T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 2571/2005

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Sezione Terza Ter

Composto dai Magistrati:

Francesco        CORSARO                           Presidente

Angelica         DELL’UTRI                          Componente

Stefano            FANTINI                              Componente relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sui ricorsi nn. (…), (…) e (…)  del Reg. Gen. proposti da OMISSIS S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Giuseppe Carratelli, Enrico Lubrano e Filippo Lubrano,  presso quest’ultimo elettivamente domiciliata in Roma, alla Via Flaminia n. 79;

CONTRO

- F.I.G.C. - Federazione Italiana Giuoco Calcio, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Mario Gallavotti e Luigi Medugno, presso il primo dei quali è elettivamente domiciliata in Roma, alla Via Po n. 9;

- C.O.N.I. - Comitato Olimpico Nazionale Italiano, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Alberto Angeletti, presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Giuseppe Pisanelli n. 2;

- Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport del C.O.N.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;

- Lega Nazionale Professionisti di Serie A e B, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Cristina Rossello e Anna Emilia Cioppa, presso quest’ultima elettivamente domiciliata in Roma, al Viale Bruno Buozzi n. 39;

- Lega Professionisti di Serie C, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Bruno Biscotto e Lucia Scognamiglio, presso i quali è elettivamente domiciliata in Roma, alla Via G. Pisanelli n. 40;

- Lega Nazionale Dilettanti, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;

e nei confronti

di tutte le società calcistiche professionistiche e dilettantistiche affiliate alla Lega Professionisti di Serie A e B, alla Lega Professionisti di Serie C, nonché alla Lega Nazionale Dilettanti, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, tra cui la A.S. OMISSIS S.p.a., la società OMISSIS , la OMISSIS  S.r.l. e la OMISSIS  S.r.l., non costituite in giudizio;

per l’annullamento

- quanto al ricorso n. (…) R.G., di tutti i provvedimenti con i quali il Cosenza è stato iscritto dalla F.I.G.C. al Campionato Dilettantistico per la stagione 2004 - 2005, ovvero, in particolare, dei provvedimenti emanati dal Consiglio Federale della F.I.G.C. in data 27/7/04, dal Presidente Federale della F.I.G.C. in data 29/7/04 e dal Consiglio Federale della F.I.G.C. in data 12/8/04, nonché di tutte le decisioni emanate, in sede di impugnazione (veloce ed ordinaria) di tali provvedimenti, dalla Camera di Conciliazione, in particolare delle decisioni emanate in data 3/9/04, n. 1188, 27/8/04, n. 1142, 20/8/04, n. 1114, 24/8/04, n. 1128, nonché contro ogni provvedimento comunque emanato dalla Camera di Conciliazione in ordine all’assegnazione al Cosenza del titolo sportivo per la Serie D; nochè di tutti gli atti, anteriori o conseguenti, ad essi comunque presupposti, in particolare di tutte le norme regolamentari della F.I.G.C. (tra cui il Comunicato Ufficiale n. 151/A del 28/4/03), nella parte in cui prevedono che una società professionistica non iscritta ad un campionato per ragioni contabili perda definitivamente il proprio titolo sportivo e debba iscriversi ad un campionato dilettantistico; nonché dei Regolamenti di funzionamento della Camera di Conciliazione, nella parte in cui prevedono, come condizione di ammissibilità del ricorso, l’obbligo di sottoscrivere una dichiarazione con la quale ci si impegna a non impugnare la decisione della stessa, nonché nella parte in cui prevedono l’obbligo di pagare somme ingenti per avere il giudizio innanzi alla stessa (euro 10.000,00);

nonché per l’accertamento del titolo sportivo

del OMISSIS  a partecipare (previo accertamento dei requisiti contabili - amministrativi) al Campionato Professionistico di Serie C1, od in subordine di Serie C2, per la stagione attualmente in corso (2004 - 2005) e, di conseguenza, per la stagione successiva (2005 – 2006) e per la conseguente condanna della F.I.G.C. ad accogliere la domanda di partecipazione a tale campionato;

nonché per la condanna della F.I.G.C. e del C.O.N.I.

al pagamento del risarcimento dei danni subiti dal Cosenza per non essere stata ammessa a partecipare al Campionato di Serie C1 per la stagione in corso (2004 – 2005);

- quanto al ricorso n. (…) R.G., di tutti gli atti già gravati con il ricorso n. 11193/04 R.G., nonché del provvedimento di silenzio - rigetto tacito (formatosi in data 12/11/04), con cui la Camera di Concilazione e Arbitrato per lo Sport del C.O.N.I., non essendosi pronunciata entro 30 giorni (ex art. 2 della legge n. 241/90) dalla presentazione del ricorso (c.d. “istanza di arbitrato”) presentato dal Cosenza in data 13/10/04 (per l’annullamento del provvedimento emanato in data 12/8/04 dal Consiglio Federale della F.I.G.C. con il quale il Cosenza non è stato “ripescato” in serie C2) ha tacitamente rigettato il ricorso del Cosenza; nonché del regolamento di funzionamento della Camera di Conciliazione, nella parte in cui non prevede che il procedimento innanzi alla stessa si concluda entro il termine di 30 giorni dalla proposizione della c.d. istanza di arbitrato;

- quanto al ricorso n. (…) R.G., di tutti i provvedimenti già impugnati con i precedenti ricorsi n. 11193/04 R.G. e n. 635/05 R.G., nonché del provvedimento emanato in data 17/1/05, con cui la Camera di Conciliazione e di Arbitrato per lo Sport del C.O.N.I. ha dichiarato improcedibile il ricorso proposto dal Cosenza innanzi ad essa, per il riconoscimento del proprio titolo sportivo per il campionato di Serie C1, o, in subordine, del proprio titolo sportivo per il campionato di Serie C2, per non avere la società formulato la dichiarazione con la quale la stessa avrebbe dovuto riconoscere la futura decisione della Camera di Conciliazione come espressione della propria volontà ad impegnarsi a rispettarla, nonché dei vari regolamenti sportivi (art. 12 dello Statuto del C.O.N.I., Regolamenti ad hoc ed ordinario della Camera di Conciliazione) che attribuiscono natura di lodo arbitrale (irrituale), anziché di provvedimento amministrativo di secondo grado, alle decisioni assunte dalla Camera di Conciliazione in materie aventi ad oggetto posizioni giuridico soggettive dei destinatari qualificabili come interessi legittimi e che, sulla base di tale autodefinizione di tali decisioni, prevedono, come condizione di procedibilità del ricorso, che la parte sottoscriva una dichiarazione con cui la stessa riconosce preventivamente la decisione della Camera come espressione della propria volontà e si impegna a rispettarla;

Visti i ricorsi con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della F.I.G.C., del C.O.N.I., della Lega Nazionale Professionisti, nonché della Lega Professionisti di Serie C;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore, alla pubblica udienza del 17.3.2005, il Primo Ref. Stefano Fantini;

Uditi gli Avv.ti Filippo ed Enrico Lubrano per la ricorrente,  l’Avv. Angeletti per il C.O.N.I., gli Avv.ti Medugno e Mazzarelli (quest’ultima in sostituzione dell’Avv. Gallavotti) per la F.I.G.C., l’Avv. Cioppa per la Lega Nazionale Professionisti, nonché l’Avv. Marino, in sostituzione degli Avv.ti Scognamiglio e Biscotto, per la Lega Professionisti di Serie C;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

F A T T O

Con atto (n. (…) notificato nei giorni 10/11/04 e seguenti e depositato il successivo 23/11 la ricorrente ha impugnato gli atti in epigrafe indicati, chiedendo l’annullamento degli stessi, oltre che l’accertamento del proprio titolo sportivo per la partecipazione al campionato professionistico di Serie C1, od in subordine C2.

Premette di avere sempre partecipato a campionati di calcio di livello professionistico, sino a che, con provvedimento del Consiglio Federale della F.I.G.C. in data 31/7/03, è stata esclusa dal campionato di serie C1 per la stagione 2003 - 2004 per insussistenza dei requisiti amministrativo - contabili previsti dalla normativa federale.

Quindi con provvedimento del Presidente della Federazione in data 31/10/03 è stata dichiarata decaduta dall’affiliazione per inattività.

Detti provvedimenti sono stati gravati dinanzi a questo Tribunale Amministrativo con ricorsi decisi con sentenza 1/4/2004, n. 2987 della Sezione, che ha annullato la decadenza dall’affiliazione; in sede di appello, il Cons. Stato, Sez. VI, con decisione 9/7/2004, n. 5025, seguendo un differente percorso concettuale e motivazionale, ha comunque confermato la predetta statuizione di annullamento del provvedimento di decadenza.

In tale situazione la ricorrente ha manifestato la propria volontà di continuare a partecipare ai campionati federali ed ha chiesto alla Federazione di confermare il titolo sportivo della stessa a partecipare al campionato di serie C1.

Con i provvedimenti qui impugnati la F.I.G.C. ha dapprima iscritto il Cosenza al campionato dilettantistico di serie D, e poi non ha neanche considerato la stessa ai fini del ripescaggio in serie C2, disposto in favore di altre società aventi il titolo per il campionato di serie D.

Specifica che detti provvedimenti federali sono stati impugnati dal Cosenza alla Camera di Conciliazione, ma sono stati disattesi con varie decisioni dell’agosto/settembre 2004.

Deduce a fondamento del ricorso i seguenti motivi di diritto :

A) Questioni preliminari.

1) Illegittimità dei regolamenti della Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport (per violazione degli artt. 24, 97, 103 e 113 della Costituzione e degli artt. 1 e 3 della legge n. 241/90) nella parte in cui, in base all’erronea presupposizione della natura arbitrale del relativo giudizio, impongono di presentare, come condizione di ammissibilità del ricorso, una dichiarazione di riconoscimento e di successiva non impugnazione della relativa decisione ed oneri di giudizio (a titolo di diritti amministrativi e di onorari in favore del collegio arbitrale) notevoli, nella parte in cui non prevedono che la decisione finale indichi il termine ed il giudice alla quale la stessa è impugnabile,  e nella parte in cui (il solo Regolamento ordinario) impone una fase obbligatoria di conciliazione.

2) Illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge n. 280/03 (per violazione degli artt. 24, 97, 103 e 113 della Costituzione), nella parte in cui prevede, pur in assenza di un sistema di tutela cautelare ante causam, che, per l’impugnazione di provvedimenti emanati dal C.O.N.I. o dalle Federazioni sportive nazionali dinanzi al giudice amministrativo, debbano essere previamente stati “esauriti i gradi di giustizia sportiva”.

B) Questioni di merito

Illegittimità di tutti i provvedimenti impugnati per violazione degli artt. 24, 97, 103 e 113 della Costituzione, degli artt. 1 e 3 della legge n. 241/90 e dell’art. 12 della legge 23/3/1981, n. 91. Eccesso di potere per errore sui presupposti di fatto e di diritto; per carenza dei presupposti di diritto; per travisamento dei fatti; per contraddittorietà; per illogicità manifesta; per carenza ed erroneità della motivazione; per carenza ed insufficienza dell’istruttoria; per manifesta irragionevolezza della sanzione applicata; per disparità di trattamento; per sviamento di potere.

a) Le decisioni della Camera di Conciliazione sono illegittime per vizi propri e per vizi derivati (dai provvedimenti della F.I.G.C. impugnati presso la Camera di Conciliazione).

Sono illegittime per vizi propri le decisioni della Camera di Conciliazione che hanno ritenuto inammissibili i relativi ricorsi presentati dal Cosenza, per non avere la stessa accettato di formulare la dichiarazione di successiva non impugnazione della decisione finale della Camera di Conciliazione innanzi alla giustizia ordinaria; tali decisioni sono state adottate in esecuzione di norme regolamentari illegittime per violazione della superiore normativa di grado legislativo e costituzionale.

Le decisioni della Camera di Conciliazione sono altresì illegittime per violazione dell’art. 3, IV comma, della legge n. 241/90, in quanto in nessuna di esse è indicato il termine, né l’autorità giudiziaria alla quale le stesse sono impugnabili.

Sono egualmente illegittime nella misura in cui impongono il pagamento di somme ingenti per la iscrizione a ruolo e per il pagamento degli onorari degli arbitri, trattandosi di provvedimenti amministrativi (adottati in sede di ricorso gerarchico obbligatorio), e non già di lodi arbitrali.

b) Illegittimità dei provvedimenti federali impugnati.

Una volta affiliata (e cioè ammessa a fare parte dell’ordinamento sportivo federale) la società ha titolo a fare parte dell’ordinamento federale nel livello agonistico conquistato sul campo (c.d. titolo sportivo); a tale titolo corrisponde poi la sotto – affiliazione alla relativa Lega (che è l’associazione delle società che partecipano ai vari campionati).

Nell’ambito di tale rapporto le federazioni hanno : un potere disciplinare, al cui esercizio è preposto tutto il sistema di giustizia sportiva della F.I.G.C.; un potere di controllo sull’equilibrio finanziario delle società conferitogli dall’art. 12 della legge n. 91/1981, al cui esercizio è preposto l’organo di direzione politica della federazione (il Consiglio federale).

L’eventuale insussistenza in capo alla società del requisito amministrativo - contabile determina l’emanazione di un provvedimento federale di non iscrizione al campionato di competenza per la relativa stagione agonistica, e non già la revoca del titolo sportivo.

La posizione giuridico - soggettiva, connessa alla titolarità del titolo sportivo, rileva non solo all’interno dell’ordinamento sportivo, ma anche all’esterno, nell’ordinamento statale, incidendo sulla capacità economica della società stessa.

Ne consegue che il provvedimento di revoca del titolo sportivo è emanato dalla Federazione nell’esercizio di una propria potestà autoritativa di carattere esclusivamente disciplinare, che incide sulla posizione giuridica del destinatario, qualificabile come interesse legittimo.

Nel caso di specie si è invece realizzata, in modo del tutto illegittimo, una revoca tacita del titolo sportivo per la serie C1, del quale il Cosenza era ancora titolare.

1) I provvedimenti impugnati sono dunque illegittimi per carenza dei presupposti, ovvero per la mancata emanazione, in precedenza, di alcun provvedimento, con il quale sia stata revocato alla Società il titolo sportivo per la serie C1. Né tale titolo sportivo può essere venuto meno (con conseguente retrocessione tra i dilettanti) per il semplice fatto che il Cosenza, per un solo anno, non ha posseduto il requisito contabile – amministrativo.

2) L’illegittimità provvedimentale si evidenzia anche sotto il profilo della grave parzialità e della grave disparità di trattamento perpetrata in danno del Cosenza, rispetto ad altre società neocostituite, che, in quegli stessi giorni, si sono viste ex novo assegnare il titolo sportivo per la serie C1, sebbene non appena affiliate alla F.I.G.C., e dunque titolari del titolo sportivo di base, cioè valido per la partecipazione al Campionato Provinciale Dilettantistico di Terza Categoria.

3) Né il fondamento della retrocessione può rinvenirsi nella normativa di cui  al Comunicato Ufficiale n. 151/A, il quale prevedeva che, nel caso di diniego di iscrizione ad un campionato per una singola stagione agonistica per ragioni amministrativo - contabili, la società avrebbe comunque potuto iscriversi ad un campionato dilettantistico, sì da non rimanere inattiva per la stagione agonistica.

Tale norma non poteva che avere portata transitoria, limitandosi a regolare il destino della società non ammessa al campionato esclusivamente per la durata di tale stagione agonistica. Del resto, ove interpretata in tali termini, la norma risulterebbe manifestamente illegittima sotto molteplici profili.

4) I provvedimenti impugnati appaiono, in via subordinata, illegittimi ed illogici  anche nella parte in cui non hanno assegnato alla ricorrente quanto meno la serie C2.

Ed infatti, a tutto concedere, il diniego di iscrizione ad un campionato agonistico può determinare la perdita del titolo sportivo per la categoria di appartenenza, e dunque comportare la riduzione di una categoria, commutandosi, per la stagione successiva, in un titolo sportivo per la partecipazione alla categoria inferiore.

5) Alla stregua di quanto premesso, appare davvero illegittimo il provvedimento del 12 agosto 2004 con cui la Federazione ha del tutto ignorato  la società ai fini quanto meno del ripescaggio in serie C2, tanto più in considerazione del fatto che era medio tempore entrata in vigore la normativa di cui al “lodo - Petrucci” che consente, in caso di diniego di iscrizione ad un campionato professionistico di una società, che ad una società della stessa Città sia assegnato un titolo sportivo di categoria immediatamente inferiore rispetto a quello di cui è titolare la società non iscritta.

6) Appare infine illegittimo il provvedimento del 29/7/04 che, nell’assegnare alla ricorrente il titolo sportivo per la serie D, indica l’obbligo di depositare, contestualmente alla domanda di iscrizione a tale campionato, una dichiarazione con la quale il legale rappresentante della società si sarebbe dovuto impegnare a saldare tutti i debiti della società entro il mese di marzo 2005.

Appare chiaro il carattere vessatorio e discriminatorio di tale richiesta, specie se letta alla luce della normativa federale che prevede che le società possono iscriversi ai vari campionati, anche con forti esposizioni debitorie, purchè depositino una fideiussione a garanzia dell’indebitamento.

Si sono costituite in giudizio la F.I.G.C., il C.O.N.I., la Lega Nazionale Professionisti, nonché la Lega Professionisti di Serie C, eccependo l’inammissibilità del ricorso nel principale presupposto che, contrariamente a quanto assunto da parte ricorrente, il procedimento contenzioso svolgentesi dinanzi alla Camera abbia carattere arbitrale, e non amministrativo, e si concluda dunque con un lodo irrituale, impugnabile solamente per vizi del negozio, senza possibilità di prospettare errores in iudicando, e comunque la sua infondatezza nel merito; il C.O.N.I., da parte sua,  ha anche eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, nella considerazione che i lodi sono imputabili esclusivamente all’organo arbitrale.

Con ordinanza presidenziale 7/1/05, n. 1, la ricorrente è stata autorizzata all’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutte le società calcistiche controintreressate mediante pubblicazione di avviso sui giornali sportivi “Gazzetta dello Sport” e “Corriere dello Sport”, adempimento che è poi stato effettuato.

Con successivo ricorso (n. 635/05 R.G.), notificato nei giorni 11/1/05 e seguenti e depositato il successivo 25/1, la OMISSIS  S.p.a. ha impugnato, oltre ai provvedimenti già oggetto del precedente gravame, il silenzio - rigetto asseritamente formatosi sull’istanza di arbitrato presentata alla Camera di Conciliazione in data 13/10/04, volta ad ottenere l’annullamento del provvedimento della Federazione del 12/8/04, con cui la deducente non era stata “ripescata” in Serie C2.

Deduce a fondamento del ricorso, oltre alle censure già allegate nel ricorso iscritto sub n. 11193/04 R.G., con specifico riguardo al silenzio serbato dalla Camera di Conciliazione, l’illegittimità del regolamento della Camera  stessa nella parte in cui non prevede l’obbligo di concludere il procedimento dinanzi ad essa entro 30 giorni dalla presentazione dell’istanza di arbitrato, in violazione di quanto prescritto in via generale dall’art. 2 della  legge n. 241/90.

Aggiunge che, in caso di silenzio della Camera arbitrale dopo il termine di 30 giorni, detta condotta assume la natura di provvedimento amministrativo di rigetto tacito del ricorso, che legittima l’esperimento della procedura di cui all’art. 21 bis della legge 6/12/1971, n. 1034.

Si sono costituiti anche in questo giudizio la F.I.G.C., il C.O.N.I., la Lega Nazionale Professionisti, la Lega Professionisti di Serie C, eccependo l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, avendo la Camera di Conciliazione pubblicato il relativo lodo, l’inammissibilità per mancata integrazione del contraddittorio, e comunque la sua infondatezza.

Infine, con atto (n. 2274/05 R.G.) notificato nei giorni 3/3/05 e seguenti e depositato il successivo 10/3, la ricorrente ha impugnato, oltre agli atti già fatti oggetto di gravame con i precedenti ricorsi, il provvedimento emanato in data 17/1/05 con cui la Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport ha dichiarato improcedibile il ricorso proposto dal Cosenza innanzi ad essa avverso il provvedimento del 12/8/04, per non avere la società formulato la dichiarazione con la quale avrebbe dovuto riconoscere la futura decisione della Camera di Conciliazione come espressione della propria volontà ed impegnarsi a rispettarla, reiterando le medesime censure sviluppate nei ricorsi iscritti sub nn. 11193/04 e 635/05 del R.G.

Resistono in giudizio la F.I.G.C., il C.O.N.I. e la Lega  Professionisti di Serie C, rilevando l’incompletezza del contraddittorio e comunque l’infondatezza del ricorso.

All’udienza del 17/3/05 le cause sono state trattenute in decisione.

D I R I T T O

1. - Per motivi di ordine processuale va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi nn. (…), (…) e (…) del R.G., a norma dell’art. 52 del R.D. 17/8/1907, n. 642 (Reg. proc. Cons. Stato), risultando gli stessi in rapporto di connessione sia oggettiva, che soggettiva.

2. - Principiando dall’esame del ricorso n. (…) R.G., avente ad oggetto i provvedimenti della F.I.G.C. e gli atti adottati dalla Camera di conciliazione e di arbitrato per lo sport che hanno disposto l’iscrizione della OMISSIS S.p.a. al campionato di serie D per la stagione 2004/2005, appare preferibile, sul piano logico ed argomentativo, seguire l’ordine di trattazione prospettato dalla ricorrente, muovendo pertanto dalle “questioni preliminari”.

Con le medesime si deduce anzitutto l’illegittimità dei regolamenti della Camera di conciliazione e di arbitrato sotto molteplici profili, accomunati dalla (presupposta e) contestata natura arbitrale del relativo giudizio.

In particolare, si lamenta la previsione di una dichiarazione che deve sottoscrivere il ricorrente, con cui si impegna a riconoscere la decisione ed a non impugnarla, come condizione di ammissibilità, ravvisandosi nella stessa una violazione del diritto alla tutela giurisdizionale, anche in considerazione del fatto che la legge n. 280/03 impone la c.d. “pregiudiziale sportiva”, e dunque il previo esaurimento dei gradi di giustizia sportiva; si allega inoltre la mancata previsione, nel regolamento camerale, dell’obbligo di indicare, nella decisione assunta dalla Camera, il termine ed il giudice cui la stessa è impugnabile, in contrasto con quanto previsto dall’art. 3 della legge generale sul procedimento amministrativo; si deduce altresì l’incompatibilità dell’accollo delle spese della procedura (c.d. diritti amministrativi), nonché degli onorari del collegio arbitrale con un procedimento di natura amministrativa; si contesta infine l’obbligo di svolgimento di una fase autonoma di conciliazione come condizione per adire l’arbitrato, anche in tale caso nella prospettiva della violazione dei principi di economicità, efficacia e speditezza che presiedono all’azione amministrativa.

Appare evidente già da quanto premesso che la questione preliminare ora tratteggiata, la cui soluzione risulta poi rilevante ai fini del decidere sull’impugnativa degli “atti” adottati dalla Camera di conciliazione e di arbitrato, si incentra e presuppone la corretta enucleazione della natura giuridica della decisione della Camera stessa, configurata dai regolamenti in termini di lodo arbitrale.

La tesi di parte ricorrente si fonda essenzialmente sulle statuizioni contenute nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 9/7/2004, n. 5025, resa proprio sulla prima vicenda riguardante il OMISSIS , a termini della quale le decisioni della Camera di conciliazione  e di arbitrato, organo cui compete, ai sensi dell’art. 12 dello Statuto del C.O.N.I., la pronuncia definitiva sulle controversie che contrappongono una Federazione a soggetti affiliati o tesserati, previo esaurimento dei ricorsi interni alla singola Federazione, non costituiscono un vero e proprio lodo arbitrale, ma rappresentano la pronuncia in ultimo grado della giustizia sportiva ed hanno il carattere sostanziale di provvedimento amministrativo; con la ulteriore conseguenza che nei confronti delle suddette decisioni, seppure emesse con le forme e le garanzie del giudizio arbitrale, non vige la limitazione dei mezzi di impugnazione previsti dall’art. 829 del c.p.c. per i lodi arbitrali.

L’assunto non appare al Collegio condivisibile, nonostante l’autorevolezza del precedente invocato.

E’ opportuno, in argomento, ricordare come tale questione risulta tuttora controversa in giurisprudenza; per ricapitolare i vari passaggi, la Sezione, con  sentenza 1/4/04, n. 2987 ha ritenuto che il lodo (rituale) possa essere conosciuto dal giudice amministrativo ai sensi dell’art. 827 c.p.c., e dunque soggetto soltanto all’impugnazione per nullità, per revocazione, o per opposizione di terzo.

In riforma della predetta sentenza è intervenuta la già citata decisione del Cons. Stato, Sez. VI, 9/7/04, n. 5025; nel prosieguo questa Sezione ha oscillato tra l’adesione all’indirizzo espresso dal giudice d’appello (T.A.R. Lazio, Sez III ter, 30/7/04, n. 7550) ed il proprio iniziale convincimento, recentemente riaffermato dalle c.d. sentenze OMISSIS (T.A.R. Lazio, Sez. III ter, 21/1/2005, n. 527), con cui è stata esclusa una cognizione piena sulla questione già deferita e decisa dagli arbitri, riconoscendosi al giudice amministrativo solo la possibilità di decidere sull’impugnazione del lodo arbitrale per nullità ai sensi degli artt. 827 e 829 c.p.c., oppure per l’invalidità dell’accordo compromissorio e dell’attività degli arbitri, senza possibilità di prospettare errores in iudicando.

Tale tematica, che ha come reale background i rapporti tra ordinamento statale ed ordinamento sportivo, involgendo anche la questione del c.d. “vincolo di giustizia”, torna all’esame nella presente controversia e deve, ad avviso del Collegio, essere inquadrata nel contesto prefigurato dalla legge 17/10/2003, n. 280, la quale ha inteso realizzare il principio di autonomia dell’ordinamento sportivo, facendo però salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento statale di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo.

Allo scopo, ha previsto la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, una volta esauriti i gradi della giustizia sportiva, della cognizione delle controversie aventi ad oggetto atti del C.O.N.I. o delle Federazioni sportive non riservate agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo.

A tutela dell’autonomia dell’ordinamento sportivo e della soluzione endoassociativa delle controversie ivi insorte la legge n. 280/03 ha posto dunque come condizione di procedibilità del ricorso giurisdizionale il previo esaurimento dei gradi di giustizia sportiva.

Va chiarito che in questa sede non è in discussione la giurisdizione del giudice amministrativo, ma piuttosto appare (almeno implicitamente) incerto l’ambito (melius, l’estensione) di detta giurisdizione.

Il punto da cui occorre muovere è comunque quello per cui nell’ambito della giustizia sportiva rientra anche la Camera di conciliazione e di arbitrato per lo sport presso il C.O.N.I., operante in forza della clausola compromissoria contenuta nell’art. 27 dello Statuto della F.I.G.C., in applicazione della quale i soggetti affiliati, una volta esauriti i gradi interni di giustizia federale, debbono sottoporsi al tentativo di conciliazione davanti alla suddetta Camera, e, in caso di esito negativo del medesimo, “accettano di risolvere la controversia in via definitiva mediante arbitrato … con nomina degli arbitri e svolgimento della procedura sulla base dello Statuto del C.O.N.I. e del relativo regolamento di attuazione …”.

Precisa l’art. 7 del regolamento della Camera di conciliazione e arbitrato che “salva diversa previsione negli accordi arbitrali, la procedura arbitrale … ha natura irrituale e gli arbitri decidono applicando le norme di diritto nonché le norme e gli usi dell’ordinamento sportivo nazionale ed internazionale”.

Si è parlato in dottrina di arbitrato amministrato; sono stati peraltro sollevati dubbi a riconoscere la compromettibilità in arbitrato di controversie insorgenti da atti a valenza pubblicistica delle federazioni, sino a che la già citata decisione n. 5025/04 del Cons. Stato ha ricondotto la relativa procedura in un’”attività amministrativa in forma arbitrale”.

Ora, quest’ultima soluzione non appare al Collegio conforme al dato normativo e neppure in armonia con il sistema, pur essendo noto che non basta una qualificazione per determinare la natura di un istituto.

Occorre tenere conto, in primo luogo, che lo Statuto del C.O.N.I. (art. 12) configura la Camera non già come un organo amministrativo, ma come un organo arbitrale, rispettoso dei principi di terzietà, autonomia ed indipendenza di giudizio; si aggiunga a ciò che l’art. 20 del regolamento della Camera significativamente precisa che “il lodo è imputabile esclusivamente all’organo arbitrale. In nessun caso il lodo può essere considerato atto della Camera o del C.O.N.I.”.

Ciò comporta non solo il riconoscimento del difetto di legittimazione passiva, nella presente controversia, tanto del C.O.N.I., quanto della Camera di conciliazione  e di arbitrato, ma soprattutto evidenzia, per quanto qui rileva, che manca un soggetto pubblico cui riferire il lodo, per poterne postulare il carattere amministrativo.

Sembra conseguentemente preferibile aderire all’opzione ermeneutica che ravvisa nella decisione della Camera un lodo (irrituale).

E’ noto come l’arbitrato irrituale abbia natura contrattuale; l’arbitro irrituale è un mandatario a transigere, e la sua decisione vale tra le parti come negozio di accertamento o come transazione; il lodo è impugnabile per incapacità delle parti o degli arbitri, per errore sostanziale, violenza, dolo, od eccesso di potere con riguardo ai limiti del mandato ricevuto.

Tale ricostruzione sistematica sembrerebbe contenere in nuce una limitazione della giurisdizione del giudice amministrativo, ove addirittura non intenda accedersi alla tesi più radicale (probabilmente indebolita dall’inapplicabilità dell’art. 828 c.p.c. all’arbitrato irrituale) dell’assoluto difetto di giurisdizione dello stesso, in contrasto con la previsione dell’art. 3 della legge n. 280/03, il quale (lo si ripete) sancisce che “esauriti i gradi della giustizia sportiva … ogni … controversia avente ad oggetto atti del C.O.N.I. o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo …, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo …”.

Tale apparente aporia del sistema appare peraltro comprensibile alla stregua di un’interpretazione della norma che si muova nella prospettiva dell’autonomia degli ordinamenti e dei rispettivi istituti di giustizia, di cui è possibile corollario anche la reciproca indifferenza per le qualificazioni operate dall’altro ordinamento.

Ciò non toglie che l’ordinamento generale e sovrano possa sovrapporsi, ogni qualvolta le decisioni della giustizia sportiva producano effetti rilevanti per lo Stato, a quello sportivo facente capo al C.O.N.I., secondo le modalità stabilite o comunque desumibili ex positivo iure.

Ecco allora che il lodo arbitrale risulterà conoscibile dall’ordinamento statale nei limiti già indicati, e connessi alla sua natura giuridica, escludendosi dunque una cognizione piena del giudice statale sullo stesso; peraltro, esperita la c.d. pregiudiziale sportiva, ove anche l’esito della decisione arbitrale non sia soddisfacente per la parte, questa bene potrà impugnare il provvedimento amministrativo originario, adottato dalla Federazione o dal C.O.N.I., dinanzi al giudice amministrativo.

E’ infatti chiaro che l’ordinamento sportivo, pur potendo dettare regole proprie che ignorano la disciplina statale, non può impedire l’applicazione di quest’ultima, che dunque prevale, in caso di conflitto.

Il quadro sistematico proposto, oltre ad apparire conforme alla littera legis, sembra anche idoneo a superare le obiezioni, in precedenza brevemente accennate, in ordine all’ammissibilità di un siffatto arbitrato, ed, ancora prima, della relativa clausola compromissoria, che riflettono, a ben vedere, il più generale problema degli arbitrati nelle controversie amministrative.

Ed infatti, anche a prescindere da quanto condivisibilmente argomentato dalla F.I.G.C., nella memoria in data 8/3/05, in ordine al fatto che la incompromettibilità della controversia avrebbe dovuto essere, se del caso, fatta valere mediante deduzione di uno specifico vizio di nullità, sembra di poter affermarsi che le condizioni di validità e di efficacia dell’arbitrato nell’ordinamento sportivo seguono regole diverse da quelle vigenti nell’ordinamento statale.

Ed è opportuno precisare ancora che la clausola compromissoria che impone al soggetto appartenente all’ordinamento federale di adire la procedura arbitrale discende dal contratto associativo, sì che non può stricto iure parlarsi di un arbitrato necessario od imposto, per il semplice motivo che riguarda un ordinamento ad appartenenza volontaria.

In definitiva, l’ipotesi interpretativa esposta, se, da un canto, appare rispettosa, nei limiti delle compatibilità sistemiche, dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, che, anche con il ricorso al “vincolo di giustizia”, intende imporre il rispetto delle norme vigenti nel proprio interno ai tesserati, d’altro canto, cambiando l’orizzonte di riferimento, e cioè guardando dal punto di vista dell’ordinamento statale,  garantisce il sindacato giurisdizionale sugli atti delle Federazioni, in conformità degli artt. 24 e 113 della Costituzione, che sanciscono i principi fondamentali della tutelabilità piena ed incondizionata dei diritti ed interessi legittimi.

Le considerazioni che precedono inducono a respingere il ricorso nella parte in cui impugna i regolamenti della Camera di conciliazione, risultando compatibili con la natura arbitrale della procedura dagli stessi disciplinata, e con la clausola compromissoria accettata dai soggetti dell’ordinamento federale quale parte integrante del vincolo associativo (rispetto alla quale meramente ripetitiva appare la dichiarazione con cui si dà atto che “la decsione arbitrale è irrevocabilmente riconosciuta come manifestazione della propria volontà e di conseguenza si impegna  rispettarla”).

In particolare, appare infondata la pretesa applicazione al lodo arbitrale della previsione di cui all’art. 3, IV comma, della legge n. 241/90, che, come noto, concerne i provvedimenti amministrativi; allo stesso modo, è conforme alla disciplina dell’arbitrato il riconoscimento del diritto, in capo agli arbitri, all’onorario per l’opera prestata (cfr. art. 814 c.p.c.); inoltre risulta ancorata a parametri inconferenti la contestatazione del tentativo di conciliazione.

3. - Con la seconda questione preliminare viene poi dedotta l’illegtittimità costituzionale dell’art. 3 della legge n. 280/03 nella parte in cui prevede la c.d. pregiudiziale sportiva, la quale, in un contesto ordinamentale caratterizzato dall’assenza di un sistema cautelare ante causam, si traduce in una tutela giurisdizionale posticipata, vulnerandone in tale modo l’effettività.

Anche tale prospettazione può essere disattesa, in quanto, pur presentando, in astratto, la questione di legittimità costituzionale un’innegabile problematicità, appare però priva di rilevanza nel caso di specie.

Il requisito della rilevanza richiede che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale (argomentando ex art. 23 della legge 11/3/1953, n. 87).

Nella fattispecie in esame il Collegio può peraltro pronunciarsi sulla legittimità del provvedimento federale in data 12/8/04, essendosi medio tempore concluso il procedimento arbitrale, sì che la disposizione, della cui legittimità costituzionale si dubita, non trova applicazione nel presente giudizio; ovvero, detto in altri termini, la controversia può essere decisa indipendentemente dalla risoluzione della questione di costituzionalità, caratterizzantesi in termini di questione pregiudiziale (antecedente logico - giuridico necessario per la decisione della causa).

4. - Procedendo ora alla trattazione delle questioni di merito, incentrate sull’asserita illegittima sottrazione del titolo sportivo per la partecipazione al campionato di srerie C1 (od in subordine di serie C2), il ricorso va dichiarato inammissibile, per le ragioni esposte al punto 2) della presente motivazione, relativamente alla parte in cui vengono dedotti vizi, propri e derivati, dei provvedimenti della Camera di conciliazione e arbitrato.

Ed infatti l’affermata natura di lodo irrituale dell’atto con cui la Camera di conciliazione e arbitrato decide le controversie sportive fa sì che nei confronti dello stesso, ove concerna situazioni non indifferenti per l’ordinamento statale, siano consentite solamente le impugnative negoziali, ovvero riguardanti l’esistenza di un valido incarico agli arbitri ed il rispetto, da parte di costoro,  dei limiti dell’incarico.

Le doglianze allegate in questa sede esorbitano da tali limiti e sono pertanto inammissibili.

5. - Con riguardo, poi, all’impugnativa dei provvedimenti federali, il ricorso è infondato, e va dunque respinto.

In sintesi, allega la società ricorrente che con detti provvedimenti sia stata compiuta nei propri confronti una revoca tacita del titolo sportivo per la serie C1 (del quale era ancora titolare) come conseguenza non dichiarata del diniego di iscrizione allo stesso campionato (per la stagione 2003/2004) derivante dall’insussistenza del requisito amministrativo - contabile, posto che la disposta decadenza dall’affiliazione risulta annullata per effetto del giudicato di cui alla decisione n. 5025/04 del Consiglio di Stato.

Aggiunge che, quand’anche una tale “sanzione” sia prevista dalla normativa federale, doveva comunque essere disposta con un provvedimento espresso, non potendosi ritenere espressione di un effetto tacito; i provvedimenti impugnati evidenziano inoltre una chiara disparità di trattamento a danno della ricorrente, e non possono rinvenire il proprio fondamento nel Comunicato Ufficiale n. 151/A, normativa di carattere transitorio finalizzata a consentire alle società destinatarie di diniego di iscrizione ad un campionato per una singola stagione (per motivi contabili) di iscriversi ad un campionato dilettantistico.

In via subordinata, i provvedimenti risultano illegittimi anche nella parte in cui non abbiano assegnato alla società quanto meno la serie C2, atteso che ove, a tutto concedere, si voglia ammettere che il diniego di iscrizione ad un campionato per una stagione comporti la perdita definitiva del titolo sportivo per tale categoria, tale posizione soggettiva può subire, al massimo, la riduzione di una categoria.

Per speculari ragioni appare illegittimo il provvedimento in data 12/8/04 con cuoi la Federazione ha del tutto ignorato il OMISSIS  ai fini del ripescaggio in serie C2.

Ritiene il Collegio che l’impianto argomentativo del ricorso non sia meritevole di positiva valutazione, anche a prescindere dall’eccezione di inammissibilità per mancata impugnazione del provvedimento di esclusione dell’estate 2003.

Giova precisare che il Comunicato Ufficiale n. 151/A della Federazione, vigente all’epoca del provvedimento di non ammissione del OMISSIS  al campionato di serie C1, e dettante “disposizioni in ordine alla ammissione ai campionati 2003/2004”, al punto III, penultimo periodo, prescrive che “alle società escluse, in dipendenza della mancata osservanza di quanto previsto ai precedenti punti 1/a, 1/b e 2/a nonché di quanto previsto dalle lett. b), c) e d) delle norme per l’ammissione al Campionato 2003 - 2004, pubblicate sul C.U. n. 144/A del 19/3/2003 purchè in regola con gli altri punti, è concessa la possibilità di eventuale iscrizione ad un campionato organizzato dalla L.N.D., in ambito regionale, nella categoria in cui siano presenti disponibilità di posti nel rispettivo organico, dopo aver adempiuto alle altre disposizioni della Lega Nazionale Dilettanti e su decisione della Lega stessa”.

L’art. 52, punto 6, ultimo periodo, delle N.O.I.F., vigente al momento dell’adozione degli atti oggetto del presente gravame, prescrive, a ua volta, che “le società non ammesse ai campionati di serie A, B, o C1 potranno iscriversi al campionato di Terza categoria - L.N.D.”, e dunque di ambito provinciale.

Il comunicato ufficiale n. 44/A in data 29/7/04 del Presidente federale, che, dei provvedimenti federali impugnati, è quello dotato di maggiore supporto motivazionale, in attuazione del deliberato del Consiglio federale del precedente 27/7/04, dopo avere analizzato la portata delle predette norme, ha ritenuto di adottare una soluzione di carattere straordinario, tale da consentire al Cosenza di presentare domanda di ammissione al campionato nazionale dilettanti, massimo livello di partecipazione possibile a causa del diniego di iscrizione al campionato di serie C1, in ciò ispirandosi a criteri di maggiore favore rispetto a quanto consentito dalla normativa ordinaria di riferimento.

Né sembra condivisibile l’assunto secondo cui tali provvedimenti si caratterizzino come revoca del titolo sportivo, sia per ragioni formali, che per ragioni di ordine sostanziale - contenutistico.

Sotto il profilo formale, va detto che la “retrocessione” contestata si atteggia alla stregua di effetto consequenziale del diniego di ammissione del campionato di serie C1, con natura latamente sanzionatoria, seppure con prevalente funzione ripristinatoria dell’interesse pubblico.

In altri termini, tale retrocessione si verifica “ope legis”, ed è dunque estranea ad una fattispecie provvedimentale, che richiederebbe, in quanto tale, oltre che per esigenze di certezza giuridica, anche in forza dell’art. 2 della legge 7/8/1990, n. 241, un provvedimento espresso.

Anche dal punto di vista contenutistico non sembra possibile parlare di revoca del titolo sportivo.

Come questo Tribunale ha già avuto occasione di evidenziare (T.A.R. Lazio, Sez. III, 24/9/2004, n. 9668), il titolo sportivo, definito dall’art. 52 delle N.O.I.F. come “il riconoscimento da parte della F.I.G.C. delle condizioni tecniche sportive che consentono, concorrendo gli altri requisiti previsti dalle norme federali, la partecipazione delle società ad un determinato campionato”, costituisce una posizione di status inerente al soggetto affiliato, rilevante all’interno dell’organizzazione sportiva.

Ora, se la revoca è configurabile nei confronti di provvedimenti ad efficacia continuata, non è comunque ammessa allorché il provvedimento di primo grado abbia determinato la nascita di situazioni tutelate alla stregua di status.

E’ vero però che il titolo sportivo calcistico è disciplinato solo dalla norme organizzative della F.I.G.C., e dunque esiste nella misura in cui è riconosciuto da siffatta organizazione, nel cui contesto il relativo valore è destinato ad esprimersi e realizzarsi; non ha dunque senso ipotizzare, nella vigenza di un’apposita e ragionevole disciplina federale, una condizione di sospensione (e non già di perdita) del titolo sportivo derivante dalla mancata ammissione al campionato di serie C1.

Va ancora aggiunto come il declassamento subito dal OMISSIS  con i provvedimenti impugnati non viola neppure il giudicato di cui alla decisione, più volte richiamata, del Cons. Stato n. 5025/04, di annullamento del provvedimento di decadenza dalla affiliazione, come apertis verbis chiarito dalla decisione del Cons. Stato, Sez. VI, 2/8/2004, n. 5364, adito in sede di ottemperanza, la quale ha affermato che “la pretesa del Cosenza di essere iscritto al campionato di serie C1 per la stagione 2004/2005 non può in alcun modo essere proposta quale obbligo conformativo derivante dalla sentenza n. 5025/2004, in cui è stata invece accertata la legittimità della non ammissione del Cosenza allo scorso torneo di serie C1”.

5.1. - Quanto poi alla censura, articolata in via subordinata, secondo cui i provvedimenti avrebbero dovuto per lo meno ammettere il Cosenza alla serie C2, non potendosi dare luogo alla perdita di due categorie, osserva il Collegio come la stessa non ha fondamento nella normativa federale, che fa derivare dalla mancata ammissione al campionato le conseguenze già indicate, salvo il ricorso all’uso di poteri straordinari, che, peraltro, anche in tale vicenda, sono stati esercitati a beneficio della ricorrente.

5.2. - Proprio quest’ultima considerazione dimostra come non sia illegittimo neppure il mancato ripescaggio della ricorrente in serie C2, presupposto del quale era il conseguimento di una certa posizione di classifica nella stagione precedente, requisito, questo, non soddisfatto dal OMISSIS , rimasto inattivo nella stagione 2003/2004.

Né può correttamente invocarsi un’applicazione analogica del c.d. “lodo Petrucci”, difettando il requisito della eadem ratio.

5.3. - Allo stesso modo, non appare illogica la richiesta di dichiarazione di impegno della società a saldare, entro il mese di marzo 2005, i debiti accumulati nei confronti dei tesserati, dipendenti e collaboratori addetti al settore sportivo, in luogo del mero rilascio di fideiussione, risultando tale prescrizione (onerosa) compatibile con il regime di ammissione straordinaria al campionato, e giustificata dalla situazione di inadempimento in cui la stessa società era incorsa.

6. - In definitiva, il ricorso n. (…) R.G. deve essere in parte respinto ed in parte dichiarato inammissibile.

7. - Passando ora all’esame del gravame n. (…) R.G., con cui, a norma dell’art. 21 bis della legge T.A.R. (in tale senso, espressamente, cfr. pag. 11 dell’atto di ricorso), è stato impugnato il silenzio rigetto asseritamente formatosi suull’istanza di arbitrato presentata alla Camera di conciliazione in data 13/10/04, finalizzata ad ottenere l’annullamento del provvedimento della Federazione del 12/8/04, che ha negato il ripescaggio in serie C2, osserva il Collegio come si evidenzino una pluralità di ragioni preclusive alla pronuncia di merito.

Ad ogni modo, alla stregua di quanto precedentemente esposto circa la natura della procedura arbitrale, ed i limiti di impugnazione della Camera di conciliazione  edi arbitrato, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, tendendo in via principale ad accertare l’illegittimità di una condotta asseritamente inadempitiva dell’obbligo di provvedere, prima ancora che improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse in ragione dell’intervenuta adozione della decisione arbitrale (seppure sfavorevole) con lodo prot. n. 0067 del 17/9/2005.

8. - Il ricorso n. (…) R.G. ha poi ad oggetto principale e specifico quest’ultimo lodo arbitrale, con il quale è stato dichiarato improcedibile il ricorso proposto dal Cosenza per il riconoscimento del proprio titolo sportivo per il campionato di serie C1, od in subordine di serie C2, per non avere la società formulato la dichiarazione con cui avrebbe dovuto riconoscere la futura decisione della Camera di conciliazione come espressione della propria volontà ed impegnarsi a rispettarla.

Il ricorso, anche a voler superare, sulla base dell’interpretazione sostanzialistica fornita da parte ricorrente con la memoria depositata in data 11/3/05, l’eccezione connessa alla mancata integrazione del contraddittorio, deve essere dichiarato inammissibile, atteso che le censure esperite avverso il lodo irrituale, fondate sull’assunto della natura di provvedimento amministrativo del medesimo, prospettano errores in iudicando, che vanno ben oltre le consentite impugnative negoziali.

9. - In conclusione, alla stregua di quanto premesso, il ricorso n. (…) R.G. deve essere in parte respinto ed in parte dichiarato inammissibile, mentre i ricorsi nn. 635/05 e 2274/05 del R.G. vanno dichiarati inammissibili.        

Sussistono giusti motivi per disporre tra tutte le parti la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Sezione III Ter, definitivamente pronunciando, così decide : a) riunisce i ricorsi nn. 11193/04, 635/05 e 2274/05 del R.G.; b) respinge in parte e in parte dichiara inammissibile il ricorso n. 11193/04 R.G.; c) dichiara inammissibili i ricorsi n. 635/05 R.G. e n. 2274/05 R.G.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17.3.2005.

Francesco Corsaro  Presidente

Stefano Fantini  Componente, Est.

 

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