CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 4790/2019 Pubblicato il 09/07/2019 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA N. 4790/2019

Pubblicato il 09/07/2019

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale (…), proposto da F.I.G.C. - Federazione Italiana Giuoco Calcio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il loro studio in Roma, via Panama, n. 58;

contro

OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avvocati Paolo Scaparone e Jacopo Gendre, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

CONI - Comitato Olimpico Nazionale Italiano, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (sezione prima-ter) n. 05913/2018, resa tra le parti;

Visto il ricorso in appello;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di OMISSIS;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del 28 marzo 2019 il Cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti gli avvocati Medugno e Botasso, su delega dell’avv. Gendre;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

1. Il sig. OMISSIS subiva un procedimento disciplinare, avviato dalla Procura federale della F.I.G.C. - Federazione Italiana Giuoco Calcio nel 2012 in correlazione a un procedimento penale all’epoca pendente presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Cremona avente a oggetto il fenomeno del c.d. “calcio-scommesse”, per fatti relativi alla gara OMISSIS -Siena del 1° maggio 2011, cui egli aveva partecipato quale calciatore della OMISSIS  Calcio s.p.a..

In tale ambito, con comunicato ufficiale n. 11 del 10 agosto 2012, la Commissione disciplinare nazionale F.I.G.C. irrogava al medesimo la sanzione della squalifica di sei mesi, per la fattispecie, derubricata, di omessa denunzia della “combine” sulla partita.

Con atto 22 agosto 2012 le Sezioni unite della Corte federale F.I.G.C., adite dall’interessato, confermavano la sanzione.

Il procedimento si concludeva con il lodo 22 ottobre/2 novembre 2012 del Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport-TNAS, all’epoca organo di ultima istanza del sistema giustiziale sportivo, che assolveva il calciatore da ogni addebito, per assenza di elementi di prova del coinvolgimento del calciatore nei fatti addebitatigli.

2. Con ricorso proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, il OMISSIS domandava la condanna della F.I.G.C. al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti a causa dell’illegittimità della sanzione disciplinare annullata.

Il ricorrente, quanto all’antigiuridicità della condotta della F.I.F.C., evidenziava, sulla scorta del lodo TNAS, di essere stato coinvolto nel procedimento disciplinare sulla esclusiva base delle dichiarazioni rese da altro calciatore imputato nel cennato procedimento penale, prive di qualsiasi riscontro in altri elementi probatori.

Quanto al danno, deduceva, tra altro, che la conferma della squalifica da parte della Corte di giustizia federale aveva comportato il 30 agosto 2012 la risoluzione anticipata del contratto stipulato il 15 luglio 2011, che lo legava all’A.C. OMISSIS s.r.l. sino al 30 giugno 2014, cioè per le stagioni sportive 2011/2012, 2012/2013 e 2013/2014.

3. L’adito Tribunale (sezione prima-ter), nella resistenza della F.I.G.C., respinta l’eccezione di tardività spiegata da quest’ultima, ravvisava a carico della F.I.G.C. tutti gli elementi della responsabilità aquiliana ex art. 20143 Cod. civ. e accoglieva il ricorso parzialmente, condannando la F.I.G.C. a corrispondere al ricorrente la somma complessiva di € 79.283,83 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, oltre rivalutazione monetaria e interessi in misura legale sul credito rivalutato anno per anno. Condannava la parte soccombente alle spese del giudizio.

In particolare, il primo giudice:

- riteneva il diritto del ricorrente al risarcimento del danno patrimoniale in misura pari agli emolumenti relativi alle stagioni 2012/2013 e 2013/2014, non percepiti a causa della risoluzione contrattuale. Quantificava tale danno, detratte alcune mensilità risultanti corrisposte in sede di risoluzione consensuale, nella sorte capitale pari a € 69.283,83;

- riteneva il diritto del ricorrente al risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla sanzione e dalla sua eco mediatica all’immagine e alla reputazione dell’interessato, non suscettibili di essere ristorate dal mero annullamento della stessa. Quantificava tale danno in via equitativa, tenendo conto della fase della carriera calcistica, della vita sociale e della nuova attività intrapresa dal ricorrente (una scuola-calcio fondata il 13 settembre 2012), nella sorte capitale pari a € 10.000,00;

- respingeva, ritenendola generica, la domanda di risarcimento del danno patrimoniale da perdita di chances.

4. La F.I.G.C. ha interposto appello avverso la predetta sentenza, deducendo: I) Error in iudicando sulla insussistenza del nesso di causalità tra le decisioni assunte dalla Giustizia sportiva ed il danno patrimoniale lamentato dal sig. OMISSIS; II) Error in iudicando sulla insussistenza dell’elemento soggettivo e, comunque, di una condotta colposa, non scusabile, imputabile alla F.I.G.C., non rimproverabilità dell’operato degli organi della Giustizia sportiva; III) Error in iudicando sul danno all’immagine liquidato in favore del sig. OMISSIS.

Ha concluso per l’annullamento della sentenza impugnata e per il rigetto integrale del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e di tutte le pretese risarcitorie ivi formulate.

5. La parte appellata si è costituita in resistenza, sostenendo la correttezza della sentenza impugnata e domandando la reiezione dell’appello perché infondato.

6. Le parti hanno affidato a memorie lo sviluppo delle rispettive tesi difensive.

7. L’appello è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 28 marzo 2019.

DIRITTO

1. L’appello in trattazione concerne il risarcimento danni, per equivalente, conseguente all’irrogazione di una sanzione disciplinare sportiva poi annullata in quanto rivelatasi illegittima.

Si impone, pertanto, qualche notazione sulle norme e sui principi della materia siccome delineati dai precedenti di questo Consiglio di Stato (da ultimo, V, 5 febbraio 2019, n. 880; 22 agosto 2018, n. 5020; 22 giugno 2017, n. 3065).

2. Per quanto qui di interesse, il d.-l. 19 agosto 2003, n. 220 (Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva), convertito dalla l. 17 ottobre 2003, n. 280, all’art. 1 (Principi generali), comma 1, afferma che “La Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale”.

Il successivo comma 2 precisa che “I rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo”.

L’art. 2, comma 1 dello stesso d.-l. n. 220 del 2003 riserva indi all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: “a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive” e al comma 2 stabilisce che “Nelle materie di cui al comma 1, le società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati hanno l’onere di adire, secondo le previsioni degli statuti e regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui gli articoli 15 e 16 del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo”.

Il successivo art. 3, titolato Norme sulla giurisdizione e disciplina transitoria, dispone poi che “Esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’articolo 2, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui all’articolo 2, comma 2, nonché quelle inserite nei contratti di cui all’articolo 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91”.

Ne deriva un sistema complessivo di giustizia di interesse sportivo in cui l’ambito statuale riveste un carattere residuale, che, alla luce dell’art. 3 del d. l. 220/2003, è rimesso alla competenza del giudice amministrativo.

Correlativamente, l’art. 133, comma 1, lett. z), Cod. proc. amm. prevede che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “le controversie aventi ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservate agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ed escluse quelle inerenti i rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti”.

2.1. Sul tema dei rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statuale, la giurisprudenza amministrativa ha rilevato che “l’art. 1 d.-l. n. 220 del 2003 definisce l’ambito di autonomia del primo: ma, essendo comunque quello sportivo un ordinamento infra-statuale, la norma comporta che le sue peculiarità non possono sacrificare le posizioni soggettive rilevanti per l’ordinamento statuale, perché inviolabili o comunque meritevoli di tutela rafforzata in quanto non disponibili. Si fonda così la clausola residuale di salvaguardia in favore della giurisdizione esclusiva amministrativa: cui compete, se del caso ed entro determinati limiti, il sindacato sull’operato, che è di rilievo pubblicistico, della giustizia sportiva” (Cons. Stato, V, n. 3065 del 2017, cit.).

Sempre per la giurisprudenza, la stessa norma “disciplina il delicato rapporto tra ordinamento statale e ordinamento sportivo garantendo due diverse esigenze costituzionalmente rilevanti: da un lato, l’autonomia dell’ordinamento sportivo (artt. 2 e 18 Cost.), dall’altro, ‘quella a che non sia intaccata la pienezza della tutela delle situazioni giuridiche soggettive che, sebbene connesse con quell’ordinamento, siano rilevanti per l’ordinamento giuridico della Repubblica’ (Cons. Stato, sez. VI, 24 gennaio 2012, n. 302). In altri termini, la predetta disposizione ‘ha inteso rispettare l’autonomia dell’ordinamento sportivo’, precisando ‘che l’autonomia in questione non sussiste allorché siano coinvolte situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico della Repubblica’ (Cons. Stato, n. 302 del 2012, cit.)” (Cons. Stato, VI, 20 novembre 2013, n. 5514).

In ultima analisi, le disposizioni in parola, come chiarito dalla sentenza della Corte costituzionale 11 febbraio 2011, n. 49, prevedono tre forme di tutela giustiziale: i) una prima forma, limitata ai rapporti di carattere patrimoniale tra le società sportive, le associazioni sportive, gli atleti (e i tesserati), di cognizione del giudice ordinario; ii) una seconda, relativa alle questioni aventi a oggetto le materie di cui all’art. 2, non apprestata da organi dello Stato, ma da organismi interni all’ordinamento sportivo, in quanto non idonee a far sorgere posizioni soggettive rilevanti per l’ordinamento generale, ma solo per quello settoriale; iii) una terza, tendenzialmente residuale e di giurisdizione del giudice amministrativo “esauriti i gradi della giustizia sportiva”.

In altri termini, le forme di tutela di spettanza del giudice amministrativo in giurisdizione esclusiva attengono a quanto, a tenore degli artt. 1, 2 e 3 d.-l. n. 220 del 2003, non è riservato all’autonomia dell’ordinamento sportivo perché sono coinvolte situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico generale. Ma tale giudice può esserne in concreto investito, ai sensi dell’art. 3, solo una volta esauriti i gradi della giustizia sportiva (Cons. Stato, VI, 20 giugno 2013, n. 3368; 31 maggio 2013, n. 3002, che richiama Cons. Stato, VI, 25 novembre 2008, n. 5782; 27 novembre 2012, n. 5998; 24 settembre 2012, n. 5065; 24 gennaio 2012, n. 302; 14 novembre 2011, n. 6010).

2.2. La fattispecie in esame rientra nell’ambito applicativo dell’ultima specie della tutela sopradescritta, atteso che la proposizione del ricorso giurisdizionale amministrativo che ha dato luogo alla sentenza appellata è sopraggiunta all’esercizio delle attribuzioni disciplinari della giustizia sportiva nei gradi previsti.

3. Passando alla disamina dell’appello in trattazione, si osserva che la F.I.G.C. lamenta con la censura principale del primo motivo l’erroneità della sentenza appellata nella parte in cui, ritenendo la sussistenza del nesso eziologico tra la conferma da parte della Corte di giustizia federale della sanzione - poi annullata dal TNAS - della squalifica al OMISSIS, avvenuta il 22 agosto 2012, e i danni patrimoniali dallo stesso lamentati in relazione all’anticipata risoluzione del contratto di prestazione sportiva triennale da lui stipulato il 15 luglio 2011 con l’A.C. OMISSIS s.r.l. (per le stagioni sportive 2011/2012, 2012/2013 e 2013/2014), ha escluso che, come dalla F.I.G.C. sostenuto in primo grado, detto nesso era stato eliso dal carattere consensuale dell’anticipata risoluzione.

La censura è fondata.

3.1. La sentenza appellata (capo 4) ha ritenuto al riguardo che:

A giudizio del collegio risulta invece evidente, nonostante il carattere bilaterale dell’atto che ha posto fine al rapporto contrattuale, che lo stesso risulta motivato e giustificato unicamente con riguardo alla sanzione disciplinare de qua, senza la quale avrebbe continuato ad essere valido ed efficace.

Risulta, in altre parole, evidente che, anche se formalmente il sig. OMISSIS abbia prestato il proprio consenso alla risoluzione contrattuale, in realtà ha dovuto subire il venir meno del rapporto in essere con il OMISSIS Calcio per l’unica ragione rappresentata dalla sanzione subita.

Ciò si evince da due elementi oggettivi:

a) il ricorso presentato dall’A.C. OMISSIS s.r.l. al Collegio arbitrale Lega Italiana Calcio in data 18 agosto 2012 diretto ad ottenere la risoluzione del contratto tra la società e il calciatore in ragione della sanzione disciplinare lui inflitta;

b) la stipula, nei giorni immediatamente seguenti, della risoluzione consensuale, avvenuta in data 30 agosto 2012”.

3.2. La rilevanza del nesso causale tra condotta colposa e risarcibilità del danno è scolpita in tema di inadempimento delle obbligazioni dall’art. 1223 Cod. civ., che la riferisce ai danni che ne siano “conseguenza immediata e diretta”, norma che trova applicazione anche nella materia della responsabilità extracontrattuale qui in rilievo, per il tramite del rinvio operato dall’art. 2056 Cod. civ..

Senza volersi addentrare nella complessa materia, basti qui osservare che il nesso di causalità materiale tra la condotta e l’evento lesivo richiede la duplice condizione che la prima possa aver causato l’evento e che la stessa non sia stata neutralizzata dalla sopravvenienza di un fatto di per sé idoneo a determinare l’evento stesso (Cass. civ., III, 22 ottobre 2013, n. 23915).

Per la giurisprudenza amministrativa, siccome citata dallo stesso appellato (Cons. Stato, VI, 22 giugno 2018, n. 3838), si tratta di verificare, in un primo stadio, se, eliminando o, nell’illecito omissivo, aggiungendo quella determinata condotta, l’evento si sarebbe ugualmente verificato, e, una volta risolto positivamente tale scrutinio, un secondo stadio richiede di verificare, con un giudizio di prognosi ex ante, l’esistenza di condotte idonee - secondo il criterio del “più probabile che non” - a cagionare quel determinato evento.

Sicché l’esito positivo del predetto giudizio - riconducibile alla teoria della causalità adeguata - accerta definitivamente l’efficienza causale dell’atto illegittimo rispetto all’evento di danno, che va esclusa qualora emergano fatti o circostanze che abbiano reso da sole impossibili il perseguimento del bene della vita determinando autonomamente l’effetto lesivo (Cons. Stato, VI, 29 maggio 2014, n. 2792).

Per l’ipotesi che tali fatti e circostanze siano ascrivibili anche alla condotta di chi agisce per ottenere il risarcimento, valgono i seguenti principi giurisprudenziali amministrativi: “il risarcimento del danno provocato dal provvedimento amministrativo illegittimo postula la dimostrazione del nesso di causalità fra la sua emanazione e l'effetto lesivo, con la conseguenza che il nesso causale deve essere escluso, ai sensi degli artt. 1227 c.c e 30 c.p.a., qualora nella catena causale il fatto lesivo sia anche in parte imputabile allo stesso danneggiato(Consiglio di Stato, sez. V, 16/04/2014, n. 1896)”; “la tenuta, da parte del danneggiato, di una condotta, attiva od omissiva, contraria al principio di buona fede ed al parametro della diligenza, che consenta la produzione di danni che altrimenti sarebbero stati evitati secondo il canone della causalità civile imperniato sulla probabilità relativa (secondo il criterio del ‘più probabilmente che non’: Cass., sezioni unite,11 gennaio 1008, n. 577; sez. III, 12 marzo 2010, n. 6045), recide, in tutto o in parte, il nesso casuale che, ai sensi dell’art. 1223 c.c., deve legare la condotta antigiuridica alle conseguenze dannose risarcibili” (rispettivamente, Cons. Stato, III, 1° agosto 2014, n. 4123 e V, 5 giugno 2018, n. 3402, in conformità all’Adunanza Plenaria n. 3 del 2011).

3.3. Applicando tali coordinate al caso di specie, va innanzitutto osservato che tra la conferma da parte della Corte di giustizia federale della sanzione, successivamente annullata dal TNAS, della squalifica per sei mesi inflitta al OMISSIS e la cessazione anticipata del rapporto contrattuale in corso tra quest’ultimo e l’A.C. OMISSIS non vi è alcun un rapporto immediato e diretto.

La cessazione anticipata del rapporto contrattuale è stata infatti determinata dalla risoluzione consensuale del contratto in essere di cui all’atto stipulato tra le parti il 30 agosto 2012.

Tale atto non adduce alcuna ragione a sostegno dell’anticipata risoluzione, e non contiene alcun riferimento alla sanzione disciplinare.

3.4. Tuttavia, nonostante la mancata esplicitazione di un qualsiasi collegamento tra la ridetta sanzione e la risoluzione consensuale del contratto, il primo giudice ha ritenuto la sussistenza di elementi idonei a ricostruire la volontà delle parti medesime, in termini di “evidenza” sia dell’addebitabilità della decisione alla sola A.C. OMISSIS Calcio che della sua dipendenza dalla sanzione disciplinare inferta al calciatore, che, a sua volta, in tesi, non poteva di fatto che subirla.

Tale ricostruzione si rivela, però, frutto di un salto logico, essendo priva di un fondamento obiettivo.

Tale non è, in particolare, l’unica circostanza considerata e ritenuta decisiva dal giudice di prime cure, ovvero che il 18 agosto 2012, pochi giorni prima dell’atto consensuale, la A.C. OMISSIS Calcio aveva presentato al Collegio arbitrale Lega Italiana Calcio un ricorso diretto a ottenere la risoluzione del contratto con il calciatore medesimo in ragione della sanzione disciplinare a questi irrogata.

Infatti, una siffatta ricostruzione avrebbe avuto ragion d’essere solo laddove suffragata dalla suscettibilità della sanzione, in astratto e alla luce del detto criterio del “più probabile che non”, di condurre, per il tramite del predetto ricorso, alla risoluzione del contratto.

Ma tale condizione, come emerge dal considerato ordinamento del settore, e come sostenuto dalla F.I.G.C. sia in primo grado che in appello, non sussiste.

L’art. 15 dell’Accordo Collettivo anni 2012-2015, stipulato tra la F.I.G.C., la Lega Italiana Calcio Professionistico e l’Associazione Italiana Calciatori, per le società e i calciatori professionisti militanti nei campionati di Lega Pro, applicabile alla fattispecie, correla infatti la declaratoria di risoluzione del contratto ai casi di “grave e constatata inadempienza contrattuale”, ragguagliati a due specifiche ipotesi, la “partecipazione del tesserato a scommesse sportive, lecite o illecite, accertata con decisione definitiva dalle competenti Autorità sportive” e la “condotta del Calciatore tesa ad alterare illecitamente il risultato sportivo…”.

Si tratta di situazioni ben lontane dall’omessa denuncia della combine per cui il OMISSIS era stato sanzionato con la squalifica, sanzione che, di per se, alla luce dello stesso articolo 15, ove non caratterizzata dalle violazioni di cui sopra, legittima esclusivamente la riduzione del compenso annuo lordo per il periodo corrispondente alla durata della squalifica, per una misura non superiore al 60% degli importi dovuti per lo stesso periodo, in base alla gravità e alla volontarietà della violazione.

Indi, nella fattispecie, la mera proposizione del ricorso della società sportiva non è idonea ad attestare né che la risoluzione ante tempus del contratto abbia costituito una mera anticipazione dell’esito del gravame né che, di conseguenza, il relativo atto consensuale possa aver trovato la sua unica causa nella sanzione disciplinare posta a base dello stesso.

La conclusione è confortata dalla sentenza di questa Sezione del Consiglio di Stato 22 agosto 2018, n. 5020.

Tale precedente ha concluso in ordine all’inidoneità di un atto consensuale a interrompere ex se il nesso di causalità tra la sanzione - annullata dal TNAS come quella in esame - della squalifica di un calciatore e la risoluzione consensuale del rapporto contrattuale in corso tra il medesimo e la società sportiva di appartenenza, atteso il ruolo verosimilmente determinante assunto dalla predetta sanzione quale “concausa rilevante” nello spingere le parti ad accordarsi per il contemperamento dei rispettivi interessi.

Ma si trattava, nel caso di specie, come ben rappresentato dall’appellante F.I.G.C., della squalifica della durata di tre anni e sei mesi, irrogata per la ritenuta partecipazione alla combine su una partita, sicché, in tal caso, la Sezione ben ha potuto rilevare che si trattava, per l’interessato - a differenza del caso in esame - del rischio “di perdere tutto, senza che la società di appartenenza fosse tenuta a corrispondergli alcunché”.

3.5. La censura principale del primo motivo di appello della F.I.G.C. va pertanto accolta.

Ne deriva l’assorbimento sia della censura subordinata dello stesso motivo, tendente alla riduzione dell’importo del risarcimento liquidato all’appellato dalla sentenza impugnata, che del secondo motivo di appello, mirante all’accertamento dell’insussistenza dell’elemento soggettivo della ritenuta responsabilità della F.I.G.C..

4. Con la censura principale del terzo motivo di appello la F.I.G.C. lamenta che la sentenza gravata ha riconosciuto all’appellato il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale in assenza di qualsiasi elemento di prova.

Anche tale mezzo è fondato.

Per la giurisprudenza, il danno non patrimoniale, anche nel caso di lesione di diritti inviolabili, non può mai ritenersi in re ipsa, ma va debitamente allegato e provato da chi lo invoca, anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici (Cons. Stato, III, 3 novembre 2016, n. 4615; Cass. civ., Sez. lav., 14 maggio 2012, n.7471).

Nel caso di specie, non emerge che la sentenza appellata, che si è limitata a richiamare elementi generici quale l’eco mediatica della sanzione disciplinare, la carriera calcistica e la vita sociale del calciatore nonché la nuova attività da lui intrapresa, abbia correlato la condanna della F.I.G.C. al risarcimento del danno non patrimoniale liquidato all’originario ricorrente a un qualche elemento di prova, ciò che si rendeva, invece, necessario alla stregua della citata giurisprudenza e tenuto conto del fatto che la sanzione annullata ha dispiegato i propri effetti per un periodo alquanto breve, pari a circa due mesi.

Anche tale censura merita pertanto favorevole considerazione, assorbita ogni altra questione pure ivi dedotta dalla F.I.G.C. in via subordinata al fine della riduzione del risarcimento riconosciuto dalla sentenza appellata al titolo in parola.

5. Per tutto quanto precede, l’appello in esame deve essere accolto, disponendosi, per l’effetto, la riforma della sentenza appellata e la reiezione del ricorso di primo grado.

6. L’andamento complessivo del contenzioso e la peculiarità e la complessità delle questioni trattate inducono a disporre la compensazione integrale tra le parti delle spese di giudizio del doppio grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello di cui in epigrafe, lo accoglie, disponendo, per l’effetto, la riforma della sentenza appellata e la reiezione del ricorso di primo grado.

Compensa tra le parti le spese di giudizio del doppio grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 28 marzo 2019 con l’intervento dei magistrati:

Raffaele Prosperi, Presidente FF

Valerio Perotti, Consigliere

Giovanni Grasso, Consigliere

Alberto Urso, Consigliere

Anna Bottiglieri, Consigliere, Estensore

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