CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 3617/2014 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 3617/2014

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero 1424 del 2011, proposto da OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Roberto D'Atri, con domicilio eletto in Roma, via Paolo Emilio, 34.

contro

C.O.N.I. - Comitato Olimpico Nazionale Italiano – C.O.N.I Servizi s.p.a,. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avv. Guido Cecinelli, con domicilio eletto in Roma, Piazza Mancini, n. 4.

per la riforma

della sentenza del TAR Lazio n. 33701 del 22 novembre 2010, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Coni - Comitato Olimpico Nazionale Italiano e di Coni Servizi Spa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 6 maggio 2014, il Cons. Carlo Mosca e uditi per le parti gli avvocati D'Atri e Cecinelli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Dagli atti risulta che il signor OMISSIS, dipendente del CONI e originario ricorrente in primo grado, si è rivolto al Tribunale amministrativo del Lazio per l'accertamento del diritto al pagamento della differenza retributiva relativa al periodo della sua sospensione cautelare dal servizio dal 3 febbraio 1989 al 31 gennaio 1994. La sospensione era stata adottata nel 1989, a seguito dell'avvio di un procedimento disciplinare attivato dopo una condanna penale del ricorrente, definita, dopo varie vicende, dalla Corte di Cassazione con sentenza del 18 febbraio 1999 di estinzione del reato per prescrizione. Il procedimento disciplinare, riavviato il 20 aprile 1999, si era estinto il successivo 20 agosto, essendo decorsi i 120 giorni prescritti dall'articolo 61 del C.C.N.L. 1998-2001.

Dalla documentazione acquisita, è risultato che la richiesta avanzata dinanzi al TAR era stata già proposta davanti al Giudice ordinario che l’aveva prima accolta, ma a seguito di impugnativa e all'esito dei vari gradi di giudizio, aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, così venendosi ad affermare la competenza del giudice amministrativo, ai sensi dell'articolo 45, comma 17 del d.lgs. n. 80/98, trattandosi di questioni attinentii tutte al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30 giugno 1998.

Nel ricorso al TAR, il ricorrente chiedeva di ritenere errore scusabile l'avere individuato la competenza in materia del giudice ordinario, invocando la remissione in termini.

2. Il giudice di primo grado, con la sentenza in epigrafe, dichiarava inammissibile il ricorso, essendosi il TAR Lazio già pronunciato con sentenza n. 2030 del 21 marzo 2000 sulla medesima domanda, a seguito di altro ricorso dello stesso ricorrente proposto all'indomani della riavvenuta riammissione in servizio, sentenza successiva a quella definitiva penale del 18 febbraio 1999 e alla stessa estinzione del procedimento disciplinare avvenuta il 20 agosto 1999.

Nella citata sentenza n. 2030/2000, quel giudice negava il diritto del ricorrente ad ottenere la differenza retributiva per i periodi antecedenti alla decorrenza della riammissione in servizio, con ciò riaffermando la legittimità del provvedimento di sospensione cautelare adottato dal CONI con decorrenza 24 novembre 1989, come peraltro già riconosciuto dallo stesso TAR con la sentenza n. 825/95 nel giudizio per la riassunzione dal servizio, disposta a decorrere dal compimento del quinquennio della medesima sospensione.

La sentenza n. 2030/2000 affermava, altresì, che la restitutio in integrum, ai sensi dell'articolo 97 del T.U. n. 3/57, è prevista soltanto per effetto di sentenza penale di proscioglimento o di assoluzione passata in giudicato perché il fatto non sussiste o perché l' impiegato non lo ha commesso e che, per tale ragione, non poteva essere riconosciuta al ricorrente, essendo il delitto a lui ascritto dichiarato estinto per prescrizione. Conseguentemente, il giudice di prime cure riteneva precluso un nuovo pronunciamento su una questione già sottoposta al suo esame, in applicazione del principio del ne bis in idem.

3. Lo stesso ricorrente in primo grado ha presentato appello avverso la sentenza del TAR Lazio, riproponendo in sostanza le stesse argomentazioni presentate con il ricorso originario, significando che, a suo avviso, la richiesta che aveva dato luogo alla sentenza n.2030/ 2000 era tendente ad ottenere la ricostruzione retributiva e normativa del periodo di sospensione cautelare, fondata sul proscioglimento e sulla riammissione in servizio ope legis, richiesta diversa dalla domanda da cui ha tratto origine la sentenza appellata tendente ad ottenere la stessa ricostruzione, ma sulla base del procedimento disciplinare iniziato e non coltivato. Di conseguenza, l'appellante non ha ritenuto sussistere duplicazione di giudizio tra le due questioni prospettate al TAR, rispettivamente con il ricorso del 1996 e con quello del 2007.

4. Si è costituita la parte appellata che, riportandosi alle argomentazioni difensive svolte nel giudizio di primo grado, ha evidenziato la gravità del comportamento tenuto dall'appellante il quale, dopo aver ottenuto il pagamento di quanto stabilito dalla sentenza del Tribunale del Lavoro, poi integralmente riformata dal giudizio della Corte d'appello lavoro di Roma, si rifiutava di restituire quanto indebitamente ricevuto, costringendo l'odierna appellata a promuovere giudizio avanti al Tribunale del Lavoro di Roma e continuava ad essere inadempiente, nonostante la sentenza di condanna alla restituzione della somma pari a oltre 140 mila euro, sentenza confermata dalla Corte d'appello a seguito dell'impugnazione davanti a quel giudice, con la conseguente necessità per la parte appellata di proporre azione esecutiva di pignoramento immobiliare presso terzi per ottenere la restituzione della somma.

DIRITTO

1. L'appello è infondato e le argomentazioni addotte a sostegno delle proprie censure dalla parte appellante non sono convincenti. Di converso, l'iter logico-giuridico seguito dal giudice di prime cure per giungere alla decisione di inammissibilità del ricorso proposto è, secondo questo Collegio, pienamente da condividere.

Nella specie, infatti, la sentenza del TAR ha sapientemente ripercorso l'intera vicenda, evidenziando la complessità del contenzioso venutosi ad instaurare davanti al giudice penale, al giudice del lavoro e al giudice amministrativo con evidenti interconnessioni che sono state distinte e colte nella loro essenzialità.

Correttamente, il giudice di prime cure ha individuato l'unicità del contenuto della richiesta formulata dal ricorrente e attinente alla stessa sostanza della ricostruzione retributiva e normativa relativa al periodo di sospensione cautelare. Conseguentemente, il TAR Lazio si era già pronunciato sulla medesima domanda, con sentenza n. 2030 del 21 marzo 2000, negando il diritto del ricorrente ad ottenere le differenze retributive per il periodo antecedente alla decorrenza della riammissione in servizio. Da qui la preclusione legittimamente pronunciata dal giudice di primo grado rispetto ad un nuovo pronunciamento su una questione oggettivamente già esaminata e giudicata.

Questo Collegio non si esime, peraltro, dall'osservare che la citata sentenza n. 2030/2000 è passata in giudicato perché mai impugnata davanti a questo Consiglio. Essa ha affermato la giurisdizione del giudice amministrativo relativamente alla controversia circa la restitutio in integrum di cui all'articolo 97 del T.U. n. 3/57, negandola per l'intervenuta sentenza penale che ha dichiarato estinto il reato per prescrizione e non ricorrendo le ipotesi previste dalla predetta norma.

Risulta così evidente che l'odierno appellante non si è rivolto al Consiglio di Stato per far valere in quella sede l'estinzione del procedimento disciplinare ed ha preferito adire il giudice ordinario.

Ciò, però, non può costituire motivo del richiesto errore scusabile, visto che è stato lui stesso ad incardinare il giudizio davanti al TAR per ottenere la predetta restitutio.

Dalla documentazione acquisita agli atti, è altrettanto evidente che la sentenza penale riguardante l'odierno appellante non è stata di proscioglimento o di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché il fatto non è stato commesso, essendo stato il reato dichiarato estinto per prescrizione ed è su tale pronuncia, come correttamente rilevato dal TAR Lazio nella richiamata sentenza n. 2030/2000 , che si è formato il giudicato.

In conclusione, la sentenza impugnata va confermata e l'appello proposto va respinto.

2. Le spese del presente grado di giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) respinge l'appello in epigrafe ( n.1424 del 2011) e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna la parte appellante al pagamento, a favore della parte appellata, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 4000 (quattromila/00).

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del giorno 6 maggio 2014, con l'intervento dei magistrati:

Stefano Baccarini, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Vito Carella, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Carlo Mosca, Consigliere, Estensore

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