CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 4781/2002 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 4781/2002

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto da OMISSIS rappresentata e difesa dagli avvocati Ivan Carioli e Giansante Assennato ed elettivamente domiciliata presso il secondo in Roma, Via C. Poma n.2;

contro

Comitato Olimpico Nazionale Italiano rappresentato e difeso dall’avv. Lucio Ghia ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, Via delle Quattro Fontane n.10;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale dell’Emilia Romagna – Bologna - Sezione I - n.515 del 2000;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’appellato;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 18/6/2002 relatore il Consigliere Giancarlo Montedoro. Uditi, l'Avv. Amodeo per delega dell'Avv. Assennato e l'Avv. Ghia;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

La sig.ra OMISSIS, con ricorso introduttivo del giudizio ha esposto di aver iniziato a prestare la propria attività lavorativa presso il Comitato Provinciale del CONI di Forlì dall'1/3/1966, svolgendo mansioni impiegatizie (dattilografa, disbrigo della corrispondenza e delle comunicazioni telefoniche ecc.) seguendo le direttive impartite dal Presidente dello stesso Comitato Provinciale e dal funzionario ivi addetto ed osservando orari di lavoro predeterminati; di aver sempre percepito un compenso mensile di misura crescente e sul quale dall'1/7/1974 è stata applicata la ritenuta IRPEF; di aver ricevuto dal gennaio 1988 un compenso stabilito in lire 20.000.000 annui, suddivise in importi mensili non uniformi; di aver usufruito di ferie retribuite e di aver dovuto giustificare le assenze anche per malattia; di aver dal 1977 chiesto la regolarizzazione del rapporto di lavoro ed il riconoscimento della natura subordinata e pubblica dello stesso, qualificato invece come rapporto di lavoro autonomo, e da ultimo di collaborazione coordinata e continuativa, per cui dall’aprile del 1996 la ricorrente ha dovuto, per evitare la risoluzione, iscriversi presso un albo apposito tenuto dall’INPS; di non ritenere ostativa la mancanza formale di un atto di nomina, mentre sussisterebbero tutti gli elementi caratterizzanti il rapporto di pubblico impiego a tempo indeterminato, non considerati illegittimamente dal Coni; di ritenere a questo fine rilevanti la natura pubblica del datore di lavoro, il suo inserimento nell’ambito dell’organizzazione dell’ente, la correlazione delle sue prestazioni con le finalità istituzionali dell’ente, la continuità e la professionalità della prestazione, la posizione di subordinazione gerarchica, la predeterminazione della retribuzione, l’osservanza di un orario di servizio.

Il suddetto rapporto secondo la ricorrente non sarebbe affetto da nullità in quanto non potrebbe farsi applicazione dell’art.6 della legge 20/3/1975 n.70, valevole solo per i rapporti instaurati anteriormente alla sua entrata in vigore.

L’ente intimato ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo poiché la domanda proposta investe l’intero rapporto intercorrente con il CONI, la cui durata va oltre la data del 30/6/1998, indicata dalla disposizione transitoria di cui all’art.45 del d.lgs. n.80/1998, quale discrimine del nuovo riparto, fra giudice ordinario ed amministrativo, delle controversie in materia di pubblico impiego.

Nel merito il CONI deduce l’infondatezza della domanda, invocando il contrario disposto dell’art.6 della legge n.70/75 ed il difetto dell’atto di nomina, e sostenendo, infine, che criterio determinante ai fini della sussistenza del rapporto di lavoro è l’inserimento del soggetto nell’organizzazione istituzionale dell’ente, mentre gli altri indici rivelatori rivestirebbero carattere sussidiario; poi eccepisce l’intervenuta prescrizione in ordine alle richieste di emolumenti, differenze retributive, indennità, compensi accessori, regolarizzazione contributive e previdenziale.

Il Tar, con la sentenza impugnata, ha ritenuto il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

L’appello, dopo aver censurato la soluzione data dal Tar alla questione di giurisdizione, ripropone la domanda di accertamento e condanna già spiegata in primo grado.

Si è costituito il CONI chiedendo il rigetto del ricorso e continuando ad eccepire il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

DIRITTO

L’appello deve essere respinto, sussistendo, nel caso di specie, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo secondo quanto già rilevato dal giudice di prime cure.

Il problema che si pone in particolare nella presente controversia è che essa attiene ad un rapporto di lavoro che in parte si è svolto in un periodo precedente il 30/6/1998 ed in parte si è svolto in un periodo successivo ma che viene in considerazione tutto insieme in una sola controversia, che non ha solo ad oggetto il pagamento di corrispettivi (maturati prima e dopo tale periodo) ma anche e pregiudizialmente il riconoscimento del rapporto di pubblico impiego (ormai privatizzato) instauratosi in via di mero fatto e non per via di selezione concorsuale.

Come è noto, stante la natura di ente pubblico non economico del CONI (non venuta meno nemmeno a seguito del recente provvedimento di riassetto di cui all’art.8 del d.l. 8/7/2002 n.138), era devoluta, prima della riforma di privatizzazione del pubblico impiego, al giudice amministrativo la cognizione della domanda tesa all’accertamento dell’avvenuta instaurazione di un rapporto di pubblico impiego quale conseguenza dell’inserimento del lavoratore in posizione di subordinazione nell’ambito dell’organizzazione amministrativa di detto ente.

Il nuovo sistema di riparto delineato dall’art.68 del d.lgs. n.29/1993, poi sostituito dall’art.29 del d.lgs. n.80/1998 ed infine dall’art.63 del d.lgs n.165/2001 ha devoluto al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative a rapporti di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, incluse le assunzioni.

La natura pubblica del soggetto datoriale non discrimina quanto alla giurisdizione al di fuori dei rapporti di lavoro pubblico non privatizzato (fra i quali non vi è quello della ricorrente).

L’attribuzione della giurisdizione è avvenuta in base ad una disciplina transitoria, che non ha avuto riguardo al momento di presentazione della domanda (come da regola generale contenuta nell’art.5 c.p.c. novellato dalla c.d. mini-riforma del processo civile) ma al momento di realizzazione della fattispecie genetica del rapporto, ossia con riferimento al periodo di lavoro controverso (se antecedente o successivo al 30/6/1998) (cfr. art.45 del d.l.vo n.80/1998).

Secondo un certo orientamento della Corte di Cassazione, quale giudice della giurisdizione, la disciplina transitoria della giurisdizione determina una sorta di frangersi del rapporto in due tronconi in forza del “principio secondo cui, ai fini dell'applicazione della norma transitoria dell'art.45, 17º comma, d.leg. n.80 del 1998, circa il passaggio dal giudice amministrativo al giudice ordinario delle controversie sui rapporti di pubblico impiego privatizzati, va dato particolare rilievo al dato storico costituito dall'avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze - così come posti a base della pretesa avanzata - in relazione alla cui giuridica rilevanza sia insorta la controversia”; principio che “comporta che, nel caso in cui il lavoratore, sul presupposto dell'affermazione del proprio diritto ad un determinato inquadramento, riferisca le proprie pretese retributive e contributive ad un periodo in parte anteriore ed in parte successivo alla data del 30 giugno 1998 - indicata dalla disposizione citata - la competenza giurisdizionale va ripartita tra il giudice amministrativo in sede esclusiva e il giudice ordinario, in relazione rispettivamente alle due dette fasi temporali.”(Cass., sez. un., 21/12/2000, n.1323).

In applicazione di questo principio la controversia attuale dovrebbe scindersi in due processi distinti, a seconda del periodo considerato, con rischi di giudicati contradditori.

Ciò in ossequio all’orientamento ricordato che sostiene la frantumazione del rapporto, avendo riguardo al periodo di lavoro precedente o antecedente rispetto alla data del 30/6/1998.

La dottrina invece ha cercato di evitare queste conseguenze di divisione della tutela processuale fra giurisdizioni diverse.

Si è quindi proposto di avere riguardo al criterio di adozione dell’atto o del provvedimento (quando la pretesa nasca da un atto negoziale o provvedimentale) così assegnando valore decisivo al momento di adozione od emanazione dell’atto, quale momento costitutivo della pretesa giudiziale.

Altro criterio proposto è stato quello del momento dell’insorgenza del diritto ossia il momento della nascita della situazione giuridica azionata, il momento della realizzazione del fatto costituivo del diritto azionato.

La Cassazione non ha manifestato tuttavia orientamenti univoci sull’argomento senza tuttavia accogliere la tesi del rilievo dell’atto o del provvedimento, piuttosto soffermandosi sul momento dell’insorgenza del diritto avendo riguardo alla circostanza, tipica del rapporto di lavoro “privatizzato”, secondo la quale la realizzazione giudiziale del diritto del dipendente non richiede l’intermediazione di un atto (o di un comportamento del datore di lavoro) che vale al più a rendere concreto un interesse ad agire in mero accertamento di situazioni giuridiche soggettive che trovano fondamento nella legge o nel contratto collettivo od individuale e considerando la circostanza che la causa pretendi va valutata nel suo complesso onde mantenere una disciplina il più possibile unitaria alla fattispecie.

La Cassazione a Sezioni Unite con sentenza 20/11/1999 n.808 ha quindi statuito la rilevanza del fatto o dato storico posto a base della pretesa azionata.

In tale decisum si è rilevato che “l'art.45, 17º comma, d.leg. n.80 del 1998, che, nel trasferire al giudice ordinario le controversie in materia di pubblico impiego privatizzato, precisa anche la relativa disciplina transitoria, utilizza a questo fine una locuzione volutamente generica e atecnica, parlando di «questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998» ovvero «anteriore a tale data», sì che risulta inadeguata un'interpretazione della relativa disposizione che colleghi rigidamente il discrimine temporale del trasferimento delle controversie alla giurisdizione ordinaria ad elementi come la data del compimento, da parte dell'amministrazione, dell'atto di gestione del rapporto che abbia determinato l'insorgere della questione litigiosa, oppure l'arco temporale di riferimento degli effetti di tale atto, o, infine, il momento di insorgenza della contestazione; viceversa l'accento va posto sul dato storico costituito dall'avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze - così come posti a base della pretesa avanzata - in relazione alla cui giuridica rilevanza sia insorta la controversia (nella specie, la corte regolatrice, relativamente a controversia circa il diritto di un dipendente comunale alla protrazione biennale opzionale del servizio oltre i limiti di età, ex art.16 d.leg. n.503 del 1992, ha ritenuto sussistere la giurisdizione ordinaria, poiché il limite di età per il collocamento a riposo cadeva nel dicembre 1998 e quindi si era certamente in presenza di questioni relative ad un periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998). (Cass., sez. un., 20/11/1999, n.808).

Successivamente la Corte regolatrice della giurisdizione ha ulteriormente precisato il criterio guida per l’applicazione della disciplina transitoria.

In un recente arresto si è dato quindi rilievo all'esistenza di un fatto illecito permanente quale dato storico all’origine della controversia: “l'art.45, 17º comma, d.leg. n.80 del 1998, nel dettare la disciplina transitoria relativa al trasferimento al giudice ordinario delle controversie in materia di pubblico impiego, pone il discrimine temporale tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa con riferimento non ad un atto giuridico o al momento di instaurazione della controversia, bensì al dato storico costituito dal verificarsi dei fatti o delle circostanze poste a base della pretesa azionata; pertanto, ove la pretesa del dipendente tragga origine da un comportamento illecito permanente del datore di lavoro, si deve aver riguardo al momento di realizzazione del fatto dannoso e più precisamente al momento di cessazione della permanenza (nella specie, la corte ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi dell'art.29 d.leg. 80/98, che ha modificato l'art.68 d.leg. 29/93, in ordine alla controversia nella quale alcuni medici dipendenti optanti per l'attività libero-professionale c.d. intramuraria avevano chiesto il risarcimento dei danni subiti in conseguenza della mancata attivazione da parte dell'azienda sanitaria dei mezzi, strutture e regolamenti necessari per l'esercizio dell'attività professionale). (Cass., sez. un., 24/2/2000, n.41).

La dizione utilizzata dal legislatore, ampia ed atecnica, “il riferimento a questioni relative al periodo di lavoro successivo al 30/6/1998”, la possibilità di verificare se la causa pretendi ed il petitum non impongano in concreto una lettura unitaria della fattispecie, in grado di evitare nel contempo l’inconveniente del frazionamento delle tutele ed una certa esasperazione della perpetuatio iurisdictionis segnalata in dottrina, sono tutti elementi valorizzati dagli orientamenti giurisprudenziali e che impongono una lettura attenta dei più recenti approdi del giudice della giurisdizione che hanno dato rilievo al fatto illecito permanente generatore della pretesa.

La sopravvivenza od ultrattività della giurisdizione amministrativa sul pubblico impiego è insita nella disciplina transitoria che togliendo rilievo al momento di insorgenza della lite e richiamando l’attenzione dell’interprete sul rapporto, mantiene in vita la giurisdizione del giudice amministrativo anche per le controversie instaurate dopo il 30/6/1998 (peraltro si deve segnalare che il legislatore all’art.69 comma 7 ultimo alinea del d.lgs. n.165/2001 ha sancito – con soluzione che ha fatto sorgere in dottrina dubbi di costituzionalità rispetto ai parametri di cui agli artt.24 e 113 Cost. - la decadenza per le controversie relative al periodo del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni anteriore al 30/6/1998 non proposte entro il 15/9/2000 proprio al fine di determinare un esaurimento del contenzioso innanzi al giudice amministrativo).

Si impone tuttavia una lettura della disposizione transitoria orientata a minimizzare l’inconveniente del frazionamento delle tutele ed idonea ad evitare, per quanto possibile, un contrasto fra giudicati in ordine a pretese eguali nel contenuto, seppure differenziate ratione temporis, come nel caso di una situazione dannosa che si protragga nel tempo
e debba essere unitariamente valutata.

La controversia in questione non attiene a singoli aspetti del rapporto riconducibili ad un determinato periodo, ma attiene al rapporto nel suo complesso, dall'1/3/1996 alla data odierna.

Trattandosi comunque di un’assunzione senza concorso si può ritenere che la condotta dell’amministrazione, quale prospettata dalla ricorrente costituisca un illecito permanente, o, all’opposto, nella prospettiva attorea (che sostiene l’irrilevanza, ratione temporis, della norma recante divieto di costituzione di rapporti di impiego pubblico de facto) che, comunque costituisca un atto dannoso permanente il mancato riconoscimento della pretesa alla costituzione del rapporto di lavoro subordinato ed a tempo indeterminato (sul presupposto che sia possibile la costituzione in via di fatto del rapporto).

Nel caso valutato da Cass. Sez. Un. n.41/2000 la domanda era una pretesa risarcitoria (ritenuta unitaria) relativa ad una condotta tenuta dall’amministrazione prima e dopo il 30/6/1998 e quindi una pretesa meramente patrimoniale (certo più facilmente valutabile in modo scisso in due giurisdizioni diverse stante il maturare dei danni nel tempo riguardabile in modo analogo al maturare delle retribuzioni) e ciononostante il giudice della giurisdizione ha affermato la non frazionabilità del rapporto.

Si appalesa meritevole dello stesso trattamento il  petitum sostanziale di questa controversia- relativo al riconoscimento di un rapporto di lavoro – alla luce del principio di unicità ed infrazionabilità del rapporto di lavoro.

E’ questo il principio guida che può illuminare la disciplina delle fattispecie nelle quali il dato storico che ha originato la controversia si pone a cavallo del periodo segnato dal 30/6/1998.

Ove sussista la necessità di una lettura unitaria della fattispecie, al fine di evitare un contrasto fra giudicati e per la sostanziale unitarietà del fatto rilevante ai fini della decisione sulla giurisdizione deve ritenersi applicabile l’orientamento inaugurato da Cass. n.41/2000 in presenza di una domanda risarcitoria.

Si ritiene quindi, a fortiori, a fronte della pretesa al riconoscimento (unitario) di un rapporto unico di lavoro ancora in corso dopo il 30/6/1998 ed affermata la possibilità di valutazione in unica sede della fattispecie in ragione dell’unicità del “fatto continuato” posto a fondamento della pretesa, svoltasi a cavallo fra i due periodi, di poter affermare lo stesso principio che ha dato rilievo al momento della cessazione della permanenza ai fini dell’attribuzione della giurisdizione. In sostanza quando un fatto generatore di una controversia iniziato prima del 30/6/1998 è continuato dopo il 30/6/1998 ed è qualificabile come un comportamento illecito “permanente” del datore di lavoro sussiste la giurisdizione del giudice ordinario poiché esso è da qualificarsi relativo ad un periodo successivo al 30/6/1998.

Né si dica che il discrimine del 30/6/1998 è quello fra rapporto di impiego pubblico e rapporto di lavoro pubblico privatizzato, (sicché il frazionamento si appaleserebbe ragionevole poiché conforme alla diversa sostanza delle cose) poiché la privatizzazione sostanziale del rapporto ha preceduto la devoluzione delle controversie al giudice ordinario, e, quindi, come non è apparso altro che il frutto di una scelta legislativa la circostanza per cui la prima applicazione della normativa di privatizzazione è stata effettuata dal giudice amministrativo, così deve ritenersi fisiologico che la prosecuzione oltre il 30/6/1998 di fatti e circostanze (da valutare unitariamente ed unitariamente) rilevanti ai fini dell’origine delle controversie giudiziarie, radichi definitivamente nel giudice ordinario la giurisdizione sul rapporto. 

Ne segue la giurisdizione del giudice ordinario su tutta la controversia, non essendo cessata la permanenza del fatto illecito (costituzione del rapporto di fatto) o dannoso (diniego continuato del riconoscimento) permanente posto a fondamento della pretesa azionata (Cass. Sez. Un. n.41/2000).

Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 18 giugno 2002, dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Giorgio GIOVANNINI                              Presidente

Sergio SANTORO                                      Consigliere

Alessandro PAJNO                                     Consigliere

Lanfranco BALUCANI                               Consigliere

Giancarlo MONTEDORO                          Consigliere Est.

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