T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 11389/2019 Pubblicato il 28/09/2019

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Stralcio)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale (…), integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Carlo Abbate, Giorgio De Arcangelis e Alessandro Gracis, con domicilio eletto presso lo studio Carlo Abbate in Roma, via della Maratona, 56;

contro

Federazione Italiana Pallacanestro, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Guido Valori e Paola Maria Angela Vaccaro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Guido Valori in Roma, viale delle Milizie 106;

C.O.N.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alberto Angeletti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via G. Pisanelli, 2;

nei confronti

-OMISSIS-, non costituita in giudizio;

per l'annullamento

- della sanzione dell’inibizione dallo svolgimento di ogni attività endofederale per tre anni e quattro mesi, irrogata definitivamente con la decisione della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport del C.O.N.I., depositata il 18 maggio 2007;

- dell’atto di deferimento della procura Federale del 5 marzo 2007, nella parte in cui il ricorrente è stato deferito alla Commissione Giudicante Nazionale;

- della decisione della Commissione Giudicante Nazionale n. 81, giusta Comunicato Ufficiale n. 650 del 21 marzo 2007, nella parte in cui è stata affermata la responsabilità del ricorrente per la frode sportiva a lui contestata ed è stata irrogata la sanzione dell’inibizione da qualsiasi attività federale e sociale per la durata di due anni;

- della decisione della Corte Federale n. 44 di cui al Comunicato Ufficiale n. 672 del 27 marzo 2007 nella parte in cui è stata confermata la responsabilità per frode sportiva consumata ex art. 43, primo comma, lett. c), e per l’effetto determinata la sanzione dell’inibizione da ogni attività federale e sociale a carico del ricorrente per tre anni e quattro mesi a decorrere dal 21 marzo 2007;

- di ogni altro atto comunque presupposto, connesso e conseguenziale e, in particolare: in parte qua dell’art. 43, secondo comma, del Regolamento di Giustizia, nonché di tutte le norme statutarie e regolamentari nella parte in cui prevedono l’adozione di provvedimenti disciplinari, sino alla radiazione, a carico dei tesserati che abbiano violato il cd. vincolo di giustizia;

- di tutte le norme statutarie e regolamentari che attribuiscono natura di lodo arbitrale irrituale anziché di provvedimento amministrativo di secondo grado alle decisioni assunte dalla camera di Conciliazione e, in particolare:

- dell’art. 43, secondo e terzo comma, dello Statuto della F.I.P. nella parte in cui dispone che “gli affiliati, i tesserati ed i soggetti ad essi equiparati sono tenuti ad adire gli Organi di Giustizia dell’ordinamento sportivo nelle materie di cui all’art. 2, d.l. n. 220 del 2003. Nelle materie predette è possibile, ai sensi dell’art. 12, comma 8, dello Statuto del C.O.N.I., il ricorso all’arbitrato irrituale. L’inosservanza della presente disposizione … comporta l’adozione di provvedimenti disciplinari sino alla radiazione, nei modi e termini indicati”;

- dell’art. 6 del Regolamento di Giustizia della F.I.P., nella parte in cui prevede che “gli affiliati, i tesserati ed i soggetti ad essi equiparati sono tenuti ad adire gli Organi di Giustizia dell’ordinamento sportivo nelle materie di cui all’art. 2, d.l. n. 220 del 2003. L’inosservanza della presente disposizione comporta l’adozione di provvedimenti disciplinari, sino alla radiazione”; - nonché dell’art. 12 dello Statuto del C.O.N.I. e dell’art. 8 del Regolamento della Camera di Conciliazione e Arbitrato.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Federazione Italiana Pallacanestro e di C.O.N.I.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 5 luglio 2019 Rocco Vampa e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con il ricorso originario, notificato il 9 luglio 2007, il signor -OMISSIS- impugnava la sanzione dell’inibizione dallo svolgimento di ogni attività endo-federale per tre anni e quattro mesi, irrogatagli in via definitiva, pel tramite della decisione della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport del C.O.N.I., depositata in data 18 maggio 2007.

1.1. Con un primo atto recante motivi aggiunti, il ricorrente deduceva ulteriori profili di illegittimità dei provvedimenti impugnati (rilevati a seguito delle intercettazioni telefoniche operate dai NAS di Bologna relativamente al cd. “-OMISSIS-”).

1.2. Si costituivano in giudizio la Federazione (anche FIP) e il CONI –quest’ultimo rimarcando, altresì, il proprio difetto di legittimazione passiva- instando per la inammissibilità, per difetto di giurisdizione, e in ogni caso per la reiezione del gravame.

1.3. In data 12 novembre 2009 il ricorrente depositava copia della sentenza n. -OMISSIS- con cui il Tribunale di Bologna lo aveva assolto dal reato di frode sportiva “perché il fatto non sussiste”.

1.4. Con ordinanza n. -OMISSIS-, l’adito TAR Lazio, sezione III-ter, sollevava questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 24, 103 e 113 Cost., dell’art. 2, comma 1, lettera b), e, comma 2, del decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220, convertito dalla legge 17 ottobre 2003, n. 280, nella parte in cui riserva al solo giudice sportivo la competenza a decidere le controversie aventi ad oggetto sanzioni disciplinari, diverse da quelle tecniche, inflitte ad atleti, tesserati, associazioni e società sportive, sottraendole al sindacato del Giudice amministrativo.

1.5. Con sentenza -OMISSIS-, la Corte costituzionale dichiarava non fondata la questione di legittimità costituzionale.

1.6. Con istanza di fissazione di udienza depositata in data 29 luglio 2011, indi, il ricorrente chiedeva la prosecuzione del giudizio sospeso ex art. 80, comma 1, c.p.a., in ragione del venir meno della causa di sospensione per effetto della pubblicazione della citata sentenza n. -OMISSIS- della Corte costituzionale.

1.7. Con un secondo atto recante motivi aggiunti, poi, il ricorrente chiedeva la condanna, in solido o in via alternativa tra loro, della Federazione Italiana Pallacanestro e del C.O.N.I., al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, patiti per effetto dell’illegittimità attività provvedimentale della Federazione e del Comitato olimpico.

1.8. Questo Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, con sentenza n. -OMISSIS-, dichiarava la estinzione del giudizio, in ragione della tardività della domanda di fissazione d’udienza, depositata soltanto in data 29 luglio 2011, id est ben oltre il termine di 45 giorni:

- riveniente dalla dimidiazione dell’ordinario termine di 90 giorni, in ragione della riconducibilità della controversia nel novero di quelle che soggiacciono al rito abbreviato, ex art. 119, comma 1, lett. g), e 2, c.p.a.;

- decorrente dalla ricezione (24 febbraio 2011) della raccomandata con la quale l’ufficio di segreteria del TAR aveva comunicato ai legali del ricorrente l’avvenuta restituzione del fascicolo di causa da parte della Corte costituzionale.

1.9. Nella sentenza si aggiungeva, poi, che “ove pure si fosse potuto prescindere da questo profilo di carattere assorbente” non sarebbe stato possibile, in ogni caso, “addivenire ad una decisione di merito della causa”, stante:

- il difetto di giurisdizione sulla domanda caducatoria azionata con il ricorso introduttivo e con il primo atto recante motivi aggiunti, e reiterata con il secondo atto di motivi aggiunti;

- la prescrizione della domanda risarcitoria, azionata con il secondo atto di motivi aggiunti, notificato solo in data 19 ottobre 2012 - a fronte della decisione lesiva, assunta in data 18 maggio 2007 – “e dunque ben oltre i cinque anni, decorsi il 18 maggio 2012”.

1.10. Avverso tale sentenza il signor -OMISSIS- interponeva ricorso in appello, deducendo la erroneità della declaratoria di estinzione del giudizio. La domanda di fissazione di udienza, “in prosecuzione del giudizio sospeso” non avrebbe, invero, dovuto reputarsi tardiva, stante:

- la inapplicabilità ratione temporis dell’art. 80, comma 1, del c.p.a., essendo la causa di sospensione del giudizio intervenuta prima della entrata in vigore del d.lgs. 104/2010, recante la approvazione del codice del processo amministrativo;

- la applicabilità del termine semestrale contemplato all’art. 297 c.p.c. (nella formulazione anteriore alla novella introdotta dal comma 12 dell’art. 46 della legge n. 69 del 2009), trattandosi di un giudizio iniziato nel 2007; termine, peraltro, non suscettibile di dimidiazione, posto che l’art. 23-bis della legge n. 1034 del 1971 sarebbe stato riferibile ai soli provvedimenti adottati dalle autorità amministrative indipendenti, e non certo alla Federazione Italiana Pallacanestro;

- in ogni caso, il termine di cui all’art. 80, primo comma, del c.p.a., avrebbe dovuto intendersi come meramente ordinatorio, salva la possibilità di dichiarare la perenzione ai sensi dell’art. 81 del c.p.a., qualora nel corso di un anno (o di 6 mesi nel caso di ritenuta dimidiazione) non fosse stato compiuto alcun atto di procedura.

Di qui la richiesta di annullamento con rinvio della sentenza, ai sensi dell’art. 105, comma 1, del c.p.a.

1.11. Si costituivano anche nel giudizio di appello il Comitato Olimpico Nazionale Italiano e la Federazione Italiana Pallacanestro, chiedendo che il gravame fosse dichiarato inammissibile o comunque infondato.

1.12. Con sentenza, n. -OMISSIS-, il Consiglio di Stato accoglieva l’appello, disponendo l’annullamento della sentenza con rimessione della causa al primo Giudice a’ sensi dell’art. 105 c.p.a., rilevando:

- preliminarmente, la irrilevanza della motivazione fornita ad abundantiam da questo TAR, relativamente alla prescrizione della domanda risarcitoria, trattandosi di statuizione resa da un Giudice che si è spogliato della potestas iudicandi, chiudendo “in rito” ed in via liminare il giudizio, con la declaratoria di estinzione;

- la piena applicabilità al giudizio dell’art. 80 c.p.a., atteso che il termine per la prosecuzione del giudizio ivi contemplato (e soggetto alla dimidiazione ex art. 119 c.p.a.) non era in corso al momento dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo (ciò che valeva ad escludere la disciplina transitoria di cui all’art. 2 dell’all. 3 al c.p.a.), essendo il suo decorso iniziato solo al momento della conoscenza della avvenuta cessazione della causa di sospensione, con la comunicazione da parte della segreteria del TAR della trasmissione del fascicolo (pervenuta presso il domicilio del ricorrente il 24 febbraio 2011);

- la sussistenza, tuttavia, dei presupposti per la concessione dell’errore scusabile ex art. 37 c.p.a., ravvisandosi, secondo il Giudice di Appello, la “presenza di oggettive ragioni di incertezza ermeneutica registratesi nella fase di passaggio dal vecchio al nuovo regime processuale, come testimoniato dalle oscillazioni del dibattito giurisdizionale”.

1.12. Il ricorrente, indi, con atto notificato in data 25 febbraio 2019, riassumeva il giudizio avanti questo TAR, richiamando i precedenti scritti difensivi e, in particolare, rimarcando la sussistenza della giurisdizione del Giudice amministrativo in subiecta materia e la tempestività della domanda risarcitoria.

1.13. Si costituivano nel giudizio in riassunzione sia il CONI che la FIP, reiterando la linea difensiva già sperimentata nelle precedenti fasi processuali e, in particolare concludendo per la declaratoria del difetto di giurisdizione, ovvero per la improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse sulle domande di annullamento, per la estinzione della pretesa risarcitoria per prescrizione e, in ogni caso, per la reiezione della domanda di risarcimento nel merito, perché infondata. Il Coni ribadiva, inoltre, il proprio difetto di legittimazione passiva.

1.14. Illustrate le rispettive posizioni con memorie e atti di replica, la causa veniva discussa nella pubblica udienza del 5 luglio 2019 e, al fine, introitata per la decisione.

DIRITTO

Il ricorso in riassunzione, con cui si sono veicolate le istanze originariamente contenute nel ricorso introduttivo e nei motivi aggiunti, è in parte inammissibile, per quanto attiene alla domanda di annullamento, e in parte infondato, per ciò che afferisca alla istanza risarcitoria, nei sensi che si espongono in appresso.

2. Va, in via liminare, rimarcato la inammissibilità della domanda di annullamento della sanzione, che pure ha contraddistinto il ricorso originario (e i due atti per motivi aggiunti) quivi riassunto.

2.1. E, invero, l’incidente di costituzionalità sollevato nel presente giudizio –fondante sul presupposto della spettanza esclusivamente al Giudice sportivo della cognizione sulle controversie relative alle sanzioni disciplinari non tecniche inflitte ad atleti, tesserati e società sportive, anche “là dove esse incidano su diritti ed interessi legittimi”- si è concluso con una sentenza (Corte costituzionale n. -OMISSIS-) di rigetto “adeguatrice” che, facendo leva sul “diritto vivente”, ha interpretato le disposizioni sospette di incostituzionalità (art. 2, commi 1, lett. b), e 2, d.l. 220/03) nel senso:

- della riserva alla giustizia sportiva della potestà di annullamento della sanzione disciplinare, a tutela della autonomia dell’ordinamento sportivo;

- della potestà nondimeno per il Giudice amministrativo, esauriti i rimedi endogeni al settore sportivo, di accordare la tutela risarcitoria;

- del bilanciamento non irragionevole in tal guisa effettuato dal legislatore, nell’esercizio della discrezionalità afferente alle effettive modalità di tutela giurisdizionale in subiecta materia, da un canto escludendo la tutela costitutiva e caducatoria innanzi al Giudice statuale (amministrativo), che concreterebbe “una forma di intromissione non armonica rispetto all’affermato intendimento di tutelare l’ordinamento sportivo”, dall’altro ben consentendo al soggetto “attinto” dalla misura sanzionatoria di ottenere innanzi ad esso Giudice amministrativo il risarcimento per equivalente, previa incidentale valutazione della legittimità della sanzione.

2.2. Orbene, il vincolo che deriva, sia per il Giudice a quo sia per tutti gli altri Giudici, da una sentenza interpretativa di rigetto - che, com'è noto, secondo il diritto positivo, non è assistita dall'efficacia vincolate erga omnes, di cui agli artt. 136 Cost., comma 1, e 30, comma 3, l. n. 87/1953 - è soltanto “negativo”, consistente cioè nell'imperativo di non accogliere proprio quella interpretazione della norma che la Corte costituzionale, seppur con una pronuncia di infondatezza della questione, ha ritenuto viziata, potendo al più “risollevare la questione di costituzionalità, ove non intendano aderire all'interpretazione adeguatrice indicata dalla Corte” (tra le tante, Cass., SS.UU., 27986/13).

2.3. Ora, nel presente giudizio –recte, in quello originario che quivi si è riassunto- non vi è stata una statuizione giuridicamente rilevante sulla questione oggetto della pronunzia del Giudice delle leggi, essendosi quel giudizio conclusosi con una pronunzia “in rito”, di estinzione.

2.3.1. Ciò che preclude in nuce al Giudice, che si spoglia in limine litis della potestas iudicandi in ragione della intempestività dell’atto di prosecuzione, la possibilità di delibare e di decidere sul merito della domanda azionata e, dunque, anche sulle concrete modalità di tutela (caducatoria; risarcitoria) invocate dal ricorrente.

2.3.2. E, invero, costituisce munus decisorio afferente al merito della domanda, il cui scrutinio spetta al Giudice adito, presupponendo la sua potestas iudicandi, quello relativo:

- alla effettiva esistenza di posizioni giuridiche rilevanti per l’ordinamento;

- alla effettiva giustiziabilità di dette posizioni, e alle concrete forme di tutela giurisdizionali esperibili (Cass., SS.UU., 18052/10).

2.3.3. Di talchè, anche alla luce della ormai consolidata giurisprudenza formatasi successivamente alla nota pronuncia della Corte Costituzionale n. 6/2018, l’interpretazione delle norme di diritto afferenti sia alla natura e alla consistenza della posizione giuridica azionata (causa petendi o petitum sostanziale: diritto soggettivo, interesse legittimo) che alle forme di tutela in concreto richieste ed erogabili (petitum formale: reintegrazione in forma specifica, tutela costitutiva mediante annullamento, reintegrazione per equivalente e risarcimento del danno):

- costituisce il proprium della funzione giurisdizionale e non può, dunque, integrare di per se' sola la violazione dei limiti esterni della giurisdizione da parte del Giudice amministrativo (o contabile), così da giustificare il ricorso previsto dall'articolo 111 Cost., comma 8, neanche sotto il profilo della omissione o rifiuto di giurisdizione (Cass., SS.UU. n. 20168/18; Id., id. n. 14437/18), in tal guisa abbandonandosi il pregresso orientamento (antecedente la pronunzia del Giudice delle leggi n. 6/18) volto ad attribuire una significanza “dinamica” e “funzionale” alla nozione di giurisdizione (e, dunque, alla figura del cd. “rifiuto di giurisdizione”), secondo cui norma sulla giurisdizione sarebbe “non solo quella che individua i presupposti dell'attribuzione del potere giurisdizionale, ma anche quella che dà contenuto a quel potere stabilendo le forme di tutela attraverso le quali esso si estrinseca” (Cass., SS.UU., 30254/08, in tema di cd. “pregiudiziale amministrativa”);

- è questione rimessa al Giudice investito del merito, “che assumerà le sue decisioni secondo quanto prevede il diritto positivo” (Corte cost., n. 49/11).

2.3.4. La declaratoria di estinzione del giudizio contenuta nella sentenza di questo TAR n. -OMISSIS-, indi, lascia ancora inesplorata e non scrutinata nel presente giudizio la questione afferente alle forme di tutela esperibili avverso la sanzione disciplinare per cui è causa (fatto salvo il “vincolo negativo” riveniente dalla sentenza della Corte costituzionale n. -OMISSIS-).

2.4. Nella imminenza della discussione del merito della causa, peraltro, la Corte costituzionale è nuovamente intervenuta (sentenza n. -OMISSIS-) sulla questione afferente al modus di tutela giurisdizionale invocabile per le sanzioni disciplinari non tecniche incidenti su situazioni rilevanti per l’ordinamento statuale, ribadendo:

- la ragionevolezza della opzione normativa, inverata nel diritto vivente, volta ad escludere la tutela costitutiva avanti il Giudice statuale, vertendosi in materia nella quale “l’autonomia e la stabilità dei rapporti costituisce di regola dimensione prioritaria rispetto alla tutela reale in forma specifica, per il rilievo che i profili tecnici e disciplinari hanno nell’ambito del mondo sportivo” che “si connotano normalmente per un forte grado di specificità tecnica che va per quanto possibile preservato”;

- che la limitazione della protezione giurisdizionale al risarcimento per equivalente “non è un’opzione sconosciuta al nostro ordinamento”, trattandosi di una “tecnica di tutela assai diffusa e ritenuta pienamente legittima in numerosi e delicati comparti”, quali ad esempio quello lavoristico (Corte cost., 194/18; Cass, SS.UU., 32358/18); ma si pensi, ad esempio, anche alle disposizioni in campo societario (art. 2377 c.c.) ed al favor per forme di tutela obbligatoria, piuttosto che reale;

- la pregnante significanza che, in vicende connotate pubblicisticamente, non può non discendere dall’accertamento “incidentale condotto dal Giudice amministrativo sulla legittimità dell’atto”, di cui “anche gli organi dell’ordinamento sportivo non possono non tenere conto”;

- la atipicità e ampiezza delle misure interinali a disposizione del Giudice amministrativo, di guisa che “l’esclusione della tutela costitutiva non comporta di regola conseguenze costituzionalmente inaccettabili nemmeno sul piano dell’adeguatezza della tutela cautelare”.

2.5. In claris non fit interpretatio.

2.5.1. La domanda caducatoria della sanzione inflitta al sig.-OMISSIS-, pure veicolata con il gravame e i motivi aggiunti originari, non può quivi trovare ingresso ed è destinata alla declaratoria di inammissibilità ex art. 35, comma 1, lett. b), c.p.a., per effetto delle suesposte ragioni “ostative ad una pronuncia sul merito”.

2.5.2. Vale soggiungere, all’uopo, che tale pronunzia di inammissibilità si impone anche nella fattispecie de qua –ove è innegabile la carenza di interesse alla tutela costitutiva di annullamento, essendo già da lungo tempo cessata la efficacia della misura disciplinare inibitoria- attesa la sua priorità, sul piano logico e dommatico, rispetto a quella di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse (che presuppone la coltivabilità ab initio di una siffatta domanda di annullamento, che per contro va esclusa in nuce avanti questo TAR).

3. Va di contro, ed in ossequio ai dettami della Corte costituzionale, scrutinata la domanda di risarcimento dei danni per la quale, peraltro, sostanzialmente insta il ricorrente nel giudizio di riassunzione.

3.1. Va, in limine, respinta la eccezione di prescrizione formulata dalle resistenti.

3.1.1. E, invero, la domanda di annullamento della sanzione, id est di reintegrazione in forma specifica, spiegata con il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti, costituisce fatto idoneo a interrompere il decorso del termine prescrizionale per la “ancillare” e “succedanea” istanza di risarcimento per equivalente.

3.1.2. E, invero:

- la caducazione del provvedimento –nella fattispecie, della sanzione disciplinare inibitoria- assicura al ricorrente la massima utilitas sostanziale, ponendo nel nulla gli effetti lesivi dell’actio amministrativa;

- il risarcimento del danno per equivalente è “strumento di tutela ulteriore rispetto a quello classico demolitorio” (C. Cost. 204/04; C. Cost., 191/06) e, dunque, per definizione costituisce un quid minoris rispetto alla reintegrazione in forma specifica (art. 2058 c.c.; art. 124 c.p.a.).

3.1.3. E’ già in base al principio per cui “il più contiene il meno”, indi, che la notificazione della domanda con cui si chiede tutela in forma specifica con l’annullamento dell’atto lesivo, vale ad interrompere il termine prescrizionale anche per la –eventuale, accessoria, e succedanea- tutela per equivalente, che costituisce all’evidenza un quid minoris.

3.1.4. Il superamento della cd. “pregiudiziale amministrativa”, con i termini di poi riconosciuti per l’esercizio della autonoma azione di risarcimento (termine prescrizionale di cinque anni; termine decadenziale di 120 giorni contemplato dal c.p.a.), è valso esclusivamente ad ampliare le possibilità di tutela del privato, non più costretto a chiedere la tutela in forma specifica (caducatoria) ma libero di “scegliere” l’esperimento, autonomo, di quella per equivalente pecuniario.

3.1.5. Il contrastante orientamento dei due massimi plessi giurisdizionali, Consiglio di Stato e Corte di Cassazione, sulla “pregiudiziale amministrativa”, di poi risoltosi con la espressa previsione normativa della autonomia della azione di risarcimento dei danni da attività provvedimentale (artt. 7, comma 4, e 30, c.p.a.), si inscrive giustappunto nella logica di assegnare la massima preminenza alla volontà della parte e, dunque, alla sua libera electio circa le tecniche di tutela reputate maggiormente idonee a soddisfare i propri interessi e a reintegrare la propria sfera giuridica, lesa dall’agere illegittimo della P.A..

3.1.6. Di talchè, in ossequio al principio dispositivo che connota anche il giudizio amministrativo (artt. 30, 34, comma 1, c.p.a.; artt. 99, 100 e 112 c.p.c., art. 2907 c.c., ed il principio della domanda quale “clausola generale” della giurisdizione di diritto soggettivo: CdS, A.P., 5/2015 e Cass., SS.UU., 26242 e 26243/14) il ricorrente può:

ab initio concretamente modulare la propria domanda, al fine di ritrarre la massima utilitas dal processo, rinunziando alla tutela in forma specifica, quando questa non sia conveniente ovvero non sia più utile, ed instando esclusivamente per il risarcimento dei danni;

nel corso del giudizio di annullamento, o anche dopo la sua conclusione, proporre la domanda risarcitoria;

nel corso del giudizio di annullamento, chiedere al Giudice, quando la caducazione dell’atto non sia più “utile”, di accertare incidentalmente la illegittimità dell’atto ai fini risarcitori, con una sorta di conversione tipica dell’azione, codificata all’art. 34, comma 3, c.p.a..

3.1.7. Di guisa che:

- se è riconosciuta al privato una tale possibilità di “disporre” della domanda risarcitoria (segnatamente, nel corso di un giudizio esperito per l’annullamento dell’atto), in ossequio a libere scelte e valutazioni, ed alla concreta utilitas ritraibile;

a fortiori, tale possibilità di instare per il risarcimento dei danni – con una sorta di “conversione”, ovvero diversa “modulazione” della originaria domanda di annullamento - non può non riconoscersi allorquando, come nella fattispecie, quella risarcitoria costituisca l’unica forma di tutela della posizione giuridica avanti il Giudice statuale.

3.1.8. Utile, all’uopo, è il richiamare le condivisibili statuizioni con cui “si è affermato che la domanda di annullamento dell'atto amministrativo, proposta al giudice amministrativo prima della concentrazione davanti allo stesso anche della tutela risarcitoria, pur non costituendo il prodromo necessario per conseguire il risarcimento dei danni, dimostra la volontà della parte di reagire all'azione amministrativa reputata illegittima ed è idonea ad interrompere per tutta la durata di quel processo il termine di prescrizione dell'azione risarcitoria proposta dinanzi al giudice ordinario, dovendosi al riguardo fare applicazione del principio, affermato da Corte cost. n. 77 del 2007, per cui la pluralità dei giudici ha la funzione di assicurare una più adeguata risposta alla domanda di giustizia, e non può risolversi in una minore effettività o addirittura in una vanificazione della tutela giurisdizionale” (CdS, IV, 4 giugno 2014 n. 2856).

3.1.9. In definitiva, la domanda di annullamento, contenendo in sé la domanda di accertamento della illegittimità dell’atto e di reintegrazione in forma specifica (rimozione dell’atto e ripristino dello status quo ante), in quanto contenente un quid pluris rispetto al risarcimento del danno (reintegrazione per equivalente) integra un valido atto di esercizio del diritto, interruttivo della prescrizione.

3.1.10. E ciò tenuto altresì conto che la illegittimità dell’atto che fonda la pretesa risarcitoria -nel concorso degli ulteriori elementi (colpa, evento dannoso, nesso di causalità)- ben rientra nella domanda di annullamento; è dunque sussistente anche il requisito della pertinenza dell’atto interruttivo (domanda di annullamento, che presuppone l’accertamento della illegittimità dell’atto) rispetto all’azione risarcitoria (da identificarsi non solo in base al petitum ma anche alla causa petendi). Le domande suddette, invero, si “pongono in una relazione di reciproca fungibilità derivano da diritti cd. ‘eterodeterminati’, per la cui identificazione, cioè, occorre far riferimento ai relativi fatti costitutivi” (arg., a contrario, da Cass., III, 16 gennaio 2006, n. 726), tra loro convergenti sul piano genetico e funzionale. E ciò in quanto lo scrutinio di ambedue le domande (quella di annullamento e quella risarcitoria) presuppone la valutazione della legittimità del provvedimento amministrativo che –per il ben noto fenomeno della digressione dell’atto in fatto- è suscettibile di integrare il “fatto lesivo doloso o colposo” condizionante la responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. (fermi gli ulteriori elementi colà contemplati).

3.1.11. Di talchè, nella fattispecie de qua agitur:

- non è applicabile il principio per cui la prescrizione quinquennale decorre a far data dal provvedimento lesivo; principio che era riferibile alla azione autonoma di risarcimento, “liberamente scelta” dal ricorrente (prima della riduzione a 120 gg. prevista dal c.p.a.) che non aveva tempestivamente reagito avverso l’atto;

- la reazione tempestiva in sede giudiziale v’è stata, con la azione di annullamento; la impossibilità di tale reintegrazione in forma specifica –stante la ontologica insussistenza di tale tutela costitutiva- legittima il Giudice a conoscere in via incidentale della legittimità dell’atto al fine di assicurare la reintegrazione per equivalente.

3.1.12. D’altra parte, la conoscibilità della domanda risarcitoria si impone anche avuto riguardo:

- alla possibilità che la stessa domanda iniziale di annullamento, integrata successivamente dai secondi motivi aggiunti e anche alla luce delle concreta evoluzione del giudizio, venga “convertita” ex art. 32, comma 2, c.p.a. in domanda di accertamento della illegittimità dell’atto a fini risarcitori, in conformità del principio di conservazione degli atti;

- alla applicazione, anche in via analogica, del disposto di cui all’art. 34, comma 3, c.p.a.; di guisa che anche la oggettiva impossibilità di ottenere l’annullamento vale ad integrare uno dei casi in cui la relativa domanda non “risulta più utile per il ricorrente”, consentendo lo scrutinio incidenter tantum della legittimità dell’atto ai fini risarcitori.

3.1.13. Sotto altro profilo, non può non rammentarsi che nel momento di presentazione del ricorso originario la tutela costitutiva avanti al G.A. non era esclusa da questo stesso TAR che, anzi, aveva reiteratamente affermato che l’art. 2, comma 1, lett. b), d.l. 220/03, e la riserva al giudice sportivo delle questioni relative a “comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni sportive” non operava là dove la sanzione non si esauriva nell’ambito sportivo, con la conseguente possibilità di esperire la tutela demolitoria avanti il Giudice amministrativo “in relazione alle note sanzioni disciplinari emesse dalla Corte federale della Federazione italiana giuoco calcio al termine della stagione calcistica 2005/2006” (così, § 2.1., sentenza Corte cost. -OMISSIS-), prima di sollevare l’incidente di costituzionalità proprio al fine di dirimere le incertezze interpretative in subiecta materia.

3.1.14. Incertezze che, peraltro, sono perdurate fino alla nuova, recente, decisione del Giudice delle leggi (n. -OMISSIS-) e che valgono a vieppiù avvalorare anche a latere soggettivo, quanto sopra esposto circa:

- la volontà del ricorrente, in un quadro normativo non chiaro e con una giurisprudenza oscillante, di avvalersi ab initio della massima forma di tutela, con la richiesta di caducazione della sanzione;

- la idoneità della domanda giudiziale di annullamento -con cui si è concretata tale volontà sostanziale di “massima tutela”- a concretare un valido atto interruttivo della prescrizione della, succedanea ed accessoria, domanda di tutela per equivalente, di poi compiutamente spiegata con il secondo atti recante motivi aggiunti.

3.2. La domanda risarcitoria non è comunque fondata, stante la legittimità dell’operato degli organi della giustizia sportiva.

3.2.1. Va anzitutto, rilevata la inammissibilità, prima ancora che la infondatezza, del primo motivo del ricorso originario, con il quale si lamentava la mancata indicazione nella decisione finale del termine e dell’Autorità avanti la quale esperire ricorso nonché la asserita limitazione di tutela riveniente dalla natura di “lodo arbitrale” asseritamente attribuita alle decisioni della Camera di Conciliazione ed arbitrato.

3.2.2. E, invero:

- pacifica è la natura di provvedimenti amministrativi delle decisioni assunte dalla Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport (organismo, peraltro, oramai da lungo tempo soppresso) in conformità dell’orientamento del tutto consolidato nella giurisprudenza amministrativa (cfr., altresì, Corte cost. -OMISSIS-; tra le tante, CdS, VI, 268/07; Id. id., 527/2006; Id. id., 5025/2004; sulla natura amministrativa delle decisioni della giustizia sportiva, TAR Lazio, I ter,-OMISSIS-);

- la piena esplicazione avanti questo TAR, plena causae cognitio, della domanda risarcitoria, id est della unica forma di tutela giurisdizionale dall’ordinamento statuale accordata in subiecta materia, depriva di qualsivoglia interesse la doglianza in esame contemplata.

3.3. Quanto alle doglianze afferenti al “merito”, va preliminarmente rilevato che l’illecito sportivo contestato al ricorrente si è concretato nella violazione degli artt. 2, comma 1, 39 e 43 del regolamento di giustizia federale perché, avvalendosi del concorso di persona (sig. -OMISSIS-, segretario della -OMISSIS-) non soggetta alla giurisdizione federale ed al fine di favorire la -OMISSIS-, chiedeva ed otteneva dagli Uffici della -OMISSIS- Serie A di inserire nel fascicolo del tesseramento del giocatore -OMISSIS- un atto di risoluzione contrattuale recante data anteriore a quella dell’effettiva presentazione, con ciò alterando o tentando di alterare l’elenco degli atleti professionisti tesserati ed iscritti a referto per la società trevigiana, che in tal modo avrebbe avuto la possibilità di utilizzare e di iscrivere a referto altro atleta professionista.

3.3.1. In particolare:

- la -OMISSIS- in data 15 novembre 2016 stipulava con il “giovane di serie” -OMISSIS- il primo contratto “professionistico”; l’atleta, indi, veniva schierato regolarmente nelle successive partite di campionato;

- in ragione della stipula in data 4 gennaio 2007 di un contratto professionistico con un giocatore sloveno (-OMISSIS-), iscritto a referto nella gara di campionato disputatasi in data 7 gennaio 2007, la società superava il limite massimo previsto di 18 giocatori professionisti schierabili nel corso della singola stagione sportiva, toccato già in data 30 dicembre 2006 con la stipulazione di un contratto con un atleta professionista americano;

- il sig.-OMISSIS- “a quel punto allo scopo evidente di ovviare alla irregolarità della posizione che il -OMISSIS- aveva ed avrebbe assunto nelle partite disputate e disputande in qualità di 19º giocatore professionista iscritto a referto, con la connivenza del segretario generale della -OMISSIS- di serie A -OMISSIS-, depositava un atto di risoluzione consensuale del contratto sportivo professionistico dell’atleta -OMISSIS-” (che aveva già regolarmente giocato, in forza del contratto stipulato il 15 novembre 2006, numerose gare di campionato);

- tale atto di risoluzione veniva formato in data 11 gennaio 2007, ma recava una data falsa, 16 novembre 2006 e veniva consegnato nelle mani del dott. -OMISSIS-, segretario della -OMISSIS- di Bologna, che provvedeva altresì a munirlo di timbro di ricevuta, anch’esso con data non veritiera (17 novembre 2006);

- tale artificiosa produzione documentale era finalizzata a “depennare”, in guisa retroattiva, il nominativo del -OMISSIS- dalla lista dei giocatori professionisti, e ciò “al fine di OMISSIS re disponibile il 18º posto, per altro giocatore professionista -OMISSIS-” peraltro già tesserato, in data 4 gennaio 2007, nonchè utilizzato in campionato, nella citata gara del 7 gennaio 2007.

3.3.2. Tale contegno integrava, secondo gli organi di giustizia sportiva, l’illecito di frode sportiva consumata (art. 43, comma 1, lett. c) reg. giustizia sportiva), e ciò per avere il-OMISSIS- retrodatato la risoluzione del contratto di un cd. “giovane di serie”, l’atleta -OMISSIS- (giovane del vivaio dai 15 ai 21 anni) - firmata nei primi giorni del 2007 - al 16.11.2006, allo scopo di depositarla in Lega e all’Ufficio Tesseramenti della FIP a Roma, al fine di alterare o tentare di alterare l’elenco dei professionisti tesserati. E ciò in quanto, ai fini della sussistenza dell’atto di frode sportiva, non è necessario che si verifichi l’evento. Tutti i casi di frode di cui al primo comma dell’articolo 43 presuppongono dei semplici tentativi diretti ad assicurarsi in qualsiasi vantaggio o un qualsiasi utile risultato, tanto che l’ipotesi di frode sportiva consumata, prevista dal terzo comma dello stesso articolo, integra un’ipotesi di frode sportiva aggravata.

3.3.3. Nella fattispecie, l’atto di frode sportiva era da rinvenire nella cd. “risoluzione del contratto con il giocatore -OMISSIS- diretta a consentire l’iscrizione a referto del giocatore -OMISSIS-; di qui la piena sussumibilità della condotta nel paradigma normativo foggiato all’art. 43 del regolamento, relativo giustappunto a ogni atto, anche solo tentato ovvero integrante uno stato preparatorio, diretto a consentire la partecipazione di un atleta (-OMISSIS-) a gare, mediante falsa attestazione (mercè la retrodatazione dello scioglimento del vincolo con l’atleta -OMISSIS-) delle condizioni necessarie (rispetto del limite massimo di atleti) per l’iscrizione a referto.

3.4. Orbene, in tal guisa compendiati i presupposti di fatto e di diritto posti a fondamento della sanzione, confermata dalla Camera di conciliazione, sono anzitutto infondate le deduzioni di parte ricorrente con cui si lamenta, in sostanza, la inidoneità già solo in astratto della condotta contestata (retrodatazione della risoluzione del contratto) a raggiungere lo scopo, all’uopo richiamandosi la figura del “reato impossibile”: secondo il ricorrente, invero, il “giovane di serie” -OMISSIS- –id est la controparte del contratto di poi sciolto con atto recante falsa data- in ogni caso non sarebbe stato un atleta computabile nella cd. lista dei 18 giocatori (art. 1, comma 3, e art. 4 regolamento esecutivo FIP: pag. 14, memoria conclusiva ricorrente); e ciò in quanto solo nel caso di impiego per almeno 18 volte in stagione “l’atleta giovane di serie matura il diritto alla qualificazione di professionista” (art. 4, comma 7, reg. esec. settore professionistico fip). Di qui la assoluta inidoneità già in abstracto della condotta a raggiungere lo scopo, atteso che la posizione dell’atleta -OMISSIS- era assolutamente “indifferente” rispetto al limite di 18 giocatori oggetto della “presunta frode”.

3.5. La tesi non è condivisibile.

3.5.1. E, invero, la disciplina regolamentare che quivi viene in rilievo esclude dal vincolo relativo al numero massimo di 18 giocatori professionisti, esclusivamente i “giovani di serie” che, evidentemente professionisti non sono ancora.

3.5.2. Ora l’art. 4 del regolamento esecutivo, che disciplina giustappunto gli “atleti giovani di serie”, prevede che la acquisizione dello status di professionista (e, specularmente, la correlata perdita di quello di “giovane di serie”) avvenga, disgiuntivamente, al ricorrere di due condizioni, id est:

- quella integrata, de iure, dalla stipulazione del “primo contratto professionistico”, per la quale è prevista una sorta di diritto di prelazione a favore della società presso la quale il giovane è tesserato; di talchè, contrariamente a quanto opinato da parte ricorrente, la modifica al regolamento intervenuta successivamente ai fatti di causa -con cui si è testualmente ribadito che il giovane che sottoscrive il primo contratto “automaticamente perde la qualifica di serie”- non assume valenza precettiva o forza innovativa, solo valendo a chiarire ex professo ciò che già discendeva da una lettura piana della norma in esame;

- ovvero quella che de facto riviene dalla iscrizione a referto ufficiale di gara per almeno 18 volte nel corso di una stessa stagione sportiva.

3.5.3. Nella fattispecie de qua agitur è evidente che lo status di professionista sia stato irrefragabilmente acquisito dal -OMISSIS- in forza della stipulazione del primo contratto professionistico con la -OMISSIS- in data 15 novembre 2006.

Di guisa che anche la sua posizione, al pari di quella degli altri atleti professionisti “sotto contratto” con la società, era computabile nel numero massimo di 18 giocatori iscrivibili a referto.

Di qui la innegabile incidenza che la condotta contestata avrebbe avuto ai fini che ci occupano, “liberando” il posto per il giocatore -OMISSIS- e consentendogli la iscrizione a referto (peraltro già avvenuta per la gara del 7 gennaio 2019) nel corso delle restanti partite del campionato.

3.5.4. Il ricorrente, ancora, al fine di accreditare la tesi della inidoneità già in abstracto della condotta de qua (qualificata come “stupidamente sleale”) a sortire effetti in punto di partecipazione non consentita di atleti alle gare, rimarca che l’atto di risoluzione recante la data non veritiera del 16 novembre 2006 (id est, il giorno successivo a quello della stipulazione), benchè consegnata al dott. -OMISSIS- della -OMISSIS- (con timbro di ricevuta anch’esso con indicazione retrodatata, del 17 novembre 2016) giammai fu poi da quest’ultimo inviata all’Ufficio tesseramenti in Roma.

3.5.5. Ora è ben vero che:

- la -OMISSIS- (in forza di apposita delega della FIP) gestisce la fase del primo deposito dei contratti professionistici, di poi trasmessi all’Ufficio tesseramenti;

- dopo ogni partita il Giudice sportivo chiede proprio all’Ufficio tesseramenti di verificare la regolarità della posizione contrattuale degli atleti “messi a referto”;

- è dunque, sulla scorta della documentazione in possesso dell’Ufficio tesseramenti che è possibile la verifica in continuum, nel corso del campionato, della regolarità delle gare e degli atleti “iscritti a referto”.

3.5.6. E, tuttavia, nella fattispecie la mancata acquisizione da parte dell’Ufficio tesseramenti dell’atto “con data artefatta” (rimasto “nel cassetto” del dott. -OMISSIS-) non vale in alcun modo a stemperare il giudizio di riprovevolezza sotteso alla condotta de qua, che consuma ed esaurisce il proprio –per vero assai intenso- giudizio di disvalore:

- non solo nella falsità documentale;

- bensì, anche nel perfezionamento del segmento procedimentale finalizzato alla alterazione delle attestazioni documentali condizionanti la partecipazione degli atleti alle gare.

3.5.7. E, invero, non è chi non veda come con la consegna dell’atto agli Uffici della Lega, con apposizione di timbro per ricevuta, il-OMISSIS- abbia compiuto tutto quanto era nelle sue possibilità, consumando indi l’illecito di frode sportiva. Tutto ciò che è avvenuto successivamente a detta consegna, indi, allorquando l’atto è fuoriuscito dalla sua sfera di disponibilità, è affatto “indifferente” ai fini che ci occupano e non vale ad elidere ovvero a scalfire la condotta illecita, già in allora perfezionatasi e consumatasi.

3.5.8. Sul punto, vanno condivise le osservazioni contenute nel “lodo” della Camera di conciliazione, per cui:

- le condotte di frode sportiva di cui all’art. 3 del regolamento di giustizia federale (FIP) sono strutturate “quali ipotesi di illecito a consumazione anticipata, giacchè il risultato sportivo perseguito (…) non deve, perché si abbia frode, necessariamente realizzarsi (…) essendo sufficiente (…) il mero compimento di un atto diretto”;

- esistono, nell’ordinamento, “numerosi casi di reati di mera condotta che pure non sono di pericolo, bensì di danno”, quali, ad esempio, “le falsità in atti” ovvero la corruzione;

- l’anticipazione della soglia di punibilità alla realizzazione della condotta non impedisce, nondimeno, la ravvisabilità del tentativo (art. 43, comma 2, regolamento di giustizia), come nel caso di somministrazione non riuscita di sostanze dopanti; nel caso di effettiva somministrazione, la frode sarà consumata a prescindere dall’esito voluto (alterazione del risultato della gara);

- nella fattispecie, ad esempio, se il dott. -OMISSIS- della -OMISSIS- “si fosse rifiutato di apporre la falsa data di deposito sui documenti presentati dal dirigente della -OMISSIS-”, vi sarebbe stato un tentativo di frode, in quanto la condotta –id est, la predisposizione ed il deposito presso gli uffici della Lega di documentazione artefatta- non si sarebbe compiutamente realizzata;

- e tuttavia, “siccome -OMISSIS- accettò la proposta di falsificare l’attestazione di deposito, l’azione fraudolenta, così come descritta dalla norma, venne perfezionata” essendosi realizzato un atto diretto a consentire la partecipazione di un atleta, il -OMISSIS-.

3.5.9. Trattasi, indi, di una condotta che si è ben manifestata ab externo, con il concorso del segretario della -OMISSIS-, con la realizzazione di un documento senza dubbio diretto, quanto meno ex ante, a incidere sulle condizioni di iscrizione a referto degli atleti della -OMISSIS-.

E’ la produzione del documento, con quelle artificiose caratteristiche -oggettivamente suscettibili di trarre in inganno gli organi preposti alla verifica della regolarità dello svolgimento del campionato e delle iscrizioni a referto degli atleti- ad avere infranto la norma di cui all’art. 43, comma 1, lett. c), del regolamento, ledendo l’interesse da essa presidiato, id est quello funzionale alla massima trasparenza e alla genuinità della documentazione contrattuale afferente agli atleti, proprio al fine di consentire:

- l’esercizio efficace e tempestivo della azione di controllo e di vigilanza demandata agli organi della Federazione;

- il regolare svolgimento della competizione sportiva, cui detta azione di controllo è funzionalmente e teleologicamente preordinata.

3.5.10. E tanto basta a giustificare il giudizio di disvalore, ben sussunto nel genus di quello connotante la frode sportiva, che non può non connotare una condotta che:

- tale officium di controllo, prima, era suscettibile di ostacolare e/o di ledere;

- tale regolare svolgimento del campionato, poi e in definitiva, era diretta ad alterare ovvero compromettere.

E, in tale ottica “non possono esservi dubbi sull’astratta attitudine dell’operato del-OMISSIS- ad ingannare gli organi federali e ad agevolare la realizzazione e/o la prosecuzione e/o l’occultamento della condotta antisportiva” (pag. 12, “lodo” del 18 maggio 2017).

3.5.11. Di guisa che, tutto ciò che è avvenuto successivamente al perfezionamento della condotta fraudolenta de qua –ivi compreso l’asserito, mancato, utilizzo di tale documentazione- rientra nella “zona” del post-fatto, in quanto tale non mai idonea ad assumere rilevanza nella valutazione circa la sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito.

3.6. Anche le doglianze relative alla mancanza di terzietà e indipendenza del collegio arbitrale, nonché alla violazione delle regole che presiedono alla formazione del lodo arbitrale, appaiono inammissibili, prima ancora che infondate.

3.6.1. E, invero, le allegazioni di parte ricorrente circa presunti condizionamenti dell’operato del collegio arbitrale –per effetto di contatti intervenuti tra i suoi membri ed esponenti del Coni e della FIP nel periodo antecedente la decisione e la stesura del lodo (che sarebbe stata anche, in parte, demandata a soggetti estranei all’organo decidente) sono ictu oculi inidonee ad incidere, già in abstracto, sull’odierno thema decidendum, afferente esclusivamente, come è ovvio, a quella parte della decisione del collegio arbitrale con la quale è stata confermata la sanzione disciplinare interdittiva a carico del sig.-OMISSIS-.

3.6.2. Le risultanze istruttorie emerse in sede penale, quivi invocate da parte ricorrente, attengono esclusivamente al processo decisionale seguito dal collegio relativamente alla entità (15 punti, ovvero 12 punti, siccome poi avvenuto) della penalizzazione da infliggere alla società cestistica.

3.6.3. Nulla quaestio, di contro, sul pacifico iter che ha contraddistinto l’agere arbitrale nella maturazione della decisione di conferma della sanzione della inibizione a 3 anni e 4 mesi già inflitta dalla Corte federale della FIP a carico del ricorrente; dalla disamina degli atti del procedimento penale, invero, si trae conferma del contenuto della dichiarazione resa in data 23 maggio 2007 dal -OMISSIS-, per cui “visto che il fatto era pacifico, avendo-OMISSIS- confessato, ribadisco che tutti i componenti del collegio hanno condiviso la soluzione che a loro ho prospettato di una conferma della penalizzazione. Nessuno ha mai proposto un annullamento della sanzione della Corte Federale o una riduzione diversa da quella poi adottata”. Del resto, i ripetuti contatti intercorsi nel giorno della decisione tra un membro del collegio (peraltro membro fisso della Camera,) e il direttore dell’ufficio affari legali del Coni, avevano ad oggetto giustappunto la entità della sanzione disciplinare da infliggere alla -OMISSIS-, non già e non mai la posizione del ricorrente (cfr., in particolare, verbale del 31 maggio 2007 con le dichiarazioni rese dal dott. -OMISSIS-; intercettazioni telefoniche, conversazioni nn. 67 e 162b).

3.6.4. Di qui la inammissibilità, prima ancora che la infondatezza, della censura che –allegando un vizio dell’iter decisionale seguito nella valutazione di una posizione “altra” rispetto a quella del ricorrente- difetta dell’indefettibile sostrato sostanziale costituito dalla personalità dell’interesse azionato.

3.7. Analogamente, inammissibile si appalesa la doglianza anche nella parte in cui è funzionale alla emersione di una asserita violazione dell’obbligo di riservatezza gravante in capo ai componenti del collegio, segnatamente in capo al presidente di esso, atteso che:

- le norme invocate in tema di riservatezza (artt. 27 e 14 del regolamento della Camera) sono indirizzate, oltre che agli arbitri anche ai consulenti tecnici e alle parti, oltre che a tutti i componenti della Camera (siano, o meno, investiti di uno specifico procedimento arbitrale), al segretario e ai funzionari della segreteria, ai quali è fatto obbligo di “mantenere riservata qualsiasi notizia o informazione inerente agli argomenti trattati e alle procedure previste dal presente Regolamento”; trattasi di disposizione generale, lato sensu funzionale a rafforzare la “separatezza” della Camera (i suoi componenti, e l’ufficio di segreteria) e le funzioni da essa svolte (giustiziali, di “conciliazione”, e consultive) rispetto al CONI, presso la quale detta Camera è istituita e incardinata;

- trattasi di disposizioni che, per quel che qui interessa, conformano “in via generale” lo status degli arbitri (o dei conciliatori, oltre che delle parti e dei consulenti tecnici), dei membri della Camera e degli addetti alla segreteria, al di là ed a prescindere dalla natura e dall’oggetto delle informazioni acquisite ratione officii;

- in questa ottica, la violazione della riservatezza –se vale per certo ad integrare una infrazione alle norme che connotano lo status di membro della Camera o di arbitro- non è ex se idonea a riverberarsi sullo specifico munus decisorio di cui è attributario l’arbitro, men che meno con valenza invalidante –ovvero inficiante la sua legittimità- dell’atto conclusivo del procedimento arbitrale.

3.7.1. Di qui la carenza di interesse alla proposizione di una censura siffatta, comechè avente ad oggetto norme la cui inosservanza:

- non vale di per sé sola, ad inficiare la indipendenza e la imparzialità dell’operato del Collegio arbitrale, afferendo di contro ad obblighi per così dire “estrinseci” rispetto al munus e alla funzione decisoria;

- non può integrare, pertanto, un vizio dell’atto giustiziale della Camera suscettibile di venire in rilievo in questa sede.

3.7.2. D’altra parte, nell’ambito dei procedimenti “giustiziali” di che trattasi, aventi pur sempre carattere amministrativo e non già giurisdizionale, non possono non richiamarsi i principi in appresso:

- i concetti di imparzialità e di terzietà devono pur essere convenientemente modulati laddove debbano applicarsi non già a un procedimento giurisdizionale bensì a decisioni, quali quelle emanate dagli che costituiscono “l'epilogo di procedimenti amministrativi (seppure in forma giustiziale), e non già giurisdizionali, sì che non possono ritenersi presidiate dalle garanzie del processo” (TAR Lazio, III-ter, 14 aprile 2016, n. 4391; TAR Lazio, I-ter, 10171/17; Id., 5280/07);

- di qui la applicazione, alla azione giustiziale che ne occupa, dell’art. 97 Cost., e non anche delle guarentigie cristallizzate agli artt. 24 e 111 Cost.; lo stesso concetto di “terzietà” viene a essere richiamato, relativamente all’Autorità amministrativa, in senso tutt'affatto improprio e ciò anche nell'ambito di procedimenti strutturati secondo puntuali regole di contraddittorio, come nel caso che ne occupa; ciò che conta, ai fini dell'imparzialità e del buon andamento, è che il soggetto titolare della potestà decisoria e giustiziale debba operare, secundum ius, al solo fine del perseguimento del pubblico interesse, senza mescolanze o indebite interferenze di interessi di natura privatistica (Corte costituzionale, 12 febbraio 1996, n. 28).

3.7.3. Di guisa che, l’indipendenza dei membri del Collegio cui spetta l’esercizio della funzione decisionale, di natura amministrativa, non mai può essere scalfita, di per sé, da meri contatti con soggetti terzi intercorsi durante lo svolgimento dei lavori.

3.8. In ogni caso, le doglianze, oltre che inammissibili, si appalesano altresì infondate, tenuto altresì conto degli esiti del procedimento penale le cui risultanze investigative (intercettazioni) venivano dal ricorrente poste a fondamento dei motivi aggiunti (cfr., altresì la documentazione prodotta in data 12.10.2012).

3.8.1. E, invero, siccome è testualmente dato leggere nella richiesta di archiviazione del PM 13 febbraio 2008, di poi accolta con decreto del GIP di Roma del 2.4.2008, “va escluso, per quanto riguarda il -OMISSIS-, che la decisione della Camera di conciliazione sia stata determinata da interferenze da parte dei vertici del CONI (…) Infine dall’esame delle intercettazioni telefoniche e dalle dichiarazioni di tutte le persine sentite nel corso delle indagini preliminari non emergono indizi di pressioni di sorta sul collegio arbitrale o su alcuno dei suoi membri (…) il -OMISSIS- non è un estraneo che pOMISSIS  contatto con i giudici sportivi mentre costoro sono intenti a discutere il ricorso, ma è il funzionario preposto all'organizzazione e al funzionamento della Camera di Conciliazione. Quanto al -OMISSIS- risulta dalle intercettazioni che il medesimo, durante i lavori della Commissione ha numerosi contatti con varie persone, tra cui anche il giornalista -OMISSIS-. Nelle telefonate tuttavia il -OMISSIS- non fornisce notizie riservate sull’andamento dei lavori della Camera di Conciliazione, di cui è il Presidente, ma esprime in genere le sue opinioni personali sulla vicenda. In sostanza dalle intercettazioni si ricava che il predetto è favorevole a mantenere la penalizzazione di 15 punti, ma che evidentemente altri hanno opinioni diverse”.

3.8.2. Questo TAR condivide la ricostruzione operata dalla Autorità giudiziaria penale, atteso che:

- rientrano nella fisiologia dei rapporti tra organizzazione amministrativa della Camera ed il collegio arbitrale –presso quella camera incardinato- i contatti intercorsi con l’avv. -OMISSIS- del CONI;

- parimenti, affatto giustificabile è la esigenza rappresentata dai vertici del CONI di ottenere una decisione in tempi brevi, al fine di poter assicurare il fisiologico espletamento del campionato.

3.9. Anche la censura con cui si lamenta che il lodo sarebbe stato redatto da soggetti non appartenenti al collegio arbitrale non merita miglior sorte.

3.9.1. E, invero, la esplicazione della funzione decisoria demandata agli arbitri si concreta (art. 19, regolamento Camera):

- nella deliberazione, all’esito della riunione del collegio in conferenza personale, a maggioranza dei voti;

- nella successiva sottoscrizione del lodo -che può avvenire anche in luoghi e tempi diversi, e risultare da esemplari diversi del lodo, purché dichiarati tra loro conformi dalla segreteria- redatto per iscritto, con motivazione che indichi le richieste delle parti, lo svolgimento del procedimento e le ragioni sulle quali si fonda la decisione; il lodo (ed eventualmente anche il dispositivo, se reso noto anticipatamente rispetto alle motivazioni) deve in ogni caso essere sottoscritto almeno dalla maggioranza del collegio arbitrale ed in tale ultima eventualità, deve essere espressamente dichiarato che la deliberazione è avvenuta in conferenza personale di tutti gli arbitri e che i componenti in minoranza non hanno voluto o potuto sottoscriverlo.

3.9.2. E’ evidente, indi, che ciò che solo rileva ai fini della giuridica esistenza della decisione e della sua imputabilità al collegio, è il fatto che sia avvenuta:

- in conferenza personale, e dunque all’esito della discussione collegiale:la deliberazione, id est la decisione - tota re perspecta, su tutte le questioni, di fatto e di diritto rientranti nel thema decidendum, sia di rito che di merito;

- la sottoscrizione del lodo da parte “almeno” della maggioranza degli arbitri.

3.9.3. Ora le allegazioni di parte ricorrente –relative al fatto che la stesura di parte della decisione sia stata materialmente posta in essere da qualche collaboratore del presidente del collegio- non valgono, già in abstracto e a prescindere dalla loro fondatezza in punto di fatto, ad incrinare la sussistenza nel caso che ci occupa delle circostanze suesposte (deliberazione collegiale in conferenza personale; sottoscrizione della maggioranza, nella fattispecie di tutti, gli arbitri), che solo condizionano la esistenza di una valida decisione imputabile al Collegio.

3.9.4. Nessun dubbio può, indi, residuare circa la provenienza della decisione dall’organo nella sua collegialità, stante le incontroverse ed incontrovertibili indicazioni rivenienti dal lodo, la cui legittimità formale è stata debitamente verificata dalla segreteria della Camera nell’esercizio dei poteri di controllo ex art. 24 del regolamento in punto:

- di effettiva composizione del collegio giudicante, nonchè della riunione in conferenza personale dell’11 maggio 2007;

- di deliberazione all’unanimità in quella seduta avvenuta, nonchè della sottoscrizione da parte di tutti gli arbitri.

3.9.5. E tanto basta – stante l’efficacia probatoria qualificata di atto pubblico attribuibile al lodo, relativamente alla data ed al modus di deliberazione e di sottoscrizione, nonchè alla identità dei componenti il collegio - a reputare pienamente comprovate le condizioni di imputabilità della decisione al collegio, deprivando di fondamento, e ancor prima di ammissibilità, il mezzo in esame.

4. Le considerazioni di cui sopra valgono ad assorbire ogni altra censura ed eccezione - ivi compresa quella relativa al difetto di legittimazione passiva del CONI, su cui non necessita quivi indagare e che, in ogni caso, non potrebbe essere inferita semplicemente dall’art. 19, comma 5, del regolamento ovvero dalla piena autonomia della Camera rispetto al CONI, atteso che i requisiti di indipendenza ed autonomia sono compatibili con l’assenza di soggettività giuridica propria, essendo uno dei modi in cui può articolarsi l'intensità della relazione di appartenenza dell'organo all'ente, legata alla peculiarità della posizione che lo stesso riveste nel suo ambito – e conducono alla reiezione, sotto ogni profilo, della domanda risarcitoria esperita dal ricorrente.

5. Infine, non si rinvengono ragione per deflettere dalla regola generale in forza della quale le spese seguono la soccombenza, nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Stralcio), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe riproposti con l’atto di riassunzione:

- dichiara inammissibile la domanda di annullamento degli atti impugnati;

- respinge la domanda risarcimento, nei sensi di cui in parte motiva.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida complessivamente in € 2.500,00, oltre accessori come per legge, in favore di ciascuna delle parti resistenti.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità delle parti interessate, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare parte ricorrente ovvero le altre persone fisiche nominatim individuate nel corpo della sentenza.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 luglio 2019 con l'intervento dei signori magistrati:

Germana Panzironi, Presidente

Antonella Mangia, Consigliere

Rocco Vampa, Referendario, Estensore

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