CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 4430/2018 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 4430/2018
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale (…), proposto da: OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avvocato Vincenzo Sarcone, domiciliato ex art. 25 Cod. proc. amm. presso la Segreteria Sezionale del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
contro
Federazione Italiana Giuoco Calcio, F.I.G.C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli, elettivamente domiciliati presso il loro studio in Roma, via Panama, 58; AIA – Associazione Italiana Arbitri, non costituita in giudizio.
per la riforma della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZ. I TER, n. 477/2017, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio ed il ricorso incidentale proposto dalla F.I.G.C. - Federazione Italiana Giuoco Calcio;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 luglio 2018 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e uditi per le parti gli avvocati Alessandro Tozzi, su delega dell'avv. Sarcone, e Letizia Mazzarelli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.Con la sentenza impugnata il Tribunale amministrativo per il Lazio, sezione I-ter, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal signor OMISSIS nei confronti della F.I.G.C. – Federazione Italiana Giuoco Calcio e dell’AIA- Associazione Italiana Arbitri, per l’annullamento dell’atto prot. n. 757/MN/CN/en assunto con lettera datata 21 aprile 2016, con il quale il Presidente dell’AIA aveva rigettato la richiesta di reintegro nell’Associazione, avanzata, con lettera raccomandata dell’8 febbraio 2016, dal ricorrente, già arbitro effettivo di calcio, dimissionario a far data dal 18 marzo 2013. La stessa sentenza, preliminarmente ha dato atto -quanto alla contestuale impugnazione da parte del OMISSIS del rigetto della richiesta di accesso alla documentazione afferente l’assunzione del provvedimento di diniego della riammissione- che la pretesa del ricorrente “risulta soddisfatta a seguito dell’intervenuto deposito, da parte della resistente, del parere del Presidente della sezione AIA di Bolzano posto a fondamento dell’impugnato diniego”.
1.1. In merito al provvedimento di rigetto dell’istanza di riammissione all’Associazione, la sentenza ha ritenuto il mancato rispetto del vincolo della c.d. pregiudiziale sportiva, che avrebbe richiesto il previo esperimento di tutti i rimedi offerti dall’ordinamento sportivo dinanzi ai propri organi di giustizia, salvo poi eventualmente adire il giudice amministrativo.
Richiamato l’art. 1 d.-l. 19 agosto 2003, n. 220, convertito dalla legge 17 ottobre 2003, n. 280, la sentenza di primo grado ha concluso per l’inammissibilità della diretta impugnazione in sede giurisdizionale di atti relativi all’ordinamento sportivo, senza aver osservato il vincolo di cui all’art. 3, come accaduto nel caso in esame, in cui il ricorrente ha omesso di investire previamente gli organi della giustizia sportiva della questione concernente la legittimità del diniego opposto dal Presidente dell’AIA, sulla base del parere espresso dal Presidente della sezione AIA di Bolzano.
1.2. La medesima conclusione è stata raggiunta anche riguardo alla domanda risarcitoria, richiamando “l’orientamento dominante della giurisprudenza in materia” (espresso dal precedente di cui a Cons. Stato, VI, 31 maggio 2013, n. 3200, citato nella motivazione).
2. Per ottenere la riforma della sentenza il signor OMISSIS ha avanzato appello con due motivi.
Ha resistito al gravame la F.I.G.C. – Federazione Italiana Giuoco Calcio, che ha proposto anche un’autonoma censura, qualificata come “appello incidentale”, illustrata con memoria.
L’appellante OMISSIS, a sua volta, ha depositato memoria e la Federazione appellata ha depositato memoria di replica.
Alla pubblica udienza del 5 luglio 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.
3. Preliminarmente, va constatato che la censura posta a base dell’atto qualificato dalla F.I.G.C. come “appello incidentale” (rubricata “Sulla omessa pronuncia sulla eccezione di difetto di giurisdizione e sui relativi riflessi quanto all’ammissibilità dell’appello”) è volta a sostenere l’inammissibilità dell’appello principale.
La Federazione, pur prendendo le mosse dalla denuncia dell’omessa pronuncia del primo giudice sull’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata in primo grado, non la ripropone espressamente, ma al solo fine di illustrarne i “riflessi quanto all’ammissibilità dell’appello”.
3.1. Riguardo a questi ultimi, sostiene che, essendo l’Associazione Italiana Arbitri dotata di una propria autonoma soggettività, pur all’interno della Federazione Italiana Giuoco Calcio, si tratterebbe di un ente, esponenziale della componente arbitrale, di natura privatistica. Nel presente giudizio la conseguenza sarebbe, oltre al fatto che la sorte del legame associativo esulerebbe dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, che l’AIA sarebbe titolare di “una legittimazione insuscettibile di condivisione”, in modo da essere l’unica parte necessaria. Essendosi costituita in primo grado, per resistere al ricorso in proprio, avrebbe dovuto essere destinataria della notificazione dell’atto di appello presso il domicilio eletto dal suo difensore, e non presso la sede legale dove è stato notificato il ricorso del OMISSIS.
Secondo la F.I.G.C., pertanto, l’appello sarebbe inammissibile per irritualità della sua notifica, che non si potrebbe ritenere sanata dalla costituzione nel giudizio di appello della Federazione, ente dotato di distinta soggettività giuridica.
4. L’eccezione di inammissibilità dell’appello va disattesa.
Effettivamente l’Associazione Italiana Arbitri è una figura giuridica autonoma, in cui sono organizzati gli ufficiali di gara, la quale, pur operando “sotto il controllo preventivo e consuntivo della FIGC, nel rispetto della compatibilità di bilancio e dei regolamenti federali” (art. 32, comma 2, dello statuto della F.I.G.C., di cui al decreto del 30 luglio 2014, approvato con deliberazione del presidente del C.O.N.I. n.112/52 del 31 luglio 2014) e pur non essendo dotata di personalità giuridica, non è mero organo interno della Federazione.
L’autonomia “operativa e amministrativa” (secondo il citato art. 32 dello statuto FIGC) od “operativa ed organizzativa” (secondo l’art. 1, comma 3, Regolamento dell’AIA), oltre che normativa nell’adozione dei relativi regolamenti (di cui all’art. 2 del citato Regolamento) e l’autonoma gestione delle risorse finanziarie (di cui all’art. 1, comma 3, del Regolamento già citato), ed ancora la struttura e l’organizzazione interna (articolata nei diversi organi, associativi, tecnici, disciplinari, amministrativi e consultivi, centrali e periferici, di cui all’art. 6 e seguenti del Regolamento) ne palesano una distinta soggettività.
Questa si riflette in una propria capacità processuale, di associazione non riconosciuta che, ai sensi dell’art. 75, ultimo comma, Cod. proc. civ. e 39 Cod. proc. amm., sta in giudizio per mezzo del suo presidente nazionale, organo direttivo avente rappresentanza nei confronti dei terzi ai sensi dell’art. 8, comma 3, del citato Regolamento.
4.1. Detto ciò, la conseguenza non è tuttavia l’inammissibilità dell’appello sostenuta dalla FIGC. Come riconosce quest’ultima (sottolineando come nella decisione gravata si sia fatto ripetuto impiego dell’endiadi “FIGC-Associazione Italiana Arbitri”, ad indicare una sorta di rapporto di immedesimazione organica), la sentenza di primo grado, a seguito della notificazione dell’atto introduttivo sia alla F.I.G.C. che all’AIA, ha ritenuto la legittimazione processuale di entrambi i soggetti, argomentando in termini tali da non distinguere, in ambito processuale, la posizione della Federazione da quella dell’Associazione.
Si è venuto così a determinare un litisconsorzio necessario processuale (cfr., da ultimo, Cass., II, ord., 9 maggio 2018, n. 11156), in forza del quale l’una e l’altra sono legittimi contraddittori del giudizio di appello, ai sensi dell’art. 95 Cod. proc. amm..
A seguito del difetto di notificazione del ricorso in appello, poiché effettuata dall’appellante, in violazione dell’art. 93, comma 1, Cod. proc. amm., presso la sede legale dell’Associazione (che non è costituita in giudizio), il contraddittorio andrebbe perciò integrato, ordinando appunto la regolarizzazione della notificazione presso il domicilio eletto in primo grado.
La manifesta infondatezza del gravame, di cui appresso, consente tuttavia di prescindere dall’ordine di integrazione del contraddittorio, ai sensi dell’art. 95, comma 5, Cod. proc. amm.
4.2. La F.I.G.C. non ha dedotto il difetto di giurisdizione con “specifico motivo”, così come richiesto dall’art. 9 Cod. proc. amm., in quanto la denuncia di “omessa pronuncia sulla eccezione di difetto di giurisdizione” è funzionale all’accoglimento dell’eccezione di inammissibilità dell’appello, piuttosto che ad una pronuncia, appunto, di difetto di giurisdizione.
Peraltro, a prescindere dalla possibilità di configurare un giudicato interno sulla giurisdizione (allo stato preclusa dalla mancata partecipazione al giudizio di appello dell’Associazione Italiana Arbitri), quanto si dirà a proposito dell’appello principale conferma l’appartenenza della controversia alla giurisdizione amministrativa esclusiva.
5. Con l’unico motivo (Error in procedendo, error in judicando, difetto di motivazione, travisamento assoluto dei fatti e dei relativi presupposti, abnormità. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1,2, 3 della Legge 17 ottobre 2003, n. 280 (conversione in legge con modificazioni, del decreto legge 19 agosto 2003, n. 220, recante disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva) l’appellante OMISSIS sostiene che: la c.d. pregiudiziale sportiva varrebbe esclusivamente per gli associati, gli affiliati e comunque tra gli stessi appartenenti all’Associazione Italiana Arbitri ovvero tra tesserati di altre associazioni direttamente/indirettamente collegate alla FIGC/CONI; l’appellante, invece, in qualità di ex associato e quindi di “mero cittadino della Repubblica Italiana”, scevro da qualunque vincolo associativo, ha chiesto di poter ri-entrare a far parte dell’Associazione Italiana Arbitri; egli, in particolare, non è più associato perché ha formalmente rassegnato le proprie dimissioni dall’AIA dall’anno 2013, così cessando ogni rapporto con la predetta associazione sportiva. Deduce, pertanto, che il rispetto dell’ordinamento sportivo andrebbe imposto, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 280 del 2003, ad alcune categorie di soggetti tassativamente indicati da questa disposizione, ovvero «società, associazioni, affiliati e tesserati», che sarebbero i soli onerati a dover adire preventivamente, secondo le previsioni degli statuti e dei regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui agli articoli 15 e 16 del d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242, gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo, mentre la situazione vantata dall’odierno appellante è una situazione giuridica soggettiva, connessa con lo svolgimento dell’attività sportiva, non limitata all’applicazione di regole sportive, che avrebbe rilevanza per l’ordinamento generale, in quanto concernente la violazione di un diritto soggettivo, costituzionalmente garantito.
5.1. Il motivo è infondato.
Non è pertinente il richiamo che l’appellante fa all’art. 2 d.-l. n. 220 del 2003, convertito con modificazioni dalla legge n. 280 del 2003, laddove al comma 2 prevede che “le società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati hanno l’onere di adire […] gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo”. La norma, per come si desume dall’inciso iniziale, è riferita alle materie, di cui al comma 1, per le quali esiste la riserva assoluta in favore dell’ordinamento sportivo.
Non rientrano tra le materie riservate alla giustizia sportiva -né la questione è controversa nel presente giudizio- l’ammissione e l’affiliazione alle federazioni di società, di associazioni sportive e di singoli tesserati, in quanto, come è noto, l’originaria lettera c) dell’art. 2 del decreto-legge, che prevedeva come riservata anche tale materia, è stata soppressa in sede di conversione.
5.3. La domanda oggetto del provvedimento impugnato dal ricorrente OMISSIS va qualificata come domanda di (ri)-ammissione ad un’associazione dell’ordinamento sportivo, essendo tale anche l’Associazione Italiana Arbitri.
Siffatta domanda, estranea alla riserva di giustizia sportiva, rientra nella giurisdizione amministrativa, poiché, come si dirà, non solo presuppone l’adozione di provvedimenti con cui l’Associazione Italiana Arbitri e la Federazione Italiana Giuoco Calcio esercitano poteri di carattere pubblicistico (cfr. già prima dell’entrata in vigore della legge n. 280 del 2003, Cass. S.U., 9 maggio 1986, n. 3092), ma è pienamente inquadrabile nella previsione di giurisdizione esclusiva di cui all’art. 3 della legge n. 280 del 2003.
Si tratta infatti di controversia che, non riguardando rapporti patrimoniali la cui cognizione è riservata al giudice ordinario, ha ad oggetto appunto atti adottati nel contesto dell’ordinamento sportivo, in armonia con quanto previsto dalle deliberazioni e dagli indirizzi del C.O.N.I. (cfr. Cons. Stato, VI, 25 novembre 2008, n. 5782), nel rispetto di regolamenti adottati direttamente dalla Federazione o comunque soggetti all’approvazione della Federazione onde assicurarne “la conformità alla legge (ed) alle disposizioni del C.O.N.I. e della stessa Federazione” (art. 32, comma 3, dello statuto della F.I.G.C.).
5.4. Tale conclusione s’impone per gli atti dell’Associazione Italiana Arbitri, contrariamente a quanto sostengono, sia pure da contrapposti angoli visuali, non solo l’appellante (al fine di sottrarre la controversia alla c.d. pregiudiziale sportiva di cui al primo inciso del menzionato art. 3 della legge n. 280 del 2003), ma anche l’appellata F.I.G.C. (al fine di sostenere la giurisdizione ordinaria, in base alla qualificazione dell’AIA come associazione di “indole esclusivamente privatistica”: qualificazione, tuttavia, irrilevante ai fini in discorso, essendo tale anche la stessa F.I.G.C., come tutte le Federazioni sportive nazionali, ai sensi dell’art. 15 d.lgs. 23 luglio 1999, n.242 e succ. mod.).
In realtà, in riferimento al menzionato art. 3, rileva che l’AIA sia associazione collocata all’interno della Federazione Italiana Giuoco Calcio (cfr. art. 1 del relativo Regolamento), la quale, pur con l’autonomia di cui si è detto sopra, opera “sotto il controllo preventivo e consuntivo della F.I.G.C. nel rispetto delle compatibilità di bilancio e dei regolamenti federali”, provvedendo a reclutamento, formazione, inquadramento e impiego degli ufficiali di gara (art. 32 dello Statuto della F.I.G.C.); questi ultimi, a loro volta, sono soggetti appartenenti a pieno titolo all’ordinamento federale (art. 1 dello statuto della F.I.G.C.) ed assoggettati alla potestà disciplinare degli organi della giustizia sportiva della F.I.G.C., nonché alla giurisdizione domestica disciplinata dal regolamento AIA (art. 32, comma 7, dello statuto della F.I.G.C.).
5.5. Di conseguenza, gli atti dell’AIA, concernenti il reclutamento e l’inquadramento degli ufficiali di gara, in quanto riconducibili alla F.I.G.C., rientrano nella previsione di cui all’art. 3 della legge n. 280 del 2003.
6. La norma presuppone, come statuito dal primo giudice, l’esaurimento dei gradi della giustizia sportiva prima dell’azione dinanzi al giudice amministrativo.
Quindi, il ricorrente, prima di impugnare il provvedimento di diniego di (ri)-ammissione nei ranghi dell’Associazione Italiana Arbitri avrebbe dovuto esperire tutti i rimedi dell’ordinamento sportivo.
6.1. Privo di pregio è l’argomento su cui si fonda il primo motivo di appello, secondo cui si dovrebbe ritenere non operante il vincolo della c.d. pregiudiziale sportiva nei confronti di soggetti che, come l’appellante, non siano (ancora o non siano più) tesserati.
Escluso, per quanto sopra, che rilevi la previsione dell’art. 2, comma 2, l. n. 280 del 2003 (nella quale peraltro la limitazione ai “tesserati” si spiega anche in ragione delle materie di cui al comma 1, che presuppongono tale qualità), la giurisdizione esclusiva di cui al successivo art. 3, così come il vincolo del pregiudiziale esperimento di tutti i gradi della giustizia sportiva, attengono alla tipologia degli atti in contestazione, ivi considerati in quanto inseriti nel contesto dell’ordinamento sportivo e su questo fondati.
6.2. La res litigiosa, nel caso di specie, presuppone lo status di ex associato AIA dimissionario, avendo a suo fondamento l’istanza di riammissione nei ranghi degli associazione ed il ripristino dello status di arbitro effettivo; la fattispecie è espressamente disciplinata dall’art. 8, comma 5, lett. p) del regolamento AIA (secondo cui il Presidente nazionale “[…] su richiesta scritta e motivata dell’interessato, può provvedere, valutata la meritevolezza sulla base del precedente legame e sentito il preventivo parere scritto del Presidente Sezionale, alla riammissione nell’AIA di ex associati dimissionari o che abbiano perso la qualifica per ipotesi diverse dal non rinnovo tessera e dal ritiro tessera disciplinare, disponendone il nuovo inquadramento con ricongiungimento della precedente anzianità associativa. Il provvedimento di riammissione non può essere pronunciato se sono trascorsi 10 anni dall’accoglimento delle dimissioni o dalla perdita della qualifica di arbitro”); va perciò fatta applicazione della disciplina di settore, che indubbiamente riguarda un vincolo associativo, come notano entrambe le parti, ma che comunque è finalizzato all’esercizio in comune dell’attività sportiva, perciò regolato dall’ordinamento sportivo (arg. a contrario da Cass. S.U., 23 aprile 2008, n. 10465 e Cass., sez. lav., 12 maggio 2009, n. 10867).
Si tratta, in conclusione, di controversia che, essendo riconducibile a quelle disciplinate dall’art. 3 della legge n. 280 del 2003, avrebbe richiesto il preventivo assolvimento della c.d. pregiudiziale sportiva (cfr. Cons. Stato, VI, 25 novembre 2008, n. 5782, secondo la quale “è ormai pacifico che siano riservate alla giurisdizione amministrativa le questioni concernenti l’ammissione e l’affiliazione alle federazioni di società, associazioni sportive e di singoli tesserati, trattandosi di provvedimenti di natura amministrativa in cui le Federazioni esercitano poteri di carattere pubblicistico in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del C.O.N.I.”), anche ai fini della proposizione in giudizio della domanda risarcitoria (cfr. Cons. Stato, V, 31 maggio 2013, n. 3002, citata in sentenza).
Il primo motivo di appello perciò va respinto.
7. Col secondo motivo (Erroneità del Giudizio di primo grado con riferimento alla impugnazione del rigetto dell’istanza di accesso agli atti amministrativi), l’appellante torna ad argomentare in merito all’asserito suo diritto a conoscere gli atti del procedimento a seguito del quale l’AIA è pervenuta all’adozione del provvedimento di diniego.
7.1. Il motivo è inammissibile.
La doglianza viene illustrata censurando l’operato dell’Associazione per aver negato l’accesso ai documenti e per aver negato la riammissione dell’ex associato con un provvedimento che si assume privo di motivazione ed non integrabile ex post mediante la produzione della documentazione e degli scritti difensivi nel corso del giudizio di primo grado.
7.2. Le deduzioni dell’appellante non tengono in conto le ragioni della decisione che, in merito alla domanda di accesso agli atti, si è limitata a dare atto dell’intervenuto deposito del parere del Presidente della sezione AIA di Bolzano posto a fondamento dell’impugnato diniego, reputando con ciò soddisfatta la pretesa del ricorrente. Come rilevato dalla difesa della F.I.G.C., è divenuta irrilevante ai fini del decidere la disputa sull’assoggettabilità dell’AIA alla disciplina legislativa in tema di accesso, essendo sopravvenuto il difetto di interesse all’azione esperita dal ricorrente ai sensi dell’art. 116 Cod. proc. amm..
7.3. In ossequio all’onere di specificità dei motivi appello, di cui all’art. 101 Cod. proc. amm., l’appellante avrebbe dovuto proporre “specifiche censure” avverso tale ultima statuizione, non certo riproporre le deduzioni difensive del primo grado, come se la sentenza fosse tamquam non esset.
Peraltro, le deduzioni svolte dall’appellante attengono più al merito della ritenuta illegittimità del provvedimento di diniego alla riammissione nell’Associazione, per difetto di motivazione, che all’illegittimità dell’originario diniego di acceso agli atti, venuto meno in corso di causa.
Il secondo motivo di appello è perciò inammissibile.
8. In conclusione, l’appello va respinto.
Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese del grado, che liquida in favore dell’appellata, nella somma complessiva di € 3.000,00, oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 luglio 2018 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Raffaele Prosperi, Consigliere
Valerio Perotti, Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere, Estensore