T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 7098/2017 Pubblicato il 16/06/2017

Pubblicato il 16/06/2017

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale (…), proposto da: OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avvocati Alessandro Tozzi C.F. TZZLSN68D16H501I, Massimiliano Capuzi C.F. CPZMSM70E08H501O, con domicilio eletto presso Alessandro Tozzi in Roma, largo Messico, 7;

contro

Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, in persona del Ministro, legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

della decisione n. 1753/a/t della commissione di disciplina di appello presa nella camera di consiglio del 25 maggio 2016, depositata il 21 settembre 2016 e comunicata via PEC il 27 settembre 2016, che ha respinto l'appello proposto avverso la sospensione dalle corse per mesi 4 e la multa di euro 1000;

e per il risarcimento dei danni;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 maggio 2017 il dott. Salvatore Gatto Costantino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il ricorrente – allenatore e guidatore di cavalli di corsa - espone che, in occasione del premio OMISSIS (Ferrara, 28 agosto 2014), il cavallo OMISSIS da lui allenato veniva trovato positivo ad un controllo antidoping; l’atto di incolpazione datato 16 giugno 2015 veniva (presuntivamente) inviato via mail; la commissione di prima istanza, all’esito del provvedimento disciplinare sanzionava il OMISSIS con la sospensione per 4 mesi e multa di 1000 euro (decisione n. 8/2016 del 19 gennaio 2016); proposto appello alla Commissione Disciplinare di Appello, quest’ultima, riunitasi nella camera di consiglio del 25 maggio 2016, nel dispositivo (di seguito interlineato) accoglieva l’appello riducendo la pena a multa per incauta medicazione a 500 euro; tuttavia, una volta pubblicata la sentenza il 21.9.2016, l’esito risultava di rigetto dell’appello con la conferma della decisione di prima istanza.

Avverso gli atti impugnati lamenta le seguenti articolate censure.

I - Violazione e falsa applicazione art. 11 Regolamento Controllo Sostanze Proibite UNIRE (la sostanza rilevata sarebbe imputabile ad un trattamento disposto su iniziativa del proprietario del cavallo in data 20.8.2014, otto giorni prima della gara, del quale il ricorrente non veniva messo al corrente; si tratterebbe solo di incauta medicazione, che il Collegio di disciplina avrebbe in effetti sanzionato con la sola multa risultante dal dispositivo poi interlineato; il cavallo è stato medicato correttamente, mentre la medicazione non è stata smaltita in tempo per la corretta partecipazione alla competizione).

II – Violazione del procedimento, art. 3-bis d.lgs. 82/2005 e art. 15 Regolamento disciplina. Violazione art. 24 Cost (il regolamento delle corse al trotto all’art. 3 prevede che i soggetti sottoposti al regolamento siano obbligati a comunicare una PEC o una mail ai fini delle comunicazioni da parte dell’ente; il ricorrente aveva fornito un indirizzo email ai fini di tali comunicazioni, ma senza ritenere che esso dovesse servire anche per le comunicazioni relative al procedimento disciplinare; l’informativa sull’esito positivo del controllo del cavallo veniva pubblicata solo nel sito UNIRE e non comunicata neanche via mail al OMISSIS che così perdeva l’opportunità di chiedere le controanalisi entro il 10° giorno e quella di difendersi dinanzi al Collegio di primo grado; tale procedura viola anche i principi sanciti dall’art. 24 Cost.; chiede la disapplicazione dell’art. 3 del regolamento delle corse al trotto nonché di tutte le norme del RCSP che violano tali principi costituzionalmente garantiti).

III – Violazione del principio di proporzionalità, art. 1 l. 241, art. 97 Cost. (da intendersi nella stessa portata e rilievo propria dell’ordinamento comunitario, articolandosi in tre profili, costituiti dalla “idoneità”, ovvero il rapporto tra mezzo adoperato ed obiettivo perseguito, dalla “necessarietà”, intesa come assenza di altro mezzo idoneo, ma tale da incidere in misura minore sulla sfera del singolo, e dalla “adeguatezza”, intesa come tollerabilità della restrizione che l’atto comporta per il privato).

IV) Violazione art. 11 RCSP, sotto il profilo dell’art. 24 della Costituzione (per l’applicazione della sanzione della recidiva senza la preliminare contestazione di quest’ultima).

Si è costituita l’Avvocatura che resiste al ricorso di cui chiede il rigetto.

E’ stata disposta istruttoria per l’acquisizione in giudizio delle copie delle decisioni domestiche e delle mail di trasmissione della documentazione di riferimento (ordinanza nr. 7065/2016).

L’Avvocatura ha eseguito l’istruttoria, depositando in giudizio i relativi documenti in data 19 dicembre 2016.

E’ stata quindi respinta la domanda cautelare (ordinanza nr. 647/2017), comunque fissando l’udienza di merito per la trattazione del ricorso.

Le parti hanno quindi dedotto circa la sussistenza della giurisdizione, nonché in ordine alla precisazione delle rispettive domande ed eccezioni, evidenziando in particolare parte ricorrente come dalla produzione in giudizio della copia della trasmissione via mail della documentazione di riferimento sia rimasta non dimostrata l’avvenuta ricezione dei messaggi e-mail.

Nella pubblica udienza del 5 maggio 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Nell’odierno giudizio viene in esame la domanda del ricorrente con la quale si chiede l’annullamento della sanzione meglio descritta in epigrafe.

A fondamento del gravame, parte ricorrente lamenta l’insussistenza dei presupposti per la sanzione, vertendosi in un caso di incauta medicazione non imputabile all’allenatore; la violazione del diritto di difesa conseguente al mancato uso di sistemi certificati di spedizione delle comunicazioni all’incolpato; il difetto di proporzionalità nella sanzione; il difetto di presupposti per la contestazione della recidiva.

I) Deve preliminarmente scrutinarsi la questione relativa alla sussistenza della giurisdizione amministrativa sulla domanda introduttiva.

Ia) A sostegno dell’eccezione di carenza di giurisdizione, l’Avvocatura deduce che nella fattispecie verrebbero in rilievo questioni interne all’ordinamento sportivo, laddove il risultato delle competizioni agonistiche è determinato da regole tecniche che non possono, per natura, generare posizioni di interesse legittimo o diritto soggettivo, non potendosi qualificare esse in termini di norme di relazione; l’eventuale inosservanza di norme “interne” dell’ordinamento sportivo risulterebbe così del tutto irrilevante nell’ordinamento generale (Cass. SSUU 26.10.1989, nr. 3499).

Secondo l’Amministrazione dovrebbe aversi riguardo all’art. 1, comma 2, del DL 220/03 che regola il riparto di giurisdizione tra l’ordinamento statale e quello sportivo – in tutte le sue articolazioni, inclusa l’ippica – secondo un principio di piena autonomia “salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo”, nell’ambito delle quali non rientrerebbero le sanzioni di cui si discute nell’odierno giudizio, come sembrerebbe ritenere la giurisprudenza più recente sulla base della considerazione che la norma non distingue gli effetti economici (Consiglio di Stato, 5782/08) e che il legislatore del 2003 non può non aver tenuto presente e considerato la rilevantissima entità di tale contenzioso (CGA Sicilia, n. 1048/07); a conferma di tale orientamento, la giustizia amministrativa (nella già richiamata decisione nr. 5782/08 del Consiglio di Stato) ha trattenuto la giurisdizione in ordine alla (sola) pretesa risarcitoria, che non è esperibile di fronte alla giustizia sportiva (e dunque rischierebbe di cadere in un vuoto di tutela); la sentenza nr. 49/2011 dalla Corte Costituzionale, ha del resto considerato la tutela risarcitoria una forma alternativa alla tutela di annullamento, pienamente effettiva; confermerebbe tale impostazione la introduzione, nel codice del processo amministrativo del 2010, della previsione di cui alla lett. “z” dell’art. 133 sulla giurisdizione esclusiva.

In via subordinata, la giurisdizione andrebbe riconosciuta al giudice ordinario e precisamente il collegio arbitrale previsto dal regolamento del MIPAAF (che giudica irritualmente entro trenta giorni).

Ib) A sostegno della giurisdizione, militerebbe l’orientamento consolidato della giurisprudenza, secondo il quale l’impugnazione di sanzioni disciplinari irrogate a causa di comportamenti contrari al regolamento sportivo dell’Ente attiene alla giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di atti adottati da soggetto di diritto pubblico nell’esercizio di una potestà pubblica, idonei a produrre modificazioni delle posizioni soggettive del settore di competenza, affievolendole in posizioni di interesse legittimo (così Cons. Stato, VI, 20 dicembre 1993, n. 996; TAR Lazio, III, 1591 del 14 novembre 2003; TAR Marche, sentenza nr. 16/2017).

Dall’esame della disciplina derivante dal RD 24 maggio 1932, n. 624 e l. 24 marzo 1942, nr. 315, risulterebbe poi da considerare la natura di ente strumentale dello Stato, propria dell’UNIRE, in relazione all’attività di vigilanza sulle corse dei cavalli, in ragione della quale il provvedimento sanzionatorio irrogato in tale funzione risulta perseguire finalità di interesse generale (TAR Bolzano, sentenza nr. 186/2011). Da qui, la diversità tra le Federazioni Sportive, tra cui la FISE, che confluiscono nel CONI e l’UNIRE; l’equitazione, sorretta dalla FISE, sarebbe disciplina anche sportiva diversa dall’ippica, che è oggetto di competenze dirette del MIPAAF (dopo la trasformazione dell’UNIRE nell’ASSI e poi la confluenza delle relative competenze in capo alla gestione diretta del Ministero); non troverebbe pertanto applicazione all’Ippica la previsione di cui all’art. 3, comma 1, del DL 220/2003, conv. in legge 280/03 che regola la cognizione delle controversie sportive nell’ambito delle associazioni federate nel CONI.

Ic) Osserva il Collegio che le disposizioni che regolano la c.d. “pregiudiziale sportiva” e la connessa limitazione della giurisdizione del giudice amministrativo presuppongono una nozione di “ordinamento sportivo” che non consente di includervi – come prospetta l’avvocatura – anche le sanzioni erogate direttamente dal MIPAAF nell’ambito delle proprie prerogative di controllo del settore dell’Ippica, materia in precedenza affidata alle competenze dell’UNIRE e poi dell’ASSI.

Invero, la norma di cui all’art. 2 e 3 del DL 220/03, nel riconoscere l’autonomia dell’ordinamento sportivo, presuppone a disciplina di quest’ultimo l’istituzione e l’organizzazione del CONI, ente con personalità giuridica di diritto pubblico e delle Federazioni sportive nazionali di cui al d.lgs. 242/1999; per effetto dell’adesione a tali organismi, gli associati si assoggettano all’azione dei relativi organi di controllo e di giurisdizione domestica, entro un ambito che lo Stato riconosce e tutela.

Si tratta, in altri termini, di una evidente condizione di pluralità degli ordinamenti o pluralismo istituzionale, nell’ambito della quale il confine tra l’ordinamento giuridico pubblico e quello sportivo è dato non già da una definizione materiale di competenze - dell’uno e dell’altro - ma dalla dimensione propriamente organizzativa ed istituzionale del secondo, che il primo riconosce e tutela, nel presupposto che un ordinamento si sostanzia non solamente nelle norme che produce, ma anche e prima ancora nell’articolazione della struttura che tali norme pone (appropriato è, in questo caso, il richiamo al noto principio affermato da una qualificata dottrina, risalente ma tutt’ora attuale, secondo cui “ogni ordinamento giuridico è un'istituzione, e viceversa ogni istituzione è un ordinamento giuridico: l'equazione fra i due concetti è necessaria ed assoluta”).

Del resto, anche sotto il profilo strettamente oggettivo delle attività, non può non riconoscersi il dovuto rilievo alla differenza tra l’ippica – intesa come attività volta in generale alla promozione del cavallo e delle relative attività – e l’equitazione – attività propriamente sportiva che, pur rientrando nella nozione più generale della prima, se ne differenzia sotto il profilo della competizione agonistica.

Deve quindi rammentare il Collegio che la competenza del MIPAAF in ordine alla disciplina dell’ippica trova titolo in una strutturata (e risalente) evoluzione normativa.

Più precisamente, il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali è subentrato all’ASSI, che a sua volta, era subentrato all’UNIRE, a norma, rispettivamente, del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 449 (recante norme circa il riordino dell'Unione nazionale per l'incremento delle razze equine (UNIRE), ex art. 11 della legge 15 marzo 1997 n. 59), e della legge 15 luglio 2011 n. 111, istitutiva dell'Agenzia per lo sviluppo del settore ippico (ASSI) quale successore ex lege dell'UNIRE; vengono in rilievo, nel prosieguo, il decreto-legge 27 giugno 2012, n. 87, recante, tra l'altro, la soppressione dell'Agenzia per lo sviluppo del settore ippico, e l’art. 23 quater, comma 9 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 (che, nel prevedere la soppressione dell’ASSI , ne ha ripartito le funzioni tra il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e l'Agenzie delle Dogane e dei monopoli).

In forza di tali presupposti normativi è stato poi adottato il decreto interministeriale 31 gennaio 2013 del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, registrato alla Corte dei Conti il 25 febbraio 2013, reg. 2, fgl. 215, con il quale, tra l'altro, sono state attribuite al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali le funzioni già riconosciute all'ex ASSI dalla normativa vigente ( ad eccezione delle competenze relative alla certificazione delle scommesse sulle corse dei cavalli affidate all'Agenzia delle dogane e dei monopoli); con il successivo DPCM 27 febbraio 2013, n. 105, rubricato «Regolamento recante organizzazione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, a norma dell'art. 2, comma 10-ter, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 17 settembre 2013», e l’art. 7, comma 2, del precitato decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 449, sono state regolate le norme e le strutture disciplinari già appartenenti agli enti incorporati, in considerazione delle specifiche caratteristiche tecniche delle modalità di gara.

Nel descritto contesto normativo si radicano competenze specifiche ben più ampie ed estese di quelle relative alle competizioni agonistiche in quanto tali, come il compito di concorrere alla tutela dell'incolumità ed al mantenimento dei cavalli sottoposti a “trattamenti dopanti” (art.2 del d.lgs n.499 del 1999) o anche quello che individua tra le finalità (già dell’) UNIRE la ricerca scientifica nel settore dell'allevamento, dell'allenamento e dell'antidoping, oppure il controllo della regolarità di tutte le attività relative alle corse (art.12 del d.P.R. n.169 del 1998); l'organizzazione delle corse dei cavalli; la programmazione dello sviluppo del settore dell'ippicoltura in tutte le sue componenti tecniche, economiche, sociali, culturali e promozionali; la programmazione tecnica ed economica delle corse e delle altre forme di competizione; la predisposizione “del calendario delle manifestazioni ippiche”; il coordinamento dell'attività degli ippodromi; la determinazione degli stanziamenti relativi ai premi ed alle provvidenze; la promozione di iniziative previdenziali e assistenziali in favore dei fantini, dei guidatori, degli allenatori e degli artieri e così via.

Non è senza rilievo, infine, che, in maniera del tutto simmetrica, successivamente all'entrata in vigore d.P.R. 8 aprile 1998 n. 169, recante il regolamento di attuazione dell'art. 3 comma 78 l. 23 dicembre 1996 n. 662 (che, abrogando la precedente riserva all'Unire, ha affidato le competenze per l'organizzazione e la gestione dei giochi e delle scommesse relativi alle corse dei cavalli ai ministeri delle finanze e delle risorse agricole, alimentari e forestali, sia pur consentendo loro di provvedervi direttamente ovvero a mezzo di enti pubblici, società o allibratori da essi individuati) è stata devoluta alla giurisdizione tributaria la domanda proposta dal titolare di un'agenzia ippica per ottenere il rimborso di quanto indebitamente versato a titolo di imposta sulle scommesse relative alle corse dei cavalli (cfr. Cassazione civile sez. un. 23 aprile 2009 n. 9672 ), a significare come anche sotto il profilo tributario viene in rilievo un’attività sostanzialmente amministrativa pienamente riconducibile all’autorità ministeriale in quanto soggetto titolare di competenze di interesse generale.

Essendo il complesso di tali interessi di livello tale da costituire una delle funzioni della riserva statale (sia sul piano dell’organizzazione della funzione, sia su quello, correlato, della gestione delle entrate ad essa connesse), ne consegue che le iniziative disciplinari e sanzionatorie non possono che sussumersi nell’ambito di detta riserva di competenze che presuppone l’esercizio di attività pubblicistiche vere e proprie e la cui cognizione, in caso di controversia, seguirà il normale riparto tra interessi legittimi e diritti soggettivi, con conseguente impossibilità di configurare neppure quella riserva di giurisdizione di tipo arbitrale cui, in subordine, si riferisce l’Avvocatura.

Conclusivamente, va affermato il principio secondo il quale l’impugnazione di sanzioni disciplinari irrogate dal MIPAAF a carico di allenatori o fantini o proprietari di cavalli a causa di comportamenti contrari al regolamento sportivo dello stesso Ente in relazione all’attività ippica che lo stesso Ministero è tenuto ad organizzare e sulla quale esercita il proprio diretto controllo attiene alla giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di atti adottati da soggetto di diritto pubblico nell’esercizio di una potestà pubblica, estranei all’ambito di applicazione del DL 220/03 ed idonei a produrre modificazioni delle posizioni soggettive del settore di competenza.

II) Nel merito, si osserva quanto segue.

Devono essere anteposte alla trattazione dei motivi di ricorso alcune considerazioni inerenti il rapporto tra il ricorso giurisdizionale ed il gravame domestico di fronte alla commissione di disciplina.

La sanzione disciplinare è assistita da una procedura particolarmente qualificata, all’esito della quale la Commissione di appello può (al pari di quanto avviene nei ricorsi gerarchici) annullare la decisione della Commissione di disciplina ovvero confermarla definitivamente (effetto quest’ultimo che si verifica ovviamente anche ove l’interessato non appelli entro il termine perentorio prescritto; cfr, Consiglio di Stato sez. III 25 settembre 2012 n. 5089 e sez. IV, 22 novembre 2013, n. 5554, secondo cui l'Autorità investita di un ricorso gerarchico ha il potere-dovere di riesaminare integralmente la fattispecie, facendosi carico sia dei profili di legittimità e sia di quelli merito, sicché il suo provvedimento, anche se confermativo, assorbe e sostituisce quello dell'organo sottordinato).

Una volta esperito l’appello domestico (laddove di fronte alla Commissione di appello vanno dedotti tutti i motivi ritenuti idonei a fondare la pretesa di illegittimità dell’atto avversato), l’impugnazione di fronte al GA della decisione della Commissione di appello, non potrà che avere riguardo alla compiutezza di quest’ultimo atto e dovrà essere coincidente con i medesimi motivi dedotti in sede domestica – pena l’inammissibile violazione del termine decadenziale rispetto alla sanzione – con la conseguenza che non potranno essere fatti valere motivi nuovi (cfr. Cons. St. sez. VI, 02/07/2015, n. 3299; Cons. St., sez. V, 15 marzo 2012, n. 1444: in sede di ricorso giurisdizionale proposto contro una decisione adottata a seguito di ricorso gerarchico sono inammissibili i motivi nuovi di ricorso che non siano stati proposti nella predetta sede contenziosa amministrativa; ciò al fine di evitare che la mancata impugnativa di un atto asseritamente illegittimo attraverso il rimedio giustiziale e la sua successiva impugnativa -per saltum- con il rimedio giurisdizionale possa costituire la via attraverso la quale eludere l'onere di impugnare tempestivamente l'atto nell'ordinario termine decadenziale ), ad eccezione, ovviamente, di ragioni attinenti a vizi propri della decisione.

Per questa ragione potrebbe già rilevarsi l’inammissibilità del terzo motivo di ricorso (secondo il quale la sanzione sarebbe sproporzionata rispetto alla violazione) nonché i profili dedotti in ordine alla necessità di disapplicazione dei regolamenti interni, in quanto non previamente articolati nel gravame domestico.

In ogni caso, i medesimi motivi sono anche infondati nel merito, così come risulta per le altre censure, e quindi può prescindersi da una corrispondente declaratoria in rito.

Più precisamente, deve osservarsi quanto segue.

In ordine al primo motivo (secondo cui il ricorrente, in quanto allenatore, non sarebbe in alcun modo responsabile dell’incauta medicazione) ed all’ultimo motivo (secondo cui non sussisterebbero i presupposti per l’applicazione della recidiva), l’art. 11, co. 6 del RCSP dispone che “tutte le sanzioni di cui ai commi precedenti sono raddoppiate se il responsabile nel triennio anteriore sia stato già sanzionato per le violazioni previste dal presente articolo e sono triplicate se nel medesimo periodo sia incorso in predette violazioni per almeno 2 volte”. L’incauta medicazione è un illecito espressamente previsto dall’art. 11 u.c.: “in caso di positività dipendente da incauta medicazione eseguita con colpa lieve, fermo restando il distanziamento totale dall’ordine di arrivo, la commissione di disciplina di prima istanza valutate le circostanze potrà applicare in misura ridotta fino alla metà le sanzioni previste dai precedenti commi o irrogare la sola pena pecuniaria”.

L’art. 11, penultimo comma, del RCSP prevede che l’allenatore è ritenuto responsabile per la positività rilevata “in ogni caso” ed “anche per atti commessi da suoi familiari, collaboratori o dipendenti”; ciò, salvo che “non provi che l’evento sia dipeso da fatto a lui non imputabile nemmeno a titolo colposo”.

Si tratta di una norma che introduce una presunzione che determina l’inversione dell’onere della prova, secondo uno schema tipico da responsabilità da risultato o da inadempimento (similare alla disciplina di cui all’art. 1218 del codice civile) funzionale alla costituzione di una posizione di garanzia in capo all’allenatore, che si giustifica, a sua volta, per la particolare status dall’allenatore ai sensi dell’art. 4 del medesimo regolamento (che disciplina i doveri dell’allenatore, al quale incombe l’obbligo di “conoscere tutte le terapie praticate al cavallo anche se stabilito in luogo diverso” da quello della propria attività).

Non può del resto non osservarsi – quanto al rilievo dell’accertamento dell’esistenza di fattori positivi che determino il riscontro di una posizione di responsabilità del ricorrente – la genericità delle dichiarazioni inerenti le modalità di somministrazione del medicinale al cavallo.

In primo luogo, condivide il Collegio il rilievo delle eccezioni difensive dell’Avvocatura, laddove evidenzia come il veterinario abbia fornito la ricetta riferibile al 2014 solo a distanza di tempo, ovvero nel 2016; il controllo di positività è relativo al triamcinolone acetonide (antinfiammatorio cortisone), in ordine al quale i sette giorni di sospensione prescritti non trovano riscontro nei dati pubblicati dall’EHSLC; ma, in ogni caso, se si ammettesse il rilievo di una generica dissociazione delle responsabilità dell’allenatore dalle decisioni del proprietario sulla sola base dell’affermata ignoranza da parte del primo dell’ambito delle seconde, non sarebbe in nessun caso esigibile l’adempimento dell’obbligo dell’allenatore di assicurarsi la piena conoscenza delle condizioni dell’equide, che, invece, il regolamento esige a tutela della salute dell’animale e della regolarità delle attività ad esso connesse, anche di tipo agonistico e sportivo.

Con il secondo motivo di ricorso, viene dedotta la violazione dei diritti di difesa in ragione delle modalità di comunicazione adottate dall’Amministrazione, che ha utilizzato un indirizzo mail fornito dallo stesso ricorrente.

Sul punto, l’istruttoria ha acquisito al giudizio la prova dell’avvenuta spedizione della mail (vedasi deposito del 19 dicembre 2016) della quale il ricorrente afferma l’insufficienza, non essendo dimostrata la ricezione effettiva.

La censura si incentra dunque, sostanzialmente, sulla legittimità dell’invio delle comunicazioni a mezzo mail semplice.

Deve premettersi che, con sentenza nr. 2736/2016, alle cui motivazioni è sufficiente rinviare, è stato ritenuto legittimo, sotto plurimi profili, l’impianto regolamentare del RCSP, approvato con DM 16/10/2002, come successivamente modificato e così pubblicato il 13.11.2012 (ai sensi della legge 69/2009), con la conseguenza che può prescindersi dall’approfondire oltre i profili di censura con i quali si prospetta la necessità di una disapplicazione dei regolamenti in questione.

Va quindi osservato che con determinazione n. 216 del 7 novembre 2012 (prodotta dall’Avvocatura con il deposito del 19 dicembre 2016) il dirigente delegato alla gestione temporanea dell’ASSI (ex lege 135/2012) ha disposto regole sulle comunicazioni e notificazioni “del provvedimento di allontanamento dalle corse del cavallo risultato positivo al controllo antidoping”, uniformando l’art. 3 del regolamento delle corse dell’Ente Nazionale delle Corse al Trotto, l’art. 3 bis del regolamento corse del Jockey Club Italiano, l’art. 10 della Società degli Sleeple-Chases d’Italia ed, infine, l’art. 10 dell’Ente Nazionale del Cavallo Italiano, stabilendo la possibilità di inoltrare le comunicazioni “da parte dell’Ente ai soggetti suddetti” (i soggetti sottoposti al regolamento, obbligati a comunicare all’Ente, nei termini stabiliti, tutti i dati e le notizie richieste, anche mediante invio di moduli e formulari a pena di sanzione pecuniaria, commi 1 e 3 della disposizione) “al recapito dagli stessi indicato (indirizzo PEC o e-mail) nell’istanza di autorizzazione allo svolgimento di un’attività nel settore, o a quello successivamente comunicato a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento o attraverso strumenti informatici e/o telematici certificati”.

Secondo l’art. 10 del regolamento di controllo delle sostanze proibite (documento prodotto dal ricorrente sub 4 al proprio ricorso), in caso di positività del campione “la riscontrata positività del cavallo ed il conseguenziale periodo di allontanamento, vengono resi noti dall’Amministrazione attraverso la pubblicazione sul sito web e la contemporanea comunicazione al proprietario ed all’allenatore secondo le vigenti modalità” (art. 10, comma 2).

Le vigenti modalità sono quelle riferite, dunque, alle disposizioni uniformate dalla Determinazione nr. 216/2012: la fonte regolamentare (che il ricorrente impugna o della quale chiede comunque la disapplicazione) a giudizio del Collegio, non si pone in contrasto con l’art. 3-bis Codice dell’amministrazione digitale secondo il quale è riconosciuto al cittadino la possibilità indicare un proprio domicilio digitale.

Aderendo sul punto alle tesi difensive dell’Avvocatura, la disposizione indicata possiede il valore di norma di carattere generale che, per facilitare le comunicazioni tra Amministrazioni e cittadini, prevede la facoltà per questi ultimi di indicare il proprio indirizzo pec e, in difetto di indicazione del suddetto indirizzo (cd domicilio digitale), l’uso della posta ordinaria da parte dell’Amministrazione; non è quindi in contrasto con essa la specifica previsione regolamentare che preveda una specifica possibilità di scelta dell’interessato circa le modalità della comunicazione informatica tra l’uso della posta elettronica semplice oppure quella certificata.

Pertanto, una volta scelta, per la comunicazione con l’Ente, una semplice mail (invece che una PEC), l’interessato ne accetta il regime, con la conseguenza che saranno legittime le comunicazioni effettuate tramite tale domicilio.

Il terzo motivo di gravame, con il quale si lamenta, come già accennato, la violazione del criterio di proporzionalità, oltre che inammissibile per la mancata previa proposizione in sede domestica (e conseguente tardività della doglianza in sede giurisdizionale) è comunque infondato perché genericamente formulato, dal momento che si assume una sostanziale ingiustizia della sanzione sotto il profilo dell’asserito difetto di responsabilità dell’allenatore rispetto all’incauta medicazione.

Anche il quarto motivo, secondo cui la decisione di appello sarebbe carente di motivazione in quanto affidata a formule di mero stile, alla luce di quanto sin qui esposto non può trovare alcun accoglimento risolvendosi in una critica generica e formale alla decisione.

Da quanto sopra, pertanto, deriva l’infondatezza del gravame che va respinto, anche in relazione alla domanda di risarcimento in dipendenza del rigetto della domanda di annullamento, con ogni conseguenza in ordine alle spese di lite che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna parte ricorrente alle spese di lite che liquida in euro 2.000,00 oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 maggio 2017 con l'intervento dei magistrati:

Pietro Morabito, Presidente

Maria Laura Maddalena, Consigliere

Salvatore Gatto Costantino, Consigliere, Estensore

 

 

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