CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 3705/2020 Pubblicato il 10/06/2020 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 3705/2020

Pubblicato il 10/06/2020

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale (…), proposto da OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avvocato Stefano Mattii, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero delle Politiche Agricole Alimentari Forestali e del Turismo, in persona del Ministro pro tempore, non costituito in giudizio;

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato - Sez. III n. 01223/2019, resa tra le parti.

Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2020 il Cons. Giovanni Tulumello, e trattenuta la causa in decisione ai sensi dell’art. 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito dalla legge 24 aprile 2020, n. 27;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con sentenza n. 4844/2018 il T.A.R. Lazio, sede di Roma, ha respinto il ricorso proposto dal sig. OMISSIS contro la decisione della Commissione di disciplina di appello del MIPAAF settore ippica n. 1879/a-t dep. Il 15 febbraio 2018, di reiezione dell’appello contro la condanna del predetto da parte della commissione di prima istanza n. 81/17 a mesi due di sospensione come allenatore con multa, per positività a sostanza proibita del prelievo su cavallo da lui allenato.

Con sentenza n. 1223/2019, questa Sezione ha respinto l’appello proposto avverso la citata sentenza di primo grado.

Con ricorso per revocazione notificato il 20 settembre 2019 e depositato il successivo 20 ottobre, il sig. OMISSIS ha impugnato la citata sentenza emessa in grado d’appello.

Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’udienza del 28 maggio 2020.

2. Deduce il ricorrente che il giudice d’appello avrebbe commesso un errore di fatto revocatorio nella “percezione” del primo motivo di appello: che a suo dire sarebbe stato fondato sulla violazione o comunque sull’erronea applicazione da parte del primo giudice dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, e non sulla violazione dell’art. 10 del Regolamento di procedura disciplinare.

3. Osserva preliminarmente il Collegio che, come recentemente ricordato anche da questa Sezione (sentenza n. 7938/2019); “La giurisprudenza amministrativa ha da tempo perimetrato i presupposti che identificano l'errore di fatto "revocatorio", distinguendolo dall'errore di diritto che, come tale, non dà luogo ad esito positivo della fase rescindente del giudizio di revocazione, evidenziando, in apice, che l'istituto della revocazione è rimedio eccezionale, che non può convertirsi in un terzo grado di giudizio. Orbene, l'orientamento costante di questo Consiglio è nel senso che "Nel processo amministrativo il rimedio della revocazione ha natura straordinaria e l'errore di fatto - idoneo a fondare la domanda di revocazione, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 106 del c.p.a. e 395 n. 4 del c.p.c. - deve rispondere a tre requisiti:

a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l'organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentale escluso, ovvero inesistente un fatto documentale provato;

b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;

c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l'erronea presupposizione e la pronuncia stessa.

Inoltre, l'errore deve apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche; esso è configurabile nell'attività preliminare del giudice, relativa alla lettura ed alla percezione degli atti acquisiti al processo quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, ma non coinvolge la successiva attività d'interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del convincimento; in sostanza l'errore di fatto, eccezionalmente idoneo a fondare una domanda di revocazione, è configurabile solo riguardo all'attività ricognitiva di lettura e di percezione degli atti acquisiti al processo, quanto a loro esistenza e a loro significato letterale, per modo che del fatto vi siano due divergenti rappresentazioni, quella emergente dalla sentenza e quella emergente dagli atti e dai documenti processuali; ma non coinvolge la successiva attività di ragionamento e apprezzamento, cioè di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento del giudice; si versa pertanto nell'errore di fatto di cui all'art. 395 n. 4, c.p.c. allorché il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronunzia o abbia esteso la decisione a domande o ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo; se ne esula allorché si contesti l'erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o di un esame critico della documentazione acquisita" (cfr. da ultimo Consiglio di Stato, sez. IV, 14/06/2018, n. 3671; Consiglio di Stato, sez. IV, 22 gennaio 2018 n. 406; Id., sez. V, 25 ottobre 2017, n. 4928; Id., sez. V, 6 aprile 2017, n. 1610; Id., sez. V, 12 gennaio 2017 n. 56). Peraltro, affinché possa ritenersi sussistente l'errore di fatto revocatorio nell'attività preliminare del giudice relativa alla lettura ed alla percezione degli atti, è necessario che "nella pronuncia impugnata si affermi espressamente che una certa domanda o eccezione o vizio - motivo non sia stato proposto o al contrario sia stato proposto" (Cons. Stato, V, 4 gennaio 2017, n. 8); inoltre, ricorre l'errore revocatorio in ipotesi di mancata pronuncia su di una censura sollevata dal ricorrente "purché risulti evidente dalla lettura della sentenza che in nessun modo il giudice ha preso in esame la censura medesima; si deve trattare, in altri termini, di una totale mancanza di esame o di valutazione del motivo e non di un difetto di motivazione della decisione, non censurabile in sede di revocazione" (Cons. Stato, VI, 22 agosto 2017, n. 4055); sempre in termini, Cons. Stato, V, 12 maggio 2017, -OMISSIS-, secondo cui "L'errore revocatorio è [...] configurabile in ipotesi di omessa pronuncia su una censura sollevata dal ricorrente purché risulti evidente dalla lettura della sentenza che in nessun modo il giudice ha preso in esame la censura medesima; si deve trattare, in altri termini, di una totale mancanza di esame e/o valutazione del motivo e non di un difetto di motivazione della decisione (cfr., Cons. Stato, Sez. V, 5/4/2016, n. 1331; 22/1/2015, n. 264; Sez. IV, 1/9/2015, n. 4099)" ed ancora "si può affermare che, laddove una sentenza menzioni nella parte descrittiva in fatto un motivo di doglianza, pur se ometta di pronunciarsi espressamente su di esso nella parte motiva, ciò non configura un vizio di omessa pronuncia, dovendosi considerare la pronuncia sul punto implicita nella statuizione complessiva della sentenza" (Cons. Stato, V, 19 ottobre 2017, n. 4842)”.

4. L’applicazione al caso di specie dei superiori princìpi presuppone una ricognizione, in punto di fatto, dei passaggi argomentativi oggetto di censura.

5. La sentenza di primo grado così aveva motivato il rigetto della relativa censura: “Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto va respinto. L’amministrazione, per tramite dell’avvocatura dello Stato, ha depositato una nota, datata 17 marzo 2017, proveniente dal laboratorio inglese dove sono state effettuate le seconde analisi, nella quale si dà atto che il campione di urina del cavallo in esame (contrassegnato dalla sigla assegnata), era giunto con i sigilli di sicurezza intatti, al laboratorio e che su tale campiono sono state effettuate le seconde analisi (cfr. all. 2 della produzione dell’avvocatura dello Stato). Ritiene il Collegio che tale nota, la cui provenienza e attendibilità non è stata adeguatamente contestata, dimostri che il campione di urina, giunto al laboratorio inglese sigillato, sia stato aperto al fine di procedere alle seconde analisi, pur in mancanza di apposito verbale di apertura. E’ chiaro infatti che la funzione del verbale di apertura di cui all’art. 10 del regolamento, invocato da parte ricorrente, è funzionale a dare prova del fatto che il campione di urina sia giunto al laboratorio integro e sigillato. Tale prova, dunque, può dirsi raggiunta anche con la nota del 17 marzo 2017 sopra menzionata”.

6. La sentenza impugnata nel presente giudizio ha respinto il relativo motivo di censura con la seguente motivazione: “Osserva il Collegio che oggetto del presente giudizio è l’interpretazione del comma 11 dell’art. 10 del Regolamento di controllo delle sostanze proibite, che prescrive che il laboratorio che ha eseguito le seconde analisi ne invii l’esito unitamente al verbale di apertura del campione. La l. 14 dicembre 2000 n. 376 sulla lotta contro il doping richiede che il controllo antidoping sia svolto presso uno o più laboratori accreditati dal CIO o da altro organismo internazionale, sicché la legge richiede che i laboratori presentino specifiche garanzie. Tali garanzie risultano rispettate nel caso che occupa, in ragione della presenza di ben due certificati, l’uno relativo al prelievo campione inviato per la seconda analisi (che attesta, dunque, la provenienza dello stesso), l’altro concernente l’integrità del campione e del sigillo al momento dell’arrivo in laboratorio. Ne discende che tale certificazione, assolve (al di là di un’interpretazione strettamente formalistica, che mal si attaglia alla situazione di specie, in ragione anche del fatto che si tratta di laboratorio straniero) alla funzione che costituisce la ratio della previsione di cui al menzionato art. 10. Né sono svolte censure nei confronti della idoneità del laboratorio prescelto, peraltro, non avendo inteso l’istante partecipare all’operazione, pur essendo consentito”.

7. Date le superiori premesse, ritiene il collegio che il ricorso sia inammissibile e infondato per un duplice ordine di ragioni:

a) non viene dedotto un errore di fatto revocatorio, ma un (preteso) errore di valutazione giuridica;

b) in ogni caso, la sentenza di appello ha correttamente sindacato il relativo capo della sentenza di primo grado, alla luce del motivo di censura dedotto.

8. In relazione a questo secondo profilo deve osservarsi che il T.A.R. non ha affatto fondato la propria decisione sull’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, ma proprio sull’interpretazione dell’art. 10 del Regolamento di controllo delle sostanze proibite.

Sulla base del medesimo parametro normativo il giudice d’appello ha motivato la propria decisione.

Il riferimento all’art. 21-octies è effettivamente presente nel motivo di appello: ma la circostanza che la sentenza non lo menzioni non implica una omessa considerazione (o inesatta “percezione”) del mezzo, bensì è da imputare alla chiara irrilevanza della deduzione di un parametro normativo estraneo alla fattispecie.

Lo stesso giudice di appello, del resto, ha – come accennato - sindacato il relativo capo di sentenza operando una esegesi del paradigma normativo regolante il potere de quo per come posto a fondamento della pronuncia di primo grado, ancorché l'appellante avesse evocato un parametro normativo inconferente.

L’inesatta indicazione da parte dell’appellante di riferimenti normativi non pone al giudice un corrispondente onere motivazionale analitico, una volta che sul piano argomentativo sia stata correttamente inquadrata la fattispecie dedotta e le relative censure.

Far discendere da una deduzione difensiva inconferente in sede di argomentazione normativa delle censure, dalla quale il giudice non si sia fatto condizionare, un vizio della sentenza, costituirebbe una conseguenza paradossale: una volta che, correttamente, il mezzo sia stato esaminato in relazione ai tratti della fattispecie per come definiti dalla sentenza che costituisce oggetto del giudizio d’appello.

9. In ogni caso, come già osservato, il ricorso in esame, quand’anche condivisibile nella sua prospettazione, sarebbe relativo ad una non condivisa valutazione giuridica (tale essendo l’operazione interpretativa di individuazione del parametro regolante la fattispecie): come tale estranea ai margini di ammissibilità del giudizio per revocazione.

10. Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Nulla deve essere disposto in merito alle spese del giudizio, non essendosi costituita l’amministrazione intimata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2020, tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza (ai sensi dell’art. 84, comma 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito dalla legge 24 aprile 2020, n. 27), con l'intervento dei magistrati:

Marco Lipari, Presidente

Massimiliano Noccelli, Consigliere

Raffaello Sestini, Consigliere

Giovanni Tulumello, Consigliere, Estensore

Antonio Massimo Marra, Consigliere

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