T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 3999/2018

Pubblicato il 12/04/2018

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale (…), proposto da:  OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano Ricci, Massimiliano Capuzi, con domicilio eletto presso lo studio Massimiliano Capuzi in Roma, via G. Ferrari, 11;

contro

Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, in persona del Ministro, legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

della Decisione della Commissione di Disciplina di I° grado presso il M.I.P.A.A.F depositata comunicata e notificata il 20.6.2017, nel procedimento avente n. ruolo 057/2017 a seguito di udienza tenutasi il 9 maggio 2017 e tutti gli atti ad essa sottesi e presupposti e conseguenti, precisamente:

- atto di incolpazione del 22.03.2017, con il quale la Procura della Disciplina presso il Ministero resistente, ha promosso azione disciplinare contro il ricorrente, nonché contro ogni altro atto e/o provvedimento ad essi sotteso e presupposto tra cui tutti gli atti della procedura antidoping effettuata sul cavallo “OMISSIS”, nonché avverso tutti gli atti e le comunicazioni asseritamente comunicate/notificata dal MIPAAF all'incolpato.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 marzo 2018 il dott. Salvatore Gatto Costantino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm. in ordine alla regolarità e completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, ai fini della decisione sul ricorso nel merito, con sentenza in forma semplificata;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il ricorrente, allenatore e guidatore di trotto, espone che con atto di incolpazione del 22 marzo 2017, la procura della Disciplina presso il Mipaaf, procedeva a carico del ricorrente stesso, per essere stata riscontrata la positività del cavallo da egli allenato, OMISSIS, alla sostanza stupefacente denominata “benzoilecgonina” in esito ad un controllo antidoping effettuato il 14 settembre 2016 presso l’ippodromo di OMISSIS.

Allega di non avere avuto alcuna comunicazione né dell’esito delle analisi, né dell’incolpazione medesima, come neppure della decisione della Commissione, atti tutti questi dei quali veniva a conoscenza solo in occasione del tentativo di iscrizione di un cavallo da egli allenato ad una corsa, quando apprendeva di essere stato “bloccato” per effetto della sanzione.

Effettuato accesso agli atti del giudizio disciplinare, veniva a conoscenza del fatto che l’Organo di giustizia sportiva domestica, presso il quale non aveva potuto svolgere difesa alcuna in conseguenza del mancato avviso, lo aveva condannato, in misura di molto maggiore alle richieste della Procura, alla sospensione per mesi diciotto dalla doppia qualifica di allenatore e guidatore e alla multa di euro 4.500,00.

Con l’odierno ricorso chiede pertanto l’annullamento della decisione della Commissione di I istanza, nonché degli atti presupposti meglio elencati in epigrafe, che sarebbero illegittimi per (I) violazione del principio stabilito dalla delibera del C.d.A. dell’UNIRE del 16.3.2009 (nessuno degli atti impugnati, ossia né l’atto di incolpazione, né la decisione del MIPAAF, indica quale sia la quantità della sostanza riscontrata al controllo antidoping; essendo la “benzoilecgonina” un metabolita della cocaina, avrebbe dovuto essere riscontrato e quindi attestato un livello pari ad almeno 25 ng/ml, (20 + 5) compresa la tolleranza, tale da comportare l’effettiva modifica della prestazione dell’equide, non essendo quindi sufficiente, ai fini dell’incolpazione, la mera presenza del metabolita); (II) Violazione della procedura antidoping di cui al vigente RCSP; mancata effettuazione analisi quantitativa sul campione; violazione di legge, eccesso di potere, violazione di norme sul procedimento amministrativo sotto il profilo dell’erroneità dell’accertamento di positività del cavallo OMISSIS; violazione dei principi stabiliti in materia dalla giurisprudenza amministrativa e domestica (nella comunicazione relativa all’esito del controllo emerge che il secondo accertamento sarebbe stato di tipo esclusivamente qualitativo; con delibera n. 104 adottata il 16.3.2009 - prima quindi della decisione appellata e di tutti i provvedimenti che ad essa hanno dato origine - l’allora Consiglio di Amministrazione dell’U.N.I.R.E. aveva proposto la modifica dell’art. 2 del Regolamento per il controllo sull’uso delle sostanze proibite, approvato con D.M. 797 del 16 gennaio 2002, indicando quale soglia di punibilità quella di 20 ng/ml, introducendo poi un ulteriore limite di tolleranza espressa in 5 ng/ml; la natura di modifica del regolamento di tale deliberazione emergerebbe dalla nota del Segretario generale dell’UNIRE del 27.10.2009, nella quale si proponeva di sospendere tutti i procedimenti ai quali sia applicabile la delibera nr. 104/2009); (III) Illegittimità del procedimento amministrativo e degli atti impugnati per violazione dei principi di imparzialità, buon andamento, trasparenza; eccesso di potere o sviamento di potere; violazione di legge sotto il profilo della violazione o falsa applicazione dell’art. 2 del RCSP (il M.I.P.A.A.F. non avrebbe provveduto ad informare l’incolpato della possibilità di avere delle seconde analisi, che infatti non sono state effettuate); (IV) violazione dell’art.2 RCSP per avere considerato la Procura, la Commissione disciplinare di Prima Istanza la fattispecie, alla stregua della generale ipotesi di cui al detto articolo 2 e non come una specificazione della medesima; mancata applicazione dei principi emersi nella Giurisprudenza amministrativa ed in quella della Commissione Disciplinare di Appello; violazione del contenuto della delibera 104/2009 (la diretta applicabilità dei principi oggetto della prospettata modifica della delibera da ultimo indicata, in qualità non di presupposti giuridici, ma tecnico-valutativi, sarebbe da confermarsi anche in forza di pronunce giurisprudenziali che il ricorrente richiama); (V) Illegittimità della decisione impugnata per violazione dell’art. 5 punto 7 del vigente Regolamento di Disciplina (secondo il quale l’oggetto del giudizio disciplinare è circoscritto all’atto di incolpazione; la Procura aveva chiesto la condanna dello OMISSIS a mesi sei di squalifica ed euro 1.500,00 di multa, salvo la sussistenza della recidiva, che invece non opera non essendo lo OMISSIS mai stato punito in via disciplinare; invece la Commissione di I° grado, ha triplicato la sanzione portandola a mesi 18 ed euro 4.500,00 di multa, di fatto operando una modifica inammissibile ed illegittima del capo di incolpazione e ledendo i diritti e le garanzie poste a difesa del ricorrente).

Con DP 4095/2017 è stata respinta la domanda di misure cautelari monocratiche.

Si è costituito il Ministero che resiste al ricorso del quale chiede il rigetto.

Con ordinanza istruttoria nr. 4561/17 del 1 settembre 2017 è stata disposta, a carico del Ministero, la produzione di dettagliata e documentata relazione sui fatti di causa, sospendendo nelle more il provvedimento impugnato e fissando per il prosieguo l’udienza camerale del 17.1.2018.

L’Amministrazione ha depositato una propria relazione con allegata documentazione in data 27 ottobre 2017.

Parte ricorrente contesta la produzione avversaria, evidenziando, tra l’altro, che le comunicazioni mail che l’Avvocatura afferma essere state indirizzate al ricorrente stesso, risulterebbero inviate ad un indirizzo di posta elettronica errato (“OMISSIS @libero.it”, invece che “OMISSIS @libero.it” risultante dalle comunicazioni rivolte all’Amministrazione).

All’esito della camera di consiglio del 17 gennaio 2018, con ordinanza nr. 310/18, è stata disposta una ulteriore istruttoria, con precipuo riferimento alla documentazione comprovante gli accertamenti eseguiti nella campionatura, come indicata nella decisione nr. 9257/2017 di questa Sezione, atti a dimostrare, pur tramite l’analisi semiquantitativa, il superamento del valore standard di 20 ng/mlg; nonché copia delle comunicazioni con le quali il ricorrente ha dichiarato all’Amministrazione il proprio indirizzo mail e copia delle mail di spedizione dell’avviso (e delle altre comunicazioni intercorse).

La documentazione di cui all’ordinanza appena indicata è stata depositata dalla difesa dell’Amministrazione in data 8 marzo 2018, con produzione della nota dell’UNIRELAB del 23.1.2018 nella quale risulta che la quantità della sostanza “dopante” era pari a 40 ng/ml; e copia delle documentazioni nelle quali risultava la comunicazione dell’indirizzo del ricorrente di posta elettronica.

Con propria memoria depositata il 23 marzo 2018, il Ministero chiede il rigetto del ricorso: quanto alla mancata verifica del superamento della soglia dei 20 ng/ml, di cui alla delibera nr. 104 del 16.3.2009, richiamandosi all’esito delle risultanze istruttorie depositate ed alle sentenze della Sezione nr. 9257/17 e 1048/18, chiarisce la difesa dell’Avvocatura che la procedura per il controllo antidoping prevede che le analisi debbano essere effettuate con metodo qualitativo per tutte le sostanze, ad eccezione di quelle di cui all’allegato 2 del RCSP, in ordine alle quali va accertata la quantità presente nel campione; rispetto a queste, l’analisi c.d. “semiquantitativa” riguarda solamente alcune sostanze (generalmente molecole farmacologiche utilizzate a scopo terapeutico) per le quali è stato introdotto nell’ordinamento antidoping internazionale un “international screening limits” ossia un limite di concentrazione, il cui non superamento determina una dichiarazione di negatività del campione pur in presenza del principio attivo e le cui soglie di rilievo sono stabilite o a livello internazionale (ISL, international screening limits) o a livello europeo (ESL european screening limits o HSL harmonized screening limits queste ultime con riferimento a molecole di tipo non propriamente farmacologico, come ad esempio la Benzoilecgonina BZE, rispetto alle quali risultano evidenze scientifiche circa gli effetti dopanti); proprio in adesione a tali principi, la delibera nr. 104 del 16.3.2009 stabilisce il limite quantitativo dei 20ng/ml per la BZE: l’analisi semiquantitativa serve a rilevare il superamento del livello, al di sopra del quale è stabilito che la sostanza abbia effetti “dopanti”, senza quindi necessità di accertare (o attestare) l’esatto quantitativo, essendo rilevante il solo superamento del limite; nel caso di specie, il documento dell’UNIRELAB di cui alla nota del 23.1.2018 specifica “che la concentrazione indicata è stata elaborata da un’analisi di tipo semiquantitativo tramite il confronto con un campione di riferimento addizionato ad una concentrazione nota”; in esecuzione dell’ordinanza istruttoria del TAR è stato quindi richiesto all’UNIRELAB di indicare la sostanza dopante, che è risultata corrispondere alla misura 2 volte superiore al limite di rilievo.

Circa la questione relativa alla irregolarità della procedura amministrativa per non avere l’Amministrazione consentito al ricorrente di esercitare la facoltà delle seconde analisi, rileva l’Avvocatura che le comunicazioni sono state inoltrate al ricorrente, all’indirizzo mail da egli dichiarato, così come risulta dalle comunicazioni intercorse con il Ministero che sono agli atti e che deposita ulteriormente; in particolare, risulterebbe l’indirizzo utilizzato è quello riscontrabile nella richiesta di rinnovo della licenza di guidatore allenatore del 24.4.2015, protocollo 29448; tale indirizzo veniva inserito nell’anagrafica dell’Amministrazione; per il 2016 la richiesta di rinnovo (pure prodotta) non recava alcun indirizzo (prot. 30319 del 13.4.2016), confermandosi quindi quello esistente, che veniva utilizzato al momento del riscontro delle analisi (14 settembre 2016); nel marzo 2017, con nuova richiesta di rinnovo licenza, veniva indicato un indirizzo mail nel quale è possibile individuare la presenza di un punto tra il nome ed il numero 75 che conclude l’estensione dell’indirizzo; in ogni caso, si tratta di una comunicazione successiva all’esito delle analisi ed alla formulazione dell’incolpazione; il ricorrente avrebbe comunque avuto notizia dell’esito delle analisi dalla pubblicazione del nominativo del cavallo sul sito internet nell’apposito elenco, tempestivamente curata dall’Amministrazione ed altresì dalla circostanza che il cavallo, iscritto ad una corsa meglio indicata, veniva ritirato dalla Giuria per effetto del controllo.

Parte ricorrente, con propria memoria depositata il 24 marzo 2018, contesta le deduzioni dell’Avvocatura, evidenziando, tra l’altro, che la comunicazione della decisione della commissione avveniva all’indirizzo mail errato dopo la comunicazione del marzo del 2017; ciò avrebbe comportato l’impossibilità di appellare la decisione e quindi la perdita di un grado di giudizio disciplinare.

Nella camera di consiglio del 27 marzo 2018 le parti hanno approfondito ulteriormente le rispettive tesi, domande ed eccezioni l’Avvocatura ha chiesto altresì lo stralcio di dichiarazioni sconvenienti contenute nella memoria della parte ricorrente depositata il 24 marzo 2018.

Parte ricorrente, oltre a contestare il presupposto della richiesta di stralcio, insiste nelle circostanze dedotte e nell’accoglimento del gravame.

Sentite quindi le stesse parti circa la possibilità di una definizione della causa con sentenza in forma semplificata e con il loro assenso, il ricorso è stato quindi trattenuto in decisione per essere risolto nel merito.

DIRITTO

Nell’odierno giudizio, parte ricorrente si duole dell’illegittimità degli atti impugnati, con i quali è stata comminata la sanzione della sospensione per mesi diciotto dalla doppia qualifica di allenatore e guidatore e alla multa di euro 4.500,00, per la riscontrata positività del cavallo di cui è allenatore alla sostanza meglio indicata in parte motiva.

I) Giova premettere, richiamando specifici precedenti sul punto, che l’impugnazione di sanzioni disciplinari irrogate dal MIPAAF a carico di allenatori o fantini o proprietari di cavalli a causa di comportamenti contrari al regolamento sportivo dello stesso Ente in relazione all’attività ippica che lo stesso Ministero è tenuto ad organizzare e sulla quale esercita il proprio diretto controllo, attiene alla giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di atti adottati da soggetto di diritto pubblico nell’esercizio di una potestà pubblica, estranei all’ambito di applicazione del DL 220/03 ed idonei a produrre modificazioni delle posizioni soggettive del settore di competenza (ex plurimis, TAR Lazio, Roma, II ter, 8 settembre 2017 nr. 9645).

II) Secondo un ordine strettamente pregiudiziale delle censure, deve adesso esaminarsi il ricorso nella parte in cui lamenta la mancata comunicazione degli atti prodromici alla decisione disciplinare impugnata.

All’esito dell’istruttoria, rileva il Collegio che, dalle prime due comunicazioni che il ricorrente ha rivolto all’Amministrazione, depositate agli atti di causa, risulta con chiarezza che l’indirizzo mail dichiarato dal ricorrente stesso coincide con quello registrato all’anagrafica del Ministero ed utilizzato per l’invio delle analisi e dell’atto di incolpazione.

Nessun rilievo possiedono, quindi, le censure relative alla mancata comunicazione degli atti del procedimento, quanto ai risultati delle analisi ed all’avvio del procedimento disciplinare.

Nella richiesta di rinnovo del patentino per il 2017, l’indicazione dell’indirizzo mail risulta apposta a mano con grafia non ordinata e di non semplice comprensione; come puntualmente evidenziato dall’Avvocatura di Stato, è solo dopo un attento esame che si può rinvenire l’esistenza del “punto” tra il nome del ricorrente ed il numero che anticipa la @ dell’indirizzo.

In altri termini, la grafia che risulta dal documento è difficilmente intelligibile, tanto che è del tutto spiegabile la mancata annotazione della differenza di estensione della mail da parte dell’Amministrazione, specie poi se si considera che, da quanto esposto dalla difesa di parte ricorrente, parrebbe evincersi che l’indirizzo completo (ovvero quello recante il “punto”) è sempre stato quello posseduto del ricorrente, e che dunque quest’ultimo aveva errato nella compilazione dei precedenti moduli; con la conseguenza che l’Amministrazione è stata indotta in errore proprio dal comportamento negligente del ricorrente stesso.

Atteso che, comunque, la stessa Avvocatura, specie nella discussione in camera di consiglio, ha preso atto che l’indirizzo mail del ricorrente è quello contenente il “punto” dopo il nome, deve osservare il Collegio che può discutersi di un difetto di comunicazione solamente per quanto riguarda la decisione di I grado che è stata impugnata nell’odierno giudizio, posto che la indicazione corretta dell’indirizzo mail dello stesso ricorrente è contenuta in una istanza rivolta all’Amministrazione successiva all’avvio del procedimento disciplinare ed alle presupposte comunicazioni relative al risultato delle analisi ed all’incolpazione.

Tuttavia, anche sotto il profilo appena considerato, il ricorso non può trovare accoglimento.

In primo luogo, il difetto di comunicazione della decisione disciplinare di primo grado, incide nella fase integrativa dell’efficacia del provvedimento amministrativo; e dunque può rilevare solo ai fini della decorrenza del termine per l’appello domestico, non ai fini della legittimità della deliberazione che conclude il giudizio disciplinare.

Durante la discussione in camera di consiglio, parte ricorrente ha evidenziato che, una volta decorso il termine perentorio per l’appello domestico, quest’ultimo non è più proponibile e quindi il difetto di comunicazione della decisione di primo grado avrebbe privato il ricorrente di un grado di giudizio interno; l’argomento sarebbe rilevante nella prospettiva che, avendo il ricorrente subito la sanzione, quest’ultima – in conseguenza del difetto di comunicazione della deliberazione della commissione di primo grado – sarebbe stata inflitta in esito ad un atto ancora inefficace (stante la già richiamata circostanza della mancata comunicazione della decisione e quindi del completamento della fase integrativa dell’efficacia).

Si tratta di argomenti che, nei limiti del presente giudizio, non trovano la condivisione del Collegio.

Osserva il Collegio che (attesa la natura amministrativa e giustiziale dei procedimenti disciplinari di cui si discute, ex plurimis, TAR Lazio, Roma, II ter 16 giugno 2017, nr. 07098 e 25 settembre 2017, nr. 9890) il termine per l’appello domestico, che ha pacificamente natura decadenziale, non può che decorrere o dalla effettiva e regolare comunicazione della decisione di primo grado, oppure dalla sua effettiva conoscenza (e tutto ciò salva la rilevanza della conoscibilità dell’atto per effetto della pubblicazione nel sito dell’Amministrazione nei modi previsti dal regolamento).

Avendo il ricorrente conosciuto l’esito del procedimento disciplinare (sia pure in occasione della iscrizione del cavallo ad una competizione, e dopo aver eseguito l’accesso agli atti) e non avendo egli proposto l’appello domestico nei termini decorrenti dall’effettiva conoscenza (facendo valere in quella sede le possibili argomentazioni atte a sostenere la tempestività del gravame secondo i principi appena indicati), la deliberazione della commissione di primo grado – ai fini del rimedio giustiziale - si è comunque perfezionata.

Per queste ragioni, dunque, sia perché l’omessa comunicazione della deliberazione di primo grado impugnata nell’odierno giudizio è scaturita da un comportamento negligente del ricorrente che non ha curato con la necessaria diligenza la comunicazione del proprio indirizzo mail di riferimento, sia perché la conoscenza effettiva della deliberazione stessa si è comunque perfezionata nei termini prima descritti, nessuna delle doglianze dedotte in ordine alla mancata comunicazione degli atti del procedimento disciplinare può trovare accoglimento.

III) Quanto alle censure relative al metodo di analisi ed all’accertamento del superamento delle soglie di rilevanza, le tesi difensive dell’Amministrazione trovano piena corrispondenza nella giurisprudenza del Collegio, che anche parte ricorrente richiama (sia pure per sollecitarne una revisione critica).

Giova rammentare, per un più chiaro contesto esplicativo dei principi che trovano applicazione nell’odierno giudizio, che la giurisprudenza ha ritenuto infondata la doglianza relativa alla asserita mancanza di accreditamento del laboratorio delle seconde analisi rilevando che è onere di chi intenda contestare il risultato dell’analisi dimostrare l’inosservanza delle modalità tecnico-scientifiche del settore (TAR Lazio, Roma, III ter, 16 gennaio 2018, n. 520 e II ter 12 giugno 2017, n. 6908); quanto alle censure variamente introdotte con le quali viene contestata l’adeguatezza tecnica del metodo seguito per l’accertamento della positività alla sostanza rilevata nel caso di specie, una parte della giurisprudenza è orientata a ritenere che si tratti di argomenti estranei alla sfera di sindacabilità in sede di legittimità (TAR Lazio, Roma, IIIter, 13 febbraio 2018 nr. 1715 e riferimenti ivi contenuti tra i quali Consiglio di Stato n. 5482 del 6 ottobre 2011); mentre altra parte della giurisprudenza, nella quale si inquadra l’orientamento della Sezione, pur rivolta ad un sindacato più penetrante su tali aspetti - sotto il profilo del rilievo istruttorio che gli accertamenti rivestono ai fini del contenuto del provvedimento impugnato - è comunque pervenuta ad accertare il rispetto delle metodologie accreditate di analisi con conseguente rigetto dei contrari argomenti di censura relativi alla necessità di indicare i livelli quantitativi delle sostanze accertate nei casi come quello di specie (vedasi TAR Lazio, Roma, IIter, 29 gennaio 2018, nr. 1048 cui si rinvia), sia pure a seguito di specifica istruttoria, che, anche nel caso odierno, come riassunto nella parte narrativa, è stata disposta ed ha consentito di verificare il superamento delle soglie di rilevanza.

Parte ricorrente, con la memoria depositata il 24 marzo 2018, contesta l’attendibilità del riscontro c.d. “semiquantitativo”, evidenziando che (a) altre decisioni disciplinari del MIPAAF ne avrebbero revocato in dubbio l’attendibilità, affermando la necessità della indicazione ab origine nei referti delle analisi del quantitativo delle sostanze rilevate e che (b) la non conformità al regolamento ed alle procedure internazionali del metodo di campionatura “semiquantitativo” emergerebbe da quanto dichiarato in una missiva rivolta a terzi dallo stesso responsabile del Laboratorio UNIRELAB, dott. OMISSIS.

Gli argomenti dedotti sono insufficienti a determinare un mutamento di indirizzo da parte del Tribunale.

Il metodo “semiquantitativo” consiste in un metodo pur sempre riconducibile al novero delle analisi “qualitative”, in quanto esso non è in grado di indicare una quantità precisa di sostanza vietata nel campione, ma che tuttavia assicura il superamento della soglia di rilevanza delle sostanze vietate, ovvero il rispetto dei c.d. screening limits, secondo quanto prescritto in sede internazionale.

L'efficacia di tale metodo semi quantitativo ad assicurare l'attendibilità del risultato è stata puntualmente descritta dall'Avvocatura con argomentazioni che parte ricorrente contesta solo genericamente, senza allegare argomenti o dati di riferimento a carattere tecnico o scientifico.

Sotto questo profilo, è priva di rilievo l’esistenza di decisioni in sede amministrativa difformi, che la parte ricorrente ha invocato, essendo tali decisioni frutto di diversi orientamenti dei collegi disciplinari che si sono pronunciati in merito; analogamente, è priva di rilievo probatorio la nota del responsabile dell’UNIRELAB, essendo quest’ultima una mera comunicazione (il cui contesto, peraltro, non è dato evincersi allo stato degli atti); peraltro il suo contenuto non contrasta con la valenza che, nel presente giudizio, viene riconosciuta al metodo c.d. “semiquantitativo”, essendo quest’ultimo – come già rilevato – un sistema di riscontro, valevole nel processo, che accerta solo il superamento della soglia di rilevanza, con la conseguenza che l’utilizzo della nota in questione da parte della difesa di parte ricorrente si presta ad una “suggestiva”, ma non probante contestazione del metodo, che, nonostante l’enfasi difensiva rimane ascritta ad un piano meramente dialettico.

IV) Quanto all’asserito difetto di corrispondenza tra l’atto di incolpazione e la condanna, si tratta di argomento privo di fondamento, posto che l’art. 11 RCSP dispone che le sanzioni di cui al precedente comma sono …triplicate qualora la positività accertata si riferisca alla presenza di una sostanza stupefacente o isomero della stessa o di un suo metabolita (nel caso di specie, il metabolita rilevato appartiene alla cocaina).

V) Quanto alla domanda di cancellazione delle frasi sconvenienti, che l’Avvocatura ha proposto nel corso della discussione in camera di consiglio, osserva il Collegio che, come recentemente ritenuto in altre fattispecie dalla Sezione (vedasi sentenza del 18 gennaio 2018, nr. 640), le espressioni sconvenienti od offensive consistono in tutte quelle frasi che superino il limite della correttezza e della convenienza professionale, recando offesa alla dignità della persona o al decoro del procedimento (cfr. sul tema Cass. 14659/2015 e 12479/2004).

Inoltre, come rilevato da Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1487 del 30 marzo 2017 e Sez. III 18 gennaio 2018, nr. 00327, “secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il provvedimento con il quale il giudice decide la cancellazione di espressioni sconvenienti od offensive contenute negli scritti difensivi (art. 89, c.p.c.), in considerazione della forma per esso prevista (l'ordinanza) e del suo scopo (assicurare che l'esercizio del diritto di critica non ecceda le esigenze richieste dalla garanzia del contraddittorio e non vulneri il prestigio ed il decoro dei soggetti del processo), ha carattere meramente ordinatorio e costituisce oggetto di un potere discrezionale, esercitabile dal giudice anche di ufficio, rispetto al quale l'eventuale istanza della parte ha carattere meramente sollecitatorio (tanto che siffatto provvedimento, anche se contenuto nel provvedimento che definisce la controversia non può costituire oggetto di impugnazione, Consiglio di Stato, Sez. I, n. 17547 del 19/11/2003; Sez. III, n. 14659 del 14/07/2015 e non è configurabile la violazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione a una pronuncia non dovuta da parte del giudice del merito (Cassazione civile I, 4 febbraio 2016, n. 2194).

Entro i suddetti limiti, è stato altresì ritenuto che la cancellazione delle espressioni offensive o sconvenienti va esclusa allorché il loro uso non risulti dettato da un passionale ed incomposto intento dispregiativo ed offensivo nei confronti della controparte, conservando invece un rapporto, anche indiretto, con la materia controversa, senza eccedere dalle esigenze difensive, essendo infatti preordinato a dimostrare, attraverso una valutazione negativa del comportamento della controparte, la scarsa attendibilità delle sue affermazioni (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 10.3.2017, n. 3365 e TAR Lombardia, Milano, 22 febbraio 2018, nr. 504).

Nel caso di specie, le espressioni delle quali l’Avvocatura ha chiesto la cancellazione e lo stralcio, contenute nella memoria della parte ricorrente depositata il 24 marzo 2018, con le quali viene prospettata l’inattendibilità di documenti depositati dall’Avvocatura medesima, seppure risultano formulate in maniera obiettivamente criticabile (poiché infondatamente prospettano una sostanziale alterazione dei documenti, con enfasi eccessiva) non eccedono comunque gli scopi difensivi e l’oggetto del giudizio.

Per queste ragioni, non sussistono i presupposti per disporre la cancellazione in questione.

VI) Conclusivamente, il ricorso è infondato e come tale va respinto, con ogni conseguenza in ordine alle spese di lite che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna parte ricorrente alle spese di lite che liquida in euro 2.000,00 oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 marzo 2018 con l'intervento dei magistrati:

Pietro Morabito, Presidente

Mariangela Caminiti, Consigliere

Salvatore Gatto Costantino, Consigliere, Estensore

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