CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 3716/2006 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 3716/2006

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. (…), proposto dalla FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO - F.I.G.C., rappresentata e difesa dall’Avv. Alberto Angeletti con domicilio eletto in Roma via Giuseppe Pisanelli n. 2;

contro

OMISSIS  non costituitosi;

e nei confronti di

COMITATO OLIMPICO NAZIONALE ITALIANO - C.O.N.I., rappresentato e difeso dall’Avv. Claudio Coccia con domicilio  eletto in Roma via Fagare' n. 15

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio sede di Roma Sez. III n. 3925/1999;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del C.O.N.I.;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 7 marzo 2006 relatore il Consigliere Giancarlo Montedoro. Udito l’avv. Angeletti;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

Con ricorso di primo grado OMISSIS, procuratore sportivo non iscritto ad alcun elenco, ma operante sul libero mercato, impugnava innanzi al Tar del Lazio il regolamento dell’attività di procuratore sportivo approvato dal Consiglio Federale della FIGC in data 8 aprile 1991 ed il successivo regolamento in materia approvato in data 31 luglio 1993, nonché il provvedimento del 22 luglio 1993 di divieto di iscrizione nell’elenco speciale dei procuratori sportivi per la durata di tre anni.

Sosteneva il OMISSIS che i regolamenti impugnati, in quanto disciplinanti attività libero professionali libere, sono in contrasto con i principi costituzionali ( di cui agli artt. 4, 33 e 35 della Cost. ) che garantiscono la libertà della scelta del tipo di lavoro anche autonomo, con l’unico limite del conseguimento delle abilitazioni nelle sole professioni regolamentate dal legislatore mediante un esame di Stato; sostiene altresì che essi violano l’art. 2229 cod. civ. in quanto solo la legge può determinare le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi elenchi.

Inoltre deduceva violazione dell’art. 14 della legge 29 marzo 1991 n. 91, e dell’art. 29 del d.p.r. 28 marzo 1986 n. 157, nonché violazione dei principi generali in materia di potestà statutaria e regolamentare degli enti pubblici.

Secondo il ricorrente in primo grado, tra le materie soggette alla potestà normativa statutaria e regolamentare delle Federazioni sportive , non può essere ricompresa la disciplina di un’attività professionale come quella di procuratore sportivo, svolta da soggetti estranei alla federazione, seppure in favore di soggetti facenti parte dell’ordinamento calcistico.

Ancora: veniva dedotta violazione dell’art. 21 e ss. e degli artt. 7 ed 11 dello Statuto della FIGC, in quanto la potestà di disciplinare in via autoritativa, l’esercizio di un’attività di intermediazione o di assistenza contrattuale tra calciatori e società sportive e tra calciatori e soggetti estranei all’ordinamento calcistico, non rientra fra le attribuzioni del Consiglio Federale.

Si lamentava poi eccesso di potere per contraddittorietà con l’art. 4 del Codice di Giustizia sportiva della FIGC, con riguardo al limite delle qualità personali dei soggetti contattati, previsto da tale norma relativamente alla cessione del calciatore fra società.

Con il quinto motivo, centrale nella controversia in esame, si lamentava violazione degli artt. 1321, 1322, 1350 cod. civ. ed eccesso di potere per illogicità, nonché disparità di trattamento.

Le limitazioni delle libertà in materia di forma del contratto e di scelta del contraente in seno all’ordinamento sportivo valgono, secondo il FITTA’, soltanto nell’ambito amministrativo interno, e non possono estendersi ai rapporti intersoggettivi privati, lo sfruttamento del nome e dell’immagine commerciale del calciatore non avrebbe alcuna rilevanza per l’ordinamento calcistico; sarebbe altresì in contrasto con l’art. 1350 cod. civ. la clausola di conferimento dell’incarico al procuratore per atto scritto conforme alle prescrizioni del modello tipo.

Il sesto motivo deduceva incompetenza e violazione dell’art. 21 dello Statuto federale e dell’art.29 del d.p.r.n. 157 del 1986. Si denuncia con tale doglianza, l’incompetenza del Consiglio Federale a disciplinare l’attività del procuratore sportivo in mancanza di un atto statutario dell’Assemblea attributivo di poteri in materia.

Con il settimo motivo si denuncia eccesso di potere per illogicità, erroneità, sviamento, in quanto le finalità perseguite dai regolamenti impugnati sarebbero già adeguatamente garantite dalle vigenti norme statutarie e regolamentari, e sarebbe quindi non comprensibile l’interesse perseguito dai regolamenti medesimi.

Con l’ottavo ed il decimo motivo, tra loro connessi, si lamenta violazione dell’art. 14 e ss. dello Statuto della FIGC in relazione all’istituzione, con norma regolamentare di un nuovo organo, la commissione dei procuratori sportivi, alterando l’ordine delle competenze previste dallo statuto e violando i principi costituzionali del buon andamento.

Con il nono e l’undicesimo motivo si lamenta l’illegittimità dell’inibizione dell’iscrizione per tre anni.

Con la sentenza impugnata il Tar del Lazio ha accolto in parte il ricorso annullando la disciplina regolamentare nella parte in cui impone l’iscrizione all’elenco dei procuratori sportivi anche per attività relative a relazioni intersoggettive fra calciatori e soggetti – persone fisiche o giuridiche – diversi dalle società sportive, come, ad esempio, soggetti – operanti nell’ordinamento giuridico generale – interessati all’acquisto dei diritti sull’immagine o sul nome del calciatore, confermando per il resto la legittimità delle determinazioni della FIGC.

Secondo il Tar tali rapporti, esulando dall’oggetto della prestazione sportiva, non possono ritenersi disciplinabili dall’organo federale al quale la legge statale attribuisce compiti di tutela del buon andamento dell’ordinamento sportivo.

Appella la FIGC  e si costituisce ad adiuvandum il CONI.

DIRITTO

L’appello è infondato.

Con il primo motivo d’appello la FIGC denuncia la violazione dei principi generali in materia di cessata materia del contendere e difetto di interesse, nonché eccesso di potere per omessa istruttoria, contraddittorietà, errata valutazione dei presupposti, difetto di motivazione.

Sostiene la FIGC di avere eccepito in via preliminare, a fronte del ricorso del OMISSIS, la sopravvenuta cessazione della materia del contendere e, comunque, il sopravvenuto difetto di interesse.

Ciò in relazione all’approvazione, avvenuta in data 12 dicembre 1997 di un nuovo regolamento dell’attività di procuratore sportivo, adottato al fine di adeguarsi a prescrizioni FIFA, che modificava ed abrogava i precedenti regolamenti.

La sopravvenienza di tale nuovo atto regolamentare – secondo la FIGC – priva il ricorrente dell’interesse a proseguire il giudizio, anche in considerazione della mancata presentazione di una domanda di iscrizione al nuovo elenco.

Il Tar ha ritenuto, in relazione all’interesse risarcitorio, comunque sussistente un potere –dovere del giudice di pronunciare sulla domanda.

In tal modo, secondo l’appellante FIGC, sarebbe stata introdotta una sorta di azione di accertamento nell’ambito del processo amministrativo, che è connotato invece da una natura del giudizio di mera legittimità e dalla presenza di un’azione di annullamento.

Se l’atto impugnato viene annullato in via di autotutela o superato da atti successivi viene meno , secondo l’appellante, l’oggetto del processo, ed il ricorso diviene improcedibile.

La sentenza n. 500/1999 nell’affermare il principio di risarcibilità del danno ingiusto per lesione di interessi legittimi ha affermato che, ai suddetti fini, non sussiste la pregiudizialità del giudizio di annullamento innanzi al giudice amministrativo, stante il potere di disapplicazione dell’atto amministrativo da parte del giudice ordinario .

Va osservato che la giurisprudenza di questo Consesso, seguita anche dalla giurisprudenza della Cassazione, ha superato la concezione della assoluta autonomia dell’azione risarcitoria dall’azione di annullamento , affermando , al contrario, che sussiste una pregiudizialità - che va intesa in senso logico e non tecnico per l’impossibilità di affermare in via incidentale, indipendentemente dalle vicende dell’inoppugnabilità dell’atto, l’ingiustizia del danno da provvedimento lesivo dell’interesse legittimo – fra azione di annullamento ed azione risarcitoria ( così CdS Ad. Plen. 26 marzo 2003 n. 4; CdS VI 18 giugno 2002 n. 3338 ; Cass. 27 marzo 2003 n. 4538).

In particolare la Cassazione, nell’ultima pronuncia prima citata, ha affermato che la non conformità di una situazione giuridica al diritto oggettivo (cosiddetta antigiuridicità in senso oggettivo), quale elemento costitutivo della fattispecie attributiva del diritto al risarcimento del danno ai sensi dell’articolo 2043 cod. civ., non può essere accertata in via incidentale e senza efficacia di giudicato; pertanto, ove l’accertamento in via principale sia precluso nel giudizio risarcitorio in quanto l’interessato non sperimenta, o non può sperimentare (a seguito di giudicato, decadenza, transazione, ecc.), i rimedi specifici previsti dalla legge per contestare la conformità a legge della situazione medesima, la domanda risarcitoria deve essere rigettata perché il fatto produttivo del danno non è suscettibile di essere qualificato illecito 

Ha osservato in proposito la Cassazione che, anche se è vero che l’inoppugnabilità dell’atto è nozione solo processuale - in quanto esclude l’annullamento giurisdizionale, senza incidere sulla condizione giuridica dell’atto stesso - è altrettanto certo che, in assenza della rimozione dell’atto, il permanere della produzione degli effetti è conforme alla volontà della legge, e la necessaria coerenza dell’ordinamento impedisce di valutare in termini di danno ingiusto gli effetti medesimi.

Invero, sia nei rapporti paritetici, fuori cioè dell’ambito dell’esercizio del potere pubblico, tra cittadini e pubblica amministrazione, sia in quelli interprivati, molteplici sono le ipotesi in cui è accordato preminente rilievo all’esigenza di certezza, sicché l’interessato ha l’onere di contestare la conformità al diritto di determinate situazioni mediante l’impugnazione di atti o comunque reagendo entro termini di decadenza. Ove non adempia a tale onere, non gli è consentito ottenere con l’azione risarcitoria l’accertamento della non conformità a legge della situazione, accertamento che deve farsi necessariamente in via principale e con efficacia di giudicato, vertendo su uno degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’articolo 2043 cod. civ..

Così, ad esempio, non sarebbe consentito domandare il risarcimento del danno per essere stati assoggettati illegittimamente a sanzione amministrativa mediante ordinanza-ingiunzione non impugnata ai sensi della legge 689/81, o comunque indipendentemente dall’impugnazione, il lavoratore licenziato non può scegliere di optare per il risarcimento del danno, senza impugnare il recesso secondo le prescrizioni della legge 604/66; lo stesso deve dirsi per il caso di mancata impugnativa di delibere condominiali o societarie.

E’ vero che la stessa Sezione, in un isolato precedente, ha ritenuto che sussiste la possibilità, ai sensi dell’art. 35 del decreto legislativo n. 80 del 1998 (come poi modificato) per il giudice amministrativo di accertare i presupposti per il risarcimento del danno, quando il ricorrente – pur avendo proposto il tempestivo e fondato ricorso - non possa ottenere una effettiva soddisfazione con la sentenza di annullamento (perché non è possibile l’emanazione, con effetti ex tunc o ex nunc, di un ulteriore provvedimento satisfattivo, per ragioni che si siano verificate prima o dopo l’annullamento dell’atto lesivo e abbiano reso improcedibile la domanda di annullamento come per l’impossibilità di aggiudicare la gara ad un raggruppamento da cui si siano dissociati alcune imprese partecipanti in ATI: CdS, Sez. VI - sentenza 14 marzo 2005 n. 1047).

Ma tanto è stato affermato dal Collegio in un caso di specie , ove la sopravvenuta carenza di interesse all’annullamento per impossibilità di conseguire il bene della vita causata dallo stesso soggetto ricorrente, costituito in ATI ma non da tutte le imprese associate, non escludeva l’eventualità di qualche  soggetto della stessa ATI non dissociatosi durante la pendenza del giudizio, di potere astrattamente richiedere all’amministrazione, con la domanda avanzata nello stesso processo, i danni ricevuti per effetto del provvedimento illegittimo tempestivamente impugnato e sopportati fino all’atto della dissociazione ( a seguito della quale CdS – Sez. V - sentenza 8 marzo 2006 n. 1228 ritiene venuto meno il nesso causale fra provvedimento illegittimo e danno perché la rinuncia all’espletamento del servizio oggetto di gara da parte della mandataria di ATI costituenda, oltre che rendere improcedibile il ricorso della mandante avverso l’aggiudicazione altrui e di conseguenza impedire di ottenere l’annullamento della gara ed il risarcimento in forma specifica, interrompe, in applicazione dell’art. 41 capoverso c.p., il nesso eziologico tra il fatto illecito dell’Amministrazione -per aver adottato un provvedimento illegittimo di aggiudicazione- e il danno patrimoniale, derivante dalla circostanza di non poter più ottenere l’aggiudicazione in proprio favore. In difetto di un nesso eziologico diretto tra condotta illecita della p.a. ed evento dannoso manca l’accertamento positivo della responsabilità dell’Amministrazione e dunque deve escludersi anche il risarcimento del danno per equivalente).

Va quindi rilevato che il decisum di CdS VI 14 marzo 2005 n. 1047 non può assurgere a massima di portata generale, essendosi limitato il Consiglio in tale sede a derogare – solo apparentemente - alla propria giurisprudenza in tema di pregiudizialità: 1) per ragioni di economia processuale, 2) al fine di evitare all’amministrazione di rinnovare inutilmente la propria attività e 3 ) in virtù del simultaneus processus ormai instauratosi in quella fattispecie su illegittimità dell’atto e risarcimento dei danni.

In altro interessante caso la Sezione ha ritenuto invece che l’intervenuta integrale esecuzione del contratto aggiudicato a seguito di procedura selettiva, non rende inammissibile o improcedibile il ricorso per l’annullamento degli atti di gara, non tanto perché persiste un mero interesse morale all’accertamento della eventuale illegittimità degli stessi, ma soprattutto in quanto l’eventuale statuizione giurisdizionale di annullamento della procedura può assumere rilievo in un successivo giudizio risarcitorio, diretto a ristorare il ricorrente del pregiudizio patito per effetto dell’illegittimità provvedimentale (CdS , Sez. VI – sentenza 18 maggio 2004 n. 3188).

In tale ultimo senso è la giurisprudenza prevalente cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 18 giugno 2002, n. 3338; v. anche Cons. Stato, Sez. V, ord. 6 maggio 2002, n. 2406, secondo cui l’intervenuta esecuzione integrale dell’appalto non rende inammissibile od improcedibile il ricorso per l’annullamento dell’aggiudicazione, ferma restando la proponibilità e la procedibilità dell’azione risarcitoria, dovendosi ritenere che l’esecuzione integrale dell’appalto non rende affatto improcedibile il ricorso proposto contro il provvedimento, perché la decisione sulla dedotta illegittimità dell’atto contestato rappresenta il passaggio obbligato per affermare la responsabilità dell’amministrazione.

Ha aggiunto la Sez. VI che la domanda risarcitoria non è coperta dal giudicato, che copre, oltre che il dedotto, anche il deducibile nei limiti in cui le questioni deducibili costituiscano il presupposto necessario e imprescindibile della pretesa (Cons. Stato, VI, 2 marzo 2004, n. 973), e dunque non copre, in un giudizio impugnatorio, le domande risarcitorie su cui il giudice non si pronunci, ritenendole assorbite.

Ciò ad ulteriore conferma che la pregiudizialità di cui si discorre è logica e non tecnica.

La distinzione, come è noto , si deve ad uno dei maestri della  dottrina processualcivilistica, che evidenziò che pregiudiziale logica si ha per  il nesso che lega il rapporto complesso ed i suoi effetti, mentre pregiudiziale tecnica si riscontra, invece, nel nesso di dipendenza esistente tra rapporti giuridici distinti o fra fattispecie e presupposto esterno ad essa.

Qui l’illegittimità dell’atto è un elemento ( non un presupposto esterno ) della fattispecie di cui all’art. 2043 del cod. civ. e, quindi, deve ritenersi sussista pregiudizialità logica non tecnica (quest’ultima si ha nel caso di due diritti soggettivi distinti, l’uno dipendente dall’altro ovvero nel caso si debba valutare l’esistenza di un presupposto esterno alla fattispecie e non un elemento di essa come è nel caso dello status di erede rispetto all’azione di adempimento del contratto di compravendita stipulato dal defunto ).

La Sezione osserva, in limine, come al giudice amministrativo debba ritenersi inibito di conoscere incidenter tantum della illegittimità dell'azione amministrativa e ciò indipendentemente dallo strumento con cui dovrebbe procedere a tale accertamento. Infatti, il divieto al G.A. di disapplicazione dell'atto amministrativo non normativo lesivo di interessi legittimi null'altro esprime che la preclusione a sindacare la funzione amministrativa sotto il profilo della violazione di legge o dell'eccesso di potere in via meramente incidentale, senza cioè efficacia di giudicato.

Appare evidente, allora, che l’accertamento circa l’illegittimità provvedimentale riveste natura di pregiudiziale logica (e non tecnica) in quanto, costituendo un passaggio necessario della controversia, entra a far parte dell'oggetto del giudicato. Non è immaginabile, dunque, che su di essa si formi un accertamento incidentale.

Ne consegue che:

a) la questione di illegittimità dell'atto amministrativo lesivo di interessi legittimi non può mai essere definita incidentalmente dal G.O. (come invece sostiene Cass. S.U. 500/99), sicché è del tutto estraneo alla medesima l'istituto della disapplicazione di cui all'art. 5 L.A.C. all. E;

b) tale accertamento rientra, per la sua natura principale, nell'alveo dell'art. 4 L.A.C.;

c) l'art. 4 L.A.C. è norma dettata per disciplinare i poteri del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione.

Pertanto, posto che anche l'accertamento del G.A. in sede risarcitoria non può che operare principaliter, lo stesso non può avvenire né ai sensi dell'art. 5 L.A.C. (che regola la cognizione incidentale) né ai sensi dell'art. 4 L.A.C. (che regola la cognizione del G.O.).

Nessuna delle disposizioni cui tradizionalmente si riferisce il potere di disapplicazione dell'atto amministrativo è, dunque, applicabile al G.A. in sede risarcitoria.

Il che impone di ritenere come, qualora egli voglia pronunciarsi sul risarcimento del danno da attività illegittima della P.A., non possa prescindere dal previo accertamento dell'illegittimità dell'atto amministrativo nel contesto dell'unico strumento di cui disponga: la cognizione diretta prevista dal processo di annullamento.

Da tutto quanto esposto deriva l’attualità e la permanenza dell’interesse a ricorrere del OMISSIS nonostante la sopravvenienza del regolamento del 1997.

Sotto altro profilo la FIGC ha dedotto che , per la ritenuta legittimità dell’atto applicativo impugnato fosse venuto meno in radice l’interesse alla pronuncia sugli atti generali di natura regolamentare.

La FIGC osserva inoltre che, in base al secondo regolamento impugnato non fu adottato alcun atto applicativo e che il ricorrente non ha mai presentato domanda di iscrizione all’elenco dei procuratori sportivi.

La prospettazione del ricorrente attiene, tuttavia, proprio alla illegittimità di norme limitative di un’attività assunta ( in tesi ) libera e non soggetta ad iscrizione, pertanto nessuna incidenza sull’ammissibilità e/o la procedibilità dell’azione possono avere circostanze come la mancata presentazione di una domanda di iscrizione all’elenco speciale ( di cui si contesta in radice la legittimità ) ovvero la ritenuta legittimità di un divieto di iscrizione allo stesso elenco per esercitarvi attività ritenute proprie dell’ordinamento sportivo, del diritto speciale, non dell’ordinamento giuridico generale.

Né l’avvenuto accertamento della legittimità dell’inibizione dell’iscrizione all’elenco preclude qualsiasi azione risarcitoria, potendo tale azione essere proposta , astrattamente, anche in conseguenza delle illegittime limitazioni ( e conseguenti sviamenti  di clientela ) sopportate per effetto dell’adozione del regolamento che qualificava come riservate attività invece da ritenersi libere.

Ne consegue, anche sotto questo profilo, la procedibilità dell’azione.

Con il secondo motivo del ricorso in appello viene dedotta l’inammissibilità del ricorso di primo grado per omessa notifica dello stesso ad almeno uno dei 600 procuratori sportivi iscritti negli elenchi disciplinati dai regolamenti, individuati dalla FIGC come controinteressati al ricorso.

La nozione di controinteressato in senso tecnico, ai sensi dell’art. 21, L. 6 dicembre 1971, n. 1034, esige la simultanea presenza di due elementi parimenti essenziali: a) quello formale, scaturente dalla esplicita contemplazione del soggetto nel provvedimento impugnato, ovvero della sua immediata individuabilità; b) quello sostanziale, discendente dal riconoscimento, in capo al controinteressato, di un interesse al mantenimento della situazione esistente, che è proprio di coloro che sono coinvolti da un provvedimento amministrativo ed abbiano acquisito, in relazione a detto provvedimento, una posizione giuridica qualificata alla sua conservazione.

Orbene, nei regolamenti e negli atti generali, pure essendo individuabili controinteressati in senso sostanziale non vi sono controinteressati in senso formale, sicché è ius recputum che i  ricorsi che impugnano tali atti non debbano essere notificati ai soggetti meramente interessati alla conservazione dell’atto generale o del regolamento.

Nel caso di specie, ciò che manca è proprio tale elemento formale costituito dall'esplicita contemplazione del soggetto nel provvedimento impugnato, ovvero nella sua immediata individuabilità (Cons. Stato, Sez. IV, 11 luglio 2001 n. 3895). E', infatti, proprio la natura generale delle disposizioni contenute nei provvedimenti impugnati ad escludere tale elemento poiché è vero che il regolamento disciplinava gli elenchi, ma la costituzione e la cognizione di tali elenchi e dei soggetti ivi iscritti, essendo attività successiva di mera esecuzione del regolamento, non può assurgere ad elemento condizionante l’ammissibilità del ricorso.

Da ciò deriva il rigetto di tale doglianza.

Nel merito del ricorso  il Collegio condivide le argomentazioni del giudice di prime cure che ha ritenuto illegittimo lo sconfinamento del regolamento su terreno non di competenza dell’ordinamento interno sportivo, ossia in attività di assistenza contrattuale destinate ad incidere nelle relazioni intersoggettive fra calciatori e soggetti diversi dalle società sportive .

Ciò è stato rilevato  in sostanziale accoglimento del quinto motivo del ricorso originario, con motivazione logica e che il Collegio non ritiene censurabile.

Se è vero che terzi non tesserati possono essere destinatari di norme provenienti da particolari enti a base associativa, ma pur sempre dotati di carattere pubblicistico e quindi di poteri autoritativi, ciò non significa che l’interesse pubblico che l’autonomia dell’ordinamento sportivo vuole perseguire (il miglioramento fisico e morale degli atleti , il buon andamento delle organizzazioni sportive ) possa legittimare un intervento normativo su relazioni non strettamente inerenti o accessorie alla prestazione sportiva, quali la cessione dei diritti commerciali dell’immagine e del nome dei calciatori.

In tali ambiti riprende vigore la libertà contrattuale e di mercato, l’autonomia privata di carattere generale, che non può essere limitata sulla base di considerazioni generiche di attinenza della disciplina agli interessi fondamentali che la tutela autonomostica dello sport vuole perseguire.

Ne deriva il rigetto dell’appello.

Nulla per le spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, Sezione Sesta, respinge l’appello in epigrafe indicato.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2006 dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Claudio VARRONE                          Presidente

Sabino LUCE                                    Consigliere

Giuseppe ROMEO                            Consigliere

Lanfranco BALUCANI            Consigliere

Giancarlo MONTEDORO                Consigliere Est.

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