T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 1434/ 2004

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

- Sezione Terza Ter -

composto dai signori magistrati:

Dott. Francesco Corsaro        Presidente

Dott. Lucia Tosti                  Consigliere                                                                                                              Dott. Stefania Santoleri         Consigliere, relatore                                           ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. (…), proposto da OMISSIS, rappresentata e difesa dall’Avv. Valentino Fedeli ed elettivamente domiciliata presso  il suo studio sito in Roma, Via Lucrezio Caro n. 62.

contro

il COMITATO OLIMIPICO NAZIONALE ITALIANO – C.O.N.I. – in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Teresita Fazzari ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito in Roma, Via Crescenzio n. 16

la FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO – F.I.G.C. – in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Alberto Angeletti ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Roma, Via Giuseppe Pisanelli n. 2.

per l'accertamento

della sussistenza di un rapporto di pubblico impiego fra la ricorrente ed il CONI per il periodo 1/10/87 – 19/4/99 con condanna del CONI al pagamento in favore della ricorrente delle mensilità non percepite da ottobre 1998 ad aprile 1999, delle mensilità aggiuntive alle dodici relativamente al periodo 1/10/87 – 19/4/99, del trattamento di fine rapporto, dei contributi per le assicurazioni sociali obbligatorie con riguardo all’intero periodo di svolgimento del rapporto, oltre alla costituzione di rendita vitalizia nella misura quantificata dall’INPS, il tutto con interessi e rivalutazione monetaria.

            Visto il ricorso con i relativi allegati;

            Visto l’atto di costituzione in giudizio della F.I.G.C. e del C.O.N.I.;

            Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

            Visti tutti gli atti di causa;

            Relatore alla pubblica udienza dell’11 dicembre 2003 la Dott.ssa Stefania Santoleri, e uditi, altresì, l’Avv. Valentino Fedeli per la parte ricorrente,  l’Avv. Teresita Fazzari per il CONI e l’Avv. Alberto Angeletti per la F.I.G.C.

            Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

ESPOSIZIONE IN FATTO.

Premette la ricorrente di aver prestato attività lavorativa presso la Federazione Italiana Giuoco Calcio – F.I.G.C. – Settore Giovanile e Scolastico, presso gli uffici del Comitato Regionale per il Lazio, dapprima in forza di un contratto di collaborazione professionale (relativamente al periodo 1 ottobre 1987 – 31 gennaio 1993) e poi con contratto di collaborazione coordinata e continuata senza vincolo di subordinazione (relativamente al periodo 1 febbraio 1993 – 19 aprile 1999).

Dichiara di aver svolto nel primo periodo (1987-1993) le proprie mansioni di addetta alla segreteria (operatrice su personal computer) con un orario prestabilito (dal lunedì al venerdi dalle ore 9.00 alle ore 12.30 e dalle ore 15.30 alle ore 18.30 ed il mercoledì dalle ore 9.00 alle ore 17.00) e di aver ricevuto il compenso di £. 10.000 e poi £. 12.000 l’ora, mediante la presentazione di fattura.

Nel periodo successivo (1993-1998) ha osservato un diverso orario di ufficio e ha percepito un compenso mensile di £. 1.700.000 imponibili, a presentazione di fattura e con l’obbligo di versamento dei contributi INPS ai sensi dell’art. 2 comma 26 della L. 335/95.

Deduce di non aver percepito alcunché per il periodo ottobre 1998 – aprile 1999, e di non aver ottenuto il pagamento del trattamento di fine rapporto.

Chiede il riconoscimento del rapporto di lavoro alle dipendenze del CONI, giacchè le Federazioni sportive, ai sensi dell’art. 14 della L. 91/81 devono avvalersi esclusivamente del personale del CONI.

Il lavoro svolto dalla ricorrente avrebbe avuto natura esclusivamente amministrativa e si sarebbe svolto presso una struttura centrale della FIGC.

A sostegno della propria pretesa ha depositato documentazione dalla quale si potrebbe evincere, a suo dire, la fondatezza della sua domanda.

Si è costituito in giudizio il CONI che ha eccepito preliminarmente il proprio difetto di legittimazione passiva sostenendo che la legge n. 91/81 consentiva l’assunzione di personale con contratto di diritto privato soltanto per lo svolgimento di attività di carattere tecnico e sportivo e presso gli organi periferici, e che comunque detta facoltà è venuta meno per effetto dell’entrata in vigore della L. n. 138/92.

Pertanto qualora vi fosse stata un’assunzione da parte della F.I.G.C. sarebbe stata disposta in violazione di legge e come tale non sarebbe produttiva di effetti nei confronti del CONI.

Nel merito ha chiesto comunque il rigetto del ricorso per infondatezza.

Si è costituita in giudizio la F.I.G.C. che ha eccepito anch’essa il proprio difetto di legittimazione passiva, giacchè la stessa ricorrente avrebbe proposto la propria domanda nei confronti del CONI.

Ha eccepito inoltre l’inammissibilità della domanda poiché la ricorrente non avrebbe provveduto ad impugnare tempestivamente gli atti con i quali è stato instaurato il rapporto convenzionale.

Nel merito ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.

All’udienza pubblica su concorde richiesta delle parti, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO.

Con il presente ricorso la ricorrente ha chiesto l’accertamento del rapporto di pubblico impiego alle dipendenze del CONI per aver prestato servizio negli anni 1987-1999 presso la F.I.G.C., in forza di due contratti di lavoro autonomo, il primo di collaborazione professionale, ed il secondo di collaborazione coordinata e continuativa.

La F.I.G.C. ha eccepito preliminarmente l’inammissibilità dell’impugnazione.

L’eccezione è fondata.

La giurisprudenza ha costantemente ribadito l’inammissibilità del ricorso diretto all’accertamento del rapporto di pubblico impiego, in luogo di un rapporto convenzionale, qualora l’interessato non abbia tempestivamente impugnato gli atti con i quali il rapporto stesso è stato instaurato; dalla mancata tempestiva impugnazione degli atti di instaurazione del rapporto discende l’acquiescenza del prestatore di opera e conseguentemente i rapporti disciplinati come convenzionali restano inoppugnabilmente regolati, per gli aspetti giuridici e patrimoniali, dagli atti con i quali l’Amministrazione ha definito titolo e contenuti del rapporto (Cons. Stato A.P. n. 11/92; Cons. Stato Sez. V n. 1307/96; n. 1265/94; ecc.).

Poiché la ricorrente non ha provveduto ad impugnare tempestivamente gli atti di instaurazione del rapporto, ne consegue che la domanda di riconoscimento del rapporto di impiego pubblico deve essere dichiarata inammissibile.

In ogni caso la pretesa della ricorrente non avrebbe alcun fondamento neppure in punto di diritto, poiché ai sensi dell’art. 5 della L. n. 70/75 l’assunzione del personale dipendente degli enti pubblici (tra i quali rientra il CONI), ha luogo mediante concorso e ogni altra assunzione o conferma in servizio in deroga alle disposizioni della legge, è nulla di diritto in base all’art. 6 comma 3 della L. n. 70/75.

Il principio dell’obbligatorietà dell’assunzione mediante concorso è principio di rango costituzionale desumibile dall’art. 97 Cost. e recepito da tutta la legislazione, e ribadito anche dall’art. 36 del D.Lgs. n. 29/93 e successive modificazioni ed integrazioni.

Pertanto, il dedotto rapporto di impiego, sarebbe in ogni caso nullo, poiché instaurato senza l’osservanza delle norme sulle assunzioni nelle pubbliche amministrazioni ed in violazione della regola del concorso.

Essendo inammissibile la richiesta di accertamento del rapporto di impiego, su detto presupposto non possono fondarsi le pretese patrimoniali avanzate dalla ricorrente.

Secondo la giurisprudenza, comunque, la domanda di accertamento del rapporto di impiego può essere esaminata al solo fine di cui agli artt. 2126 cc. (sull’esecuzione del rapporto di lavoro sorto in base ad un titolo nullo o annullato) e degli artt. 36 e 38 Cost. (sull’intangibilità del diritto alla retribuzione minima e alla copertura assicurativa) per valutare se spettino alla ricorrente il trattamento retributivo complessivo proprio dell’impiegato di pari qualifica al livello iniziale e la regolarizzazione  della connessa posizione previdenziale ed assistenziale, non potendo comportare il riconoscimento l’estensione al rapporto nullo del regime giuridico dell’impiego di ruolo (C.d.S. Sez. V 24/5/96 n. 595).

Si tratta quindi di esaminare, al solo fine dell’applicazione degli artt. 2126 cc. e 36 e 38 Cost., se nella fattispecie ricorrano gli indici rivelatori del rapporto di pubblico impiego alla stregua della documentazione probatoria prodotta in giudizio.

Occorre innanzitutto ricordare che la ricorrente ha svolto la sua attività presso la F.I.G.C. sulla base di due diversi contratti di collaborazione, l’uno relativo al periodo 1/10/87 – 31/1/93,  e l’altro di collaborazione coordinata e continuativa senza vincolo di subordinazione, relativo al periodo successivo 1/2/93 – 19/4/99.

Per quanto concerne il primo periodo, la ricorrente a sostegno della propria pretesa si è limitata a dichiarare di aver svolto la sua attività presso la F.I.G.C. e di aver osservato sempre il medesimo orario di ufficio (senza premurarsi neppure di provarlo), e ha prodotto in giudizio soltanto le fatture con le quali è stata remunerata la sua prestazione, dalle quali, peraltro, non si evince neppure la predeterminazione della retribuzione, che essendo commisurata alla quantità del lavoro svolto varia anche di molto a seconda dei periodi.

Non è stata quindi fornita alcuna prova circa la subordinazione gerarchica, elemento che distingue il lavoro autonomo da quello subordinato.

Per quanto riguarda invece il secondo periodo, quello nel quale il rapporto è stato disciplinato come rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, ha prodotto in giudizio maggiore documentazione (fogli di presenza, richiesta di ferie, certificati di malattia, fatture, ricevute di pagamento, documentazione riguardante l’iscrizione alla Gestione Separata Lavoratori Autonomi istituita presso l’INPS ai sensi dell’art. 2 comma 26 della L. n. 335/95 alla quale sono stati effettuati i versamenti delle quote di rispettiva spettanza).

Neppure detta documentazione può ritenersi idonea a provare l’esistenza della subordinazione, unico elemento che funge da discrimine tra il lavoro autonomo e quello subordinato.

E’ stato infatti costantemente ritenuto dalla giurisprudenza che la presenza degli altri indici rivelatori del rapporto di pubblico impiego - in assenza della prova della subordinazione gerarchica -, non è sufficiente a qualificare il rapporto da autonomo a subordinato.

Nella fattispecie, tra la ricorrente e la Federazione sussisteva un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, che è riconducibile alla figura della cosiddetta parasubordinazione, come già ritenuto da questa Sezione (T.A.R. Lazio Sez. III Ter 11/3/03 n. 1834).

Detto rapporto si differenzia da comune rapporto di lavoro autonomo per alcune particolari caratteristiche che le rendono in qualche misura assimilabile – ma comunque distinto – dal rapporto di lavoro subordinato.

Come ha già correttamente ritenuto questo Tribunale, il semplice inserimento nell’organizzazione aziendale dell’attività lavorativa, non è sufficiente a dimostrare il vincolo di subordinazione, essendo il primo compatibile con la coordinazione, che è un elemento tipico del rapporto di lavoro parasubordinato (Cass. Sez. Lav. 2/5/94 n. 4204).

Altrettanto compatibile con la coordinazione, è la predisposizione di un orario di lavoro, anche a tempo pieno, essendo lo stesso connesso con le esigenze organizzative dell’Amministrazione come pure la corresponsione di una retribuzione pattuita con parametri predeterminati.

Lo stesso deve ritenersi per ciò che concerne le ferie, la cui fruizione deve essere compatibile con le esigenze organizzative del datore di lavoro, e pertanto la richiesta di ferie e l’autorizzazione ad usufruirne, non sono idonee a dimostrare la sussistenza di una dipendenza gerarchica.

Per quanto concerne eventuali direttive, va rilevato che le stesse non sono di per sé decisive per dimostrare la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato, poiché l’ente può imporre prescrizioni dirette ad armonizzare l’attività dei collaboratori con le proprie esigenze organizzative.

Tali prescrizioni quindi, sono dirette a salvaguardare interessi dell’Amministrazione committente e non incidono sulle caratteristiche della prestazione professionale.

Il rapporto di lavoro subordinato presuppone invece l’esistenza della  dipendenza gerarchica del lavoratore rispetto al proprio datore di lavoro; implica l’esercizio di un potere più penetrante che include anche quello disciplinare.

Nella fattispecie non si rinviene negli atti di causa alcuna prova idonea a dimostrare lo svolgimento di un’attività lavorativa diversa da quella indicata nel contratto e qualificata come coordinata e continuativa.

Né la qualità delle mansioni (esecutive), né la durata del rapporto, costituiscono, infatti, sicuri indici dell’esistenza di quel rapporto di dipendenza gerarchica in presenza del quale è possibile qualificare il rapporto da autonomo a subordinato.

Le fatture prodotte in giudizio dimostrano che si trattava di prestazione di lavoro autonomo, e così pure l’iscrizione alla Gestione Separata Lavoratori Autonomi istituita presso l’INPS ai sensi dell’art. 2 comma 26 della L. n. 335/95; lo stesso deve ritenersi per ciò che concerne le ritenute d’acconto e le ricevute; mentre la richiesta di ferie e i fogli presenza non sono, come già rilevato, espressione esclusiva del rapporto di lavoro subordinato, ma ben possono essere compatibili il rapporto in questione (in mancanza di prova diversa), rientrante nell’ambito della parasubordinazione.

In conclusione, quindi, il ricorso con il quale è stato chiesto il riconoscimento del rapporto di impiego deve essere dichiarato inammissibile, mentre possono essere respinte le pretese patrimoniali avanzate dalla ricorrente.

Le spese di lite possono essere tuttavia compensate tra le parti, ricorrendo giusti motivi.

P. Q. M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio- Sezione Terza Ter-

dichiara inammissibile

il ricorso in epigrafe indicato.

            Compensa tra le parti le spese del giudizio.

            Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

            Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’11 dicembre 2003.

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