CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 5664/2007 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N.   5664/2007

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. (…) proposto dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano – CONI – in persona del Presidente rappresentato e difeso dall’avv. Alberto Angeletti ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via Giuseppe Pisanelli n. 2;

contro

il sig. OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv.ti Vinicio Ferrante e Carlo Dattoli e dall’avv. Andrea Manzi e domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Federico Confalonieri n. 5;

per l'annullamento

della sentenza n. 1463 in data 7 luglio 2001 del Tribunale Amministrativo per il Piemonte, Sezione II, resa inter partes.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti appellate;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie  difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Designato relatore per la pubblica udienza del 3 luglio 2007 il Consigliere Manfredo Atzeni ed uditi altresì l’avv. Gnisci per delega dell’avv. Angeletti e l’avv. Di Mattia per delega dell’avv. Manzi;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso al Tribunale Amministrativo per il Piemonte il sig. OMISSIS chiedeva l’accertamento della natura di pubblico impiego a tempo indeterminato del rapporto di lavoro con il CONI in qualità di Segretario Provinciale costituitosi con deliberazione della Giunta Provinciale di Vercelli in data 10 marzo 1990, con la quale era stato nominato Segretario del Comitato e della Giunta Provinciali di Vercelli, e la condanna alla sua riammissione in ruolo nonché alla regolarizzazione sotto il profilo retributivo, contributivo e previdenziale a far data dal 10 marzo 1990; chiedeva anche l’annullamento del silenzio rifiuto formatosi sull’atto di diffida e messa in mora notificato in data 11 aprile 1998 e degli atti presupposti.

Riferiva di avere svolto, fino alla data del 23 dicembre 1997, quando il nuovo presidente del comitato provinciale del CONI dichiarava risolto il rapporto, sostituendolo nell'incarico, un'intensa attività che comprendeva la gestione amministrativa, inclusa quella concernente i conti correnti bancari, la tenuta dei libri contabili nella redazione del bilancio, organizzando altresì le manifestazioni sportive provinciali, nonché curando il disbrigo dell'ordinaria amministrazione e occupandosi del coordinamento di due collaboratrici poste alle sue dirette dipendenze; la suddetta attività sarebbe stata resa secondo modalità tali da integrare la sussistenza di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato, essendo l'interessato tenuto al rispetto dell'orario di lavoro, alla subordinazione gerarchica nei confronti degli organi direttivi del CONI e perseguendo, nell'ambito dell'organizzazione in cui era integrato, le finalità istituzionali proprie dell'ente stesso.

Affermava l'esistenza degli indici rivelatori per la qualificazione del rapporto lavorativo come impiego pubblico a tempo indeterminato ovvero, in subordine, dei presupposti per la qualificazione del rapporto lavorativo come impiego pubblico a tempo determinato, lamentando violazione dell'articolo 28, secondo comma, del regolamento dell'organizzazione territoriale del CONI, carenza di potere, difetto di motivazione, illogicità manifesta, violazione degli artt. 3 e 96 della costituzione ovvero, in ulteriore subordine, per riconoscere l'esistenza di un rapporto di fatto con conseguente violazione dell'articolo 2126 del codice civile, dell'articolo 36 della costituzione e dell'articolo 2043 del codice civile.

Con la sentenza in epigrafe  i primi giudici hanno accolto in parte il ricorso, riconoscendo l'esistenza degli indici rivelatori di un rapporto di lavoro subordinato, rilevante ai soli fini di cui all'articolo 2126 del codice civile condannando il CONI a corrispondere al ricorrente quanto dovuto per le mansioni svolte a titolo di lavoro subordinato secondo il profilo professionale di appartenenza dal 12 aprile 1993 alle 23 dicembre 1997, detratto quanto già corrisposto dall'ente a titolo di corrispettivo è riconoscendogli le somme dovute a titolo di contribuzione previdenziale, con interessi e rivalutazione monetaria.

Avverso la predetta sentenza il CONI in persona del Presidente propone l’appello in epigrafe contestando gli argomenti addotti dal giudice di prime cure e chiedendo il suo annullamento, previa sospensione.

Con l'ordinanza n. 2313 in data 5 giugno 2002 è stata accolta l'istanza cautelare.

Si è costituito in giudizio il sig. OMISSIS chiedendo il rigetto del ricorso.

Alla pubblica udienza del 3 luglio 2007 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’odierno appellato ha chiesto in primo grado l’accertamento del rapporto di lavoro a tempo indeterminato o, in subordine, a tempo determinato ovvero, in ulteriore subordine, di mero fatto intercorso con il Comitato Provinciale del CONI di Vercelli, formulando inoltre le conseguenti richieste relative agli aspetti economici, giuridici e previdenziali del rapporto; riferiva, al riguardo, di essere stato nominato Segretario Provinciale con deliberazione della Giunta Provinciale CONI di Vercelli e di avere sempre svolto i relativi compiti in termini tali da configurare un rapporto di pubblico impiego.

Il TAR ha affermato la nullità del rapporto, instaurato in violazione di norme imperative, e segnatamente dell’art. 28 del regolamento per l’organizzazione territoriale del CONI, il quale esclude la legittimazione degli organi locali in ordine all’assunzione di personale, demandata sempre alla Giunta Esecutiva nazionale; ha peraltro riconosciuto l’esistenza degli indici necessari per individuare, nella fattispecie, un rapporto di mero fatto, condannando l’amministrazione al pagamento delle differenze retributive ed alla ricostruzione della posizione previdenziale.

2. La sentenza non è stata appellata dal ricorrente, per cui al rapporto in questione non può essere riconosciuta configurazione diversa da quella di mero fatto, rilevante ai fini dell’art. 2126 c.c., ora ribadito dall’art. 36, secondo comma, del D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165.

L’amministrazione contesta, invece, la sentenza di primo grado,  affermando che il rapporto in questione si è svolto in forma di collaborazione coordinata e continuativa, che non da’ titolo al riconoscimento dei diritti di cui si discute in questa sede.

3. Le censure dell’appellante si incentrano su due profili.

3a. In primo luogo, si sostiene che il rapporto deve essere ricostruito tenendo conto della volontà negoziale delle parti le quali, nella specie, avrebbero concordato di instaurare una collaborazione coordinata e continuativa.

L’argomentazione non può essere condivisa in quanto nella specie non risulta alcuna espressa manifestazione di volontà sul punto.

L’appellante, infatti, ricostruisce la volontà delle parti esclusivamente sulla base del fatto che quanto corrisposto all’appellato è stato assoggettato al regime tributario proprio delle collaborazioni coordinate e continuative, senza che quest’ultimo abbia mai avanzato contestazioni al riguardo.

Osserva il collegio che il comportamento sopra descritto non consente di ritenere accertata con la dovuta chiarezza la volontà dell’odierno appellato e la sua accettazione del contratto di collaborazione coordinata e continuativa.

Inoltre, il dipendente ha il diritto di formulare le proprie contestazioni al datore di lavoro nei termini di decadenza e prescrizione stabiliti dalla legge.

Da ciò consegue che l’odierno appellato ha tempestivamente (in parte, come sottolineato dalla sentenza di primo grado) fatto valere le sue ragioni nei confronti dell’ente, datore di lavoro, con gli atti che hanno preceduto l’instaurazione della presente controversia.

Afferma, in conclusione, il collegio che l’affermazione dell’appellante circa il raggiungimento di un accordo per l’instaurazione di un mero rapporto di collaborazione coordinata e continuativa è rimasta priva di prova.

3b. L’appellante sostiene che nel rapporto di cui si discute manca uno degli elementi fondamentali perché si possa ravvisare la sua natura subordinata, dato dall’assoggettamento del prestatore d’opere al potere disciplinare del datore di lavoro.

Neanche questa censura può essere condivisa.

L’art. 28 del regolamento territoriale del CONI dispone che l’incarico di segretario provinciale deve essere di norma affidato ad un dipendente dell’ente.

La norma consente, di per sé, di configurare il rapporto del segretario provinciale in termini di prestazione professionale, come è dimostrato dal fatto che l’incarico rientra nelle attribuzioni dei dipendenti CONI.

Osserva poi il collegio come il rapporto dell’appellato abbia avuto un contenuto ascrivibile a quello proprio del responsabile dell’ufficio, essendo consistito nell’impostazione del lavoro, anche sovrintendendo alla creazione dei necessari strumenti informatici, nella direzione dei collaboratori, nella personale applicazione agli incombenti di maggiore importanza.

Secondo l’appellante, nel rapporto è mancato il potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro.

Neanche tale argomentazione può essere condivisa.

Deve essere ribadito che il rapporto è stato instaurato secondo lo schema dell’art. 28 del regolamento territoriale del CONI, per cui ha mutuato da quello il suo contenuto, anche sotto il profilo della direzione e della potestà disciplinare.

Non rileva, poi, il fatto che gli organi di amministrazione dell’ente si siano avvalsi in termini assai ridotti del potere di direttiva.

Il potere disciplinare, inoltre, è stato esplicitamente esercitato (sebbene in forme atipiche, che peraltro non rilevano una volta constatata la nullità del rapporto) all’atto dell’allontanamento dell’appellato dal servizio.

Afferma, in conclusione, il collegio che alla luce degli elementi acquisiti in primo grado, e delle ulteriori precisazioni appena svolte, deve essere confermata la sentenza appellata, laddove individua un rapporto di pubblico impiego di fatto in quello intercorso fra appellante ed appellato.

Deve solo essere precisato come gli elementi raccolti trasferiscano sul datore di lavoro l’onere di dimostrare ulteriori elementi, tali da smentire le risultanze di quelli appena elencati.

Atteso che l’appellante non ha potuto assolvere tale onere, le sue doglianze devono essere respinte.

4. L’appello è invece fondato nella parte in cui contesta l’esistenza di un debito residuo per differenze stipendiali.

Corrisponde ad orientamento pacifico di questa Sezione (20 maggio 2004, n. 3259; inoltre, V Sezione, 24 agosto 2000, n. 4594), che il collegio condivide, il principio secondo il quale qualora venga instaurato un rapporto di fatto, non può essere dato per scontato il fatto che al lavoratore spetti per intero la retribuzione corrispondente a quella del livello assimilabile alle mansioni che gli sono state affidate.

Spetta, infatti, al dipendente provare che il rapporto si è svolto in termini tali da comportare il suo diritto all’integrale equiparazione, sotto il profilo retributivo, a quello instaurato regolarmente.

Nella presente controversia è emerso con chiarezza che l’attività svolta dall’odierno appellato è equiparabile a quella di un dipendente di ruolo sotto il profilo qualitativo.

Non è stata, invece, raggiunta alcuna certezza circa l’integrale assimilabilità delle mansioni svolte dall’appellato a quelle proprie del dipendente di ruolo sotto il profilo quantitativo.

In altri termini l’appellante, al quale spetta il relativo onere, non ha dimostrato che la retribuzione ricevuta in costanza di rapporto sia sproporzionata rispetto alla quantità dell’impegno richiestogli.

Di conseguenza, in accoglimento dell’appello, il ricorso di primo grado deve essere respinto quanto alla pretesa relativa al pagamento di differenze stipendiali.

5. In base alla considerazioni che precedono la sentenza di primo grado deve essere confermata nella parte relativa all’obbligo, per l’amministrazione, di ricostituire la posizione previdenziale dell’appellato.

6. In conclusione, l’appello deve essere accolto in parte, nei termini di cui sopra.

In considerazione della reciproca soccombenza le spese possono essere integralmente compensate.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie in parte, nei termini di cui in motivazione, l’appello e, per l’effetto, respinge il ricorso di primo grado relativamente alla pretesa al pagamento di differenze stipendiali; respinge l’appello per la restante parte.

Compensa integralmente spese ed onorari del giudizio fra le parti costituite.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il giorno 3 luglio 2007 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) nella Camera di Consiglio con l'intervento dei Signori:

Gaetano TROTTA                   Presidente

Carmine VOLPE                     Consigliere

Luciano BARRA CARACCIOLO       Consigliere

Aldo SCOLA                                     Consigliere

Manfredo ATZENI                           Consigliere, est.

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