CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 4033/2020 Pubblicato il 24/06/2020 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 4033/2020
Pubblicato il 24/06/2020
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale (…), proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Adami e Andrea Ferrari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,
contro
il Ministero dell’Interno e la Questura della Provincia di Ferrara, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,
per la riforma
della sentenza del Tar Emilia Romagna, sede di Bologna, sez. I, -OMISSIS-, non notificata, con la quale è stato respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento di Daspo, emesso dalla Questura di Ferrara, -OMISSIS-, nei confronti del signor -OMISSIS-.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Questura della Provincia di Ferrara
Vista la memoria difensiva del signor -OMISSIS- depositata in data 30 aprile 2020;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 21 maggio 2020, svoltasi da remoto in videoconferenza ex art. 84, comma 6, d.l. n. 18 del 2020, il Cons. Giulia Ferrari;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. In -OMISSIS-la Questura della Provincia di Ferrara ha emesso il provvedimento (c.d. Daspo), con il quale è stato fatto divieto al signor -OMISSIS- di accedere, per un periodo di cinque anni, ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive, eventi calcistici nazionali (serie A – B – Lega Pro – D), nonché a tutti gli incontri di calcio relativi alla Coppa Italia, Europa League e Champions League ed internazionali disputati dalla Nazionale Italiana e dalla medesima compagine “Under 21” e, in particolare, agli incontri a cui partecipa la squadra della -OMISSIS- amichevoli comprese, che rientrano tra quelle ufficialmente autorizzate o riconosciute dalle rispettive Federazioni.
Il provvedimento ha tratto fondamento dalla circostanza che, in data 10 agosto 2018, il signor -OMISSIS-, insieme ad un’ottantina di tifosi della -OMISSIS-), ha partecipato ad un corteo non autorizzato, con bandiere e fumogeni accesi, per dirigersi all’evento di presentazione dei calciatori della -OMISSIS-per il campionato 2018/2019. In particolare, il signor -OMISSIS- è stato individuato quale tifoso che, con l’utilizzo di un megafono, ha guidato la manifestazione.
2. Con ricorso proposto innanzi al Tar Emilia Romagna, sede di Bologna, il signor -OMISSIS- ha impugnato il Daspo sostenendo, in particolare, l’inapplicabilità, alla vicenda in esame, dell’art. 6, l. n. 401 del 1989, non reputando che i fatti ascrittigli rientrassero tra le condotte commesse “in occasione o a causa di manifestazioni sportive”, come previsto dalla citata disposizione.
3. Con sentenza -OMISSIS- la sez. I del Tar Bologna ha respinto il ricorso.
In particolare, il primo giudice ha ritenuto che la fattispecie oggetto di causa rientrasse nella situazione di comportamenti pericolosi per l’ordine e la sicurezza pubblici commessi da sostenitori di squadre sportive “a causa di manifestazioni sportive”. L’evento in parola sarebbe assimilabile ad una “manifestazione sportiva”, avendo caratteri omogenei ad essa, quali la comune movimentazione di un gran numero di sostenitori e l’esistenza di un diretto collegamento con le gare ufficiali che la squadra di calcio della OMISSIS avrebbe disputato nel campionato 2018/2019.
4. La citata sentenza -OMISSIS- è stata impugnata con appello depositato il 16 agosto 2019, riproducendo sostanzialmente le censure non accolte in primo grado e ponendole in chiave critica rispetto alla sentenza avversata.
In particolare, il signor -OMISSIS- ha ribadito:
a) che l’art. 6, comma 1, l. n. 401 del 1989, nel rigoroso rispetto del principio di legalità, richiederebbe una connessione significativa tra l’episodio di violenza e la manifestazione sportiva, assente nel caso di specie.
A tale conclusione sarebbe giunto anche il GIP presso il Tribunale di Ferrara che, con ordinanza del 14 settembre 2018 (relativa alla convalida dell’obbligo di presentazione all’Autorità Giudiziaria ex art. 6, comma 2, l. n. 401 del 1989), avrebbe rilevato come, nel caso di specie, difetterebbe il necessario rapporto di diretta, immediata e stretta causalità tra l’azione e una competizione sportiva.
Peraltro, solo la recente modifica dell’art. 6, l. n. 401 del 1989, attuata con il d.l. n. 53 del 14 giugno 2019 (conv. in l. n. 77 dell’8 agosto 2019), avrebbe disancorato completamente ed esplicitamente il Daspo dall’evento sportivo;
b) che il provvedimento impugnato sarebbe generico nell’individuare i luoghi nei quali l’appellante non dovrà recarsi o avvicinarsi per tutta la durata del Daspo;
c) che i reati riconducibili alle condotte dell’appellante – id est manifestazione non autorizzata (ex art. 18, TULPS) e interruzione di pubblico servizio (ex art. 340 c.p.) – non rientrerebbero nell’elencazione tassativa di cui all’art. 6, comma 1, l. n. 401 del 1989.
5. Il Ministero dell’Interno e la Questura della Provincia di Ferrara si sono costituiti in giudizio senza depositare scritti difensivi.
6. All’udienza del 21 maggio 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Oggetto della controversia è il provvedimento di “divieto di accesso agli impianti sportivi” (Daspo), emesso dalla Questura di Ferrara nei confronti dell’appellante – già destinatario di Daspo nel 2014 – perchè, in data 10 agosto 2018, insieme ad un’ottantina di tifosi -OMISSIS-), ha partecipato ad un corteo non autorizzato, con bandiere e fumogeni accesi, per dirigersi all’evento di presentazione dei calciatori della squadra -OMISSIS- che avrebbero giocato nel campionato 2018/2019. In particolare, l’appellante è stato individuato quale tifoso che, con l’utilizzo di un megafono, ha guidato la manifestazione.
Per gli atti di violenza commessi, l’appellante ed altri tifosi sono stati deferiti alla locale Procura della Repubblica perché ritenuti responsabili dei reati di corteo non preavvisato, violenza o minaccia a P.U., interruzione di pubblico servizio, lancio di materiale pericoloso in occasione di manifestazione sportiva, possesso di artifizi pirotecnici in occasione di manifestazione sportiva, violenza o minaccia nei confronti degli addetti ai controlli dei luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive. A seguito di notifica dell’avviso ex art. 415 bis cod. proc. pen. si apprendeva che il Pm ha concluso le indagini unicamente per i reati di manifestazione non autorizzata e di interruzione di pubblico servizio.
L’appellante afferma l’illegittimità del provvedimento innanzitutto perché manca qualsiasi nesso tra l’episodio di violenza ascritto e l’evento sportivo, nesso che è invece il presupposto del Daspo. Il Daspo, infatti, per sua natura è preordinato ad arginare esclusivamente i fenomeni di violenza originatasi entro i confini delle manifestazioni sportive e tale non può essere considerata la presentazione della squadra di calcio ai suoi tifosi.
Preliminarmente e in via generale occorre premettere che in base alla formulazione dell’art. 6, comma 1, l. n. 401 del 1989, nel testo vigente al momento dell’adozione del Daspo impugnato (17 agosto 2018), “Nei confronti delle persone che risultano denunciate o condannate anche con sentenza non definitiva nel corso degli ultimi cinque anni per uno dei reati di cui all'articolo 4, primo e secondo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110, all'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, all'articolo 2, comma 2, del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, all'articolo 6-bis, commi 1 e 2, e all'articolo 6-ter, della presente legge, nonché per il reato di cui all'articolo 2-bis del decreto-legge 8 febbraio 2007, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2007, n. 41, e per uno dei delitti contro l'ordine pubblico e dei delitti di comune pericolo mediante violenza, di cui al libro II, titolo V e titolo VI, capo I, del codice penale, nonché per i delitti di cui all'articolo 380, comma 2, lettere f) ed h) del codice di procedura penale, ovvero per aver preso parte attiva ad episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza, il questore può disporre il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive specificamente indicate, nonché a quelli, specificamente indicati, interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle manifestazioni medesime.”.
La norma, nella formulazione ratione temporis vigente, prevede quindi che il Daspo sia adottato nei confronti di chi si rende protagonista di atti violenti “in occasione o a causa di manifestazioni sportive”.
La questione che si pone al Collegio è se la cerimonia organizzata per presentare i calciatori di una squadra di calcio che avrebbe giocato al campionato 2018/19 si possa definire “evento sportivo”.
Per dare una risposta a questo interrogativo appare necessario risalire alla ratio sottesa all’istituto del Daspo. Si tratta di misura preventiva e non sanzionatoria, come pure ha chiarito di recente la Corte europea dei diritti dell’uomo, in via generale, sulle analoghe misure previste dalla legislazione croata (Corte europea dei diritti dell’uomo, sez. I, 8 novembre 2018, ric. n. 19120/15, Seražin c. Croazia), menzionando tra le altre legislazioni in materia anche quella italiana e pervenendo ad escludere la natura sanzionatoria della misura amministrativa, sulla base dei cc.dd. criterî Engel, sia per l’applicabilità della misura indipendentemente da una condanna penale, sia anche per la finalità prevalente della misura, consistente nella creazione di un ambiente che prevenga comportamenti violenti o pericolosi a protezione dell’ordine pubblico e degli altri spettatori, sia infine per la mancanza di afflittività, non consistendo in una privazione della libertà o in una imposizione di obbligazione pecuniaria (Cons. St., sez. III, 4 febbraio 2019, n. 866).
Occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 6, comma 1, l. n. 401 del 1989, il Daspo anche nel nostro ordinamento, non diversamente che in quello croato, può essere altresì disposto nei confronti di chi, sulla base di elementi di fatto, risulta avere tenuto, anche all’estero, una condotta, sia singola che di gruppo, evidentemente finalizzata alla partecipazione attiva ad episodi di violenza, di minaccia o di intimidazione, tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica o a creare turbative per l’ordine pubblico.
Anche per il Daspo disposto dal Questore - come per tutto il diritto amministrativo della prevenzione incentrato su una fattispecie di pericolo per la sicurezza pubblica o per l’ordine pubblico - deve valere la logica del “più probabile che non”, non richiedendosi, anche per questa misura amministrativa di prevenzione (al pari di quelle adottate in materia di prevenzione antimafia), la certezza ogni oltre ragionevole dubbio che le condotte siano ascrivibili ai soggetti destinatari del Daspo, ma, appunto, una dimostrazione fondata su “elementi di fatto” gravi, precisi e concordanti, secondo un ragionamento causale di tipo probabilistico improntato ad una elevata attendibilità.
2. Considerata dunque la ratio sottesa a tale istituto, appare evidente la riconducibilità dell’atto di violenza di cui si è reso protagonista l’appellante, partecipando ad una manifestazione non organizzata con altri tifosi (circa una ottantina) della OMISSISl, alle ipotesi delineate dall’art. 6, comma 1, l. n. 401 del 1989.
Se, infatti, alla base di questa misura è la necessità di evitare che lo sport possa essere l’occasione per dare sfogo ad atti di violenza, certo è che anche la manifestazione non autorizzata, organizzata per presentare i giocatori di una squadra di calcio, sfociata anche in episodi di guerriglia – indipendentemente da parte di chi, questi ultimi, sono stati commessi – rientra nel concetto di “manifestazioni sportive”.
Soccorre a tale proposito l’art. 2 bis, d.l. 20 agosto 2001, n. 336, che al comma 1 ha fornito l’interpretazione autentica del concetto di “manifestazioni sportive”, da intendersi come le “competizioni che si svolgono nell'ambito delle attività previste dalle Federazioni sportive e dagli enti e organizzazioni riconosciuti dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI)”. Gli episodi violenti devono essere commessi nel contesto o nell’ambito di manifestazioni/competizioni sportive, ovvero - se avulsi da detto contesto spazio/temporale - essere, comunque, posti in essere in relazione a detti eventi o possedere elementi di omogeneità con le manifestazioni/ competizioni: in questo senso va, quindi, interpretata la locuzione “a causa di” utilizzata dal comma 1 dell’art. 6, l. n. 401 del 1989. Tale nesso di causalità indubbiamente sussiste nel caso di manifestazione organizzata per presentare i giocatori che saranno protagonisti del campionato di calcio. La condotta di cui si è reso protagonista anche l’appellante trovava, dunque, la sua “causa” nelle prossime competizioni alle quali avrebbe partecipato il sodalizio OMISSISl ponendosi, in tal modo, in (stretta) relazione logica di mezzo a fine con le prossime manifestazioni sportive (così come programmate negli imminenti calendari calcistici), mentre - sotto il profilo oggettivo (uso di modelli comportamentali collettivi) e soggettivo (consistenti gruppi di tifosi organizzati) - essa si è rivelata del tutto omogenea agli episodi che la norma introduttiva del Daspo, della cui applicazione qui si controverte, intende prevenire.
Come di recente chiarito anche dalla Corte di cassazione (sez. III, 16 gennaio 2017, n. 1767), l’espressione "in occasione o a causa di manifestazioni sportive" non deve essere inteso nel senso che gli atti di violenza o comunque le restanti condotte che possano giustificare l’adozione dei provvedimenti di cui all'art. 6, l. n. 401 del 1989 debbano essersi verificati durante lo svolgimento della manifestazione sportiva ma nel senso che con essa abbiano un immediato nesso eziologico, ancorché non di contemporaneità. La ratio della disposizione in questione è, infatti, quella di prevenire fenomeni di violenza, tali da mettere a repentaglio l'ordine e la sicurezza pubblica, laddove questi siano connessi non con la pratica sportiva ma con l'insorgenza di quegli incontrollabili stati emotivi e passionali che, tanto più ove ci si trovi di fronte ad una moltitudine di persone, spesso covano e si nutrono della appartenenza a frange di tifoserie organizzate, perlopiù, ma non esclusivamente, operanti nell'ambito del gioco del calcio. Si tratta di fenomeni per i quali fungono da catalizzatore, spesso con improvvise a incontrollabili interazioni, sia l'andamento agonistico più o meno soddisfacente della compagine per la quale si parteggia ovvero le modalità con cui l'apparato amministrativo ed organizzativo di questa intende condurre il rapporto con la propria tifoseria sia l'eventuale confronto, in una logica elementare in cui la appartenenza ad un gruppo comporta l’ostilità verso altri gruppi, immediatamente intesi come possibili assalitori, con una tifoseria avversa. È, pertanto, evidente che un'eventuale limitazione della portata della norma ora in questione, che ne confinasse l'applicazione alla sola durata della manifestazione sportiva, ridurrebbe di molto l’efficacia dissuasiva della medesima, posto che renderebbe inapplicabile la relativa disciplina ogniqualvolta gli eventi, pur determinati da una mal governata passione sportiva e dalla distorsione del ruolo del tifoso, si realizzino in un momento diverso dal verificarsi del fattore che li ha scatenati.
Con riferimento al caso all’esame del Collegio, l’immediata ed univoca connessione eziologica fra le condotte poste a fondamento della misura di prevenzione e lo svolgimento di manifestazioni sportive è, pertanto, tale da giustificare, senza alcun dubbio, stante la natura stessa dei provvedimenti presi (essendo questi volti a prevenire, attraverso la realizzata innocuità dei soggetti apparentemente più facinorosi, il verificarsi di più gravi eventi parimenti connessi con lo svolgimento di manifestazioni sportive), la loro adozione, senza che incida su di essa il fatto che i medesimi fatti di violenza siano avvenuti non nel corso di una manifestazione sportiva.
3. L’appellante, con il secondo motivo, censura il Daspo per violazione dell’obbligo di puntuale indicazione dei luoghi in relazione ai quali è inibita la circolazione del destinatario della misura; la sentenza del Tar Bologna è a sua volta erronea per non aver rilevato tale vizio.
Ad avviso dell’appellante l'indicazione precisa dei luoghi per i quali esso vige è infatti necessaria, poiché risponde alla ratio di evitare che la libertà di circolazione del cittadino, garantita dall'art. 16 Cost., possa con formule generiche essere compressa entro limiti poco circoscritti e suscettibili di essere ampliati o ristretti in concreto dall'autorità amministrativa.
Il motivo è privo di pregio, risultando la delimitazione dei luoghi in cui opera il divieto sufficientemente effettuata dalla Questura di Ferrara, tenuto conto dell’impossibilità di elencare in modo dettagliato i luoghi (vie, piazze) adiacenti gli impianti sportivi di tutte le città italiane interessate,
Nella specie, peraltro, il Questore di Ferrara ha fatto esaustivo riferimento non solo “ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive, eventi calcistici nazionali -OMISSIS-amichevoli comprese che rientrano tra quelle ufficialmente autorizzate o riconosciute dalle rispettive federazioni, nonché alle zone interessate ai ritiri e ai raduni ai quali sia presente la predetta squadra della "OMISSIS 2013’), ma anche ai luoghi interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle competizioni medesime a cui partecipa la predetta società sportiva, in particolare alla zona della Stazione FFSS di Ferrara, al percorso dalla predetta Stazione allo Stadio ‘Paolo Mazza’ e viceversa, nonché nell’area ricompresa nei pressi del predetto stadio ed indicativamente all’interno di viale Cavour, Corso Isonzo, via Darsena, via San Giacomo e viale Costituzione; ha quindi ben indicato anche il percorso cittadino inibito.
4. Anche il terzo motivo non è suscettibile di positiva valutazione.
Si afferma che dei capi di imputazione inizialmente ascritti all’appellante (reati di corteo non preavvisato, violenza o minaccia a P.U., interruzione di pubblico servizio, lancio di materiale pericoloso in occasione di manifestazione sportiva, possesso di artifizi pirotecnici in occasione di manifestazione sportiva, violenza o minaccia nei confronti degli addetti ai controlli dei luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive) sono infine residuati solo i reati di “manifestazione non autorizzata” e “interruzione di pubblico servizio”, non inclusi nell’elenco tassativo dei reati la cui commissione comporta il divieto di accesso agli impianti sportivi”
Ritiene il Collegio che la manifestazione non autorizzata, che ha assunto i connotati del raduno violento di una ottantina di tifosi, con lancio di materiale pericoloso – e non rileva da parte di chi – rientra a pieno titolo nella previsione del comma 1 dell’art. 6 nella formulazione ratione temporis applicabile, avendo comunque particolato ad una manifestazione (violenta) non autorizzata, che ha portato all’interruzione di un pubblico servizio (la corsa di un mezzo di trasporto pubblico).
5. L’appello deve quindi essere respinto, in considerazione della legittimità del provvedimento di Daspo emesso nei confronti dell’appellante, sulla base di concreti elementi di fatto e secondo la cennata logica del “più probabile che non” applicabile a tutto il diritto amministrativo della prevenzione, non esclusi, quindi, i provvedimenti di Daspo in ragione della loro essenziale, innegabile, finalità preventiva, quale ora affermata anche dalla stessa Corte europea dei diritti dell’uomo.
La mancanza di difesa scritta da parte dell’Amministrazione giustifica la compensazione delle spese e degli onorari del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza),
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compresa tra le parti in causa le spese e gli onorai del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare parte appellante.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2020, svoltasi da remoto in videoconferenza ex art. 84, comma 6, d.l. n. 18 del 2020, con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini, Presidente
Giulio Veltri, Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere
Stefania Santoleri, Consigliere
Giulia Ferrari, Consigliere, Estensore