T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 7177/2019 Pubblicato il 04/06/2019
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale (…), proposto da Federazione Italiana Giuoco Calcio - Figc, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Morbidelli e Antonio Catricalà, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, Vittoria Colonna n. 40;
contro
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
OMISSIS - Studio di Consulenza Tributaria, Legale e del Lavoro, Associazione Italiana Analisti Performance di Calcio - Aiapc, Associazione Italiana dei Direttori Sportivi – Adise, non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
del provvedimento n. 27249, adottato dall'Autorità il 27 giugno 2018 e notificato alla Federazione il 16 luglio 2018, a conclusione del procedimento I812 – F.I.G.C. Regolamentazione dell'attività di direttore sportivo, collaboratore della gestione sportiva, osservatore calcistico e Match analyst, con cui l'AGCM (a) ha accertato che la FIGC ha posto in essere un'intesa unica, complessa e continuata contraria all'art. 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, avente per oggetto la limitazione all'accesso al mercato dei servizi professionali offerti da Direttori Sportivi, Collaboratori della Gestione Sportiva, Osservatori Calcistici e Match analyst su tutto il territorio nazionale; (b) ha ordinato alla Federazione di comunicare, entro 120 giorni dalla notifica del Provvedimento, le misure intraprese al fine di eliminare le restrizioni oggetto di accertamento, con particolare riguardo alle restrizioni numeriche, all'effettiva eliminazione dei requisiti di residenza e cittadinanza, all'effettiva apertura della formazione delle figure in esame a percorsi alternativi, equivalenti e del tutto autonomi rispetto a quelli organizzati dalla Federazione, all'eliminazione della qualifica di allenatore come presupposto necessario per accedere alla formazione federale di Osservatore Calcistico e Match analyst; (c) ha imposto alla FIGC una sanzione amministrativa pecuniaria di importo pari a Euro 3.330.659,69;
della delibera dell'AGCM n. 26603 del 4 maggio 2017, con cui è stato avviato il Procedimento;
della delibera dell'AGCM n. 26800 dell'11 ottobre 2017, con cui l'Autorità ha rigettato gli impegni presentati dalla Federazione;
della Comunicazione delle Risultanze Istruttorie della Direzione Manifatturiero e Servizi della Direzione Generale per la Concorrenza, trasmessa alla FIGC il 20 aprile 2018;
di ogni altro atto al Provvedimento comunque connesso e coordinato, anteriore e conseguente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;
Vista l’ordinanza cautelare n. 7053 del 22 novembre 2018;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2019 la dott.ssa Lucia Maria Brancatelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La Federazione Italiana Giuoco Calcio (di seguito, “Federazione” o “FIGC”) è un’associazione di diritto privato, avente lo scopo statutario di promuovere e disciplinare l’attività del gioco del calcio e gli aspetti ad esso connessi.
2. Con il ricorso in epigrafe contesta la legittimità della determinazione con la quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito, “Agcm” o “Autorità”), a conclusione del procedimento istruttorio I812, ha ritenuto che la Federazione aveva posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza contraria all’articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (“TFUE”), avente per oggetto la limitazione all’accesso al mercato dei servizi professionali offerti da Direttori Sportivi, Collaboratori della Gestione Sportiva, Osservatori Calcistici e Match analyst su tutto il territorio nazionale e le ha irrogato una sanzione amministrativa pecuniaria pari a € 3.330.659,69.
3. Dopo avere esposto i tratti salienti delle figure interessate dal provvedimento ed il contesto normativo e regolamentare di riferimento, la ricorrente fa presente che, a seguito di una segnalazione pervenuta nel luglio 2015, l’Autorità ha contestato alla FIGC presunte criticità concorrenziali presenti nella disciplina federale relativa a tali figure.
A fronte dell’esito infruttuoso del tentativo di moral suasion, Agcm avviava in data 4 maggio 2017 il procedimento istruttorio nei confronti della FIGC, nel corso del quale la Federazione presentava impegni ai sensi dell’articolo 14-ter della legge n. 287/90, rigettati dall’Autorità con la delibera n. 26800 dell’11 ottobre 2017.
In data 20 aprile 2018 veniva inviata alle parti la Comunicazione delle Risultanze Istruttorie (“CRI”), ed espletate le difese di rito da parte della FIGC, il 27 giugno 2018 veniva adottato dall’Autorità il provvedimento n. 27249 conclusivo dell’istruttoria e oggetto dell’odierna impugnativa.
4. Il provvedimento finale, unitamente agli atti a questo presupposto, è stato gravato dalla Federazione per i seguenti motivi:
I - “VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 101, PARAGRAFO 1, DEL TFUE. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 2 DELLA L. N. 91/1981. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 1 E 2 DEL D.L. N. 220/2003 (CONVERTITO CON MODIFICAZIONI DALLA L. 17 OTTOBRE 2003, N. 280). TRAVISAMENTO DEI FATTI ED ERRORE NEI PRESUPPOSTI, SVIAMENTO, CONTRADDITTORIETÀ, VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUONA AMMINISTRAZIONE E PROPORZIONALITÀ”.
La Federazione sostiene che sarebbe errato il presupposto da cui muove il ragionamento dell’Agcm che ha condotto al provvedimento sanzionatorio, vale a dire che attraverso l’introduzione di regole volte a disciplinare le quattro figure professionali oggetto di accertamento, la Federazione avrebbe imposto delle restrizioni al mercato non riconducibili al potere regolamentare attribuito alle federazioni sportive dall’art. 2 della L. n. 91/1981, in quanto non avrebbe dettato regole puramente sportive, né regole volte a disciplinare l’attività di soggetti preposti alla pratica del calcio.
II – “VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 101, PARAGRAFO 1, DEL TFUE. TRAVISAMENTO DEI FATTI ED ERRORE NEI PRESUPPOSTI, DIFETTO DI ISTRUTTORIA, CONTRADDITTORIETÀ E ILLOGICITÀ MANIFESTA. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUONA AMMINISTRAZIONE”.
Anche a non voler considerare il Direttore Sportivo, il Collaboratore della gestione sportiva, l’Osservatore Calcistico e il Match analyst quali soggetti puramente “sportivi”, la regolamentazione dettata al riguardo dalla FIGC non contrasterebbe con le norme in materia di concorrenza in quanto non porrebbe limitazioni numeriche e restrizioni all’accesso delle rispettive attività, introducendo semmai, nel solo caso del Direttore Sportivo, una mera “selezione qualitativa” compatibile con i principi “antitrust”.
III - “VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 101, PARAGRAFO 1, DEL TFUE. TRAVISAMENTO DEI FATTI ED ERRORE NEI PRESUPPOSTI, DIFETTO DI ISTRUTTORIA, CONTRADDITTORIETÀ E ILLOGICITÀ MANIFESTA. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUONA AMMINISTRAZIONE”.
La ricostruzione della fattispecie fornita nel provvedimento sarebbe il risultato di un travisamento dei fatti oggetto del procedimento, nonché della documentazione acquisita al fascicolo istruttorio. In particolare, Agcm non avrebbe proceduto ad una corretta analisi della regolamentazione controversa e non avrebbe tenuto nella debita considerazione il contesto di riferimento in cui si collocano le condotte poste in essere dalla FIGC.
IV - “NON CONFIGURABILITÀ DI UNA INTESA RESTRITTIVA PER OGGETTO. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 101, PARAGRAFO 1, DEL TFUE. ECCESSO DI POTERE PER TRAVISAMENTO DEI PRESUPPOSTI DI FATTO E DI DIRITTO, DIFETTO DI ISTRUTTORIA E ILLOGICITÀ MANIFESTA”.
Il Provvedimento avrebbe illegittimamente attribuito valenza di “intesa per oggetto” a decisioni ontologicamente incompatibili con tale qualificazione e non avrebbe valorizzato il contributo della regolamentazione federale al settore calcio.
V: “NON RICONDUCIBILITÀ DELLE CONDOTTE ADDEBITATE A UN’INFRAZIONE UNICA, COMPLESSA E CONTINUATA. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 101, PARAGRAFO 1, DEL TFUE, ECCESSO DI POTERE PER TRAVISAMENTO DEI PRESUPPOSTI DI FATTO E DI DIRITTO, DIFETTO DI ISTRUTTORIA E ILLOGICITÀ MANIFESTA”.
Le conclusioni dell’Autorità sarebbero sfornite di quella prova che la giurisprudenza ritiene necessaria per accertare un’intesa unica e complessa, poiché dopo aver rappresentato la presunta natura anticoncorrenziale di ciascuna delle decisioni in esame non ha dimostrato che le stesse fossero parte di un più ampio disegno anticoncorrenziale, ipotizzato e scientemente voluto dalla Federazione.
VI – “IN VIA SUBORDINATA, VIOLAZIONE, FALSA APPLICAZIONE, DELL’ART. 101, PARAGRAFO 3, TFUE IN ORDINE ALLA SUSSISTENZA DEI REQUISITI DI ESENZIONE”.
Nel Provvedimento finale non sarebbero state adeguatamente motivate le ragioni che impedivano di applicare nel caso di specie il regime di esenzione previsto dall’art. 101, par. 3, TFUE, in quanto non si sarebbe tenuto conto delle efficienze e dei vantaggi qualitativi derivanti dalla regolamentazione federale.
VII – “IN VIA ULTERIORMENTE SUBORDINATA, SULLA ILLEGITTIMITÀ DELLA SANZIONE”.
L’Autorità, ai fini del computo della sanzione, avrebbe individuato erroneamente sia la percentuale da applicare al valore delle vendite, in funzione delle gravità dell’asserita violazione, sia il moltiplicatore dell’importo base della ammenda, in ragione della durata della pretesa infrazione.
Inoltre, la sanzione sarebbe sproporzionata rispetto alle caratteristiche oggettive dell’illecito contestato e l’Autorità avrebbe dovuto qualificare le condotte poste in essere dalla Federazione come “non gravi” ai sensi dell’art. 15, comma 1, della “Legge antitrust”.
La Federazione ha chiesto, quindi, l’annullamento dei provvedimenti impugnati ovvero, in subordine, una riduzione della sanzione applicata.
5. Si è costituita in giudizio l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, chiedendo il rigetto del ricorso siccome infondato nel merito.
6. La domanda cautelare presentata unitamente al ricorso è stata respinta all’esito della camera di consiglio del 21 novembre 2018, per l’assenza dei relativi presupposti, ai sensi dell’art. 119, commi 3 e 4, c.p.a.
7. Alla pubblica udienza del 22 maggio 2019, uditi per le parti i difensori presenti come da verbale e su loro conforme richiesta, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
La Figc è stata sanzionata per avere posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza contraria all’articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, riguardante l’introduzione, attraverso l’esercizio del proprio potere regolamentare, di restrizioni all’accesso al mercato dei servizi professionali offerti da quattro figure: i Direttori Sportivi, i Collaboratori di Gestione Sportiva, gli Osservatori Calcistici e i Match analyst.
2. La Federazione contesta, in primo luogo, la contrarietà del provvedimento all’art. 2 della Legge n. 91/1981, in quanto l’Autorità avrebbe dovuto riconoscere che le regole dettate per disciplinare le quattro figure in esame non incidevano su attività economiche libere (e quindi in grado di alterare un mercato concorrenziale) ma afferivano esclusivamente a regole sportive, aventi ad oggetto l’attività di soggetti preposti alla pratica del calcio, la cui disciplina è sottratta alle norme comunitarie in materia di concorrenza.
Va premesso, in argomento, che il predetto art. 2 contiene la definizione degli “sportivi professionisti”, che sono così individuati: “gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell'ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l'osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell'attività dilettantistica da quella professionistica”.
La Federazione ritiene che, in ragione delle mutate e sempre più complesse esigenze delle società che operano nel settore calcistico professionistico, non sarebbe possibile ritenere tassativa la descrizione contenuta nella norma, che dovrebbe trovare applicazione ogni qual volta le regole federali disciplinano figure “nuove”, non previste dalla legge ma che comunque svolgono un’attività tecnico-sportiva, come tale rientrante nell’ambito dell’ordinamento sportivo stesso. Ne conseguirebbe, secondo la tesi di parte ricorrente, che le quattro figure professionali oggetto di istruttoria avrebbero dovuto essere ricondotte entro tale alveo, in ragione della stretta connessione tra le attività svolte e l’esercizio della pratica sportiva.
Il provvedimento impugnato, tuttavia, ha correttamente motivato in ordine alle ragioni per cui non può affermarsi che le menzionate figure non svolgono un’attività sportiva, bensì un’attività economica professionale, prestata a titolo oneroso a favore delle società calcistiche (cfr. i parr. 108 ss. e 156 ss. provv.). Si tratta, infatti, di soggetti che non svolgono la pratica sportiva ma le cui competenze (riguardanti, secondo differenti aspetti, “anche” la conoscenza del fenomeno calcistico) sono funzionali allo svolgimento di un’attività economica che presenta un carattere sussidiario o ancillare rispetto a quella sportiva, la quale si incentra sulla conduzione tecnica della squadra ovvero sullo svolgimento delle prestazioni sul campo di gioco.
Nello specifico, le attività dei Direttori Sportivi e dei Collaboratori della Gestione Sportiva, come descritte nel Regolamento della Figc adottato nel 2015, riguardano la cura dell’assetto amministrativo/organizzativo delle società di calcio, e principalmente quelle di compravendita dei giocatori (il cd. “calcio mercato”), i primi in favore delle società che operano nell'ambito della massima serie, i secondi a vantaggio del settore dilettantistico e delle categorie inferiori (cfr. l’articolo 1, commi 2 e 3).
Quanto alle figure dell’Osservatore Calcistico e del Match analyst, il Regolamento del Settore Tecnico (di seguito, anche “Regolamento ST”) prevede per il primo il compimento, per conto delle società professionistiche, di attività concernenti l'osservazione, l'analisi e lo scouting di calciatori e squadre (articolo 32-bis); il Match analyst svolge, invece, attività di analisi tecnico-tattiche, archiviazione digitale e raccolta di dati statistici di calciatori e squadre (articolo 32-ter).
In proposito, è di interesse quanto affermato dal Tribunale di primo grado UE, 26 gennaio 2005, causa T-193/02, Piau, chiamato a valutare la rilevanza, ai fini antitrust, del regolamento dei procuratori sportivi adottato dalla FIFA, secondo cui tale regolamentazione “non ha un oggetto sportivo bensì disciplina un'attività economica periferica all'attività sportiva in questione e tocca libertà fondamentali”. Poiché una simile regolamentazione non concerne “né le peculiarità del mondo dello sport, né la libertà di organizzazione interna delle associazioni sportive”, la sua compatibilità con il diritto comunitario va verificata nei limiti in cui collide con le regole di concorrenza.
Simili considerazioni possono essere traslate nel presente giudizio, in quanto le quattro figure oggetto di analisi nel provvedimento dell’Autorità presentano, seppure nella loro intrinseca specificità, tutte il comune denominatore dell’essere “periferiche” rispetto allo svolgimento dell’attività sportiva. La circostanza, poi, che le attività svolte dall’osservatore sportivo e dal Match analyst richiedano un particolare grado di competenza e conoscenza del fenomeno calcistico non implica che esse possano definirsi “attività sportive”, in quanto non è in discussione che, a prescindere dalla complessità e rilevanza del contributo fornito da queste figure, la conduzione tecnica della squadra (che costituisce, per le ragioni sopra rammentate, “attività sportiva”) rimane in capo al solo allenatore.
Dunque, è esente dalle censure proposte nel primo motivo la considerazione svolta dall’Autorità secondo cui la disciplina adottata dalla Federazione è soggetta al vaglio antitrust in quanto incide direttamente su attività economiche periferiche legate al settore calcistico e non esprime la disciplina da un punto di vista tecnico-sportivo delle prestazioni direttamente afferenti alle competizioni calcistiche o necessarie "per organizzare le competizioni" e assicurarne il corretto e regolare svolgimento (in tal senso, cfr. il par. 111 del provvedimento).
3. Non possono trovare condivisione neppure le doglianze espresse nel secondo mezzo di gravame, con le quali si afferma che le previsioni regolamentari introdotte dalla Federazione non avrebbero operato alcuna restrizione all’accesso al mercato dei servizi offerti dalle quattro figure in esame.
Ciò in ragione della non obbligatorietà dell’utilizzo da parte delle società sportive delle figure del Collaboratore della gestione sportiva, dell’Osservatore Calcistico e del Match analyst, mentre il “sistema di qualificazione” previsto per il Direttore sportivo avrebbe l’obiettivo di professionalizzare tale figura e quindi di introdurre un meccanismo di selezione qualitativo e non anche quantitativo.
Quanto alla figura del Direttore Sportivo, il provvedimento dà conto del susseguirsi di interventi regolamentari da parte della Federazione, avviato nel 2010, volti a introdurre un sistema di “licenza” per consentire lo svolgimento di tale attività, cui ha fatto seguito l’adozione di bandi per corsi annuali di abilitazione in cui erano previste limitazioni numeriche all’accesso, nonché requisiti restrittivi per la frequentazione, legati al possesso di cittadinanza e residenza italiana.
Analoghe restrizioni erano previste nei bandi per Collaboratori di gestione sportiva e per Osservatori Calcistici: per le tre figure, il Regolamento 2015 prevedeva l’applicazione di sanzioni per il tesserato che esercitava le attività senza essere iscritto nel rispettivo Elenco Speciale. La figura dell’Osservatore Calcistico era, poi, spostata dal Regolamento 2015 al Regolamento ST, che introduceva anche la figura del Match analyst. Per entrambe le figure era prevista l’iscrizione a un albo (“obbligatoria” a decorrere dal 1° luglio 2017 per gli Osservatori) e l’organizzazione di corsi da parte del Settore tecnico federale, la cui durata e numero massimo dei partecipanti sarebbero stati definiti dal Consiglio Direttivo del Settore Tecnico FIGC (articoli 32-bis e 32-ter, commi 3).
Con Comunicato Ufficiale n. 78/A del 17 ottobre 2017, la Federazione abrogava gli articoli 32-bis e 32-ter del Regolamento ST, mantenendo tuttavia le previsioni di limitazioni per l’accesso ai relativi corsi (cfr. il par. 44).
Infine, con il Comunicato Ufficiale del 21 maggio 2018 n. 45, definiva tali figure espressamente “non obbligatorie”, mantenendo tuttavia il potere in capo alla Federazione di attribuire qualifiche e di organizzare corsi per la loro formazione. Era, inoltre, immutata la previsione che a tali carriere potesse accedere solo chi è “allenatore” e continuava a essere previsto l’inserimento in un apposito elenco dei soggetti che avevano frequentato i relativi corsi.
Il coacervo di disposizioni regolamentari e dei relativi bandi attuativi, puntualmente riportato nel provvedimento impugnato, è stato correttamente ritenuto idoneo a restringere il libero accesso alle professioni ivi contemplate.
La circostanza che non sussistesse un obbligo di iscrizione all’elenco per tutte e quattro le figure non inficia la legittimità del giudizio espresso da Agcm, in quanto l’analisi della potenziale anticoncorrenzialità di una misura che impatta sul mercato relativo alla prestazione di un servizio professionale non è esclusa dalla circostanza che tale servizio debba essere o meno obbligatoriamente prestato. Ciò che rileva, e che l’Autorità ha dimostrato, è che gli interventi normativi erano idonei a produrre un effetto distorsivo della concorrenza: le previsioni regolamentari adottate, infatti, limitavano in maniera ingiustificata, attraverso la previsione di “elenchi” e requisiti di ammissione legati a cittadinanza e residenza (nonché imponendo il previo possesso della qualifica di allenatore per Osservatori e Match analyst), l’entrata di nuovi operatori sul mercato.
4. Quanto alla specifica deduzione difensiva della Figc, formulata in relazione alla figura del Direttore sportivo, secondo cui la limitazione sarebbe giustificata da esigenze di tutela del livello qualitativo dei soggetti chiamati a operare sul mercato, si osserva che l’Autorità ha adeguatamente motivato, seguendo un percorso argomentativo logico e coerente, sulle ragioni per cui l’assunto non risultava dimostrato e non fossero presenti elementi sufficienti a provare l’esistenza di un collegamento tra le restrizioni previste e l’obiettivo di tutela della qualità dei servizi offerti (cfr. pag. 144 e ss. del provvedimento). Il giudizio è stato formulato tenendo in adeguata considerazione numerosi elementi fattuali emersi nel corso dell’istruttoria, ivi compresa la comparazione con quanto previsto dai Manuali adottati dalla FIFA e UEFA e dalla regolamentazione presente in altre nazioni, che hanno dimostrato come le previsioni introdotte dalla Federazione costituissero un unicum nel panorama europeo e nazionale. Il Collegio non riscontra, sul punto, errori o distorsioni da parte dell’Autorità nel processo di comparazione, che ha dimostrato l’assenza nel contesto estero di limitazioni e restrizioni per l’accesso alle professioni in parola paragonabili a quelle introdotte in ambito nazionale (cfr. i parr. da 50 a 66) .
Anche la previsione di una “deroga” al generale obbligo di iscrizione nell’elenco, prevista nell’art. 8, comma 2, del Regolamento 2015, non rileva ai fini anticoncorrenziali, poiché si tratta, per l’appunto, di una eccezione a una regola generale di natura chiaramente restrittiva della concorrenza.
5. Al terzo motivo di impugnazione, la Federazione censura il provvedimento in relazione a presunti travisamenti dei fatti che vizierebbero l’istruttoria svolta dall’Autorità e riguardanti il requisito di residenza e cittadinanza (che sarebbe stato eliminato dalla regolamentazione federale immediatamente dopo l’avvio del procedimento sanzionatorio), all’adozione di misure per liberalizzare pienamente già dal mese di ottobre 2017 le figure dell’Osservatore Calcistico e del Match analyst, alla non obbligatorietà della figura del Collaboratore della gestione sportiva e alla presentazione di una proposta all’Autorità, quanto ai Direttori sportivi, volta a introdurre un “numero aperto” e a consentire anche alle Università di organizzare i relativi corsi di accesso alla professione.
Si osserva, in argomento, che l’Autorità ha riportato nel provvedimento tutti gli elementi fattuali richiamati dalla parte ricorrente, rilevando tuttavia: a) che anche dopo l’eliminazione del requisito di cittadinanza/residenza dalla regole federali, esso continuava ad essere previsto in alcuni bandi (par. 44); b) che i corsi per Osservatore Calcistico e Match analyst continuavano a essere riservati agli allenatori e non era stato modificato l'apparato sanzionatorio connesso all'assunzione dello status di tesserato di questi soggetti (par. 140); c) che la disciplina della figura (facoltativa, come riportato nel par. 89) del Collaboratore della gestione sportiva presentava restrizioni all’accesso della professione rilevanti ai fini antitrust; d) che la proposta di “aperture” all’accesso della professione di Direttore sportivo era stata formulata in maniera generica e solo a ridosso della conclusione del procedimento, il che impediva all’Autorità di valutarne l’effettiva capacità di eliminare i profili di criticità riscontrati (par. 141).
Dunque, anche sotto il profilo della esatta rappresentazione del quadro normativo e fattuale sottostante, l’analisi dell’Autorità si presenta scevra dai vizi denunciati.
6. Nel quarto motivo di impugnazione, parte ricorrente sostiene che l’Autorità avrebbe definito l’intesa sanzionata come restrittiva “per oggetto” senza tenere conto di quanto richiesto dalla giurisprudenza al fine di qualificare in tal senso la condotta della Federazione.
In proposito, è utile rammentare che per consolidata giurisprudenza, un'intesa restrittiva della concorrenza integra “una fattispecie di pericolo, nel senso che il vulnus al libero gioco della concorrenza può essere di natura soltanto potenziale e non deve necessariamente essersi già consumato” (Consiglio di Stato, 13 giugno 2014, n. 3032, I731 - Gare campane; id., 24 ottobre 2014, nn. 5274, 5275, 5276, 5277, 5278, I701 — Vendita al dettaglio di prodotti cosmetici). Questa Sezione, in adesione agli orientamenti del giudice comunitario, ha ripetutamente affermato che “…alcune forme di coordinamento tra imprese rivelano un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente perché si possa ritenere che l'esame dei loro effetti non sia necessario”. Si tratta in particolare, delle forme di coordinamento tra imprese c.d. “per oggetto”, che possono essere considerate, per loro stessa natura, dannose per il buon funzionamento del normale gioco della concorrenza, perché la probabilità di effetti negativi è talmente alta da OMISSIS re inutile la dimostrazione degli effetti concreti sul mercato, ai fini dell'applicazione della normativa di settore. Nell’ipotesi di intesa restrittiva “per oggetto”, la giurisprudenza europea ha precisato che “…al fine di valutare se un accordo tra imprese presenti un grado di dannosità sufficiente per essere considerato come una ‘restrizione della concorrenza per oggetto’ ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, occorre riferirsi al tenore delle sue disposizioni, agli obiettivi che esso mira a raggiungere, nonché al contesto economico e giuridico nel quale si colloca” (Corte di Giustizia UE, Sez. II, Toshiba, in C-373/14 P).
Da ciò ne deriva che comunque l’Autorità è sempre chiamata ad un’attività di valutazione del contesto economico e giuridico del mercato di riferimento e degli obiettivi fondanti la condotta sanzionata, nel senso che un’intesa “per oggetto” può qualificarsi tale solo se vi è mercato sufficientemente definito che risulti “bloccato” dall’intesa come congegnata e se gli obiettivi riconducibili al momento della sua posizione in essere siano de plano considerabili anticoncorrenziali.
Tanto premesso, deve rilevarsi che il provvedimento impugnato motiva ampiamente sulla idoneità delle disposizioni federali a restringere oggettivamente la concorrenza nel mercato rilevante delle prestazioni dei servizi professionali in questione. L’Autorità ha osservato che l’intesa era oggettivamente in grado di impedire il pieno operare dei meccanismi concorrenziali, alla luce di numerosi fattori. Nello specifico, ha valutato il tenore delle disposizioni regolamentari introdotte dalle Federazione (e dei relativi bandi attuativi), il contesto normativo esistente - caratterizzato da una costante spinta verso interventi di piena liberalizzazione e di eliminazione di ostacoli ingiustificati all'esercizio di attività economiche nel mercato - nonché il fine perseguito, volto a ostacolare il libero esercizio delle professioni in questione attraverso vincoli quali il contingentamento dei posti per la frequenza dei corsi federali, il necessario possesso della cittadinanza e della residenza italiana e la predisposizione di “elenchi” (cfr. par. 122 e ss.). Inoltre, benché non necessario ai fini della sussistenza dell’intesa, l’Autorità ha comunque analizzato e riportato gli effetti anticoncorrenziali determinati dall’intesa in relazione alla figura dei Direttori sportivi (parr. 130 – 132), dimostrando come le restrizioni all’accesso imposte dalla Federazione non consentivano di soddisfare appieno la domanda espressa dalle società di calcio.
L’analisi svolta dall’Autorità, quindi, si è concentrata in maniera esaustiva e convincente sulla sussistenza di tutti i presupposti per considerare l’intesa restrittiva “per oggetto”.
7. La FIGC ha anche censurato, nel quinto motivo, la mancata dimostrazione da parte dell’Autorità della presenza di un unico “disegno” anticoncorrenziale alla base delle condotte poste in essere dalla Federazione attraverso le regolamentazioni analizzate.
La censura è priva di pregio.
La giurisprudenza ha più volte affermato che l’Autorità è tenuta a tracciare un quadro indiziario coerente ed univoco in presenza di singoli comportamenti delle imprese che, se presi isolatamente potrebbero apparire privi di specifica rilevanza “anticoncorrenziale”, si rivelino elementi di una fattispecie complessa, non significativi “in sé” ma come parte di un disegno unitario, qualificabile quale intesa restrittiva della libertà di concorrenza (cfr. Tar Lazio, sez. I, 11 novembre 2018, 11004). Una simile dimostrazione non è necessaria nel caso di specie ove l’Autorità, tenuto conto del mercato rilevante di riferimento, ha accertato la presenza di una pluralità di condotte poste in essere dalla Federazione, tutte singolarmente significative ai fini antitrust in quanto volte a contingentare l’accesso ad attività economiche attraverso l’esercizio del proprio potere regolamentare. Le condotte in esame sono state, poi, considerate parte di una unica intesa e non di singole intese frazionate, in quanto accomunate da un obiettivo unitario, quello di ostacolare il libero mercato della prestazione di servizi professionali offerti a titolo oneroso a favore delle società calcistiche.
8. Non meritano condivisione neppure le doglianze di cui al sesto mezzo di gravame, con le quali parte ricorrente contesta le valutazioni formulate dall’Autorità che hanno comportato la mancata applicazione del regime di esenzione previsto dall’art. 101, par. 3, TFUE.
Tale previsione stabilisce che, laddove si sia in presenza di un’intesa restrittiva, essa può essere considerata lecita nell’ipotesi in cui gli accordi contribuiscono a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico, riservando agli utilizzatori una congrua parte dell'utile che ne deriva, non imponendo restrizioni alla concorrenza non indispensabili per la realizzazione dello scopo e non eliminando completamente la concorrenza stessa. Le condizioni previste dalla norma sono di tipo cumulativo e, quindi, devono essere contestualmente soddisfatte affinché possa operare il beneficio in parola. La giurisprudenza ha chiarito che domanda di esenzione presentata dalla parte del procedimento sanzionatorio deve essere scrutinata dall’Autorità alla luce degli argomenti di fatto e degli elementi di prova forniti nell'ambito della domanda stessa, in quanto l’onere di provare la sussistenza dell’insieme delle condizioni che, secondo la disposizione suddetta, devono cumulativamente concorrere per beneficiare dell’esenzione spetta all’impresa che ne richiede l’applicazione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 27 giugno 2014, n. 3252).
L’Autorità ha ritenuto di non potere accogliere la domanda presentata da FIGC in ragione della genericità delle evidenze probatorie presentate e, in particolare, della mancata dimostrazione della natura indispensabile delle restrizioni introdotte.
Sul punto, non può essere condiviso l’assunto difensivo della ricorrente circa la necessità dell’intervento federale nella formazione delle quattro figure professionali, al fine di garantire un adeguato livello qualitativo del servizio offerto. In argomento, il provvedimento impugnato si presenta adeguatamente e logicamente motivato, laddove ha affermato che dagli elementi istruttori esposti le limitazioni non risultavano necessarie “sia perché i requisiti previsti non hanno alcun rapporto con l'interesse generale al buon funzionamento del calcio, sia in virtù del fatto che non sono imposte a livello internazionale e che non sono presenti in nessun altro contesto sportivo analizzato” (par. 154).
Le argomentazioni svolte dall’Autorità, in sostanza, risultano corrette, alla luce dell’interpretazione che la giurisprudenza comunitaria ha fornito quanto all’ambito di applicazione dell’istituto di che trattasi.
Dunque, il mancato soddisfacimento dell’onere dimostrativo incombente sulla parte ha legittimamente consentito all’Autorità di escludere l’applicabilità del regime derogatorio in questione.
9. Infine, nel settimo e ultimo motivo di impugnazione sono formulate censure avverso la determinazione della sanzione operata dall’Autorità, che viene criticata in primo luogo nella parte in cui ha ritenuto “grave” l’intesa oggetto di accertamento. La FIGC, in proposito, afferma che non si è tenuto conto che l’impatto dell’intesa sul mercato è stato non rilevante e, nello specifico, che in relazione alle figure del Collaboratore della gestione sportiva, dell’Osservatore Calcistico e del Match analyst non sussisteva nessuna restrizione, in quanto i corsi federali costituivano solo una opportunità di crescita e formazione professionale dei partecipanti ma non era impedito a soggetti terzi di organizzare corsi paralleli né ai “non tesserati” di intrapOMISSIS re tali carriere. La sanzione applicata, quindi, sarebbe sproporzionata in quanto l’Autorità avrebbe dovuto qualificare le condotte imputata come “non gravi” ai sensi dell’art. 15, comma 1, della Legge n. 287/1990.
In proposito, si rammenta che in caso di accertamento di un’infrazione grave degli articoli 2 e 3 della legge n. 287/90 o degli articoli 101 e 102 TFUE, l’Autorità, tenuto conto della gravità e della durata dell’infrazione, dispone l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria che non può superare il limite del dieci per cento del fatturato realizzato in ciascuna impresa o ente nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida.
Nelle Linee guida predisposte dall’Autorità sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni, di cui all’articolo 15, comma 1, della legge n. 287/90, è previsto che l’importo di base della sanzione si ottiene moltiplicando una percentuale del valore delle vendite, determinata in funzione del livello di gravità dell’infrazione, alla durata della partecipazione di ciascuna impresa all’infrazione. La percentuale è fissata a un livello che può raggiungere il 30% “in funzione del grado di gravità della violazione”. All’interno di questo range, l’Autorità ha applicato alla ricorrente una percentuale pari al 3%, tenendo espressamente conto, ai fini del giudizio di gravità, del fatto che le restrizioni accertate non erano prive di giustificazione oggettiva e avevano avuto luogo entro tutto il territorio nazionale e in un contesto normativo di liberalizzazione dell'esercizio delle attività economiche. Agcm ha anche considerato la circostanza, favorevole alla ricorrente, che le restrizioni accertate riguardavano “soltanto alcune delle figure professionali di supporto alle squadre calcistiche”.
La misura della percentuale prescelta dall’Autorità risulta congrua rispetto al livello di gravità della violazione accertata e tiene conto del fatto che per tutte le figure oggetto di accertamento sanzionatorio la Federazione aveva introdotto regolamentazioni in grado di frapporre ostacoli al libero accesso ai relativi servizi professionali. In argomento, si richiamano le considerazioni svolte al precedente punto 3, quanto alla capacità delle disposizioni riguardanti il Collaboratore della gestione sportiva, l’Osservatore calcistico e il Match analyst e dei relativi bandi volti a limitare l’entrata di nuovi operatori sul mercato.
10. Anche la determinazione della durata dell’infrazione risulta scevra dai vizi denunciati nel gravame. Secondo la parte ricorrente, l’Autorità avrebbe errato a individuare il termine iniziale (14 maggio 2010, data dell’apposizione delle modifiche al Regolamento sui Direttori Sportivi) e quello finale dell’infrazione (la data di notifica del provvedimento sanzionatorio).
Quanto al dies a quo, lamenta che non si sarebbe tenuto conto che le decisioni federali sull’Osservatore calcistico e sul Match analyst erano state adottate rispettivamente nel maggio 2015 e nel luglio 2016, e, in relazione al dies ad quem, che nel corso dell’istruttoria la Figc aveva adottato puntuali iniziative per eliminare le criticità individuate dall’Autorità.
Le censure non possono trovare condivisione in quanto l’Autorità ha correttamente tenuto conto, ai fini dell’individuazione del momento iniziale della violazione sanzionata, della natura unitaria dell’infrazione accertata. Essa, infatti, seppure posta in essere attraverso più condotte illecite, concretatesi nell’adozione di una pluralità di regolamenti e bandi, ha comunque carattere unitario, in quanto le condotte erano accomunate da un unico obiettivo anticoncorrenziale.
Quanto al momento finale, l’Autorità ha correttamente considerato l’intesa ancora in corso al momento della chiusura del procedimento, in quanto le misure adottate dalla FIGC sono state valutate non idonee a superare le problematicità contestate, in ragione della natura parziale e meramente formale degli impegni assunti.
11. Dunque, il provvedimento impugnato risulta immune da vizi anche sotto il profilo della quantificazione della sanzione, il cui importo finale, pari a 3.330.659,69 euro, è ampiamente inferiore al limite edittale del 10% del valore complessivo di produzione della Federazione e risulta adeguato ed efficace, tenuto conto della funzione deterrente e dissuasiva perseguita attraverso la sua irrogazione.
12. Le spese di lite, attesa la parziale novità e la complessità delle questioni sollevate, possono essere compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2019 con l'intervento dei magistrati:
Ivo Correale, Presidente FF
Laura Marzano, Consigliere
Lucia Maria Brancatelli, Primo Referendario, Estensore