T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 8319/ 2018
Pubblicato il 23/07/2018
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale (…), proposto da Società OMISSIS S.S.D. a R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Filippo Lubrano, Lorenzo Maria Cioccolini e Jacopo Tognon, con domicilio eletto presso lo studio del primo Lubrano in Roma, via Flaminia 79;
contro
- Collegio di Garanzia dello Sport del CONI, Giudice Sportivo Nazionale FIR, Corte Sportiva di Appello FIR, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio; - Federazione Italiana Rugby (FIR), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Guido Valori, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale delle Milizie 106;
- Comitato Olimpico Nazionale Italiano - C.O.N.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Michel Martone, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Lungotevere Arnaldo Da Brescia 11;
nei confronti
Società Rugby OMISSIS A.S.D., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
per il risarcimento del danno per equivalente, previo accertamento dell’illegittimità, ai sensi della sentenza della Corte Costituzionale n. 49/2011,
- del provvedimento del Collegio di Garanzia dello Sport, Sezione Prima, presso il CONI, 12 aprile 2017, n. 27, prot. n. 00311/17, che, in accoglimento del ricorso proposto dalla Società Rugby OMISSIS A.S.D., ha riformato la precedente decisione della Corte Sportiva D'Appello FIR 20 gennaio 2017, n. 12 e, per l'effetto, ha confermato la sanzione emessa in primo grado dal Giudice Sportivo Nazionale in data 7 dicembre 2016, con comunicato ECC/06/GS, in relazione alla gara disputata in data 3 dicembre 2016 (OMISSIS AD c. Rugby OMISSIS SSD a r.l.) del Campionato nazionale di Eccellenza, che aveva sanzionato la Società ricorrente, mutando il risultato sportivo da favorevole per la ricorrente (punteggio di 25 a 24, cioè mete 3-2, per la Rugby OMISSIS), in risultato favorevole per la avversaria Rugby OMISSIS (punteggio di 20 a 0, cioè mete 4-0, per la Rugby OMISSIS), con conseguente perdita per la ricorrente di n. 4 punti in classifica (attribuiti in caso di vittoria), ed irrogando ulteriori n. 4 punti in classifica a titolo di ulteriore sanzione, per avere asseritamente inserito la ricorrente nell'elenco giocatori un giocatore di Formazione estera ulteriore rispetto al numero massimo consentito (ovvero, n. 5 giocatori di Formazione estera, invece che n. 4), sanzione che ha comportato per la ricorrente la perdita del quarto posto in classifica e, quindi, la perdita dell'accesso ai c.d. play-off per accedere al Campionato di categoria superiore, con ogni conseguenza giuridica, economica, sportiva e patrimoniale in merito.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Federazione Italiana Rugby (FIR) e del C.O.N.I.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 luglio 2018 il Cons. Daniele Dongiovanni e uditi l'Avv. Lubrano per la società ricorrente, l'Avv. Valori per la F.I.R. e l'Avv. Thomas Martone, in dichiarata sostituzione dell'Avv. Michel Martone, per il CONI;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in esame, la società Rugby OMISSIS, iscritta al campionato di eccellenza FIR (Federazione Italiana Rugby) per l’anno 2016/2017, ha chiesto il risarcimento dei danni derivanti dalla decisione del 12 aprile 2017, n. 27 con cui il Collegio di Garanzia dello Sport del CONI ha confermato la sanzione inflitta in primo grado dal giudice sportivo nazionale in data 7 dicembre 2016, consistente nell’irrogazione della perdita di complessivi 8 punti in classifica (con ciò determinando, secondo la società ricorrente, il mancato ingresso ai play off per l’accesso al campionato di categoria superiore).
In particolare, il giudice di primo grado ha rilevato che la società ricorrente, nella partita del 3 dicembre 2016 contro la Rugby OMISSIS ASD, avrebbe inserito nell’elenco giocatori un numero superiore di tesserati di formazione estera (5 giocatori invece di 4), in violazione di quanto previsto dalla normativa regolamentare interna.
In ragione di ciò, il giudice sportivo nazionale ha irrogato alla società ricorrente la perdita della partita “a tavolino” (con conseguente sottrazione di 4 punti in classifica) nonché l’ulteriore sanzione della sottrazione di altri 4 punti nella classifica del campionato (unitamente alla multa di euro 100,00); a sua volta, la Corte di Appello Federale della FIR, con decisione n. 12 del 20 gennaio 2017, ha, invece, accolto l’appello della società ricorrente, annullando il provvedimento sanzionatorio del giudice di primo grado.
Infine, con decisione del 12 aprile 2017, n. 27, il Collegio di Garanzia dello Sport del CONI, su ricorso della Rugby OMISSIS ASD (avversaria della società ricorrente nella partita del 3 dicembre 2016), ha confermato la sanzione inflitta in primo grado dal giudice sportivo nazionale, sconfessando la ricostruzione operata dall’organo giudicante di appello.
Al riguardo, la società ricorrente ritiene che la decisione n. 27/2017 del Collegio di Garanzia sia illegittima, per carenza degli elementi oggettivo e soggettivo, necessari per ritenere configurabile un illecito disciplinare.
Dal punto di vista soggettivo, la società ricorrente censura l’omesso accertamento della colpa da parte del giudice di ultima istanza (necessaria per la configurabilità dell’illecito) in quanto, mentre la Corte di Appello Federale, aveva negato espressamente la sussistenza dell’elemento soggettivo, il Collegio di Garanzia nulla ha argomentato al riguardo; eppure, l’art. 3, comma 1, del regolamento di giustizia sportiva FIR, prevede che “Si risponde delle infrazioni a titolo di dolo o colpa”, dal che consegue che il giudice di ultima istanza avrebbe dovuto accertare la sussistenza dell’elemento soggettivo, a maggior ragione nel momento in cui la Corte di Appello federale l’aveva escluso nella condotta della ricorrente.
Per quanto riguarda, invece, l’elemento oggettivo, la società ricorrente censura la valutazione operata dal Collegio di garanzia in quanto la stessa sostiene di aver schierato, durante la partita del 3 dicembre 2016 contro la Rugby OMISSIS ASD, solo 4 giocatori di formazione estera posto che il quinto, OMISSIS, doveva ritenersi equiparato ad un atleta di formazione italiana; ciò sul presupposto che il Consiglio Federale FIR, con delibera del 16 marzo 2016, n. 31, aveva invero previsto che un giocatore di formazione estera che disputi almeno un test match ufficiale con la nazionale italiana under 20 era equiparato ad un atleta di formazione italiana.
Ciò premesso, la società ricorrente sostiene quindi che, avendo il giocatore OMISSIS disputato, nella stagione 2015/2016, tre incontri con la nazionale italiana under 20, doveva intendersi pienamente equiparato ad un atleta di formazione italiana, a prescindere dal suo tesseramento che lo aveva inquadrato come giocatore di formazione estera (posto che un tale aspetto di natura formale non poteva prevalere sullo status dell’atleta interessato).
Né – secondo la ricorrente - può ritenersi corretta la valutazione del Collegio di garanzia del CONI nella parte in cui afferma che la delibera del Consiglio Federale n. 31/2016 non ha efficacia retroattiva (in ragione del fatto che le partite in nazionale sono state svolte nel 2015 mentre la nuova normativa federale è entrata in vigore nella stagione 2016/2017) in quanto la norma transitoria, pure contenuta nella predetta deliberazione, regola gli effetti dalla stagione 2016/2017 del possesso del requisito di che trattasi anche se acquisito in precedenza.
Con riferimento al nesso causale, la società ricorrente rappresenta che la decurtazione di 8 punti dalla classifica finale del campionato di eccellenza ha determinato lo slittamento dal quarto al sesto posto nella classifica finale, impedendo così l’ingresso diretto ai play off per l’accesso alla categoria superiore.
Per quanto riguarda la colpa dell’amministrazione, la società Rugby OMISSISr itiene che la responsabilità risarcitoria della P.A. deve intendersi di natura oggettiva (senza cioè che sia necessaria la prova della sussistenza dell’elemento soggettivo); in via subordinata, rappresenta che, per la sussistenza della colpa, debba farsi riferimento ad indici presuntivi, che impone la prova contraria fornita dall’amministrazione stessa.
Con riferimento al quantum del risarcimento, la società ricorrente quantifica il danno in una somma complessiva di 184mila euro, derivante dal mancato accesso ai play off (di cui 110mila per perdita premi previsti nei contratti di sponsorizzazione; 50mila per perdita premi dalla FIR; 8mila per perdita incassi da botteghino; 16mila per ulteriori perdite da incassi per la mancata disputa di due incontri in ragione del conseguimento di quell’obiettivo), ed altri 70mila per danni derivanti da perdita di chance per il mancata riconoscimento di ulteriori premi in denaro in ragione del mancato ingresso in quella fase di campionato (di cui euro 60mila quale premio per la partecipazione alla finale dei play off ed euro 10mila per gli ulteriori premi che sarebbero stati inseriti nei contratti di sponsorizzazione).
Si sono costituiti in giudizio la Federazione Italiana Rugby (FIR) ed il CONI, per resistere al ricorso; in particolare, la FIR ha eccepito l’inammissibilità del ricorso sotto vari profili (per mancanza di legittimazione passiva della FIR, per mancata individuazione dei soggetti nei confronti è svolta l’azione risarcitoria; per mancata individuazione dei vizi di legittimità dell’atto impugnato; per mancanza della prova del danno lamentato).
In prossimità della trattazione del merito, le parti (società Rugby OMISSISe FIR) hanno depositato memorie, anche di replica, insistendo nelle loro rispettive conclusioni; al riguardo, la FIR ha altresì eccepito, oltre a quelle già sollevate in precedenza, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di vicenda tutta interna alla giustizia sportiva.
Alla pubblica udienza del 3 luglio 2018, la causa, dopo la discussione delle parti, è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
1. Va, anzitutto, esaminata l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sollevata dalla Federazione Italiana Rugby (di seguito, anche FIR).
L’obiezione non può essere accolta.
Sul punto, va chiarito che la società ricorrente ha chiesto la condanna al risarcimento dei danni in ragione della (dedotta) illegittimità della sanzione irrogata dalla FIR, poi confermata dal Collegio di garanzia del CONI in data 12 aprile 2017; al riguardo, l’istante ha espressamente richiamato i principi espressi dalla Corte Costituzionale, con la nota sentenza n. 49/2011, che ha ammesso, ferma restando la conformità a Costituzione della c.d. “pregiudiziale sportiva”, la possibilità di richiedere al giudice amministrativo il risarcimento per equivalente, in caso di violazione di diritti causata dalle deliberazioni assunte dalle federazioni sportive o dal CONI, ciò a completamento delle forme di tutela azionabili nei confronti di atti lesivi adottati nell’ambito dell’ordinamento sportivo.
La Corte Costituzionale, con la predetta sentenza, ha invero dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lett. b), e 2, del decreto legge n. 220 del 2003 nella parte in cui riserva al giudice sportivo la competenza definitiva sulle controversie riguardanti le sanzioni disciplinari inflitte agli affiliati, sottraendole al giudice amministrativo, anche se i loro effetti superano l’ambito dell’ordinamento sportivo, incidendo su diritti ed interessi legittimi; nondimeno, tali norme sono state interpretate nel senso che se l’atto delle federazioni sportive o del CONI ha incidenza anche su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l'ordinamento giuridico statale, la domanda intesa non alla caducazione dell'atto ma al conseguente risarcimento del danno, va (e, quindi, può essere) proposta al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva.
In questi casi – ha ricordato la Corte Costituzionale - il giudice amministrativo può conoscere, nonostante la riserva a favore della giustizia sportiva, delle sanzioni disciplinari inflitte a società, associazioni e atleti, in via incidentale e indiretta, al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione.
Ciò posto, va quindi rigettata l’eccezione di difetto di giurisdizione in quanto il petitum fatto valere dalla società ricorrente riguarda proprio la richiesta di risarcimento dei danni, fondata sulla dedotta illegittimità della sanzione inflitta dal giudice sportivo e della decisione dell’organo di giustizia sportiva di ultima istanza che l’ha confermata.
Del resto, la FIR ha posto a fondamento della predetta eccezione il fatto che la questione oggetto del ricorso in esame “attiene alla regolarità della gara disputata, nonché all’osservanza e all’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo”; si tratta, invero, di questione che non attiene al profilo della giurisdizione bensì al merito della vicenda, connessa cioè alla verifica, in via incidentale e indiretta, della sanzione disciplinare inflitta alla società ricorrente, al fine di accertare la fondatezza o meno della richiesta risarcitoria, rimessa, come detto, alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo.
2. Allo stesso modo, va rigettata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva della FIR, avanzata sul presupposto che la domanda di parte ricorrente avrebbe ad oggetto la sola decisione assunta dal Collegio di Garanzia del CONI.
Sul punto, è sufficiente richiamare quanto già affermato dalla Sezione in un precedente analogo (cfr TAR Lazio, sez. Prima Ter, 16 maggio 2018, n. 5645); in quella sede (come in questa), la domanda aveva ad oggetto il danno asseritamente patito dal ricorrente per l’illegittima irrogazione della sanzione disciplinare da parte degli organi della giustizia federale, solo confermata dall’organo di giustizia sportiva di ultima istanza (facente parte del sistema organizzativo del CONI).
Ora, è vero che l’ingiustizia del danno lamentata dalla ricorrente si attesta sulla decisione del Collegio di Garanzia del CONI, ma la dedotta illegittimità dell’interpretazione data dal predetto organo di ultima istanza è comune anche alla decisione del giudice sportivo che ha irrogato per primo la sanzione, in qualità di organo inserito nell’ambito della FIR.
La principale fonte di danno, quindi, è costituita dalla sanzione irrogata dal giudice sportivo che, però, alla luce di quanto previsto dall’art. 2 del decreto legge n. 220 del 2003 (come letta dalla Corte Costituzionale, nella sentenza n. 49/2011), non è immediatamente censurabile dall’interessato, attraverso la richiesta di risarcimento danni dinanzi al giudice amministrativo, prima di aver esperito tutti i gradi della giustizia sportiva (c.d. “pregiudiziale sportiva”); ma la fonte del danno rimane sempre l’organo che ha irrogato per primo la sanzione, soprattutto nel caso di specie dove la (dedotta) erronea interpretazione delle regole sportive riguarda sia il giudice della FIR sia il Collegio di Garanzia del CONI.
Nel caso di specie, peraltro, non si censurano condotte illecite proprie del Collegio di garanzia del CONI (come, ad esempio, il mancato rispetto delle regole di procedura ovvero di quelle attinenti all’esercizio del diritto di difesa da parte dell’organo di ultima istanza) bensì una errata interpretazione della normativa di riferimento che, come detto, è comune a tutti gli organi che hanno trattato, per dovere di ufficio, la questione che ha portato all’irrogazione della sanzione nei confronti della società ricorrente.
Da ciò deriva che, nel caso di specie, anche la FIR ha la legittimazione passiva per essere chiamata nel presente giudizio.
3. Può ora passarsi al merito della controversia, prescindendo però dall’esame delle ulteriori eccezioni sollevate dalla FIR in quanto il ricorso risulta comunque infondato.
3.1 Come esposto nella parte in fatto, la società ricorrente lamenta l’erroneità della decisione del Collegio di Garanzia (e, quindi, della sanzione inflitta dal giudice sportivo) per i seguenti motivi:
- assenza dell’elemento oggettivo dell’illecito in quanto il Consiglio Federale FIR, con delibera del 16 marzo 2016, n. 31, avrebbe previsto che un giocatore di formazione estera che disputi almeno un test match ufficiale con la nazionale italiana under 20 è equiparato ad un atleta di formazione italiana (ciò premesso, la società ricorrente sostiene che, avendo il giocatore Luca Petrozzi disputato, nella stagione 2015/2016, tre incontri con la nazionale italiana under 20, doveva intendersi pienamente equiparato ad un atleta di formazione italiana, ciò a prescindere dal tesseramento che lo aveva inquadrato come giocatore di formazione estera);
- mancata valutazione da parte del Collegio di Garanzia del CONI dell’elemento soggettivo dell’illecito (dolo o colpa), come richiesto dall’art. 3, comma 1, del regolamento di giustizia sportiva FIR, nonostante la Corte di Appello federale avesse escluso la sussistenza nella condotta della ricorrente.
3.2 Ciò premesso, con riferimento ai limiti del sindacato del giudice amministrativo sull’esercizio del potere disciplinare da parte degli organismi delle Federazioni sportive e del CONI, va anzitutto osservato quanto segue:
- come chiarito dalla Corte Costituzionale, nella più volte citata sentenza n. 49/2011, la tutela risarcitoria da parte del giudice amministrativo è ammissibile quando sussistano “scorrettezze” nello svolgimento dei gradi della giustizia sportiva tali da comportare la violazione di diritti indisponibili (cfr, per tutte, Cons. Stato, sez. V, n. 3065/2017);
- al riguardo, la giurisprudenza amministrativa ha specificato che, tra i diritti indisponibili, suscettibili di tutela risarcitoria, vadano annoverati i diritti fondamentali di natura processuale come la violazione del diritto di difesa e, in generale, delle regole del c.d. “giusto processo” (come quelle in tema di contraddittorio).
Oltre ai predetti casi individuati dalla giurisprudenza costituzionale ed amministrativa, in questa sede si tratta di verificare se il sindacato del giudice amministrativo sugli atti della giustizia sportiva, ai fini dell’accertamento della sussistenza dei presupposti per il risarcimento danni sotto il profilo del c.d. danno ingiusto, possa giungere fino a ricalcare quello tipico del controllo estrinseco svolto sull’esercizio del potere amministrativo (nel caso di specie, disciplinare), come quelli collegati ai vizi di illogicità e di irragionevolezza della motivazione ovvero alla violazione dei principi di gradualità e proporzionalità della sanzione disciplinare.
Ritiene il Collegio, al riguardo, che la salvaguardia del principio di autonomia tra l’ordinamento sportivo e quello statale imposto dalla normativa primaria non consenta di mutuare i principi tipici in materia di sindacato del giudice amministrativo sull’azione amministrativa.
Ed invero, oltre ai casi di violazione dei diritti fondamentali di natura processuale, ulteriori casi di violazione di diritti indisponibili possono essere individuati facendo riferimento, con i dovuti distinguo, ai principi espressi dalle sezioni Unite della Corte di Cassazione quando, in merito al sindacato sulle sentenze del giudice amministrativo per motivi inerenti alla giurisdizione ai sensi dell’art. 362, comma primo, del cpc, è stato affermato, tra l’altro, che non è configurabile un caso di “eccesso di potere giurisdizionale” nel caso di mero dissenso nell’interpretazione della norma di riferimento; ciò in quanto, l’interpretazione della legge (o della norma), svolta da un determinato organo di giustizia individuato per legge, costituisce il proprium della funzione giudicante, salvo il caso di un radicale (nel senso di abnorme) stravolgimento della norma stessa (una tale ipotesi, ad esempio, è sempre da escludere laddove il testo della norma non sia univoco e l’interpretazione adottata, seppure opinabile, sia comunque sorretta da una motivazione plausibile).
3.2 Ora, applicando alla fattispecie in esame le suesposte coordinate ermeneutiche, va osservato che la vicenda sottoposta all’esame della Sezione si esaurisce nella verifica della correttezza dell’interpretazione fornita da ultimo dal Collegio di garanzia del CONI (e dal giudice sportivo nazionale) della norma contenuta nella delibera del 16 marzo 2016, n. 31 del Consiglio Federale FIR.
L’organo di ultima istanza ha, invero, ritenuto che la predetta delibera del 2016, nella parte in cui equipara un giocatore straniero che abbia disputato almeno un test match ufficiale nella nazionale italiana Under 20 ad un atleta di formazione italiana, non ha carattere retroattivo, nel senso che non si applica a colui che abbia acquisito tale requisito prima della stagione sportiva 2016/2017; nel caso di specie, il giocatore Luca Petrozzi, inserito nell’elenco dei giocatori per la gara del dicembre 2016, aveva disputato tre (3) incontri con la nazionale italiana under 20, nella stagione 2015/2016, ovvero nell’anno precedente l’entrata in vigore della predetta delibera (che, come detto, equipara, nei casi sopra descritti, un giocatore di formazione straniera ad uno di formazione italiana).
Il Collegio di garanzia del CONI ha, invero, così interpretato la previsione contenuta nella circolare informativa per la stagione 2016/2017 [art. 2.4.1.1. lettera b)] secondo cui “tale equiparazione produce i propri effetti regolamentari dalla stagione sportiva successiva a quella in cui è maturata”; altresì, lo stesso Collegio di Garanzia ha anche stigmatizzato il fatto che l’atleta Petrozzi, prima di quella gara, risultava tesserato quale giocatore di formazione straniera e che, solo dopo, la società ricorrente aveva chiesto la modifica del suo tesseramento all’ufficio competente della Federazione quale atleta di formazione italiana.
Ora, a prescindere dalla correttezza o meno dell’interpretazione fornita dall’organo di giustizia sportiva di ultima istanza, ciò che conta nella fattispecie in esame è che le conclusioni raggiunte non possono essere considerate come una ipotesi di radicale stravolgimento delle norme di riferimento in quanto la ricostruzione operata dal Collegio di garanzia, per quanto opinabile, è comunque argomentata e solidamente orientata attraverso il richiamo al principio di irretroattività, la cui applicazione rimane comunque nei limiti della plausibilità e della verosimiglianza.
L’interpretazione fornita dal Collegio di garanzia rimane, invero, ampiamente nei limiti interni della funzione giudicante ad essa assegnata dalla normativa primaria, tanto che una diversa lettura da parte del giudice amministrativo costituirebbe, invero, una lesione del principio di autonomia riconosciuto agli organi di giustizia sportiva dal citato decreto legge n. 220 del 2003.
Lo stesso vale anche con riferimento alla mancata valutazione da parte del Collegio di Garanzia del CONI dell’elemento soggettivo dell’illecito (dolo o colpa), come richiesto dall’art. 3, comma 1, del regolamento di giustizia sportiva FIR.
Ora, sebbene la Corte di appello federale ne abbia escluso la sussistenza, ciò non significa che il mancato espresso riferimento a tale aspetto nel giudizio di ultima istanza esorbiti dai limiti interni della funzione giudicante attribuita al Collegio di garanzia del CONI; del resto, anche la sanzione irrogata dal giudice sportivo nulla reca al riguardo.
In ogni caso, va evidenziato che la motivazione resa dal Collegio di Garanzia, sebbene non faccia espresso richiamo all’elemento soggettivo, fa comunque riferimento alla condotta della ricorrente laddove riporta il comportamento ambiguo della stessa società in relazione al tesseramento dell’atleta di che trattasi (prima per averlo schierato, nella partita del dicembre 2016, come giocatore di formazione straniera e, poi, per aver chiesto, solo dopo quell’incontro, il tesseramento quale atleta di formazione italiana).
Ciò è sufficiente per ritenere che il Collegio di garanzia non abbia travalicato i limiti interni della funzione giudicante, con conseguente valutazione di legittimità della decisione assunta.
Una tale valutazione esclude, pertanto, la sussistenza dei presupposti necessari (sotto il profilo dell’ingiustizia del danno) per il riconoscimento in favore della società ricorrente del risarcimento dei danni.
4. In conclusione, il ricorso va respinto.
5. Le spese seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge, di cui euro 1.200,00 (milleduecento/00) in favore della FIR ed euro 800,00 (ottocento/00) in favore del CONI.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 luglio 2018 con l'intervento dei magistrati:
Germana Panzironi, Presidente
Daniele Dongiovanni, Consigliere, Estensore
Francesca Petrucciani, Consigliere