T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 5913 DEL 2018 Pubblicato il 25/05/2018
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale (…), proposto da OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avvocati Paolo Scaparone, Jacopo Gendre, Luca Di Raimondo e Alice Merletti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Luca Di Raimondo in Roma, via della Consulta, 50 e domicilio digitale come da PEC indicate nel ricorso;
contro
Federazione Italiana Giuoco Calcio - FIGC, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Panama, 58;
per la condanna
della FIGC al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti dal calciatore OMISSIS a causa dell’illegittimità della sanzione disciplinare della squalifica di sei mesi irrogata al medesimo con Deliberazione della Commissione Disciplinare Nazionale C.U. n. 11/CDN 10 agosto 2012, accertata con lodo del Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport – TNAS – del 22 ottobre 2012, passato in giudicato il 7 dicembre 2013.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Federazione Italiana Giuoco Calcio - FIGC;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 gennaio 2018 la dott.ssa Francesca Romano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso notificato il 6 marzo 2014 e depositato il successivo 12 marzo, il sig. OMISSIS ha adito questo Tribunale per la condanna della F.I.G.C. al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, patiti a causa dell’illegittima irrogazione della sanzione disciplinare della squalifica di sei mesi irrogata dalla Commissione Disciplinare Nazionale C. U. n. 11/CDN 10 agosto 2012, come accertata con lodo del Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport (TNAS) del 22 ottobre 2012, passato in giudicato il 7 dicembre 2013.
2. Il ricorrente, calciatore professionista che ha militato nelle squadre del Novara, Treviso e, da ultimo, del OMISSIS, è rimasto coinvolto nell’inchiesta denominata “Scommessopoli”, avviata dagli organi della giustizia sportiva nell'estate del 2012.
Al momento del suo coinvolgimento il giocatore era legato da un contratto con l’A.C. OMISSIS s.r.l. di durata triennale, per il periodo 2011/2014, con un compenso netto annuale di € 37.791, 78.
Il sig. OMISSIS è stato coinvolto nell’inchiesta unicamente sulla base delle dichiarazioni rese dal calciatore Carobbio – imputato insieme ad altri calciatori e ai componenti del gruppo degli “zingari” nel relativo procedimento penale - negli interrogatori del 29.2.2012 e del 17.4.2012 svoltosi davanti al p.m.
Nel corso del primo interrogatorio, l’imputato OMISSIS dichiarava che per la partita OMISSIS – OMISSIS del 30 aprile 2011 ci fu un accordo per far finire l’incontro in parità “eravamo tutti consapevoli del risultato concordato (..); lo stesso allenatore OMISSIS, ci rappresentò che potevamo stare tranquilli in quanto avevamo raggiunto l’accordo con il Novara per il pareggio (…); ricordo che, oltre a parlarne con l’intera squadra durante la riunione tecnica, ne parlai, singolarmente al campo, con OMISSIS e OMISSIS del OMISSIS prima della partita”.
Nell’interrogatorio successivo, OMISSIS precisava: “quando riferisco di aver parlato in campo con OMISSIS e OMISSIS del Novara voglio dire che prima di giocare ho chiesto una sorta di conferma di un accordo che comunque era già concluso”.
Il ricorrente espone come tali dichiarazioni, che non hanno trovato riscontro in nessun altro elemento probatorio, sono state ritenute sufficienti per ritenere provata la sua responsabilità disciplinare per “aver violato l’obbligo di denuncia relativamente alla gara OMISSIS – OMISSIS, così derubricata l’originaria incolpazione” con conseguente irrogazione della sanzione della sospensione per sei mesi (Commissione Disciplinare Nazionale – comunicato 10.8.2012, n. 11/CDN) confermata dalla Corte di Giustizia Federale a Sezioni Unite in data 22 agosto 2012.
La conferma della sanzione disciplinare della squalifica per sei mesi da parte della Corte di Giustizia Federale a Sezioni Unite è stata la causa determinante della risoluzione anticipata del contratto con la società A.C. OMISSIS .
Il signor OMISSIS ha, dunque, impugnato la decisione della Corte di Giustizia Federale davanti il TNAS che, con lodo 22 ottobre 2012, passato in giudicato il successivo 7 dicembre 2013, ha annullato la sanzione disciplinare rilevando l’assenza di qualsivoglia elemento di prova a fondamento del coinvolgimento del ricorrente nell’accordo per l’alterazione del risultato della partita Novara – Siena.
Conseguentemente, il sig. OMISSIS ha adito questo giudice statale per chiedere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a causa dell’illegittima sanzione disciplinare disposta nei suoi confronti.
3. Si è costituita in giudizio la Federazione Italiana Giuoco Calcio eccependo, in via preliminare la tardività del ricorso e, nel merito, l’infondatezza della pretesa risarcitoria.
4. Alla pubblica udienza del 16 gennaio 2018 la causa, dopo essere stata discussa, è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. In via preliminare, deve essere esaminata l’eccezione di tardività del ricorso sollevata della resistente Federazione.
Sostiene la F.I.G.C. che il ricorso sarebbe tardivo perché proposto oltre il termine decadenziale di 120 giorni, decorrenti, in base all’interpretazione avvalorata dell’art. 30, comma 3, c.p.a., dal giorno della pubblicazione del lodo TNAS, essendo, nella specie, questo il momento “della conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo”.
La tesi è priva di pregio.
Nella fattispecie controversa deve, infatti, trovare applicazione, facendosi necessario ricorso all’analogia, il disposto normativo dell’art. 30, comma 5, c.p.a., secondo cui, se è stata proposta azione di annullamento, la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a 120 giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza.
Il caso del tutto peculiare, scaturente dai rapporti tra ordinamento statale e ordinamento sportivo come, allo stato, delineati dalla Corte Costituzionale, secondo cui dell’annullamento della sanzione disciplinare può conoscere solo il giudice sportivo ferma restando la giurisdizione statale sull’azione risarcitoria, e sul quale pende peraltro la questione di legittimità costituzionale rimessa da questa stessa Sezione al giudice delle leggi (sollevata con ordinanza 11 ottobre 2017, n. 10171), porta quale ulteriore discrasia la mancata espressa previsione della decorrenza del termine di decadenza nel caso in cui l’azione caducatoria sia stata unicamente proposta innanzi al giudice sportivo.
La mancata espressa previsione normativa OMISSIS , dunque, necessario, il ricorso all’analogia, che consiste, come è noto, nell’applicare ad un caso non regolato (quello di specie) una norma dettata per un caso diverso ma simile a quello da decidere (art. 30, comma 5, c.p.a), allorquando i due casi siano accomunati dalla stessa ratio legis.
La ratio legis dei due casi è la medesima: l’art. 30, comma 5, c.p.a., pone la regola della decorrenza del termine per la proposizione dell’azione risarcitoria dal passaggio in giudicato della sentenza nell’ipotesi in cui il provvedimento lesivo sia stato impugnato dinanzi al competente giudice statale, per l’ovvia ragione che, il giudizio risarcitorio, una volta che sia stato incardinato quello caducatorio, per logica (non più necessaria) pregiudizialità ne deve attendere l’esito definitivo; per la medesima ragione, quindi, laddove il giudizio caducatorio sia incardinato (allo stato, necessariamente) dinanzi al giudice sportivo, non potrà che trovare applicazione la medesima norma che fa decorrere il termine decadenziale dal passaggio in giudicato della relativa decisione.
Pertanto, nella specie, il termine decadenziale di cui all’art. 30, comma 5, c.p.a., deve essere fatto decorrere dal passaggio in giudicato del lodo TNAS, sottoscritto il 22 ottobre 2012, divenuto inoppugnabile - ai sensi dell’art. 828 c.p.c. e tenuto conto del periodo di sospensione feriale - il successivo 7 dicembre 2013.
Il presente ricorso, notificato il 6 marzo 2014, deve, dunque, essere considerato tempestivo.
2. Venendo al merito, il ricorso è fondato.
2.1. Questa Sezione ha già avuto modo di ricostruire il sistema di tutela apprestato nell’ambito dell’ordinamento sportivo e nell’ambito dell’ordinamento statale alle posizioni giuridiche dei soggetti lesi in conseguenza all’illegittima irrogazione di sanzioni disciplinari sportive, nonché i rapporti, in materia, tra i due distinti ordinamenti nei termini così brevemente riassunti:
- l’autonomia dell’ordinamento sportivo trae il suo fondamento nella tutela della libertà associativa e nel riconoscimento dei diritti inviolabili delle formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità del singolo, costituzionalmente garantiti, rispettivamente, dall’art. 18 e dall’art. 2, cost.;
- il principio dell’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale è stato espressamente riconosciuto dal legislatore del 2003 fatti in ogni caso “salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo” (art. 1, comma 2, d.l. 19 agosto 2003, n. 220, convertiti dalla l. 17 ottobre 2003, n. 280);
- il sistema di giustizia sportiva che caratterizza ciascun settore sportivo e al quale si affiancano i procedimenti di giustizia sportiva di competenza del CONI, finalizzati al ricondurre ad unità il sistema, si connotano per il cd. vincolo di giustizia che impone l’obbligo ai tesserati e agli affiliati di accettare la pienezza e definitività delle decisioni di carattere tecnico, disciplinare ed economico;
- la portata del vincolo di giustizia è stata d’altra parte notevolmente ridimensionata dal legislatore statale attraverso la previsione, contenuta all’art. 3, d.l. n. 220 cit., della possibilità, per i soggetti dell’ordinamento sportivo, di adire i giudici statali una volta esauriti i gradi della giustizia sportiva;
- lo stesso principio di autonomia dell’ordinamento, giova ancora sottolineare, deve essere letto alla luce della clausola di salvezza di cui al predetto art. 1, comma 2, d.l. n. 220/2003, secondo cui non può in ogni caso essere sottratta alla cognizione del giudice statale la tutela delle situazioni connesse all’ordinamento sportivo ma rilevanti per l’ordinamento statale;
- con riguardo, dunque, alle sanzioni disciplinari, l’art. 2, comma 1, d.l. n. 220 cit. ha riservato all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto:
“a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”;
- come è noto, con la sentenza n. 49 del 2011 la Corte Costituzionale, ha ritenuto la norma di cui all’art. 2, comma 1, lett. b), d.l. n. 220/2003, come modificato dalla l. n. 280/2003, non viziata da illegittimità costituzionale, propugnandone un’interpretazione costituzionalmente orientata, nel senso che, laddove il provvedimento adottato dalle Federazioni sportive o dal CONI abbia incidenza anche su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale, la domanda volta ad ottenere, non la caducazione dell’atto, ma il conseguente risarcimento del danno, debba essere proposta innanzi al Giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, non operando alcuna riserva a favore della giustizia sportiva, innanzi alla quale la pretesa risarcitoria nemmeno può essere fatta valere;
- “il Giudice amministrativo può, quindi, conoscere, nonostante la riserva a favore della "giustizia sportiva", delle sanzioni disciplinari inflitte a società, associazioni ed atleti, in via incidentale e indiretta, al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione”, qualificando la tutela risarcitoria, così prevista, come “una forma di tutela per equivalente” e come una “diversificata modalità di tutela giurisdizionale” (Corte Cost., 11 febbraio 2011, n. 49);
- è evidente, come già affermato da questa Sezione nella pronuncia n. 9144 del 2017, che la tutela risarcitoria dinanzi al Giudice amministrativo, ormai proponibile anche in via autonoma, non può porsi su un piano derivato, né tantomeno subordinato rispetto a quello della tutela apprestata dall’ordinamento sportivo, proprio perché mirante a garantire la possibilità, per il soggetto che lamenti la lesione di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante, di agire in giudizio per ottenere il conseguente risarcimento del danno;
- non può, perciò, condividersi la prospettazione della resistente federazione, secondo cui nella specie, essendo intervenuto l’annullamento della sanzione da parte dell’organo di giustizia sportiva di ultima istanza, all’interessato non sarebbe dato adire questo Giudice, avendo comunque conseguito una tutela di tipo demolitorio;
- può, semmai, essere affermato esattamente il contrario: l’accertamento, da parte degli organi di ultima istanza della giustizia sportiva, dell’illegittimità della sanzione disciplinare potrà essere indice semmai dell’antigiuridicità della condotta, che dovrà essere autonomamente valutata dal giudice statale, unitamente agli altri elementi costitutivi dell’illecito civile, nella cognizione lui spettante sulla domanda risarcitoria, nell’ambito della quale, giova ribadire, “il Giudice amministrativo può, quindi, conoscere, nonostante la riserva a favore della "giustizia sportiva", delle sanzioni disciplinari inflitte a società, associazioni ed atleti, in via incidentale e indiretta” (Corte Cost., n. 49/2011, cit.).
2.2. Rispetto alla responsabilità degli organi federali deve, infatti, applicarsi, lo statuto della responsabilità aquiliana della p.a. sulla base dei seguenti argomenti (già ampliamente esposti da questa Sezione, cfr. Tar. Lazio, I ter, 23 gennaio 2017, n. 1163):
- le decisioni degli organi di giustizia federale devono considerarsi alla stregua di provvedimenti amministrativi ogniqualvolta, seppur in materia disciplinare riservata, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. b, d.l. n. 220 cit., all’ordinamento sportivo, vengano ad incidere su posizioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento statale, che come tali, non possono sfuggire alla tutela giurisdizionale statale pena la lesione del fondamentale diritto di difesa, espressamente qualificato come inviolabile dall’art. 24 cost.;
- dall’asserita natura amministrativa degli organi delle federazioni sportive, allorquando l’attività dagli stessi espletata giunga ad investire posizioni giuridiche rilevanti per l’ordinamento statale, discende la sottoposizione della loro responsabilità al paradigma della responsabilità aquiliana della P.A.;
- ai fini della configurabilità della responsabilità della P.A., la giurisprudenza è costante nell’affermare che "non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo, ma è altresì necessario che sia configurabile la sussistenza dell'elemento soggettivo della colpa, dovendosi verificare se l'adozione e l'esecuzione dell'atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede, alle quali l'esercizio della funzione pubblica deve costantemente attenersi; da ciò deriva che, in sede di accertamento della responsabilità della Pubblica amministrazione per danno a privati, il giudice amministrativo, in conformità ai principi enunciati nella materia anche dal giudice comunitario, può affermare tale responsabilità quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato; il giudice può negarla, invece, quando l'indagine conduca al riconoscimento dell'errore scusabile con la conseguenza che, ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana (ex art. 2043 cod. civ.) della Pubblica amministrazione per danno, devono ricorrere i presupposti del comportamento colposo, del danno ingiusto e del nesso di conseguenzialità" (Cons. St., sez. IV, 1° agosto 2016, n. 3464; sez. V, 18 gennaio 2016, n. 125);
- la riscontrata illegittimità dell'atto rappresenta tuttavia, nella normalità dei casi, l'indice della colpa dell'Amministrazione - indice tanto più grave, preciso e concordante quanto più intensa e non spiegata sia l'illegittimità in cui l'apparato amministrativo sia incorso, spettando alla P.A. provare l'assenza di colpa, attraverso la dimostrazione, in ipotesi, della sussistenza di cause di giustificazione legalmente tipizzate (T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 20 maggio 2016, n. 5967);
- quanto al regime della prova, la giurisprudenza ha chiarito che il rinvio al sistema delle presunzioni semplici, di cui agli artt. 2727 e 2729, c.c., induce a ritenere che l'illegittimità del provvedimento annullato costituisce soltanto uno degli indici presuntivi della colpevolezza dell'Amministrazione; e in virtù di tale configurazione, qualora si annulli un provvedimento illegittimo, grava su di essa l'onere di provare l'assenza di colpa, mediante la deduzione di circostanze integranti gli estremi dell'errore scusabile (Consiglio di Stato, sez. IV, 6 aprile 2016, n. 1356).
3. Nel caso di specie, questo collegio ravvisa la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito civile.
3.1. L’illegittimità della sanzione disciplinare della sospensione per sei mesi inflitta al calciatore OMISSIS, per il suo asserito coinvolgimento nell’accordo fraudolento volto ad alterare il risultato della partita Novara – Siena del 1° maggio 2011, è stata, infatti, definitivamente accertata dall’organo di ultima istanza della giustizia sportiva.
Il TNAS, con lodo del 22 ottobre 2012, ha ritenuto che “nel giudizio de quo non è stato raccolto alcun riscontro fattuale circa la univocità della dichiarazione di terzo (il Carrobbio), sulla quale si fonda la pronuncia di condanna alla squalifica di mesi 6 dell’attuale istante. (…) sebbene per ritenere la responsabilità da parte del soggetto incolpato di una violazione disciplinare sportiva non sia necessaria la certezza assoluta della commissione dell’illecito, né il superamento del ragionevole dubbio, come nel diritto penale, è comunque necessario acquisire, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, una ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito (…).
Poiché nella specie non emerge alcun significativo quadro di riscontro circa la univocità delle dichiarazioni di incolpazione rese dal Carrobbio, la prova del fatto illecito addebitato all’istante deve ritenersi non raggiunta, neppure nella prospettiva delle specifiche regole del sistema giudiziale sportivo”.
Dall’illegittimità così accertata dal TNAS si desume, innanzitutto, l’antigiuridicità obiettiva del comportamento tenuto in concreto dagli organi della Federazione Italiana Giuoco Calcio nell’irrogazione della sanzione de qua, in mancanza di elementi di prova a carico dell’incolpato.
3.2. Deve ritenersi, altresì, che la sanzione sia stata inflitta sulla base di un comportamento colposo degli organi federali in alcun modo scusabile: come rammentato dai giudici del TNAS, infatti, vi sono consolidati precedenti dell’organo di giustizia di ultima istanza secondo i quali le sanzioni disciplinari possono essere irrogate solo in presenza di una “ragionevole certezza” in ordine alla commissione dell’illecito.
In merito, la motivazione degli organi federali è apparsa del tutto carente.
Del tutto carente, perché fondata sulla sola dichiarazione accusatoria del Carrobbio (che avrebbe riferito di aver parlato in campo con OMISSIS e OMISSIS), sfornita di qualsivoglia riscontro probatorio, nonostante l’istante abbia dinanzi alla Corte di giustizia federale assunto come tale dichiarazione “risulterebbe smentita nella sua veridicità dal fatto che dalle prove raccolte dalla Procura Federale è risultato che in realtà il OMISSIS non era presente al fatto”.
Ma la censura, come riscontrato dal TNAS, è stata immotivatamente disattesa dalla Corte.
L’errore scusabile, peraltro, in alcun modo provato dalla resistente federazione, deve essere escluso, come già sopra sottolineato, proprio dall’esistenza di un consolidato orientamento degli organi di giustizia federale che richiede la sussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti, per ritenere con ragionevole certezza addebitabile l’illecito disciplinare sportivo, cosa che nella specie non è avvenuto.
3.3. Del pari, questo collegio ritiene sussistere il nesso eziologico tra la sanzione della sospensione dall’attività agonistica applicata al calciatore e i danni dallo stesso lamentati.
Nonostante il breve lasso di tempo intercorso tra l’irrogazione della sanzione da parte della Commissione Disciplinare Nazionale (Comunicato ufficiale del 10 agosto 2012 n. 11/CDN) e il suo annullamento (lodo TNAS del 22 ottobre 2012) non sussistono dubbi sugli effetti che dalla stessa sono scaturiti sia sulla sfera patrimoniale sia su quella non patrimoniale del ricorrente.
4. Quanto al danno patrimoniale, il sig. OMISSIS lamenta, innanzi tutto il danno da anticipata risoluzione del contratto triennale che il ricorrente aveva in corso, al momento dell’irrogazione della sanzione, con il OMISSIS , e che sarebbe dovuto naturalmente scadere nell’anno 2014.
La resistente federazione sostiene che il nesso causale tra la sanzione inflitta e la cessazione del contratto di prestazione sportiva sia stato eliso dal fatto che la risoluzione del contratto sia stata consensuale, come documentato in atti.
A giudizio del collegio risulta invece evidente, nonostante il carattere bilaterale dell’atto che ha posto fine al rapporto contrattuale, che lo stesso risulta motivato e giustificato unicamente con riguardo alla sanzione disciplinare de qua, senza la quale avrebbe continuato ad essere valido ed efficace.
Risulta, in altre parole, evidente che, anche se formalmente il sig. OMISSIS abbia prestato il proprio consenso alla risoluzione contrattuale, in realtà ha dovuto subire il venir meno del rapporto in essere con il OMISSIS Calcio per l’unica ragione rappresentata dalla sanzione subita.
Ciò si evince da due elementi oggettivi:
a) il ricorso presentato dall’A.C. OMISSIS s.r.l. al Collegio arbitrale Lega Italiana Calcio in data 18 agosto 2012 diretto ad ottenere la risoluzione del contratto tra la società e il calciatore in ragione della sanzione disciplinare lui inflitta;
b) la stipula, nei giorni immediatamente seguenti, della risoluzione consensuale, avvenuta in data 30 agosto 2012.
Ritenuto da questo collegio sussistere, sulla base delle su esposte argomentazioni, il nesso causale tra la sanzione illegittimamente irrogata e la risoluzione contrattuale subita, il ricorrente ha diritto al risarcimento del danno patrimoniale pari agli emolumenti che egli avrebbe dovuto percepire per le stagioni 2012/2013 e 2013/2014, e che non ha percepito a causa della risoluzione contrattuale, detratte le mensilità di luglio e agosto 2012 che risultano essere state corrisposte in sede di risoluzione consensuale, pari dunque a:
- € 31.492,65 per la s.s. 2012/2013 (detratte le due mensilità pari, complessivamente, ad € 6.298,53)
- € 37.791,18 per la s.s. 2013/2014,
per la somma complessiva di € 69.283,83.
4.1. Il sig. OMISSIS ha chiesto, altresì, il risarcimento del danno patrimoniale da perdita di chances, asserendo che, ove non fosse stata comminata la sanzione disciplinare, lo stesso avrebbe sicuramente ottenuto un rinnovo contrattuale per almeno due anni, in qualità di calciatore o di dirigente sportivo.
La domanda risulta essere generica (tant’è che le chances future sono riferite indistintamente alla carriera di calciatore ovvero di dirigente) e priva della benché minima allegazione probatoria, e come tale non può essere accolta.
5. Infine, il ricorrente lamenta il danno non patrimoniale, sotto forma di danno all’immagine ed alla reputazione, causato dalla squalifica, in quanto la sanzione disciplinare avrebbe compromesso l’immagine di “calciatore pulito” che il ricorrente aveva conquistato all’esito della sua lunga carriera.
È evidente che la squalifica, con l’eco mediatica che ne è derivata, ha comportato un gravissimo discredito nell’ambiente calcistico e nei rapporti sociali, avendo cancellato la sua immagine di “persona pulita”, come è solito avvenite nei casi come quello qui in rilievo.
Si tratta di un discredito che nell’opinione pubblica non viene immediatamente obliterato con la cancellazione della sanzione.
In considerazione della fase della carriera calcistica del ricorrente (calciatore trentasettenne), delle conseguenze sulla vita sociale e sulla nuova attività intrapresa (scuola-calcio dallo stesso fondata il 13 settembre 2012), questo collegio ritiene equo liquidare a titolo di risarcimento del danno all’immagine la somma di € 10.000.
6. Conclusivamente, per tutto quanto esposto, il ricorso deve essere accolto nei termini di cui in motivazione con conseguente condanna della FIGC al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito dal ricorrente e quantificato nella somma complessiva di € 79.283,83.
Sulla suddetta somma devono essere poi computati, trattandosi di debito di valore, la rivalutazione monetaria e gli interessi nella misura legale, sul credito rivalutato anno per anno, secondo i criteri costantemente applicati dalla giurisprudenza (da ultimo Cassazione civile, sez. III, 6 ottobre 2016 n. 19987), dalla data di pubblicazione della presente sentenza al saldo effettivo.
7. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini di cui in motivazione.
Condanna la FIGC, in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento, in favore del ricorrente delle spese di lite che liquida nella somma complessiva di € 3.000,00 (euro tremila/00), oltre oneri ed accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 16 gennaio 2018, 27 marzo 2018, con l'intervento dei magistrati:
Germana Panzironi, Presidente
Francesca Petrucciani, Consigliere
Francesca Romano, Referendario, Estensore