CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 2681/2002 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

                           

CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 2681/2002

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto da OMISSIS, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giorgio Giorgi e Fiorenzo Grollino e nello studio di quest’ultimo elettivamente domiciliata in Roma, Via Muzio Clementi, n. 18;

contro

il Comitato Olimpico Nazionale Italiano, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'Avv. Franco OMISSIS ed elettivamente domiciliato in Roma, Via G. Antonelli n.50;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, Sez.II, n. 280 del 7.6.1999;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 19 febbraio 2002 relatore il Consigliere dott. Roberto Garofoli. Udito l'avv. OMISSIS;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

Con il ricorso proposto in primo grado l’odierna appellante, premesso di aver svolto sin dal 1996 attività di impiego presso la Delegazione regionale della Liguria del CONI con mansioni amministrative e sulla base di singoli contratti di collaborazione, ha chiesto:

  1. l’accertamento della sussistenza di un rapporto di pubblico impiego non di ruolo a tempo indeterminato con il CONI;
  2. la condanna dell’amministrazione alla riattivazione del rapporto stesso ed alla regolarizzazione retributiva e previdenziale;
  3. l’annullamento del provvedimento di sospensione del rapporto di collaborazione con l’amministrazione, intimato dal Presidente del Comitato regionale ligure con telegramma del 28 marzo 1997.

Con la sentenza impugnata il primo Giudice ha dichiarato inammissibile per mancata impugnazione degli atti di conferimento dei singoli incarichi, la domanda sub a), nonché quella sub b), ritenuta strettamente connessa alla prima in quanto fondata sull’accertamento dell’esistenza di un rapporto di impiego; ha respinto, inoltre, la domanda sub c) sostenendo che l’amministrazione non avrebbe dovuto attivare gli istituti della decadenza dall’impiego ovvero della sospensione della prestazione lavorativa trattandosi di rapporto di incarico professionale, né avrebbe dovuto fare luogo alla comunicazione di avvio del procedimento ed all’indicazione delle ragioni legittimanti, essendo la cessazione del rapporto la mera conseguenza della scadenza del rapporto apposto al provvedimento di incarico.

Insorge l’appellante che, sostenendo l’erroneità della sentenza, ne chiede l’annullamento.

All’udienza del 19 febbraio 2002 la causa è stata ritenuta per la decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato e va quindi respinto.

Con il primo motivo di appello si contesta la declaratoria di inammissibilità della domanda proposta in primo grado al fine di conseguire l’accertamento della sussistenza di un rapporto di pubblico impiego non di ruolo a tempo indeterminato con il CONI: pur mostrando di condividere l’indirizzo che, richiamato dal primo Giudice, impone la tempestiva impugnazione dei provvedimenti di assunzione e regolamentazione del rapporto, l’appellante sostiene, in particolare, la mancata adozione nel caso di specie di provvedimenti di assunzione o regolamentazione del rapporto.

Per affermazione della stessa appellante, quindi, il rapporto è nato e si è dispiegato come mero rapporto di fatto, in assenza di qualsivoglia atto genetico riconducibile al paradigma normativo.

La suesposta circostanza, non presa in considerazione dal primo Giudice, induce, però, a respingere nel merito la domanda di accertamento della sussistenza di un rapporto di pubblico impiego non di ruolo a tempo indeterminato con il CONI.

Ed invero, il legislatore qualifica come rapporto di impiego pubblico solo quello che sia riconducibile ai provvedimenti tipici previsti dall’ordinamento, con la conseguenza per cui in mancanza degli stessi non può essere il giudice amministrativo ad accertare l’esistenza di un rapporto non suscettibile di essere costituito in via di fatto (Cons. Stato, V, 12 dicembre 1996, n. 1508; 7 dicembre 2001, n. 4671).

In ogni caso, mancano nel caso di specie gli indici rivelatori della sussistenza di un vero e proprio rapporto di pubblico impiego: è quanto rilevabile, soprattutto, in sede di scrutinio del secondo motivo di appello con il quale si deduce la mancata applicazione da parte del Giudice di prime cure dell’art. 2116 c.c..

E’ noto, al riguardo, che il rapporto di lavoro instaurato con l’Amministrazione in contrasto con le disposizioni che lo disciplinano nasce e vive come rapporto di fatto. A fronte di un rapporto siffatto devono, nondimeno, essere ritenuti applicabili i meccanismi di protezione, dal punto di vista retributivo e contributivo-previdenziale, previsti dall’art. 2126 c.c., per il periodo di espletamento delle prestazioni di fatto.

Se è del tutto irrilevante, per i motivi esposti, l’esistenza in concreto degli “indici rivelatori” della sussistenza di un rapporto di pubblico impiego ai fini del riconoscimento della natura di tale rapporto in sede di giurisdizione amministrativa, occorre però riconoscere che qualora la P.A. ponga in essere, anche se sotto diverso nomen iuris, un rapporto avente in realtà le caratteristiche del lavoro subordinato, per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione trova comunque applicazione l’art.2126 c.c., con conseguente diritto dell'interessato alle relative differenze retributive ed alla regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale (Cons. Stato, V, 3 giugno 1996, n.618; 23 giugno 1997, n.709).

Gli indici rilevatori del pubblico impiego assumono soltanto funzione di astratta qualificazione al fine della determinazione della giurisdizione (esclusiva del giudice amministrativo in virtù della fictio iuris di validità del rapporto nullo ai soli fini di cui all'art.2126 c.c.) e della disciplina economica e previdenziale cui debbono essere sottoposte le prestazioni lavorative (Cons. Stato, A.P., 29 febbraio 1992, n.1; Cons. Stato, V, 1° febbraio 1995, n.157; 22 giugno 1996, n.784).

A tal fine occorre aver riguardo non tanto alle connotazioni formalistiche del rapporto, quanto alla presenza dei presupposti sostanziali del rapporto medesimo quali, ad esempio, la subordinazione gerarchica, la non provvisorietà della prestazione, l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione interna dell’Ente, il rispetto di un preciso orario di lavoro (cfr. Cons. Stato, IV, 3 marzo 1997, n.176).

Ebbene la ricostruzione, anche mediante la documentazione in atti, del concreto atteggiarsi del rapporto instaurato nei confronti dell’appellante non consente di sostenere in termini di ragionevole sicurezza la sussistenza di un dissimulato rapporto di lavoro subordinato, riconducibile al modello del pubblico impiego.

Il rapporto lavorativo è nato e si è sviluppato secondo cardini e con modalità non pienamente omologabili a quello proprio del rapporto di impiego pubblico.

Si tratta, infatti, di rapporto nato con un ridotto impegno orario, retribuito, peraltro, con la corresponsione di somme variabili di volta in volta.

Circostanze, quelle illustrate, che, in uno al dato della mancata rilevabilità di indici sintomatici di un’effettiva subordinazione gerarchica, non consentono di ascrivere alle circostanze riferite un valore probatorio rilevante nella prospettiva dell’accertamento della natura di impiego pubblico, quindi, del rapporto.

Parimenti infondato risulta il terzo motivo di appello.

Quanto rilevato in merito alle peculiarità del rapporto consente di ritenere sostanzialmente vincolata, infatti, la contestata determinazione di sospensione di una prestazione lavorativa protrattasi in assenza di qualsivoglia provvedimento genetico: con la conseguenza, quindi, della non invocabilità delle garanzie partecipative e procedimentali richiamate dall’appellante.

Alla luce delle suesposte considerazioni va dunque respinto il ricorso.

Sussistono giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso principale. Compensate le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2002, dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Mario Egidio SCHINAIA                                      Presidente

Sergio SANTORO                                               Consigliere

Alessandro PAJNO                                                        Consigliere

Pietro FALCONE                                                Consigliere

Roberto GAROFOLI                                                    Consigliere Est.

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