T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 9645/2017

Pubblicato il 08/09/2017

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale (…), proposto da: OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avvocato Stefano Mattii, domiciliato ex art. 25 cpa presso Tar Lazio Segreteria Tar Lazio in Roma, via Flaminia, 189;

contro

Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

della decisione della Commissione di disciplina di appello n. 1747/a/t dell’11.5.2016, che ha confermato la decisione della commissione di disciplina di prima istanza, che aveva sanzionato con la sospensione per mesi quattro dalle qualifiche di allenatore e guidatore di cavalli da corsa al trotto e con multa di euro 1000 in relazione alla positività al salbutamolo del prelievo su OMISSIS  - risarcimento danni.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 luglio 2017 la dott.ssa Maria Laura Maddalena e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe, il ricorrente impugna la decisione della Commissione di Disciplina Di Appello del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali - Dipartimento delle Politiche Competitive, della Qualità Agroalimentare, Ippiche e della Pesca PQAI VII - Corse e Manifestazioni Ippiche, n. 1747/a/t dell'11.05.2016, depositata 1'8.6.16, che ha confermato la Decisione della Commissione di Disciplina di prima istanza di detto Dipartimento del MIPAAF n 141/2015, che aveva sanzionato disciplinarmente OMISSIS con la sospensione per mesi quattro dalle qualifiche di allenatore e guidatore di cavalli da corsa al trotto e con la multa di euro 1.000,00 in relazione alla positività al salbutamolo del prelievo su OMISSIS il 23.5.14 all'ippodromo di OMISSIS. Ha chiesto inoltre la condanna al risarcimento dei danni nonché la disapplicazione e/o annullamento del presupposto Regolamento per il Controllo delle Sostanze Proibite (RCSP).

Deduce vari motivi di impugnazione per violazione di legge ed eccesso di potere.

In particolare, parte ricorrente si duole dell’illegittimità della decisione indicata in epigrafe, di cui chiede l’annullamento per violazione del termine di cui all’art. 2 del regolamento di disciplina secondo cui l’azione disciplinare non può essere esercitata decorso un anno dall’illecito (il prelievo avveniva il 23.5.2014, mentre il giudizio domestico ha considerato il termine con riferimento al deposito dell’atto di incolpazione presso la stessa Procura); per assenza dell’analisi quantitativa del prelievo (che l’amministrazione ha condotto solo in relazione alla qualità della sostanza senza accertarne la concentrazione e senza quindi verificare il superamento dei limiti di cui all’International Screening limits dell’ International Federaton of Horseracing Authorities, che per il “salbutamol” sarebbe pari a 0,5 ng/ml); per mancato accreditamento del “laboratorio francese” con conseguente invalidità delle II analisi per violazione del Regolamento CE n. 765/2008; per mancato avviso del ricorrente circa il giorno e dell’ora della effettuazione delle II analisi; per invalidità o inefficacia delle comunicazioni rivolte al ricorrente, in quanto indirizzate ad una mail non certificata, con richiesta di disapplicazione del regolamento delle corse al trotto, art. 3, laddove consente tale genere di metodo di comunicazione; per carenza di motivazione della quantificazione della sanzione, scaturita da affermazioni prive di riscontro sull’incidenza della sostanza riscontrata sulla salute del cavallo; per mancata previa contestazione della recidiva, applicata senza che sussistessero i presupposti; per assenza dei presupposti per la responsabilità del ricorrente poiché avrebbe agito solo il proprietario, mentre il ricorrente aveva solo preso atto della somministrazione di un integratore alimentare.

L’amministrazione si è costituita e ha depositato una memoria con la quale ha in primo luogo eccepito la carenza assoluta di giurisdizione, trattandosi di ordinamento sportivo, nonché il difetto relativo di giurisdizione in favore del giudice ordinario perché nel regolamento per il Controllo delle Sostanze Proibite è prevista la clausola compromissoria.

Nel merito, ha chiesto il rigetto del ricorso.

La difesa di parte ricorrente ha depositato una memoria contestando l’eccepito difetto di giurisdizione e insistendo per l’accoglimento del ricorso.

All’udienza del 6.12.2016, il Collegio, con l’ordinanza nr. 7854/2016, ha disposto incombenti istruttori.

In data 12 gennaio 2017, l’amministrazione ha adempiuto depositando i documenti richiesti in sede istruttoria.

All’udienza del 7.2.2017, l’istanza cautelare presentata dal ricorrente è stata respinta con ordinanza n. 629/2017, fissandosi contestualmente l’udienza di trattazione di merito.

Con ordinanza collegiale resa all’esito dell’udienza pubblica del 5 maggio 2017, la Sezione ha chiesto ulteriori chiarimenti istruttori, identici a quelli già disposti nell’analogo giudizio sul ricorso nr. 09203/2016, disponendo che, per economia di tempi e mezzi processuali, l’istruttoria necessaria alla risoluzione dell’odierno ricorso possa essere eseguita mediante l’acquisizione di copia dei documenti che sono stati richiesti nel fascicolo relativo al ricorso nr. 09203/2016, incluso il verbale dell’audizione che sarà predisposto alla pubblica udienza del 20 giugno 2017.

Si trattava, nello specifico, di una richiesta alla Amministrazione di fornire indicazione delle previsioni (normative, convenzionali o amministrative) in forza delle quali il laboratorio in esame è vincolato a certificare la presenza della sostanza proibita solo se rilevata in misura maggiore del dato percentuale sopra specificato, ulteriormente chiarendo mediante quali tecniche il predetto laboratorio, che sulla base degli atti risulta praticare un metodo di indagine solo qualitativo, è in grado di affermare il riscontro di un valore quantitativo quale quello per cui è causa. Con la predetta ordinanza è stata altresì disposta, ai fini di illustrare oralmente la predetta relazione e di fornire eventuali ulteriori chiarimenti che si rendessero necessari, l’audizione del referente scientifico, medico veterinario, dott.ssa Sveva Davanzo, Responsabile Ufficio Veterinaria e Benessere animale, chiamata all’udienza pubblica del 20 giugno 2017.

All’odierna udienza, acquisita la verbalizzazione dell’audizione della dottoressa OMISSIS, di cui al verbale d’udienza del 20 giugno 2017, nonché gli ulteriori chiarimenti depositati dalla amministrazione, la causa è stata trattenuta in decisione.

I) Va in primo luogo disattesa l’eccezione di carenza di giurisdizione del giudice adito, come già ritenuto da questa Sezione nella sentenza n. 7098 del 16 giugno 2017.

A sostegno dell’eccezione di carenza di giurisdizione, l’Avvocatura deduce che nella fattispecie verrebbero in rilievo questioni interne all’ordinamento sportivo, laddove il risultato delle competizioni agonistiche è determinato da regole tecniche che non possono, per natura, generare posizioni di interesse legittimo o diritto soggettivo, non potendosi qualificare esse in termini di norme di relazione; l’eventuale inosservanza di norme “interne” dell’ordinamento sportivo risulterebbe così del tutto irrilevante nell’ordinamento generale (Cass. SSUU 26.10.1989, nr. 3499).

Secondo l’Amministrazione dovrebbe aversi riguardo all’art. 1, comma 2, del DL 220/03 che regola il riparto di giurisdizione tra l’ordinamento statale e quello sportivo – in tutte le sue articolazioni, inclusa l’ippica – secondo un principio di piena autonomia “salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo”, nell’ambito delle quali non rientrerebbero le sanzioni di cui si discute nell’odierno giudizio, come sembrerebbe ritenere la giurisprudenza più recente sulla base della considerazione che la norma non distingue gli effetti economici (Consiglio di Stato, 5782/08) e che il legislatore del 2003 non può non aver tenuto presente e considerato la rilevantissima entità di tale contenzioso (CGA Sicilia, n. 1048/07); a conferma di tale orientamento, la giustizia amministrativa (nella già richiamata decisione nr. 5782/08 del Consiglio di Stato) ha trattenuto la giurisdizione in ordine alla (sola) pretesa risarcitoria, che non è esperibile di fronte alla giustizia sportiva (e dunque rischierebbe di cadere in un vuoto di tutela); la sentenza nr. 49/2011 dalla Corte Costituzionale, ha del resto considerato la tutela risarcitoria una forma alternativa alla tutela di annullamento, pienamente effettiva; confermerebbe tale impostazione la introduzione, nel codice del processo amministrativo del 2010, della previsione di cui alla lett. “z” dell’art. 133 sulla giurisdizione esclusiva.

In via subordinata, la giurisdizione andrebbe riconosciuta al giudice ordinario e precisamente il collegio arbitrale previsto dal regolamento del MIPAAF (che giudica irritualmente entro trenta giorni).

A sostegno della giurisdizione, militerebbe l’orientamento consolidato della giurisprudenza, secondo il quale l’impugnazione di sanzioni disciplinari irrogate a causa di comportamenti contrari al regolamento sportivo dell’Ente attiene alla giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di atti adottati da soggetto di diritto pubblico nell’esercizio di una potestà pubblica, idonei a produrre modificazioni delle posizioni soggettive del settore di competenza, affievolendole in posizioni di interesse legittimo (così Cons. Stato, VI, 20 dicembre 1993, n. 996; TAR Lazio, III, 1591 del 14 novembre 2003; TAR Marche, sentenza nr. 16/2017).

Dall’esame della disciplina derivante dal RD 24 maggio 1932, n. 624 e l. 24 marzo 1942, nr. 315, risulterebbe poi da considerare la natura di ente strumentale dello Stato, propria dell’UNIRE, in relazione all’attività di vigilanza sulle corse dei cavalli, in ragione della quale il provvedimento sanzionatorio irrogato in tale funzione risulta perseguire finalità di interesse generale (TAR Bolzano, sentenza nr. 186/2011). Da qui, la diversità tra le Federazioni Sportive, tra cui la FISE, che confluiscono nel CONI e l’UNIRE; l’equitazione, sorretta dalla FISE, sarebbe disciplina anche sportiva diversa dall’ippica, che è oggetto di competenze dirette del MIPAAF (dopo la trasformazione dell’UNIRE nell’ASSI e poi la confluenza delle relative competenze in capo alla gestione diretta del Ministero); non troverebbe pertanto applicazione all’Ippica la previsione di cui all’art. 3, comma 1, del DL 220/2003, conv. in legge 280/03 che regola la cognizione delle controversie sportive nell’ambito delle associazioni federate nel CONI.

Osserva il Collegio che le disposizioni che regolano la c.d. “pregiudiziale sportiva” e la connessa limitazione della giurisdizione del giudice amministrativo presuppongono una nozione di “ordinamento sportivo” che non consente di includervi – come prospetta l’avvocatura – anche le sanzioni erogate direttamente dal MIPAAF nell’ambito delle proprie prerogative di controllo del settore dell’Ippica, materia in precedenza affidata alle competenze dell’UNIRE e poi dell’ASSI.

Invero, la norma di cui all’art. 2 e 3 del DL 220/03, nel riconoscere l’autonomia dell’ordinamento sportivo, presuppone a disciplina di quest’ultimo l’istituzione e l’organizzazione del CONI, ente con personalità giuridica di diritto pubblico e delle Federazioni sportive nazionali di cui al d.lgs. 242/1999; per effetto dell’adesione a tali organismi, gli associati si assoggettano all’azione dei relativi organi di controllo e di giurisdizione domestica, entro un ambito che lo Stato riconosce e tutela.

Si tratta, in altri termini, di una evidente condizione di pluralità degli ordinamenti o pluralismo istituzionale, nell’ambito della quale il confine tra l’ordinamento giuridico pubblico e quello sportivo è dato non già da una definizione materiale di competenze - dell’uno e dell’altro - ma dalla dimensione propriamente organizzativa ed istituzionale del secondo, che il primo riconosce e tutela, nel presupposto che un ordinamento si sostanzia non solamente nelle norme che produce, ma anche e prima ancora nell’articolazione della struttura che tali norme pone (appropriato è, in questo caso, il richiamo al noto principio affermato da una qualificata dottrina, risalente ma tutt’ora attuale, secondo cui “ogni ordinamento giuridico è un'istituzione, e viceversa ogni istituzione è un ordinamento giuridico: l'equazione fra i due concetti è necessaria ed assoluta”).

Del resto, anche sotto il profilo strettamente oggettivo delle attività, non può non riconoscersi il dovuto rilievo alla differenza tra l’ippica – intesa come attività volta in generale alla promozione del cavallo e delle relative attività – e l’equitazione – attività propriamente sportiva che, pur rientrando nella nozione più generale della prima, se ne differenzia sotto il profilo della competizione agonistica.

Deve quindi rammentare il Collegio che la competenza del MIPAAF in ordine alla disciplina dell’ippica trova titolo in una strutturata (e risalente) evoluzione normativa.

Più precisamente, il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali è subentrato all’ASSI, che a sua volta, era subentrato all’UNIRE, a norma, rispettivamente, del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 449 (recante norme circa il riordino dell'Unione nazionale per l'incremento delle razze equine (UNIRE), ex art. 11 della legge 15 marzo 1997 n. 59), e della legge 15 luglio 2011 n. 111, istitutiva dell'Agenzia per lo sviluppo del settore ippico (ASSI) quale successore ex lege dell'UNIRE; vengono in rilievo, nel prosieguo, il decreto-legge 27 giugno 2012, n. 87, recante, tra l'altro, la soppressione dell'Agenzia per lo sviluppo del settore ippico, e l’art. 23 quater, comma 9 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 (che, nel prevedere la soppressione dell’ASSI , ne ha ripartito le funzioni tra il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e l'Agenzia delle Dogane e dei monopoli).

In forza di tali presupposti normativi è stato poi adottato il decreto interministeriale 31 gennaio 2013 del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, registrato alla Corte dei Conti il 25 febbraio 2013, reg. 2, fgl. 215, con il quale, tra l'altro, sono state attribuite al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali le funzioni già riconosciute all'ex ASSI dalla normativa vigente ( ad eccezione delle competenze relative alla certificazione delle scommesse sulle corse dei cavalli affidate all'Agenzia delle dogane e dei monopoli); con il successivo DPCM 27 febbraio 2013, n. 105, rubricato «Regolamento recante organizzazione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, a norma dell'art. 2, comma 10-ter, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 17 settembre 2013», e l’art. 7, comma 2, del precitato decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 449, sono state regolate le norme e le strutture disciplinari già appartenenti agli enti incorporati, in considerazione delle specifiche caratteristiche tecniche delle modalità di gara.

Nel descritto contesto normativo si radicano competenze specifiche ben più ampie ed estese di quelle relative alle competizioni agonistiche in quanto tali, come il compito di concorrere alla tutela dell'incolumità ed al mantenimento dei cavalli sottoposti a “trattamenti dopanti” (art.2 del d.lgs n.499 del 1999) o anche quello che individua tra le finalità (già dell’) UNIRE la ricerca scientifica nel settore dell'allevamento, dell'allenamento e dell'antidoping, oppure il controllo della regolarità di tutte le attività relative alle corse (art.12 del d.P.R. n.169 del 1998); l'organizzazione delle corse dei cavalli; la programmazione dello sviluppo del settore dell'ippicoltura in tutte le sue componenti tecniche, economiche, sociali, culturali e promozionali; la programmazione tecnica ed economica delle corse e delle altre forme di competizione; la predisposizione “del calendario delle manifestazioni ippiche”; il coordinamento dell'attività degli ippodromi; la determinazione degli stanziamenti relativi ai premi ed alle provvidenze; la promozione di iniziative previdenziali e assistenziali in favore dei fantini, dei guidatori, degli allenatori e degli artieri e così via.

Non è senza rilievo, infine, che, in maniera del tutto simmetrica, successivamente all'entrata in vigore d.P.R. 8 aprile 1998 n. 169, recante il regolamento di attuazione dell'art. 3 comma 78 l. 23 dicembre 1996 n. 662 (che, abrogando la precedente riserva all'Unire, ha affidato le competenze per l'organizzazione e la gestione dei giochi e delle scommesse relativi alle corse dei cavalli ai ministeri delle finanze e delle risorse agricole, alimentari e forestali, sia pur consentendo loro di provvedervi direttamente ovvero a mezzo di enti pubblici, società o allibratori da essi individuati) è stata devoluta alla giurisdizione tributaria la domanda proposta dal titolare di un'agenzia ippica per ottenere il rimborso di quanto indebitamente versato a titolo di imposta sulle scommesse relative alle corse dei cavalli (cfr. Cassazione civile sez. un. 23 aprile 2009 n. 9672 ), a significare come anche sotto il profilo tributario viene in rilievo un’attività sostanzialmente amministrativa pienamente riconducibile all’autorità ministeriale in quanto soggetto titolare di competenze di interesse generale.

Essendo il complesso di tali interessi di livello tale da costituire una delle funzioni della riserva statale (sia sul piano dell’organizzazione della funzione, sia su quello, correlato, della gestione delle entrate ad essa connesse), ne consegue che le iniziative disciplinari e sanzionatorie non possono che sussumersi nell’ambito di detta riserva di competenze che presuppone l’esercizio di attività pubblicistiche vere e proprie e la cui cognizione, in caso di controversia, seguirà il normale riparto tra interessi legittimi e diritti soggettivi, con conseguente impossibilità di configurare neppure quella riserva di giurisdizione di tipo arbitrale cui, in subordine, si riferisce l’Avvocatura.

Conclusivamente, va affermato il principio secondo il quale l’impugnazione di sanzioni disciplinari irrogate dal MIPAAF a carico di allenatori o fantini o proprietari di cavalli a causa di comportamenti contrari al regolamento sportivo dello stesso Ente in relazione all’attività ippica che lo stesso Ministero è tenuto ad organizzare e sulla quale esercita il proprio diretto controllo attiene alla giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di atti adottati da soggetto di diritto pubblico nell’esercizio di una potestà pubblica, estranei all’ambito di applicazione del DL 220/03 ed idonei a produrre modificazioni delle posizioni soggettive del settore di competenza.

II) Nel merito, si osserva quanto segue.

Devono in primo luogo essere anteposte alla trattazione dei motivi di ricorso alcune considerazioni inerenti il rapporto tra il ricorso giurisdizionale ed il gravame domestico di fronte alla commissione di disciplina.

La sanzione disciplinare è assistita da una procedura particolarmente qualificata, all’esito della quale la Commissione di appello può (al pari di quanto avviene nei ricorsi gerarchici) annullare la decisione della Commissione di disciplina ovvero confermarla definitivamente (effetto quest’ultimo che si verifica ovviamente anche ove l’interessato non appelli entro il termine perentorio prescritto; cfr, Consiglio di Stato sez. III 25 settembre 2012 n. 5089 e sez. IV, 22 novembre 2013, n. 5554, secondo cui l'Autorità investita di un ricorso gerarchico ha il potere-dovere di riesaminare integralmente la fattispecie, facendosi carico sia dei profili di legittimità e sia di quelli merito, sicché il suo provvedimento, anche se confermativo, assorbe e sostituisce quello dell'organo sottordinato).

Una volta esperito l’appello domestico (laddove di fronte alla Commissione di appello vanno dedotti tutti i motivi ritenuti idonei a fondare la pretesa di illegittimità dell’atto avversato), l’impugnazione di fronte al GA della decisione della Commissione di appello, non potrà che avere riguardo alla compiutezza di quest’ultimo atto e dovrà essere coincidente con i medesimi motivi dedotti in sede domestica – pena l’inammissibile violazione del termine decadenziale rispetto alla sanzione – con la conseguenza che non potranno essere fatti valere motivi nuovi (cfr. Cons. St. sez. VI, 02/07/2015, n. 3299; Cons. St., sez. V, 15 marzo 2012, n. 1444: in sede di ricorso giurisdizionale proposto contro una decisione adottata a seguito di ricorso gerarchico sono inammissibili i motivi nuovi di ricorso che non siano stati proposti nella predetta sede contenziosa amministrativa; ciò al fine di evitare che la mancata impugnativa di un atto asseritamente illegittimo attraverso il rimedio giustiziale e la sua successiva impugnativa -per saltum- con il rimedio giurisdizionale possa costituire la via attraverso la quale eludere l'onere di impugnare tempestivamente l'atto nell'ordinario termine decadenziale), ad eccezione, ovviamente, di ragioni attinenti a vizi propri della decisione.

Tanto premesso, il ricorso è infondato e pertanto esso deve essere respinto.

Con il primo motivo, parte ricorrente sostiene che l’atto di incolpazione sarebbe tardivo rispetto al termine annuale previsto in quanto depositato presso la Commissione di disciplina dopo il decorso di un anno previsto dall’art.2 citato, il quale prevede che “L’azione disciplinare non può essere esercitata trascorso un anno della data di consumazione dell’illecito”.

Infatti, l’illecito sarebbe stato perpetrato in data 14.6.2014 e l’atto di incolpazione depositato nella segreteria del Procuratore in data 4.5.2015, mentre non sarebbe dato sapere quando è stato depositato presso la segreteria della Commissione di disciplina.

Avrebbe pertanto errato la Commissione di appello nel considerare quale data del deposito quello del 3 maggio 2015, in quanto addirittura antecedente alla data di deposito presso la segreteria de Procuratore.

La censura non può essere accolta.

L’art. 5 del regolamento di disciplina, al comma 7, prevede “Il Procuratore della Disciplina, all’esito delle indagini, promuove l’azione disciplinare, nei confronti del responsabile, mediante formulazione dell’atto di incolpazione, (..)”.

Detto atto di incolpazione, sicuramente formulato già in data 4.5.2015, risulta poi essere stato trasmesso alla Commissione di disciplina di prima istanza in data 5.5.2015, come risulta dal timbro di ricezione apposto dal Segretario della Commissione di disciplina di Prima istanza, sul doc. 3 della produzione dell’avvocatura, recante trasmissione alla Commissione di disciplina di prima istanza.

Con il secondo motivo, parte ricorrente lamenta contesta che l’analisi sia stata solo qualitativa mentre doveva essere effettuata un’analisi quantitativa per poter controllare il rispetto degli ILS (International screening limits) in base ai quali la presenza nel campione di una quantità di salbutamolo inferiore a 0,5 nanogrammi su millilitro non deve essere ritenuta rilevante.

Sostiene in sostanza parte ricorrente che solo tramite l’effettuazione di un’analisi quantitativa i laboratori avrebbero potuto certificare il superamento della soglia dei 0,5 nanogrammi/ml.

La questione a questo punto deve essere esaminata con riferimento alle metodiche utilizzate per effettuare tale rilevazione.

Come rilevato dalla difesa del ministero resistente e dalla relazione prodotta, la procedura per il controllo antidoping prevede che le analisi debbano essere effettuate con il metodo qualitativo per tutte le sostanze, tranne quelle di cui all’allegato 2 del RCSP, per le quali è previsto che si debba effettivamente verificare l’esatta quantificazione della sostanza.

Al fine di consentire il rispetto degli ISL (International screening limits) ed ESL: (European screening limits) ossia dei limiti di concentrazione, il cui non superamento determina una dichiarazione di negatività del campione pur in presenza del principio attivo, i laboratori di analisi autorizzati e accreditati effettuano una analisi cd. semiquantitativa. Tali limiti solo rilevanti per le sostanze di cui all’allegato 1 del Regolamento, in quanto dette sostanze, di tipo farmacologico, possono anche essere usate a fini medici e possono quindi essere lecitamente prese In tutti questi casi, i laboratori devono effettuare un’analisi denominata semiquantitativa che consiste esclusivamente nel rilevare il superamento del livello al di sopra della quale è stabilito che la sostanza abbia effetti “dopanti”, senza alcuna necessità di verificarne la quantità esatta.

La procedura prevede che sia effettuato un confronto con un campione di riferimento addizionato ad una concentrazione nota.

Deve dunque ritenersi che pur in mancanza di un’analisi quantitativa il metodo utilizzato consenta di verificare il superamento del limite di rilevanza per la presenza della sostanza dopante, nel rispetto degli standard internazionali fatti propri e rispettati dai laboratori di analisi che seguono i criteri AORC, quale è sicuramente il laboratorio francese.

La censura deve pertanto essere respinta.

Con il terzo motivo, parte ricorrente ha lamentato la correttezza del procedimento per l’effettuazione delle seconde analisi, sostenendo in particolare che il laboratorio francese non risultava accreditato per la ricerca del salbutamolo.

Il motivo non può essere accolto.

Occorre premettere che, come ha chiarito la dottoressa Davanzo all’udienza del 20 giugno 2017, con dichiarazioni utilizzabili anche nel presente giudizio, essendo stata disposta l’acquisizione del relativo verbale di audizione, l’accreditamento da parte di soggetti come Accredia o soggetti analoghi di altri Paesi è cosa diversa dall’accreditamento AORC, che si ottiene mediante il rispetto da parte dei laboratori di analisi, del rispetto dei criteri AORC.

Ora, il laboratorio francese, che parte ricorrente ha liberamente scelto per l’effettuazione delle seconde analisi, è sicuramente un laboratorio accreditato AORC e dunque segue i criteri di rilevazione delle sostanze proibite secondo gli standard internazionali.

In questo quadro, la circostanza che esso non risulti accreditato per la ricerca del salbutamolo non può costituire motivo di illegittimità del procedimento, considerato che è stata proprio parte ricorrente ad indicare il laboratorio in esame e che comunque ciò non inficia il rispetto dei criteri AORC, gli unici rilevanti al fine di stabilire l’attendibilità dell’analisi ai fini del rispetto degli standard internazionali.

Con il quarto motivo, parte ricorrente denuncia la violazione del contraddittorio perché OMISSIS non avrebbe ricevuto l’avviso delle seconde analisi, effettuato ad un indirizzo e-mail e non ad una PEC o alla residenza del destinatario. Il regolamento di disciplina, laddove prevedeva tale possibilità di comunicazione, dovrebbe, secondo il ricorrente, essere disapplicato per violazione del Codice dell’amministrazione digitale.

La doglianza non può essere accolta.

La comunicazione è correttamente stata effettuata, ai sensi dell’art. 3 del regolamento delle corse al trotto, all’indirizzo e-mail comunicato da OMISSIS ed è stata peraltro anche effettuata al suo difensore.

Tale previsione regolamentare non appare in contrasto con il CAD che, allo stato, non obbliga le pubbliche amministrazioni a tenere rapporti con i cittadini unicamente mediante PEC.

L’art. 3 bis del CAD prevede infatti che è in facoltà dei cittadini indicare un proprio domicilio digitale, ma non sono obbligati a farlo. Né risulta che nel caso di specie OMISSIS abbia indicato un indirizzo PEC alla amministrazione.

Infine, la comunicazione effettuata ha comunque sortito i suoi effetti posto che parte ricorrente ha potuto indicare il laboratorio prescelto per l’effettuazione delle seconde analisi.

Con il quinto motivo, parte ricorrente ripropone motivi di appello domestico relativi alla quantificazione della sanzione.

Quanto al profilo di doglianza concernente la mancata considerazione di motivi dell’appello domestico, peraltro genericamente svolta, vale quanto riportato da Cons. St. n. 692/2017 che ha affermato: “Rileva, invero, la Sezione che il sistema di giustizia disciplinare è organizzato in due gradi di giudizio. Peraltro, l'omesso esame di una censura ovvero di una argomentazione difensiva da parte dell'organo di prima istanza equivale sostanzialmente ad una loro reiezione. Ciò comporta che, quando l'omissione sia dedotta in sede di appello, il relativo organo decidente ne viene investito e può deciderla nel merito, operando in proposito l'effetto devolutivo che è tipico del giudizio di appello, a prescindere dalla esistenza di una specifica disposizione in proposito. La denuncia di una omessa pronuncia legittima, pertanto, l'organo di appello ad esaminarla e a decidere sulla stessa. Né può dirsi violato il principio del doppio grado di giudizio, considerandosi che comunque, a fronte di una decisione di primo grado che ometta l'esame di talune doglianze, comportandone in sostanza il rigetto, la decisione sulle stesse da parte del giudice di appello consente di rispettare il principio, atteso che la questione viene comunque ad essere esaminata da un secondo soggetto decidente.”

In ogni caso, le censure dedotte non possono trovare accoglimento tenuto conto dei ristretti limiti in cui il sindacato su profili di alta discrezionalità come la quantificazione della sanzione può essere effettuato. Ed infatti, la sanzione irrigata è inferiore al massimo edittale. Inoltre, la contestazione della recidiva è stata effettuata, nell’atto di incolpazione, ancorché con la formula “salvo maggiore quantificazione in caso di recidiva”. (cfr. atto di incolpazione, doc. 2 della produzione della amministrazione in data 12.1.2017)

Infine, parte ricorrente, riproducendo il motivo sub 11 dell’appello domestico, sostiene che le vicende di cui alla decisione 141/2015 e quelle oggetto del presente ricorso dovevano giudicarsi contestualmente, visto che la responsabilità della somministrazione della sostanza dopante doveva essere ascritta al proprietario del cavallo, anche ai fini di una minore quantificazione della sanzione.

Sul punto, la Commissiona di disciplina di appello ha sottolineato che la quantificazione della sanzione è stata effettuata tenendo conto degli altri episodi precedenti di somministrazione di sostanza proibita, con applicazione della recidiva.

Il ricorrente, limitandosi a ripetere quanto affermato nell’appello domestico, non ha proposto censure specifiche alla decisione della Commissione di appello, della cui ragionevolezza questo giudicante non vede ragione per dubitare.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto e quindi anche la consequenziale domanda risarcitoria.

Le spese, tuttavia, possono essere compensate, attesa la complessità e parziale novità delle questioni affrontate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, respinge il ricorso.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 luglio 2017 con l'intervento dei magistrati:

Pietro Morabito, Presidente

Giuseppe Rotondo, Consigliere

Maria Laura Maddalena, Consigliere, Estensore

DirittoCalcistico.it è il portale giuridico - normativo di riferimento per il diritto sportivo. E' diretto alla società, al calciatore, all'agente (procuratore), all'allenatore e contiene norme, regolamenti, decisioni, sentenze e una banca dati di giurisprudenza di giustizia sportiva. Contiene informazioni inerenti norme, decisioni, regolamenti, sentenze, ricorsi. - Copyright © 2024 Dirittocalcistico.it