunitaria, della “domanda di giustizia”, locuzione che, con riferimento al nostro ordinamento, deve intendersi indifferentemente riferita all’azione giudiziaria, al ricorso giurisdizionale, all’intervento in giudizio, all’opposizione di terzo, al ricorso amministrativo (ordinario e straordinario), ecc., ciascuno soggetto ad una disciplina diversa.

E’ ancora il caso del cd. “operatore economico”, anch’esso figura di paternità comunitaria, che nella materia dei contratti pubblici ricomprende l’imprenditore (persona fisica e giuridica), il fornitore e il prestatore di servizi, il raggruppamento temporaneo d’imprese, i consorzi, gli enti pubblici, ecc., in quanto tutti concorrenti ed aspiranti all’aggiudicazione di un appalto con la Pubblica amministrazione. Anche a detta locuzione l’art. 1 della direttiva 2004/18/CE assegna un valore solo esemplificativo (“….è utilizzato unicamente per semplificare il testo”), con la conseguenza che ciò che conta non è la terminologia utilizzata dal legislatore comunitario, ma il contenuto e la funzione che ad essa lo stesso assegna e che nel caso in esame sono chiarissimi.

In sostanza, ciò che il SEC95 richiede, perché possa ritenersi che un’Amministrazione pubblica esercita il controllo su un’unità istituzionale, è che essa sia in grado di “influenzarne la gestione, indipendentemente dalla supervisione generale esercitata su tutte le unità analoghe”.

Non sembra che tale condizione ricorra nel caso in esame. Ed invero, il potere di vigilanza sulle Federazioni sportive, che l’art. 15 d.lgs. n. 242 del 1999 assegna al CONI, non corrisponde affatto alla nozione che del controllo dà il SEC95, ma si esaurisce nella verifica che le Federazioni sportive nazionali svolgano la loro attività “in armonia” con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO e del CONI. Quindi ad essi è riconosciuto, al limite, un controllo “esterno”, che nulla ha a che vedere con il potere di determinare “la politica generale e i programmi” della singola Federazione sportiva.

Di qui l’irrilevanza, al fine del decidere, dei poteri che lo Statuto del CONI gli riconosce nei riguardi delle singole Federazioni sportive (il loro riconoscimento; il loro eventuale commissariamento; l’approvazione del bilancio di previsione e di quello consuntivo; l’an e il quantum del contributo da corrispondere a ciascuna di esse, eventualmente prestabilendo anche uno specifico vincolo di destinazione; la presenza di tutti i presidenti delle Federazioni sportive nel Consiglio nazionale del CONI che semmai, condizionandone le determinazioni, conferma la possibilità per le stesse di far valere anche al massimo livello la loro autonomia nel fissare la politica generale e i programmi da realizzare).

7. Parimenti fondata è la censura, sempre dedotta nella via del primo motivo, afferente all’autonomia finanziaria della Federazione ricorrente, che si manifesta con la sua capacità, dichiarata ma non contestata, di coprire il costo complessivo sostenuto nel singolo esercizio con le proprie entrate in misura largamente superiore al 50%. Al fine di verificare la fondatezza della censura è quindi sufficiente il raffronto fra due dati numerici, che la ricorrente ricorrente ha fornito e l’ISTAT non ha contestato sulla base degli elementi contabili in suo possesso. E’ evidente che da detto raffronto emerge implicitamente la misura del contributo che la finanza pubblica è costretta a sopportare per assicurare il pareggio di bilancio alla singola Federazione, ma si tratta di elemento influente al fine del decidere sulla sua autonomia finanziaria agli effetti classificatori, atteso che il metro di valutazione, imposto da SEC95 e fatto proprio da ISTAT, è quello di cui innanzi si è detto.

Di qui l’ulteriore conclusione che nella materia de qua non rileva né la misura del contributo pubblico di cui beneficia il soggetto né la percentuale dello stesso sui suoi ricavi complessivi, giacchè il criterio di calcolo imposto dal legislatore comunitario e per libera scelta recepito dall’ISTAT si fonda esclusivamente sul rapporto fra spesa complessiva ed entrate proprie.

8. Il ricorso deve pertanto essere accolto, con conseguente annullamento nei limiti dell’interesse e, quindi, in parte qua dell’impugnato elenco ISTAT, ma la complessità della materia del contendere giustifica l’integrale compensazione fra le parti in causa delle spese e degli onorari del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla nei limiti dell’interesse l’impugnato elenco ISTAT.

Compensa integralmente fra le parti in causa le spese e gli onorari del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2011 con l'intervento dei magistrati:

Italo Riggio, Presidente

Maria Luisa De Leoni, Consigliere

Giulia Ferrari, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

        Il 10/11/2011

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