CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 5046/2018 Pubblicato il 24/08/2018 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

 

CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 5046/2018

Pubblicato il 24/08/2018

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale (…), proposto da Comitato Olimpico Nazionale Italiano - Coni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Angelo Clarizia e Gianfranco Tobia, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Principessa Clotilde, 2;

contro

OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avvocati Enrico Lubrano e Filippo Lubrano, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Flaminia, 79;

nei confronti

Federazione Ginnastica d'Italia, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 1124 del 2017, proposto da Federazione Ginnastica d'Italia - Fgi, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Alessandro Avagliano, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Cesare Ferrero di Cambiano, 82;

contro

OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avvocati Enrico Lubrano e Filippo Lubrano, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Flaminia, 79;

nei confronti

Comitato Olimpico Nazionale Italiano – Coni, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 1157 del 2017, proposto da OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avvocati Enrico Lubrano e Filippo Lubrano, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Flaminia, 79;

contro

Federazione Ginnastica d'Italia, Comitato Olimpico Nazionale Italiano, Collegio di garanzia dello sport del Coni, Commissione di giustizia di secondo grado della Fgi, Commissione di giustizia di primo grado della Fgi, nonché Procura federale della Fgi, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio; Federazione Ginnastica d'Italia - Fgi, rappresentata e difesa dall'avvocato Alessandro Avagliano, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Cesare Ferrero di Cambiano, 82;

per la riforma

quanto al ricorso n. 1124 del 2017:

della sentenza del Tribunale amministrativo del Lazio (sezione Prima) n. 11146/2016, resa tra le parti, concernente risarcimento danni patiti in conseguenza di illegittima sanzione disciplinare della squalifica;

quanto al ricorso n. 1157 del 2017:

della sentenza del Tribunale amministrativo del Lazio (sezione Prima) n. 11146/2016, resa tra le parti, concernente risarcimento danni patiti in conseguenza di illegittima sanzione disciplinare della squalifica;

quanto al ricorso n. 862 del 2017:

della sentenza del Tribunale amministrativo del Lazio (sezione Prima) n. 11146/2016, resa tra le parti, concernente risarcimento danni patiti in conseguenza di illegittima sanzione disciplinare della squalifica.

Visti i ricorsi in appello ed i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di OMISSIS e della Federazione Ginnastica d'Italia - Fgi;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 giugno 2018 il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti gli avvocati Angelo Clarizia, Gianfranco Tobia, Filippo Lubrano ed Alessandro Avagliano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Risulta dagli atti che l’appellante OMISSIS, atleta non professionista tesserato Fgi, in data 15 dicembre 2012 aveva partecipato alla 95^ Assemblea elettiva della Federazione Ginnastica d'Italia, in qualità di grande elettore rappresentante la categoria atleti del Comitato regionale del Veneto (con rilevanza del voto per la sola categoria in questione), dalla quale si era infin allontanato una volta regolarmente espresse le proprie preferenze, con riferimento ad entrambe le posizioni da lui rivestite.

Successivamente all’allontanamento dello OMISSIS, però, le votazioni già svolte venivano invalidate per l’insorgenza di problemi di carattere informatico, ragion per cui si procedeva ad un secondo suffragio al quale questi non poteva partecipare, in quanto assente.

Assumendo l’irregolarità della proceduta seguita dagli organi federali, l’interessato provvedeva quindi ad impugnare le deliberazioni assunte in seno all'Assemblea elettiva, chiedendone l’integrale rimozione e, in via meramente subordinata, l'annullamento della sola votazione in cui avrebbe dovuto esprimere la sua posizione di grande elettore per la nomina dei rappresentanti della sola categoria atleti.

L’impugnazione veniva in un primo momento dichiarata inammissibile dal Consiglio direttivo federale e poi accolta – nella sola parte subordinata – dall’Alta Corte di Giustizia del Coni.

A tal punto lo OMISSIS depositava, il 2 agosto 2013, un ricorso giurisdizionale al Tribunale amministrativo del Lazio (iscritto a numero di r.g. 7721 del 2013) per l'annullamento, previa sospensiva, della sentenza n. 15/2013 dell'Alta Corte di Giustizia, nella parte in cui non aveva accolto la richiesta principale (ossia l’integrale annullamento delle deliberazioni assunte in seno all'Assemblea).

A seguito di tale iniziativa giudiziaria, la Procura federale del Coni notificava al ricorrente un avviso di apertura di procedimento disciplinare, fondato sul presupposto che, con la propria decisione di investire un giudice della questione circa la gestione interna delle procedure di voto, lo stesso avesse violato i principi della lealtà sportiva (art. 2 del Regolamento di giustizia e disciplina della Fgi) e della clausola compromissoria (art. 27 del medesimo Regolamento).

All’esito del primo grado del giudizio disciplinare, in data 16 gennaio - 13 febbraio 2014, lo OMISSIS veniva condannato alla sospensione per mesi dodici dalla partecipazione a qualunque attività ufficiale programmata dalla Federazione, sanzione che iniziava a scontare a decorrere dal 16 gennaio dello stesso anno.

Tale decisione, confermata il 20 maggio 2014 in sede di appello, veniva infine annullata (con effetti retroattivi) il 24 settembre 2014 con lodo del TNAS.

Nel frattempo, in esecuzione della sentenza n. 15/2013 dell'Alta Corte di giustizia (impugnata dallo OMISSIS di fronte al Tribunale amministrativo del Lazio), la Federazione aveva indetto un’Assemblea elettiva straordinaria per la ripetizione delle operazioni di voto, con riferimento esclusivo ai rappresentanti della categoria atleti; a tal punto lo OMISSIS, per evitare la formazione di acquiescenza in relazione allo svolgimento dell'Assemblea elettiva “parziale” del 7 settembre 2013, comunicava alla Federazione, mediante fax in pari data, di voler evitare di presenziarvi personalmente.

Proponeva quindi due distinti ricorsi all'Alta Corte di giustizia per ottenere, rispettivamente, l'annullamento della delibera della Fgi di convocazione dell'assemblea straordinaria per il 7 settembre 2013 (per l'elezione di due atleti) e l'annullamento di tale assemblea.

L'Alta Corte rigettava il primo ricorso con sentenza n. 31 del 2013, conseguentemente dichiarando inammissibile il secondo ricorso.

Lo OMISSIS proponeva allora, in data 27 gennaio 2014, un secondo ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio, avente ad oggetto l'impugnativa della sentenza n. 31 del 2013 dell'Alta Corte, che veniva iscritto al numero di r.g. 962 del 2014.

A seguito della proposizione di tale seconda azione giudiziaria, il 20 marzo 2014 veniva comunicata al ricorrente l'apertura di un nuovo procedimento disciplinare per l’asserita reiterata violazione del principio di lealtà sportiva e della clausola compromissoria, giudizio che si concludeva – in primo grado – con una sanzione di sospensione di mesi sei ed in secondo grado, visto l'annullamento della prima sanzione disposto dal lodo del TNAS, con la sospensione per mesi otto, in quanto ritenuto colpevole sia di slealtà sportiva che della violazione della c.d. clausola compromissoria, nonché recidivo con riferimento alla sanzione del primo procedimento disciplinare (all’epoca, in realtà, già annullato il precedente lodo TNAS del 24 settembre 2014).

La sanzione veniva infine ridotta a mesi quattro di sospensione dal Collegio di garanzia dello sport del Coni con decisione 9 febbraio - 30 marzo 2015, n. 8.

All’esito delle vicende così riassunte, con ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio – iscritto al numero di registro generale 5204 del 2015 – OMISSIS chiedeva la condanna della Fgi e del Coni al risarcimento, in suo favore, del danno patito per essere rimasto sospeso dall'attività agonistica e da ogni attività federale per la durata di complessivi otto mesi e dieci giorni (ossia dal 16 gennaio 2014 al 25 settembre 2014), a fronte di una sanzione disciplinare finale, all’esito delle impugnazioni proposte in sede sportiva, appena di complessivi quattro mesi di squalifica.

Le parti intimate, costituitesi in giudizio, deducevano l’infondatezza del ricorso, chiedendone la reiezione.

Con sentenza 10 novembre 2016, n. 11146, il Tribunale adito accoglieva il ricorso, condannando la Fgi al risarcimento, in favore del ricorrente, di danni per l’importo di euro 14.650,00 relativamente al primo periodo di sospensione patita dal ricorrente; relativamente al secondo periodo di sospensione, invece, entrambe le amministrazioni intimate venivano condannate, in solido, al risarcimento della somma di euro 4.000,00 equitativamente determinata a titolo di danno non patrimoniale, sub specie di danno psichico.

Avverso tale decisione proponevano tre distinti appelli il Coni, la Fgi e OMISSIS, rispettivamente iscritti ai numeri di registro generale 862 del 2017, 1124 del 2017 e 1157 del 2017.

Per quanto concerne il gravame proposto dal Coni, venivano dedotte le seguenti censure:

1) Erroneità della sentenza nella parte in cui il giudice amministrativo ha accertato l’illegittimità della decisione del Collegio di garanzia n. 872015 travalicando i limiti del proprio sindacato.

Il primo giudice, anziché limitarsi a verificare l’integrità dell’istruttoria, il rispetto del contraddittorio, la ragionevolezza estrinseca della motivazione e la proporzionalità della misura sanzionatoria applicata, avrebbe in realtà sostituito l’apprezzamento dell’elastica ed indeterminata nozione di “lealtà sportiva” e di “fair play sportivo” operato dai giudici sportivi con una propria valutazione, con ciò violando il generale principio dell’autonomia dell’ordinamento sportivo (essendo la valutazione sulle condotte dei tesserati riservata alla giustizia sportiva, con il solo limite della manifesta illogicità o inattendibilità della stessa, ovvero della violazione delle garanzie procedurali).

2) Erroneità della sentenza nella parte in cui il giudice amministrativo ha accertato l’illegittimità della decisione del Collegio di garanzia n. 6/2015 perché la condotta del sig. OMISSIS non configurerebbe una violazione del principio di lealtà sportiva.

Il primo giudice avrebbe errato nel non considerare adeguatamente la temerarietà dell’azione giudiziaria del ricorrente (data dalla sostanziale reiterazione della domanda di annullamento già avanzata con il connesso ricorso di cui al r.g.n. 7721 del 2013), conseguentemente travisando sia le condotte contestate allo OMISSIS nell’ambito del secondo procedimento disciplinare, sia la portata della precedente sentenza n. 10772 del 2015 del Tribunale amministrativo del Lazio, sia ancora interpretando il principio di lealtà sportiva in modo eccessivamente restrittivo.

A tal ultimo riguardo, in particolare, erroneamente il primo giudice non avrebbe considerato che l’esplicazione del diritto di difesa costituzionalmente garantito possa anche essere qualificata alla stregua di una violazione del principio di lealtà sportiva; spetterebbe infatti soltanto all’ordinamento sportivo e, nel caso di specie, alla giustizia sportiva valutare quali condotte assumano concreto rilievo al fine di configurare una violazione del principio di lealtà sportiva.

3) Erroneità della sentenza nella parte in cui il giudice amministrativo ha accertato l’illegittimità della decisione del Collegio di garanzia n. 8/2015 per violazione del principio del ne bis in idem.

Il giudice di prime cure avrebbe poi errato laddove ha ritenuto censurabile la decisione del Collegio di garanzia dello sport, per violazione del ne bis in idem, in quanto i due procedimenti disciplinari avrebbero riguardato due condotte collegate scaturite entrambe dal medesimo fatto originario.

In realtà, precisa l’appellante, si sarebbe trattato di due distinte fattispecie, relative a due diversi oggetti e due distinti ricorsi: nell’ambito del primo procedimento il TNAS aveva infatti ritenuto che la condotta dello OMISSIS non integrasse un comportamento sleale, mentre nell’ambito del secondo procedimento disciplinare il Collegio di garanzia dello sport aveva ritenuto la condanna sostanzialmente corretta, a fronte dell’ulteriore ingiustificata contestazione delle elezioni nonostante la mancata partecipazione e, soprattutto, del complessivo contegno dell’interessato.

4) Erroneità della sentenza nella parte in cui il giudice amministrativo ha omesso di accertare l’assoluto difetto di legittimazione passiva in capo al Coni (e al Collegio di garanzia dello sport).

Sostiene l’appellante che le controversie devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo in base all’art. 3 del d.l. n. 220 del 2003 sarebbero solo quelle aventi ad oggetto gli atti del Coni o delle Federazioni sottoposti al previo scrutinio dei detti organi di giustizia domestica, non anche le decisioni adottate dalla giustizia sportiva su tali atti; in breve, il giudizio amministrativo non avrebbe ad oggetto le decisioni dei giudici sportivi, bensì il rapporto sottostante in contestazione.

Poiché nell’ambito del giudizio di primo grado non erano stati impugnati provvedimenti adottati dal Coni, né essendo ad esso imputabile la decisione adottata dal Collegio di garanzia dello sport (che neppure potrebbe considerarsi organo del primo, non essendo contemplato dall'art. 5 del relativo

Statuto), il Coni difetterebbe di legittimazione passiva nella controversia.

5) Erroneità della sentenza nella parte in cui il giudice amministrativo ha accertato la sussistenza del profilo soggettivo della colpa in capo al Coni.

Trattandosi di decisioni adottate nell’ambito dell’esercizio di una funzione giustiziale, di risoluzione di conflitti nell’ambito dell’ordinamento sportivo, il primo giudice avrebbe errato nel ritenere non applicabile la limitazione della responsabilità alle sole ipotesi di dolo o colpa grave prevista dalla l. n. 117 del 1988 sul risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati.

Costituitosi in giudizio, l’appellato OMISSIS deduceva l’infondatezza del gravame, chiedendo che fosse respinto.

Per quanto invece concerne l’appello proposto dalla Federazione ginnastica d’Italia, lo stesso risultava così articolato:

1) Eccesso di sindacato da parte del giudice amministrativo di primo grado sulla decisione del Collegio di garanzia n. 8/2015.

Il primo giudice, nell’accertare in via incidentale l’illegittimità della decisione del Collegio di garanzia dello sport, avrebbe travalicato i confini del proprio sindacato, fornendo una diversa interpretazione circa il corretto inquadramento delle condotte contestate allo OMISSIS nell’ambito dei comportamenti lesivi del principio di lealtà, correttezza e probità sportiva. In particolare, il giudicante avrebbe illegittimamente sostituito l’apprezzamento dell’ampia nozione di “lealtà sportiva” già effettuato dagli organi della giustizia sportiva (endofederali prima, e del Coni poi) con una propria valutazione, così travalicando i limiti del proprio sindacato.

Ciò in aperta violazione con quanto previsto dall’art. 2 della legge n. 280 del 2003 (Disposizioni urgenti in materia di diritto sportivo) secondo cui, a tutela del principio dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, è riservata “all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto […] i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”, con la sola eccezione – qui non configurabile – della manifesta illogicità o inattendibilità della valutazione operata dagli organi sportivi, ovvero della violazione delle garanzie procedurali.

2) Omessa e/o carente e/o illogica ed erronea motivazione in ordine alla sussistenza del requisito della colpa della Federazione – Legittimità e correttezza delle decisioni emanate dagli Organismi di Giustizia Sportiva della Fgi.

La sentenza impugnata sarebbe inoltre erronea nell’aver accertato la sussistenza del profilo soggettivo della “colpa” in capo alla Federazione ed al Coni.

La sanzione irrogata, del resto, non avrebbe per presupposto la mera proposizione di un’azione giurisdizionale, bensì un più ampio contegno generale assunto dallo OMISSIS (tradottosi nell’abuso dello strumento processuale).

3) Omessa e/o carente e/o illogica ed erronea motivazione in ordine alla natura della funzione degli Organismi di Giustizia Sportiva della Fgi.

Il Tribunale adito non avrebbe inoltre considerato le decisioni assunte in sede di giustizia sportiva come provvedimenti adottati nell’ambito dell’esercizio di una funzione giustiziale, cui avrebbe dovuto conseguire l’applicazione delle guarentigie di cui alla l. n. 117 del 1988, in materia di risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati.

4) In subordine, sul quantum: carente, erronea ed illogica motivazione in ordine all’accertamento dei danni patrimoniali e non patrimoniali risarcibili.

In ogni caso, il primo giudice avrebbe erroneamente ritenuto provate alcune voci di danno – patrimoniali e non – invocate dal ricorrente, anche sul presupposto che la disciplina sportiva della Ginnastica è a tutti gli effetti dilettantistica (come previsto dall’art. 1, comma primo, dello Statuto federale Fgi).

Anche in questo caso l’appellato OMISSIS si costituiva in giudizio, eccependo l’infondatezza del gravame che, conseguentemente, chiedeva fosse respinto.

Per quanto infine concerne l’appello proposto da OMISSIS, lo stesso aveva ad oggetto le voci di danno chieste con il ricorso introduttivo che non erano state – in tutto o in parte – accolte dalla sentenza impugnata.

Deduceva, in particolare, il seguente articolato profilo di doglianza: “Illegittimità della sentenza del TAR Lazio, Sez. I Ter, 10 novembre 2016, n. 11146, nella parte in cui ha riconosciuto, nel quantum, in via equitativa, un risarcimento del danno non patrimoniale in misura nettamente inferiore rispetto a quanto richiesto dal sig. OMISSIS e quanto oggettivamente spettante allo stesso (come dimostrato con apposita perizia)”.

Ciò in relazione all’avvenuto riconoscimento, in via equitativa, della somma di euro 5.000,00, quale risarcimento del danno non patrimoniale (danno biologico e danno esistenziale) per il primo periodo di squalifica (gennaio-giugno 2014), a fronte di una richiesta di euro 89.460,42, nonché alla liquidazione – anch’essa in via equitativa – della somma di euro 4.000,00, quale risarcimento del danno non patrimoniale (danno biologico e danno esistenziale) per il secondo periodo di squalifica (giugno-settembre 2014), a fronte di una richiesta di euro 53.676,25.

Costituitasi in giudizio, la Fgi deduceva l’inammissibilità del gravame e, comunque, la sua infondatezza, chiedendone la reiezione.

Successivamente le parti ulteriormente illustravano, con apposite memorie, le rispettive tesi difensive ed all’udienza del 14 giugno 2018, dopo la rituale discussione, le cause venivano trattenute in decisione.

DIRITTO

Preliminarmente il Collegio ritiene opportuno disporre la riunione degli appelli, in quanto proposti tutti avverso la medesima sentenza, attesa l’evidente connessione oggettiva (ed in parte soggettiva) degli stessi.

Ciò detto, è opportuno richiamare – per ragioni di sistematicità e chiarezza – le direttrici lungo le quali si svolge il sindacato del giudice amministrativo in materia di risarcimento danni conseguenti all’irrogazione di sanzioni disciplinari sportive, poi rivelatesi illegittime, questione già affrontata nel precedente della Sezione n. 3065 del 22 giugno 2017 nei termini che seguono e dal quale non vi è evidente ragione di discostarsi, nel caso di specie.

Come già in detto precedente, anche nel presente contenzioso il riferimento essenziale è dato, in termini generali, dall’ambito di competenza del giudice amministrativo nelle materie che la legge assegna alla giustizia sportiva, con riguardo, in particolare, alle attribuzioni di ordine disciplinare.

La materia è disciplinata in via generale dal decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220 (Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva), convertito dalla legge 17 ottobre 2003, n. 280. L’art. 1 (Principi generali), comma 1, afferma: «La Repubblica riconosce e favorisce l'autonomia dell'ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell'ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale».

Il successivo comma 2 precisa: «I rapporti tra l'ordinamento sportivo e l'ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo».

Per quanto riguarda l’ambito statuale – dal carattere residuale nel sistema complessivo della giustizia di interesse sportivo – di competenza del giudice amministrativo, l’art. 3 (Norme sulla giurisdizione e disciplina transitoria) dispone: «Esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell'articolo 2, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui all'articolo 2, comma 2, nonché quelle inserite nei contratti di cui all'articolo 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91».

A tale norma fa da pendant l’articolo 133, comma 1, lett. z), Cod. proc. ammche a sua volta prevede che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «le controversie aventi ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservate agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ed escluse quelle inerenti i rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti».

Infine, a definire l’ambito esclusivo del giudice sportivo, l’art. 2 d.-l. n. 220 del 2003 riserva «… all'ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto:

a) l'osservanza e l'applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive;

b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive; […]

2. Nelle materie di cui al comma 1, le società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati hanno l'onere di adire, secondo le previsioni degli statuti e regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui gli articoli 15 e 16 del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, gli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo. […]».

I principi generali così espressi recepiscono alcuni criteri individuati, nel tempo, da giurisprudenza e dottrina in tema di rapporti tra ordinamento sportivo ed ordinamento statuale.

In particolare, l’art. 1 d.-l. n. 220 del 2003 definisce l’ambito di autonomia del primo: ma, essendo comunque quello sportivo un ordinamento infra-statuale, la norma comporta che le sue peculiarità non possono sacrificare le posizioni soggettive rilevanti per l’ordinamento statuale, perché inviolabili o comunque meritevoli di tutela rafforzata in quanto non disponibili.

Si fonda così la clausola residuale di salvaguardia in favore della giurisdizione esclusiva amministrativa, cui compete, se del caso ed entro determinati limiti, il sindacato sull’operato – che è di rilievo pubblicistico – della giustizia sportiva.

Circa gli ambiti e le forme di tutela accordabili dal giudice amministrativo nel suo giudizio di giurisdizione esclusiva, va rilevato come gli competa – a tenore degli artt. 1, 2 e 3 d.-l. n. 220 del 2003 – quanto non è riservato all’autonomia dell’ordinamento sportivo, perché sono coinvolte situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico generale. Ma, in concreto, può esserne investito – a tenore dell’art. 3 – solo una volta «esauriti i gradi della giustizia sportiva» (Cons. Stato, VI, 14 novembre 2011, n. 6010).

Per Corte cost., 11 febbraio 2011, n. 49, è sì infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lett. b), e 2, d.-l. n. 220 del 2003 nella parte in cui riserva al giudice sportivo la competenza definitiva sulle controversie riguardanti sanzioni disciplinari non tecniche inflitte ai suoi soggetti, sottraendole al giudice amministrativo, anche se i loro effetti superano l’ambito dell’ordinamento sportivo, incidendo su diritti ed interessi legittimi, in riferimento agli art. 24, 103 e 113 Cost.. Nondimeno, tali norme vanno interpretate nel senso che se l’atto delle federazioni sportive o del CONI ha incidenza anche su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l'ordinamento giuridico statale, la domanda intesa non alla caducazione dell'atto, ma al conseguente risarcimento del danno, va proposta al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva: non opera alcuna riserva a favore della giustizia sportiva innanzi alla quale la pretesa risarcitoria nemmeno può essere fatta valere. Sicché il giudice amministrativo può conoscere, nonostante la riserva a favore della giustizia sportiva, delle sanzioni disciplinari inflitte a società, associazioni e atleti, in via incidentale e indiretta, al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione. Così l'esplicita esclusione della diretta giurisdizione sugli atti sanzionatori disciplinari — che è a tutela dell'autonomia dell'ordinamento sportivo — consente comunque a chi lamenti la lesione di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante, di agire in giudizio per il conseguente risarcimento del danno.

In particolare, per la Corte «[…] qualora la situazione soggettiva abbia consistenza tale da assumere nell’ordinamento statale la configurazione di diritto soggettivo o di interesse legittimo, in base al ritenuto «diritto vivente» del giudice che, secondo la suddetta legge, ha la giurisdizione esclusiva in materia, è riconosciuta la tutela risarcitoria”.Questa “È sicuramente una forma di tutela, per equivalente, diversa rispetto a quella in via generale attribuita al giudice amministrativo (ed infatti si verte in materia di giurisdizione esclusiva), ma non può certo affermarsi che la mancanza di un giudizio di annullamento (che, oltretutto, difficilmente potrebbe produrre effetti ripristinatori, dato che in ogni caso interverrebbe dopo che sono stati esperiti tutti i rimedi interni alla giustizia sportiva, e che costituirebbe comunque, in questi casi meno gravi, una forma di intromissione non armonica rispetto all’affermato intendimento di tutelare l’ordinamento sportivo) venga a violare quanto previsto dall’art. 24 Cost. Nell’ambito di quella forma di tutela che può essere definita come residuale viene, quindi, individuata, sulla base di una argomentata interpretazione della normativa che disciplina la materia, una diversificata modalità di tutela giurisdizionale.”

Conformemente si è orientata la giurisprudenza amministrativa, fermo che anche per tali controversie risarcitorie opera la “pregiudiziale sportiva”: perciò possono essere avviate solo dopo «esauriti i gradi della giustizia sportiva», come prevede l’art. 3 (Cons. Stato, VI, Cons. Stato, VI, 24 gennaio 2012, n. 302; 24 settembre 2012, n. 5065; 27 novembre 2012, n. 5998; 31 maggio 2013, n. 3002, che richiama Cons. Stato, VI, 25 novembre 2008, n. 5782; Cons. Stato, VI, 20 giugno 2013, n. 3368).

In questo schema, ciò che qui rileva è che, anche se la tutela finisce per essere solo per equivalente monetario, il rapporto tra giustizia sportiva e giurisdizione amministrativa resta riconducibile a un modello progressivo a giurisdizione condizionata, dove coesistono successivi livelli giustiziali, susseguentisi in ragione di oggetto e natura, più o meno specialistica, delle competenze dell’organo giudicante.

Come è in genere per siffatti sistemi di tutela, la razionalità dell’assetto in progressione comporta che le successive domande di tutela, che hanno per presupposto l’espletamento delle prime, siano informate al principio di sussidiarietà e di economia dei mezzi e siano tra loro coerenti per oggetto, in primis dal punto di vista funzionale: vale a dire per fondamenti della causa petendi. La ragione del domandare giustizia, cioè la prospettazione della lesione di cui si chiede la riparazione o il ristoro, non può che avere la medesima latitudine: pur se, in rapporto al tipo di giudicante e ai suoi poteri, può mutare il formale petitum, cioè la “modalità di tutela giurisdizionale”. Non si può chiedere al livello successivo giustizia per una causa e per un bene della vita diversi da quelli invocati al livello necessariamente presupposto.

Il sistema delle norme sulla giurisdizione dell’art. 3 d.-l. n. 220 del 2003, che prevede la c.d. “pregiudiziale sportiva”, cioè che si può adire il giudice statale solo dopo «esauriti i gradi della giustizia sportiva» (i c.d. rimedi interni), sarebbe privo di coerenza e di dubbia costituzionalità se vi fosse una preclusione di legge ad adire immediatamente il giudice dello Stato per ragioni nuove o diverse da quelle sollevabili nell’obbligatoria sede pregiudiziale.

Si deve a questo punto ricordare che il sistema del diritto sportivo – cui è correlata la funzione giustiziale – è coerente con le premesse e i caratteri impressi allo sport dal Comitato Olimpico Internazionale (CIO) sin dalla sua fondazione (come detto l’art. 1 d.-l. n. 203 del 2003 evidenzia che l'ordinamento sportivo nazionale è «articolazione dell'ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale»): l’art. 1, comma 2, dello Statuto del CONI, ente pubblico esponenziale dell’ordinamento sportivo, definisce l’istituto come «autorità di disciplina, regolazione e gestione delle attività sportive, intese come elemento essenziale della formazione fisica e morale dell'individuo e parte integrante dell'educazione e della cultura nazionale».

E’ dunque il supporto dell’attività sportiva, sia individuale che collettiva o nazionale, e non altro, l’obiettivo ultimo dell’ordinamento sportivo, dei suoi assetti organizzativi e delle diverse forme di tutela che vi afferiscono. Ne esulano i rapporti individuali con terzi non intrinseci alle «attività sportive»in primis di carattere economico, che sull’attività sportiva possano, più o meno occasionalmente, venire per motivo contrattuale a innestarsi.

In coerenza con detto art. 1, comma 2, dello Statuto del CONI, è basilare la considerazione che l’ordinamento sportivo – con gli inerenti pubblici approntamenti e investimenti per strutture e per servizi - dagli albori ha i fondamentali nello sport inteso come attività di ricreazione umana (desport, diporto), quand’anche agonistica o praticata in veste professionale; vale a dire di cura del benessere fisico in termini di salute, di formazione della personalità, di educazione alla cooperazione e alla sana e leale competizione: elementi tutti che ineriscono alla dignità della persona umana (e che dunque oggi rilevano ai sensi dell’art. 2 Cost.) e che originano dalla contrapposizione alla tradizionale fatica lavorativa e alla commercializzazione dello sforzo fisico individuale e che proprio per questo sono elevati a oggetto di pubblica cura e intervento. E se la realtà delle cose impone di considerare una «dimensione economica dello sport», questa va comunque conciliata «con la sua inalienabile dimensione popolare, sociale, educativa e culturale» (cfr. art. 2, comma 5, del medesimo Statuto). Si iscrive in quest’ultimo àmbito il c.d. professionismo sportivo, dove l’atleta riceve un compenso in ragione dell’attività agonistica praticata; ne esula l’attività sportiva dilettantistica e in essa il fenomeno del c.d. professionismo di fatto: il quale non spiega dunque effetti riguardo alle federazioni sportive.

Dette caratteristiche generali si riflettono sul perimetro della tutela risarcitoria, che rileva solo come tutela dell’eventuale lesione interna ad un ordinario e corretto sviluppo della “attività sportiva”.

Diversamente, arrivando a voler includere nell’oggetto di questa tutela per equivalente monetario voci per loro natura diverse da quelle proprie di quell’àmbito ed estranee alle dette finalità eminentemente pubblicistiche dell’ordinamento sportivo, si finirebbe per contraddire il rammentato vincolo di strumentalità funzionale che è proprio della giurisdizione condizionata nonché quello di stretta proporzionalità degli strumenti integrati di tutela. E si finirebbe per trasformare l’espressione dello sport in un’ordinaria fenomenologia individuale di mercato dove il sostegno pubblico perderebbe ragione o diverrebbe locupletativo.

Si esulerebbe dalle ragioni di una particolare tutela giurisdizionale pubblica che ha per base espressa quelle dell’organizzazione pubblicistica dell’attività sportiva e la garanzia del suo legittimo funzionamento: il che è quanto giustifica la condizionata giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 133, comma 1, lett. z) Cod. proc. amm., che concerne atti – come quelli attorno a cui qui si verte – originati nell’esercizio di attività a valenza pubblicistica. Perciò la particolare giustizia statuale approntata dalla legge corrisponde all’oggetto sostanziale della “giustizia sportiva”: diversamente, non ci sarebbero ragioni per differenziarla da quella, di diritto comune, inerente un qualsivoglia fenomeno lucrativo privato, basato sull’utilizzo di risorse anche materiali private.

Alla luce delle osservazioni che precedono devono quindi valutarsi i motivi di appello dedotti negli autonomi gravami in precedenza riuniti.

Al riguardo, ritiene il Collegio più corretto, per ragioni di ordine sistematico (in virtù delle questioni affrontate) iniziare l’esame dall’appello proposto dalla Federazione ginnastica d’Italia.

Con il primo motivo di gravame, quest’ultima deduce che il giudice di prime cure avrebbe travalicato i limiti della propria giurisdizione, illegittimamente sostituendo l’apprezzamento della nozione di “lealtà sportiva” già effettuato dagli organi della giustizia sportiva con una propria valutazione (e, dunque, operando un’autonoma valutazione sulla natura delle condotte dello OMISSIS).

Il motivo non è fondato.

Da un lato, infatti, l’illegittimità del primo provvedimento disciplinare (in ragione della non riconducibilità delle condotte tenute dall’atleta a violazioni della lealtà sportiva) era già stata autonomamente rilevata dagli organi interni della giustizia sportiva, in particolare con lodo Tnas del 24 settembre 2014 (laddove, testualmente, “i comportamenti e le iniziative giudiziarie poste in essere dal Sig. OMISSIS e contestate nei provvedimenti della Federazione non configurano in concreto alcuna violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità sportiva […] proprio dalla valutazione complessiva dei comportamenti ascritti al sig. R. OMISSIS e dall’esame di ciascuno di essi emerge che, se indubbiamente l’interessato ha fatto valere le proprie ragioni con ostinazione, purtuttavia non ha valicato i limiti preposti dall’ordinamento per la tutela dei propri diritti, che hanno trovato anche riconoscimento giudiziale in ordine alla meritevolezza della pena”).

Dall’altro, è del tutto evidente che il giudice amministrativo, a fronte di una richiesta risarcitoria, è tenuto a verificare preliminarmente ed in via incidentale la sussistenza, o meno, dei presupposti fattuali e giuridici di quest’ultima, ivi compresa la legittimità o meno del comportamento tenuto dal ricorrente (accertamento necessario ai fini dell’individuazione, in capo all’amministrazione resistente, dei profili della responsabilità ex art. 2043 Cod. civ.). Esigenza tanto più evidente a fronte di una nozione particolarmente generica – come riconosciuto dalla stessa appellante – quale quella di “lealtà sportiva”, per tale necessitante di attenta verifica alla luce delle particolarità del caso concreto.

Con il secondo motivo di gravame viene invece eccepita l’assenza di colpa in capo alla Federazione appellante, relativamente alla decisione di irrogare i due provvedimenti disciplinari contestati. L’appellante deduce, in particolare, che la condotta sanzionata non sarebbe stata la mera proposizione di un’azione giurisdizionale, bensì “un contegno generale assunto dal Sig. OMISSIS nell’ambito di una complessa e intricata vicenda”.

Di ciò avrebbe dato conto anche il Tribunale amministrativo del Lazio, nella già menzionata sentenza 10772 del 2015 con la quale era stato rigettato il secondo ricorso proposto dall’atleta, laddove rilevava che questo, seppur formalmente proposto per ottenere l’annullamento dei soli atti impugnati (relativi alla seconda tornata elettorale), sarebbe stato sostanzialmente finalizzato a caducare l’intera assemblea elettiva svoltasi nel 2012.

Anche questo motivo non è fondato. Invero, come riconosciuto dal lodo Tnas in relazione alla prima misura sanzionatoria, la vera ragione fondante l’impugnata squalifica era propriamente il solo esercizio dell’incomprimibile diritto costituzionale di difesa: “nel caso di specie, infatti, per l’impugnazione di atti relativi ad elezioni federali appariva, nel contesto normativo pro tempore entro il cui orizzonte la valutazione va naturalmente compiuta, inoperante la stesso vincolo di giustizia federale. L’iniziativa giudiziaria promossa dall’istante dinanzi al Tar non può, in quanto tale, in assenza di ogni definitivo accertamento di temerarietà, rimanere esposta al sindacato ulteriore da parte della Giustizia associativa, non integrando infrazione delle relative prerogative né altra violazione di principi, né apparendo costituire alcun abuso”.

Per quanto invece concerne la seconda sospensione dall’attività agonistica, correttamente il primo giudice ha evidenziato come il fatto che il Tnas avesse annullato integralmente la prima sanzione disciplinare di dodici mesi, sul presupposto della piena legittimità dell'operato dell’atleta, ben consentisse di individuare in capo alla Federazione ed al Coni, a seguito della decisione di irrogare una nuova sanzione dello stesso tipo di quella precedente e per fatti analoghi, un profilo di colpevolezza. Ciò ancor più in considerazione del fatto che la pronuncia arbitrale aveva tenuto in considerazione anche il comportamento dell’atleta successivamente all’indizione di nuove elezioni parziali, in particolare la sua scelta di non parteciparvi per non pregiudicare – tramite acquiescenza – il maggior risultato da lui conseguito, ossia l’integrale riedizione della tornata elettiva.

Ciò, unitamente al fatto che l’applicazione della nuova sanzione era successiva all’annullamento – con effetti retroattivi – della precedente, avrebbe perlomeno comportato, da parte degli organi federali, una valutazione più ponderata dei profili di illegittimità riscontrati, nel procedere alla contestazione di un illecito teleologicamente (e strumentalmente) connesso al precedente.

Appare quindi evidente la sussistenza, in capo al soggetto che ha esercitato il potere sanzionatorio, perlomeno del presupposto della colpa grave, non potendo questi ignorare, secondo un parametro di ordinaria diligenza, l’irrinunciabilità ed incomprimibilità del diritto della tutela giurisdizionale nel vigente ordinamento costituzionale.

Del resto, va ricordato che la riscontrata illegittimità dell'atto rappresenta, nella normalità dei casi, l'indice della colpa dell'amministrazione – indice tanto più grave, preciso e concordante quanto più intensa e non spiegata sia l'illegittimità in cui l'apparato amministrativo sia incorso – spettando in tal caso a quest’ultima l’onere di provare l'insussistenza dell’elemento soggettivo di cui trattasi.

Del pari, la richiesta risarcitoria dello OMISSIS in relazione alla seconda sanzione disciplinare presupponeva l’intervenuta riduzione della sanzione inizialmente irrogata dalla Federazione ad opera dei competenti organi della giustizia sportiva, sul presupposto dell’iniziale scorretto esercizio della potestà disciplinare.

Analogamente, il Tnas reputava legittima anche la successiva decisione dello OMISSIS di non prender parte alle nuove elezioni indette dalla Federazione per il 7 settembre 2013, trattandosi di scelta riconducibile all’esercizio “legittimo elle sue facoltà e che non integra alcun illecito, in via di principio rimanendo altro dal principio di lealtà quello di coerenza, né trasmodando in improbità ogni condotta che sul piano dei rapporti associativi avrebbe potuto, secondo coerenza, esigersi di altro tenore”. Del resto, la stessa comunicazione precedentemente inoltrata dallo OMISSIS alla Federazione odierna appellante chiariva le ragioni di tale comportamento, date dalla ritenuta contrarietà della nuova Assemblea con le vigenti norme statutarie, rientrava ad avviso dell’organo di giustizia sportiva in una legittima strategia difensiva volta ad invalidarla; analogamente dicasi per la mancata comparizione innanzi ai vari organi di giustizia federale, rientrando tra le “facoltà del tesserato la decisione di non comparire personalmente […] e la scelta di avvalersi, ex art. 53 del suddetto Regolamento, della difesa tecnica, nominando uno o due difensori di fiducia”.

Con il terzo motivo di appello viene poi contestato che il primo giudice non avrebbe considerato, sempre ai fini della responsabilità da imputare alla Federazione, le decisioni assunte in sede di giustizia sportiva come provvedimenti adottati nell’ambito dell’esercizio di una funzione giustiziale, nonostante le stesse siano volte alla risoluzione di conflitti nell’ambito dell’ordinamento sportivo.

La sentenza impugnata, in particolare, non avrebbe colto le caratteristiche peculiari dell’attività svolta dagli appartenenti agli organi di giustizia sportiva – da qualificarsi come soggetti terzi ed indipendenti – finalizzata a dirimere conflitti, a valutare fatti e ad interpretare norme: per l’effetto, erroneamente non sarebbe stata applicata, in via analogica, la limitazione della responsabilità alle sole ipotesi di dolo o colpa grave prevista dalla legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati).

Anche questo motivo è destituito di fondamento.

Ritiene infatti il Collegio che la normativa in materia di responsabilità civile dei magistrati – avente carattere eccezionale e, dunque, di stretta interpretazione ed insuscettibile di applicazione analogica ad ipotesi in essa non espressamente previste – non possa trovare applicazione nel caso in esame, semplicemente perché gli organi di giustizia federali non hanno natura giurisdizionale.

Invero, l’art. 1 della l. n. 117 del 1988, nel precisare (all’art. 1) che “le disposizioni della presente legge si applicano a tutti gli appartenenti alle magistrature, ordinaria, amministrativa, contabile, militare e speciale, che esercitano l'attività giudiziaria, indipendentemente dalla natura delle funzioni, nonché agli estranei che partecipano all'esercizio della funzione giudiziaria”, ha inteso estendere la relativa disciplina ai soli esercenti funzioni giudiziarie, sia inquirenti che giudicanti, nel senso tipico e rigoroso del termine (in questi termini, già Cass. civ., III, 5 agosto 2010, n. 18170).

Per contro, gli organi di giustizia federale non esercitano funzioni giudiziarie: in quanto organi delle Federazioni sportive – entro le quali gli stessi sono stati costituiti e sono destinati ad operare – essi semplicemente partecipano della natura di queste ultime, che può essere tanto privatistica quanto pubblicistica, a seconda dell’attività in concreto espletata.

In particolare, correttamente il primo giudice ha ricordato che, nel momento in cui giungano ad operare in qualità di organi del Coni, gli stessi svolgono altresì attività di valenza pubblicistica, rispetto alla quale non può che essere loro riconosciuta natura pubblica.

Deve dunque riconoscersi, anche alla luce di quanto disposto in termini generali dall’art.1, comma 2, del d.l. 19 agosto 2003, n. 220 (convertito, con modificazioni, in legge 17 ottobre 2003, n. 280), che gli organi di giustizia costituiti presso le Federazioni sportive sono organi giustiziali rispetto alle decisioni aventi rilevanza interna per l’ordinamento sportivo, mentre debbono considerarsi partecipare della medesima natura pubblicistica delle Federazioni cui appartengono, ogni qualvolta le loro decisioni rivestano rilevanza giuridica esterna per l’ordinamento statale.

Per l’effetto, devono considerarsi alla stregua di provvedimenti amministrativi ogniqualvolta vengano ad incidere su posizioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento statale, che come tali, non possono sfuggire alla tutela giurisdizionale statale pena la lesione del fondamentale diritto di difesa, espressamente qualificato come inviolabile dall’art. 24 Cost. E ciò anche nel caso in cui si verta in materia disciplinare, riservata in linea di principio alla competenza dell’ordinamento sportivo, ex art. 2, comma 1, lett. a), d.l. n. 220 del 2003.

Allorquando la decisione in materia disciplinare venga a ledere delle posizioni giuridicamente rilevanti per l’ordinamento statale, torna ad espandersi la giurisdizione residuale del giudice amministrativo in materia, innanzi al quale può essere fatta valere, appunto, la pretesa risarcitoria.

Tali principi, se già autonomamente giustificavano il rigetto del primo motivo di appello, tolgono altresì credito al terzo ora esaminato, esplicando gli organi di giustizia sportiva, al più, una funzione amministrativa, ma non certo attribuzioni giurisdizionali.

Con il quarto motivo di appello viene invece censurata la quantificazione dei danni operata in sentenza, contestando in particolare che il rapporto tra lo OMISSIS e la Corpo Libero Gymnastics Team a.s.d. potesse essere qualificato quale rapporto di lavoro sportivo professionista, dovendosi dunque reputare “inconferente ed infondato l’aspetto derivante dal lamentato “lucro cessante” dovuto all’asserito mancato recepimento della retribuzione prevista dal contratto stipulato”. Sotto altro profilo, difetterebbe comunque la prova dell’asserito danno patrimoniale relativo al venir meno della retribuzione prevista dal contratto con la predetta associazione Corpo Libero Gymnastics Team per l’intera stagione, atteso che la documentazione prodotta dal ricorrente sarebbe stata priva di data certa.

Deduce inoltre che la decisione impugnata non avrebbe neppure indicato i criteri e gli elementi presi in considerazione al fine di liquidare, sia pure in via equitativa, l’asserito danno psico-fisico lamentato dal ricorrente.

Il motivo è in parte fondato, nei termini che di seguito si precisano.

Come già anticipato, alla luce del precedente della Sezione n. 3065 del 2017 – alle cui motivazioni, in precedenza riportate, integralmente si rinvia – deve escludersi la risarcibilità, da parte del giudice amministrativo, dell’ipotetico danno patrimoniale derivante dalla mancata percezione, da parte dell’atleta non professionista, di un compenso eventualmente pattuito in ragione dell’attività agonistica svolta.

Nel caso su cui si controverte, risulta dagli atti che il ricorrente originario OMISSIS non era un’atleta professionista e per di più svolgeva la propria attività in seno ad una Federazione significativamente costituita proprio“per promuovere l’educazione fisica e per salvaguardare il benessere fisico e sportivo degli italiani e lo sviluppo delle attività ginnastiche dilettantistiche” (art. 1 Statuto Fgi).

Conclusioni analoghe vanno tratte per il cd. professionismo “di fatto”, pur evocato nelle difese dell’appellato OMISSIS, relativamente al quale, in ogni caso (a prescindere cioè dalle considerazioni da questi svolte in merito alla presunta rilevanza di tale categoria per l’ordinamento eurounitario), non è stata fornita, da parte dell’avente titolo, una reale prova del titolo di tale pretesa (ossia, che si fosse effettivamente in presenza di un rapporto sinallagmatico riconducibile allo schema del contratto di lavoro sportivo, avente data certa – relativamente alla sua formazione – anteriore all’irrogazione della prima sanzione disciplinare).

Deve pertanto concludersi, in parziale accoglimento dell’appello, per la non risarcibilità dell’importo di 8.000 euro, individuato nella sentenza di primo grado quale voce di danno “patrimoniale” conseguente al mancato percepimento, da parte dell’atleta, della retribuzione prevista dall'art. 4 del contratto con l'associazione Corpo Libero Gymnastics Team in considerazione dell’ingiusta squalifica subita.

Non appaiono invece fondate le contestazioni circa le ulteriori voci di danno liquidate dal primo giudice, ossia euro 1.650,00 quali spese sostenute per una perizia psico-patologica di parte ed euro 5.000,00 a titolo di risarcimento, in via equitativa, dei danni all’integrità psico-fisica patiti in conseguenza delle vicende disciplinari di cui trattasi.

Circa la prima voce di danno, l’appellante eccepisce che la parcella sarebbe priva di data, né supportata dalla prova dell’avvenuto pagamento, né ancora intestata ad un soggetto specifico in qualità di committente. Circa quest’ultimo profilo, però, il committente va verosimilmente individuato nel difensore del ricorrente OMISSIS – il quale agiva per conto e nell’interesse di quest’ultimo – come si desume dal p.to 1 della perizia della cui liquidazione si tratta (“in data 9 febbraio 2015 l’avv. Enrico Lubrano del Foro di Roma i poneva il seguente quesito …”).

In merito invece ai restanti profili, va detto che – trattandosi di oneri assunti nell’interesse del ricorrente, ai fini dell’azione giudiziaria risarcitoria – gli stessi sono comunque dovuti da quest’ultimo ai professionisti autori della perizia (ovvero al proprio difensore, ove questi per ipotesi avesse anticipato la relativa spesa), di talché non è necessaria la prova dell’intervenuto pagamento da parte del primo, trattandosi pur sempre di credito certo, liquido ed esigibile (sia pure espresso in una nota pro forma, per ragioni fiscali) nei confronti dello stesso.

Per quanto invece concerne l’ulteriore importo di euro 5.000,00 a titolo di danno psico-fisico, l’appellante contesta in particolare la mancata indicazione, da parte del primo giudice, dei criteri e degli elementi presi in considerazione al fine di operare la suddetta liquidazione.

Al riguardo, va però detto che la sentenza impugnata, seppur sinteticamente, individua le ragioni poste alla base di tale valutazione, date – sotto il profilo prettamente tecnico-scientifico – dal contenuto della perizia di parte prodotta dal ricorrente (dalla quale risultava un danno biologico permanente di natura psichica pari ad una percentuale del 15% di invalidità), idonea perlomeno ad integrare un principio di prova (per di più in assenza di precise contestazioni tecniche di merito ad opera della parte resistente, che anche in appello si limita ad invocare una verificazione, senza però dedurre specifici vizi – nel senso sopra detto – della perizia); sotto il profilo storico-fattuale il primo giudice considera invece rilevante la durata prima sanzione disciplinare (5 mesi da gennaio a giugno 2014) e del presumibile ristabilimento delle condizioni psichiche pregresse alla conclusione del periodo di applicazione della sanzione.

Ciò, peraltro, correttamente evitando duplicazioni risarcitorie, che “conseguirebbero alla considerazione in via autonoma del danno psichico e del danno esistenziale come voci distinte e concorrenti, a fronte di un unico pregiudizio di natura non patrimoniale sofferto per l’astensione dall’attività agonistica”.

Né i rilievi formulati dall’appellante circa l’erronea attribuzione allo OMISSIS della qualifica di atleta professionista – vertendosi invece in un contesto di sole attività sportive dilettantistiche – appare pertinente in relazione alle voci di danno non patrimoniale, prescindendo quest’ultimo, per sua stessa natura, dal predetto requisito personale.

Alla luce delle considerazioni in precedenza esposte, possono essere altresì decisi gli appelli autonomamente proposti dal Coni e da OMISSIS.

Per quanto concerne il primo di essi, va detto che la sentenza di primo grado ha circoscritto la responsabilità risarcitoria del Comitato olimpico nazionale italiano (in solido con la Fgi) ai soli danni scaturenti dal secondo periodo di sospensione dall’attività agonistica, non ravvisando per contro alcuna sua responsabilità in relazione al primo provvedimento, “avendo il TNAS del

CONI, come eccepito da quest’ultimo ente, annullato la sanzione disciplinare”. Tale responsabilità concerne il solo danno non patrimoniale, sub specie di danno psichico, liquidato nella somma di euro 4.000,00 anche in questo caso tenuto conto del periodo di sospensione concretamente patito rispetto all’effettiva durata della sanzione poi definitivamente ritenuta legittima dagli organi della giustizia sportiva.

Con il primo motivo di appello, il Coni contesta la decisione del giudice di prime cure “nella parte in cui ha accertato in via incidentale l’illegittimità della decisione del Collegio di Garanzia dello Sport sulla base di una diversa interpretazione circa la sussumibilità delle condotte contestate al sig. OMISSIS nell’ambito dei comportamenti lesivi del principio di lealtà sportiva”, in particolare sostituendo la propria valutazione dei fatti e delle disposizioni dell’ordinamento sportivo a quella del Collegio di garanzia dello sport e dei giudici federali.

Il motivo non è fondato, per le ragioni già esposte in relazione al primo motivo di appello della Fgi – avente contenuto analogo – non potendo il giudice amministrativo, nel particolare giudizio risarcitorio di cui trattasi, coinvolgente posizioni soggettive attive rilevanti per l’ordinamento generale, astenersi dal verificare preliminarmente ed in via incidentale la sussistenza, o meno, dei presupposti fattuali e giuridici della stessa.

Con il secondo motivo di appello viene invece contestato – sempre in relazione alla seconda misura sanzionatoria – il presupposto di merito su cui sarebbe fondata la decisione impugnata, ossia che il comportamento complessivamente tenuto dal ricorrente OMISSIS non era in contrasto con il generale principio di lealtà sportiva. Una tale conclusione sarebbe però scorretta, in quanto fondata sull’erroneo presupposto che i comportamenti per i quali era stata irrogata la sanzione coincidessero “con la scelta di far valere la ritenuta illegittimità delle adunanze che, in assenza di una valutazione di temerarietà da parte del giudice competente, non può essere stigmatizzata quale condotta di rilievo disciplinare”.

Invero, secondo l’appellante la seconda sanzione disciplinare avrebbe avuto a fondamento la complessiva condotta tenuta dal ricorrente, caratterizzata dall’uso emulativo dello strumento processuale, idoneo in quanto tale ad integrare una violazione della lealtà sportiva, emulatività che sarebbe stata pure accertata con sentenza del Tribunale amministrativo del Lazio n. 10772 del 2015.

Anche questo motivo non è fondato, in larga parte per le ragioni già evidenziate in relazione al secondo motivo di appello della Fgi.

Invero, il sol fatto di aver proposto due distinte azioni giudiziarie avanti al medesimo giudice amministrativo e di non aver correlatamente preso parte (dandone peraltro tempestiva notizia alla Federazione di appartenenza) alla riedizione parziale dell’Assemblea elettiva altro non rappresentava che il tentativo, pubblicamente dichiarato e per il quale l’interessato era effettivamente titolare di una qualificata posizione di interesse giuridicamente tutelato, di ottenere in via giurisdizionale l’integrale riedizione della medesima Assemblea.

Come noto, ai sensi dell’art. 113, comma primo, Cost. “Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa”, laddove (comma secondo) tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti.

Appare quindi evidente come anche relativamente alla seconda sanzione disciplinare la condotta tenuta dall’atleta OMISSIS costituisca esplicazione – sia pure ad oltranza – del proprio insopprimibile diritto di difesa, per tale inidoneo (perlomeno allo stato degli atti, in assenza cioè di più puntuali e qualificate argomentazioni degli organi federali titolari del potere sanzionatorio, che non si rinvengono nel caso di specie) ad integrare ex se violazione della cd. lealtà sportiva.

Né vale a contrastare tali rilievi quanto dedotto dal Collegio di garanzia dello sport nella decisione n. 8 del 2015 – puntualmente richiamata dall’appellante – laddove si sottolinea che “altro è ricorrere alla impugnazione per invalidare un risultato elettorale rispetto al quale si ritiene, fondatamente o meno, che la propria manifestazione di voto non sia stata correttamente conteggiata, altro è, una volta raggiunto tale risultato, continuare a coltivare ulteriori iniziative e, senza alcuna apparente giustificazione, non partecipare alle elezioni reindette proprio a seguito della impugnativa precedentemente promossa – così disattendendo, in seno alla compagine associativa, la propria funzione istituzionale di «grande elettore»”.

Invero, il fine sin dall’inizio dichiaratamente perseguito dallo OMISSIS non era una parziale ripetizione della precedente tornata elettorale, quanto piuttosto la sua integrale riedizione, sul presupposto che le sue concrete modalità di svolgimento fossero state infirmate da gravi irregolarità strutturali, tali da invalidare l’intera procedura e non solamente una sua singola fase (quella, nella specie, oggetto di parziale riedizione da parte della Fgi, in ottemperanza alla sentenza n. 15 del 2013 dell'Alta corte di giustizia).

Valgono, per il resto, i rilievi di carattere generale già evidenziati in relazione al secondo motivo di appello proposto dalla Fgi, anche per quanto concerne la “colpa” dell’amministrazione.

Con il terzo motivo di appello il Coni ha contestato la sentenza impugnata nella parte in cui avrebbe ritenuto censurabile la decisione del Collegio di garanzia dello sport per violazione del ne bis in

idem, dal momento che i due procedimenti disciplinari riguarderebbero due condotte collegate scaturite entrambe dal medesimo fatto originario.

In realtà, deduce l’appellante, le sanzioni irrogate sarebbero state legate ad episodi riconducibili a vicende tra loro diverse: a prima era infatti relativa all’Assemblea federale plenaria del 15 dicembre 2012; la seconda concerneva invece la votazione del solo comparto atleti del 7 settembre 2013.

La seconda sanzione, in particolare, sarebbe stata da ricollegare alla reiterazione di domande giudiziarie ed all’utilizzo dello strumento giudiziario per il raggiungimento di fini diversi da quelli consentiti.

Sul presupposto dunque che “oggetto dei due procedimenti disciplinari […] non è l’assemblea elettiva, bensì le reiterate azioni poste in essere dal Sig. OMISSIS finalizzate a contestare il Consiglio regolarmente eletto senza poi neppure partecipare alle medesime, ponendo in essere una condotta meramente emulativa”, sarebbe da ritenersi del tutto “errata la statuizione del Tar secondo la quale sarebbe rinvenibile, nel caso di specie, una violazione del principio del ne bis in idem, in quanto «le due condotte rimproverate allo OMISSIS risultano collegate tra loro e scaturite entrambe dal medesimo fatto originario, ovvero la contestata invalidità del primo scrutinio»”.

Anche questo motivo non è fondato.

Il verbale d’udienza 26 giugno 2014 della Commissione di giustizia di primo grado della Fgi (doc. 9 della Federazione, nel precedente grado di giudizio), con cui veniva irrogata la sanzione di cui trattasi, individua le ragioni dell’addebito mosso a OMISSIS nella presunta “violazione degli artt. 2 e 27 R.D. per aver presentato ricorso al TAR Lazio avverso decisione dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva del CONI, per la difesa di interessi che non sono tutelati in via esclusiva dall’ordinamento dello Stato e per finalità diverse da quelle di garantire il diritto dell’elettorato attivo. In Roma, 10.01.2014”.

Dalla lettura di detto verbale e del precedente in data 30 maggio 2014 (doc. 8 Fgi) non emergono, però, le ipotetiche, specifiche ragioni che avrebbero dovuto autonomamente fondare – nella prospettazione di parte appellante – il secondo procedimento disciplinare.

La questione viene in qualche modo affrontata dalla già richiamata decisione n. 8 del 2015 del Collegio di garanzia dello sport, nel riferirsi genericamente ad “ulteriori iniziative e, senza alcuna apparente giustificazione, non partecipare alle elezioni reindette proprio a seguito della impugnativa precedentemente promossa”.

L’argomento non è persuasivo, per le ragioni già enunciate in ordine al precedente motivo di appello, avendo sin dall’inizio lo OMISSIS puntato ad ottenere (dapprima in via amministrativa e, quindi, in sede giurisdizionale) l’integrale riedizione della tornata elettorale, essendo dunque spiegabili (e soprattutto legittime) le sue ulteriori iniziative giudiziarie, a seguito di un primo risultato financo favorevole, ma pur solo parziale.

Appare quindi condivisibile quanto rilevato dal primo giudice, per cui “i comportamenti che sono stati oggetto di sanzione sono quindi espressione della medesima determinazione, in quanto il secondo è conseguito al primo solo in considerazione dell’accoglimento parziale della prima domanda”.

Con il quarto motivo di appello viene invece ribadito il difetto di legittimazione passiva del Coni (e del Collegio di garanzia dello sport) sul presupposto che, a mente dell’art. 3 del d.l. n. 220 del 2003, le controversie devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo cui la norma si riferisce sarebbero solo quelle aventi a oggetto gli atti del Coni o delle Federazioni sottoposti al previo scrutinio dei detti organi di giustizia domestica e non anche le decisioni adottate dalla giustizia sportiva su tali atti; poiché peraltro nell’ambito del giudizio di primo grado non sarebbero stati impugnati provvedimenti adottati dal Coni, né essendo a quest’ultimo imputabile la decisione adottata dal Collegio di garanzia dello sport, il Coni sarebbe privo di legittimazione passiva nella controversia.

Privo di legittimazione passiva sarebbe inoltre lo stesso Collegio di garanzia dello sport, che non solo non sarebbe un organo del Coni, ma neppure un’amministrazione attiva.

Il motivo non è fondato. Come condivisibilmente rilevato dal primo giudice di prime cure, il Collegio di garanzia dello sport risulta essere un organo appartenente all’ente pubblico Coni, in ragione di quanto disposto nello Statuto di quest’ultimo (atteso che l’art. 12, con cui viene definito nel suo complesso il sistema di giustizia sportiva – al cui vertice è posto il predetto Collegio di garanzia, ex art. 12-bis – è parte integrante del Titolo II, che ne disciplina l’organizzazione interna).

Ora, atteso che le decisioni adottate da parte del Collegio di garanzia dello sport incidono sull’oggetto della controversia, potendo modificare – in funzione nomofilattica – i provvedimenti sanzionatori adottati da parte delle singole Federazioni sportive, ai sensi dell’art. 12-bis comma 3 dello Statuto del Coni (come del resto avvenuto, nel caso di specie), sono proprio dette decisioni a dover essere contestate, se del caso, avanti al giudice amministrativo, con conseguente legittimazione passiva del Coni.

Con il quinto motivo di appello, infine, viene contestata la configurabilità, nella presente vertenza, del profilo soggettivo della colpa in capo all’appellante Coni: da un lato, erroneamente il primo giudice non avrebbe applicato la limitazione della responsabilità alle sole ipotesi di dolo o colpa grave prevista dalla l. n. 117 del 1988 sul risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati; dall’altro, le decisioni oggetto del giudizio sarebbero state disposte in conseguenza di una situazione di indubbia complessità, derivante sia dal difficile accertamento dei fatti (che già di per sé sarebbe sufficiente a integrare l’errore scusabile), sia dalla difficile interpretazione delle clausole generali di lealtà e di fair play sportivo, sia ancora dalla difficoltà di accertare la situazione di abuso di un diritto alla tutela del diritto di difesa, laddove sussiste un’obiettiva incertezza della regola iuris applicabile, non univoca.

In ogni caso, l’appellante Coni eccepisce che il Tar avrebbe omesso di effettuare qualsivoglia considerazione sul danno, sia sulla derivazione dalle decisioni degli organi di giustizia sportiva sia sull’effettiva quantificazione, limitandosi a richiamare la perizia psicologica depositata dal ricorrente OMISSIS e, comunque, omettendo di indicare i criteri e gli elementi presi in considerazione al fine di liquidare in via equitativa l’asserito danno psico-fisico.

Il motivo è solo parzialmente fondato, con riferimento al profilo del quantum debeatur. Per il resto, quanto al preliminare profilo dell’an, valgono le considerazioni già svolte in merito al secondo, terzo e quarto motivo di appello proposti dalla Fgi.

Parte appellante eccepisce, in primo luogo, che il primo giudice non avrebbe accertato l’effettiva allegazione e dimostrazione, da parte dell’asserito danneggiato, dell’effettiva esistenza di un pregiudizio; quindi, che non sarebbe stata dimostrato il nesso causale esistente tra la sospensione confermata dal Collegio di garanzia dello sport ed il danno lamentato.

Infine, contesta la mancata indicazione, da parte del primo giudice, dei criteri considerati ai fini della valutazione equitativa del danno psico-fisico, essendosi questo limitato a richiamare la perizia psicologica depositata dallo OMISSIS, che di per sé non costituirebbe però una sufficiente allegazione.

Sui primi due profili, può richiamarsi quanto già detto in relazione alle analoghe censure dedotte con l’appello della Fgi, atteso che la prova del danno non patrimoniale, attenendo ad un bene immateriale, precipuamente può essere fornita mediante presunzioni – mezzo peraltro non relegato dall’ordinamento in grado subordinato nella gerarchia delle prove – cui il giudice può far ricorso anche in via esclusiva per la formazione del suo convincimento (in termini, Cass. civ., Sez. lav., 26 luglio 2017, n. 18506).

Nella specie, il ricorrente aveva fornito tale dimostrazione (perlomeno quanto all’an) tramite la produzione di apposita perizia tecnica di parte, che dunque ben poteva essere presa in considerazione dal giudice, trattandosi di un documento non solo regolarmente acquisito agli atti di causa, ma comunque dotato di valenza istruttoria – sia pur di parte – tanto più in assenza di puntuali controdeduzioni (attinenti il merito delle valutazioni tecniche) da parte dell’amministrazione resistente, che a rigore ben avrebbe potuto sottoporre all’attenzione del giudicante una propria, motivata controperizia.

Quanto invece ai parametri sulla cui base è stato condotto il calcolo del danno, anche in questo secondo caso la sentenza indica l’effettiva durata della sospensione.

A tal punto, però, l’importo di 4.000 euro di risarcimento – a fronte di una sospensione ridotta da sei a quattro mesi (ossia i due terzi della durata iniziale) – non pare del tutto coerente con quello di 5.000 euro comminato, per ragioni analoghe – a fronte di una sanzione disciplinare di dodici mesi poi però integralmente annullata.

Non emergendo dal testo della decisione impugnata degli ulteriori criteri accessivi di calcolo, deve concludersi che, essendo stati utilizzati per entrambe le sanzioni i medesimi parametri, l’importo del secondo risarcimento andrà necessariamente ridotto, tenendo conto della presenza e dell’entità, nel secondo caso, di una sanzione disciplinare sì ridotta, ma comunque alla fine definitivamente inflitta.

Per l’effetto ritiene il Collegio di dover rideterminare l’ammontare del risarcimento del danno non patrimoniale in favore di OMISSIS ed a carico del Coni, sia pure in via equitativa, in euro 2.500,00.

Per quanto infine concerne l’appello proposto da OMISSIS, lo stesso risulta articolato in due distinti motivi, relativi alle voci di danno non patrimoniale liquidate dal giudice amministrativo in relazione alla prima ed alla seconda sanzione disciplinare.

Con il primo motivo di gravame, in particolare, la sentenza di primo grado viene censurata nella parte in cui ha ritenuto di fissare nella misura di euro 5.000,00 – anziché in quella ben più elevata di euro 89.000,00 individuata nella perizia di parte del ricorrente – la somma che la Fgi sarebbe tenuta a corrispondere a OMISSIS Riccoardo, a titolo di risarcimento per l’ingiusta sospensione dell’attività agonistica in conseguenza della prima sospensione disciplinare, poi dichiarata illegittima con lodo Tnas.

Il motivo non appare fondato. Parte appellante deduce il difetto di istruttoria e di motivazione con riferimento all’iter logico seguito dal primo giudice per giungere alla cifra liquidata, così come una violazione dell’art. 1226 Cod. civ. e dei principi di ragionevolezza e proporzionalità dei “tagli” da questi disposti: contesta, in particolare, che nel caso di specie potesse venire in essere una duplicazione tra “danno biologico” e “danno esistenziale”, potendosi il danno non patrimoniale articolarsi in entrambe le voci e comunque – nel quantum – evidenzia come il calcolo effettuato nella perizia di parte già tenesse conto del periodo di effettiva sospensione subita.

Al riguardo, va evidenziato come in tema di liquidazione del danno non patrimoniale, l’equità deve intendersi nel significato di adeguatezza e di proporzione, alla luce di tutte le circostanze concrete del caso specifico, onde ristorare il pregiudizio effettivamente subito dal danneggiato, escludendo tra l’altro qualsiasi duplicazione risarcitoria.

Quanto alla questione della possibile duplicazione delle voci di danno risarcibili, va ricordato, a conferma dell’esegesi seguita al primo giudice, che il danno non patrimoniale individua una categoria concettuale unitaria rispetto alla quale il richiamo alle singole voci del c.d. “danno morale”, di quello “biologico” o, più in generale, del pregiudizio arrecato alle forme di esplicazione della persona dotate di rilievo costituzionale (“danno esistenziale”), non valgono a superare la dimensione di una semplice sintesi descrittiva di conseguenze dannose, pur sempre secondarie alla violazione di prerogative giuridicamente rilevanti ai sensi dell’art. 2059 Cod. civ. (in termini, Cass. civ., 2 febbraio 2017, n. 2720).

Quanto invece alla dedotta questione del difetto di motivazione in relazione al quantum del risarcimento concretamente determinato in sentenza, va ricordato che il giudice è sì tenuto a fornire congrue ragioni del procedimento logico attraverso il quale è pervenuto a giudicare proporzionata una certa misura del risarcimento, indicando sia pur sinteticamente gli elementi a tal fine valorizzati (Cass. civ., Sez. lav., 20 ottobre 1998, n. 10405), senza che ciò si traduca nell’onere di dover fornire un’elencazione particolareggiata di ciascuno degli elementi in base ai quali è stata tratta la decisione.

Nel caso di specie, come già rilevato in relazione al quarto motivo di appello della Fgi ed al quinto del Coni, il primo giudice ha sia pur sinteticamente dato atto dei criteri e dei presupposti utilizzati ai fini della valutazione dell’an e del quantum del danno non patrimoniale; del resto, come riconosciuto anche dalla giurisprudenza civile, “la valutazione equitativa del danno, in quanto inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimazione, è suscettibile di rilievi in sede di legittimità, sotto il profilo della motivazione, solo se difetti totalmente la giustificazione che quella statuizione sorregge, o macroscopicamente si discosti dai dati di comune esperienza, o sia radicalmente contraddittoria” (Cass.civ., Sez. lav., 19 maggio 2010, n. 12318).

Le censure di parte appellante, per contro, oltreché generiche, non appaiono persuasive, non potendosi da un lato attribuire ad una perizia di parte – che pure il giudice può tenere in conto, sotto il profilo istruttorio, nella formazione del suo convincimento – un’efficacia probatoria piena, tale per cui il giudicante debba espressamente motivare circa il discostamento da una o più risultanze della stessa; né, per contro, l’appellante risulta aver dimostrato che le motivazioni della sentenza impugnata non abbiano tenuto conto di tutti i dati di fatto acquisiti al processo.

Analogamente dicasi per il secondo motivo di appello, di analogo contenuto rispetto al precedente in relazione alla liquidazione del danno (non patrimoniale) conseguentemente alla seconda misura disciplinare.

Conclusivamente, alla luce dei rilievi sovra esposti, l’appello proposto dalla Federazione ginnastica d’Italia va parzialmente accolto, nei termini di cui in motivazione, analogamente a quello proposto dal Coni, mentre va respinto il gravame proposto da OMISSIS.

La complessità e novità delle questioni sottoposte all’esame del Collegio giustificano peraltro l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese di lite del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti, come in epigrafe proposti, parzialmente accoglie l’appello della Federazione ginnastica d’Italia, nei sensi di cui in motivazione, conseguentemente respingendo il ricorso introduttivo limitatamente alla voce di danno patrimoniale della mancata percezione, per effetto della squalifica, della retribuzione prevista dal contratto con l’associazione Corpo Libero Gymnastics Team per l’intera stagione agonistica.

Accoglie parzialmente l’appello del Comitato olimpico nazionale italiano, nei sensi di cui in motivazione, per l’effetto riducendo l’importo del danno non patrimoniale da risarcire.

Respinge l’appello proposto da OMISSIS.

Compensa interamente tra le parti le spese di lite dell’attuale grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 giugno 2018 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Valerio Perotti, Consigliere, Estensore

Angela Rotondano, Consigliere

Stefano Fantini, Consigliere

Giovanni Grasso, Consigliere

DirittoCalcistico.it è il portale giuridico - normativo di riferimento per il diritto sportivo. E' diretto alla società, al calciatore, all'agente (procuratore), all'allenatore e contiene norme, regolamenti, decisioni, sentenze e una banca dati di giurisprudenza di giustizia sportiva. Contiene informazioni inerenti norme, decisioni, regolamenti, sentenze, ricorsi. - Copyright © 2024 Dirittocalcistico.it