T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 4362/2005

il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. 3°-ter, composto dai signori Magistrati

Francesco CORSARO, Presidente,

Silvestro Maria RUSSO, Consigliere, relatore,

Stefano FANTINI, Primo Referendario,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sui ricorsi riuniti n. (…) e n. (…), entrambi proposti dalla OMISSIS s.r.l., corrente in Savona, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Filippo ed Enrico LUBRANO ed elettivamente domiciliata in Roma, alla via Flaminia n. 79,

CONTRO

 - la FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO – FIGC, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Luigi MEDUGNO e Mario GALLAVOTTI ed elettivamente domiciliata in Roma, alla via Po n. 9,

- il COMITATO OLIMPICO NAZIONALE ITALIANO – CONI, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Alberto ANGELETTI ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via G. Pisanelli n. 2,

- la LEGA NAZIONALE PROFESSIONISTI DI SERIE C–LNP, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Bruno BISCOTTO e Lucia SCOGNAMIGLIO ed elettivamente domiciliata in Roma, alla via G. Pisanelli n. 40 e

- la LEGA NAZIONALE DILETTANTI – LND e la CAMERA DI CONCILIAZIONE ED ARBITRATO PER LO SPORT, sedente presso il CONI, in persona dei rispettivi Presidenti pro tempore, non costituite nel presente giudizio

E   NEI   CONFRONTI

della Società OMISSIS , corrente in Busto Arsizio (VA), della OMISSIS  s.r.l., corrente in Manfredonia, della OMISSIS  s.r.l., corrente in Cuneo, della OMISSIS  s.r.l., corrente in Bellaria (RN) e della OMISSIS  s.r.l., corrente in Palazzolo sull’Oglio (BS), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, controinteressate, non costituite nel presente giudizio,

PER   L’ANNULLAMENTO

A) – quanto al ricorso n. (…), di tutti gli atti con cui la Società ricorrente non è stata ripescata nel Campionato nazionale di calcio di serie C2 per l’anno sportivo 2004/2005, di tutte le norme regolamentari della FIGC (in particolare, dei Comunicati ufficiali nn. 78/A, 178/A, 167/A e 162/A) nella parte in cui prevedono il termine perentorio del 19 luglio 2004 per la presentazione della domanda d’ammissione al ripescaggio, d’ogni altro atto presupposto o connesso (in particolare, della nota della COVISOC in data 11 agosto 2004), di tutte le decisioni emesse, con rito accelerato od ordinario, in sede impugnatoria da parte della Camera di conciliazione ed arbitrato per lo sport sedente presso il CONI (in particolare, delle decisioni n. 1115 del 20 agosto 2004 e n. 1127 del 24 agosto 2004), d’ogni provvedimento della FIGC o della Camera di conciliazione con cui la ricorrente è stata assegnata al Campionato di calcio di serie D per l’a.s. 2004/2005, dei regolamenti, ad hoc ed ordinario, di funzionamento di detta Camera di conciliazione (nelle parti in cui prevedono l’obbligo di sottoscrivere l’impegno a non impugnarne la decisione finale e di pagare somme ingenti per esperirvi ricorso e non fissano l’obbligo d’indicare l’Autorità giudiziaria ed il termine entro cui i suoi atti sono impugnabili;

B) – e, quanto al ricorso n. (…), del lodo arbitrale pronunciato inter partes dalla predetta Camera di conciliazione in data 16 dicembre 2004 e comunicato il giorno successivo, con cui è stato respinto il gravame attoreo avverso tutti i provvedimenti con cui la Società ricorrente non è stata ripescata nel Campionato di calcio di serie C2 e l’ha condannata al pagamento del compenso ai componenti del collegio arbitrale, dell’ordinanza di liquidazione di tale compenso, nonché di tutti gli atti già impugnati con il ricorso n. 11440/2004;  

Visti i ricorsi con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio degli intimati FIGC, CONI e LNP;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore all’udienza pubblica del 21 aprile 2005 il Cons. dott. Silvestro Maria RUSSO e uditi altresì, per le parti costituite, gli avvocati E. LUBRANO, MEDUGNO, ANGELETTI e MARINO (per delega dell’avv. SCOGNAMIGLIO);

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO   E   DIRITTO

1. – La OMISSIS s.r.l., corrente in Savona, assume d’aver partecipato, per l’anno sportivo 2003/2004, al Campionato nazionale di calcio di serie C2, in esito al quale, tuttavia, è stata retrocessa in serie D.

Detta Società rende altresì noto d’aver prodotto, per l’a.s. 2004/2005, domanda d'ammissione al Campionato di serie D e, entro il termine all’uopo prescritto (19 luglio 2004) dalle norme FIGC, pure l’istanza di ripescaggio in serie C2. Detta Società dichiara ancora che, nonostante la capienza di posti in serie C2 e pur ritenendo di possedere i requisiti per il ripescaggio, il Consiglio federale della FIGC, in data 12 agosto 2004, non l’ha neppure presa in considerazione.

Avverso il mancato ripescaggio e tutti gli atti presupposti in tal materia (Comunicati ufficiali nn. 78/A, 178/A, 167/A e 162/A), la OMISSIS s.r.l. fa presente d’aver proposto due impugnazioni innanzi alla Camera di conciliazione ed arbitrato per lo sport sedente presso il CONI. In particolare, l’una, con procedura accelerata, è stata respinta da detta Camera con lodo n. 1127 del 24 agosto 2004, a suo dire confermativa del provvedimento presidenziale n. 1115 del precedente giorno 20, per non aver essa «… ottemperato agli adempimenti imposti dalla normativa vigente per l’accesso alle procedure arbitrali della predetta Camera…». L’altra, con procedura ordinaria e dopo il rituale tentativo di conciliazione, è stata trattenuta in decisione, dopo un primo rinvio, dalla predetta Camera con il lodo del 16 dicembre 2004.

Nel corso di tale seconda procedura, la FIGC ha esibito, tra l’altro, la nota della COVISOC in data 11 agosto 2004, da cui evincesi che la OMISSIS s. r.l. non è stata ripescata in quanto essa, per un verso, non ha effettuato tutti i prescritti adempimenti entro il termine perentorio all’uopo fissato e, per altro verso, l’istanza di rateazione dei debiti verso l’ENPALS non è stata da questo accolta per irregolarità in ordine alle garanzie fideiussorie presentate.

2. – Avverso tutti gli atti della procedura di ripescaggio e delle norme federali sull'argomento, nonché contro le citate decisioni della Camera di conciliazione ed i relativi regolamenti, la OMISSIS s.r.l. si grava, con il ricorso n. 11440/ 2004 in epigrafe, innanzi a questo Giudice. Al riguardo, la Società ricorrente deduce in punto di diritto: A) – l’illegittimità di tutte le norme regolamentari della Camera di conciliazione; B) – l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del DL 19 agosto 2003 n. 220 (convertito, con modificazioni, dalla l. 17 ottobre 2003 n. 280); C) – l’articolata illegittimità di tutti i provvedimenti impugnati. Con motivi aggiunti depositati il 25 gennaio 2005, la ricorrente, oltre a ribadire l’impugnazione contro gli atti di cui al ricorso introduttivo, si grava altresì contro il lodo arbitrale pronunciato da detta Camera di conciliazione in data 16 dicembre 2004 e comunicato il giorno successivo, con cui è stato respinto il gravame attoreo avverso tutti i provvedimenti con cui la Società ricorrente non è stata ripescata nel Campionato di calcio di serie C2 e l’ha condannata al pagamento del compenso ai componenti del collegio arbitrale, nonché contro l'ordinanza di liquidazione di tale compenso, deducendo ulteriori profili di censura. Gli atti impugnati con detti motivi aggiunti formano poi oggetto d’un separato ricorso (il n. 636/2005), che replica essenzialmente i motivi di doglianza colà esposti.

Si sono costituiti in entrambi i giudizi soltanto la FIGC, il CONI e la Lega nazionale professionisti – LNP, i quali in varia guisa eccepiscono l’inammissibilità e l'infondatezza della pretesa attorea.

All'udienza pubblica del 21 aprile 2005, su conforme richiesta delle parti costituite, i due ricorsi in epigrafe sono congiuntamente assunti in decisione dal Collegio.

3. – I due ricorsi in epigrafe, stante sia la loro connessione soggettiva, sia la sostanziale identità delle questioni controverse, devono esser riuniti e contestualmente decisi con la presente sentenza.

4. – Iniziando la disamina dal ricorso n. 11440/2004, tutte le eccezioni preliminari sollevate dalle parti resistenti vanno disattese.

In particolare, l’eccezione d’improcedibilità del ricorso medesimo, posta dall'intimata LNP a causa, a suo dire, del contraddittorio processuale non integro, oltre a riguardare soltanto quella parte dell’impugnazione attorea che concerne la procedura di ripescaggio ed i suoi esiti, è infondata. Invero, l’evocazione nel presente giudizio di tutte le squadre partecipanti al Campionato di calcio di serie D non ha senso, queste ultime non avendo alcuna posizione di controinteresse sull'aspirazione della ricorrente al ripescaggio nella serie C2 o perché ambivano allo stesso bene della vita e, quindi, al più sono cointeressate, o perché non hanno altra esigenza che disputare tal Campionato di serie D e, quindi, sono mere terze rispetto alla res controversa. Quanto, invece, alle squadre già partecipanti al Campionato di serie C2 per l’a.s. 2004/2005, quelle che vi sono state ammesse optimo jure si trovavano già ab initio in posizione poziore rispetto a tutte le squadre ripescatevi, onde non hanno alcunché da dolersi del ripescaggio in sé d’una, piuttosto che di un’altra delle squadre che a suo tempo lo richiesero, se ciò non modifica il numero massimo di squadre ammesse al Campionato stesso. Al più una posizione di controinteresse si può riconoscere soltanto in capo non già a tutte le squadre ripescate, ma solo a quella che sarebbe sostituita in caso d'accoglimento della domanda attorea, ma allora non v’è bisogno d’integrare il contraddittorio, avendovi la ricorrente già provveduto per tempo.

È da accogliere, invece, l’eccezione di difetto di legittimazione passiva, sollevata dall’intimato CONI con riguardo all’impugnazione dei lodi della Camera arbitrale. Invero, ferma restando detta legittimazione per quella parte della domanda attorea che si rivolge avverso i regolamenti della Camera di conciliazione –di cui, invece, il CONI è autorità emanante–, essa è al contrario esclusa per gli atti emessi da un collegio arbitrale nominato all’interno di detta Camera, stante il chiaro tenore dell’art. 20, c. 5 del relativo regolamento. In virtù di tale norma, il lodo è imputabile non mai al CONI, né tampoco alla Camera in sé, bensì all’organismo arbitrale che l’ha effettivamente pronunciato e tale regola vige anche per i lodi emessi nelle controversie aventi ad oggetto l’iscrizione ai Campionati di calcio professionistici, giusta il rinvio di cui al precedente art. 17. Né a diverso risultato si perviene, neppure se s’accogliesse la domanda d'annullamento dei predetti regolamenti, in quanto, a tutto concedere, i lodi de quibus sarebbe illegittimi per invalidità derivata, ma non per ciò solo trasmuterebbe la loro natura e, quindi, la loro imputabilità al collegio che li ha pronunziati. 

5. – Passando all’esame del merito del ricorso n. 11440/2004, un primo gruppo di doglianze s’appunta sull’illegittimità in sé dei regolamenti della Camera di conciliazione per violazione degli artt. 24, 97, 103 e 113 Cost. e degli artt. 1 e 3 della l. 7 agosto 1990 n. 241.

Il motivo è del tutto infondato e va respinto.

Anzitutto, non è vero e, anzi, smentito dalla più recente formulazione dell’art. 11 della l. 241/1990 –e, più in generale, degli accordi tra P.A. e privati su questioni attinenti a funzioni autoritative e non soltanto paritetiche–, l’assunto attoreo secondo cui non sarebbe compromettibile per arbitri la tutela di interessi legittimi. È assodato in base ai dati testuali che, pure fuori dalla materia sportiva, l’ordinamento generale non solo non esclude, ma anzi incoraggia accordi che coinvolgono siffatte situazioni soggettive, sostituendo la volizione unilaterale della P.A. con assetti negoziati che, pur se rivolti a soddisfare interessi privati, mirano comunque alla massimizzazione di quello pubblico con risultati di pari dignità ed efficacia dell’azione amministrativa di livello pari a quanto si potrebbe ottenere con un provvedimento. Anzi, tali procedure negoziate, già assai comuni in materia concessoria o urbanistica, trovano la loro massima utilizzabilità proprio in vicende contenziose, ove la qualità degli interessi coinvolti, la vasta diffusione delle questioni e la necessità di componimenti ante causam o di risoluzione anche in via equitativa delle stesse impongono formule deflative e/o alternative alla giurisdizione, indipendentemente dal tipo di posizioni soggettive fatte valere in via di tutela.

Sfugge perciò al Collegio la ragione per cui, stante la necessità di risolvere dette liti nel modo più rapido possibile per l’interesse stesso dei partecipanti a detti Campionati, quest’ultimo sarebbe pretermesso dalla previsione di composizioni bonarie o, in mancanza d’una conciliazione, da esperimenti di tutela arbitrale sulle controversie che si dovessero verificare. Inoltre, dal canto suo l’art. 3, c. 1, II per. del DL 220/ 2003, nella misura in cui fa salve tutte le clausole compromissorie, ha irrevocabilmente sancito la compromettibilità per arbitri di tutte le questioni inerenti alle procedure d’iscrizione a detti Campionati professionistici, ancorché coinvolgenti interessi legittimi. Tanto all'evidente scopo di pervenire, mercé una sorta di competenza arbitrale commisurata alla giurisdizione esclusiva di questo Giudice in soggetta materia, alla risoluzione in via negoziata del più alto numero di questioni possibili, specie se bagatellari o di mero fatto, senza con ciò elidere la tutela in via d’azione. Scolora, quindi, ogni questione sul punto sia della configurabilità di giudizi arbitrali in soggetta materia, sia sulla natura della sottoscrizione dell’impegno delle parti a rispettare questi ultimi, il quale, a sua volta, ha senso solo rebus sic stantibus e non anche quando, dopo l'arbitrato, una delle parti reputa d’impugnarne gli evidenti vizi.

In altri termini, ove le norme sportive concrete impongano (si badi: senza clausola compromissoria ad hoc) l’“arbitrato” presso la Camera di conciliazione, in realtà l'adizione di questa s’atteggia non già come libera scelta, onde l’arbitrato non ha natura negoziale, né rituale, ma, in effetti, non è che uno, se non addirittura l’unico e necessitato grado della giustizia sportiva e, come tale, la sua eventuale impugnazione innanzi a questo Giudice è piena e non sconta di per sé alcuna delle limitazioni dell’art. 3, c. 1, II per. del DL 220/2003. In tutti gli altri casi in cui, invece (e come nella specie), v’è adesione libera non solo all’ordinamento sportivo in sé, ma in particolare alle clausole compromissorie e nelle dichiarazioni spontaneamente rese nel corso di peculiari procedure –quali, appunto, quelle sull’iscrizione ai Campionati professionistici di calcio–, ogni controversia sul punto è legittimamente devolubile agli arbitri presso la Camera di conciliazione, che è quindi competente ratione materiae e non secondo le posizioni soggettive vantate.

Non ha alcun pregio e va disattesa la censura sull’illegittimità della previa dichiarazione, quale condizione d’ammissibilità per il ricorso alla Camera predetta (cfr. l’art. 8, c. 2 del Regolamento della Camera), d'impegno a rispettarne la decisione, in quanto ciò non è che una tipica clausola d’arbitrato, ma ovviamente non ne copre a priori le cause di nullità o illegittimità previste o garantite dall'ordinamento generale – l'autonomia di quello sportivo non potendo mai elidere siffatte patologie dell’arbitrato, né comprimere la tutela delle vicende rilevanti in entrambi gli ordinamenti–, né tampoco impedire l'impugnazione del lodo innanzi a questo Giudice se ne ricorrano i presupposti. Parimenti da rigettare è la doglianza attorea sull’omesso obbligo dell’indicazione del termine e dell’Autorità giudiziaria innanzi a cui impugnare la decisione della predetta Camera, giacché, in disparte la perfetta consapevolezza della Società ricorrente in ordine alla possibilità d’adire questo competente Giudice, siffatta omissione non è causa di diretta invalidità dell’atto così difettoso e, al più, comporta la remissione in termini per la tutela in via d’azione.

6. – Pur se rilevante, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 del DL 220/2003, con riferimento agli artt. 24, 97, 103 e 113 Cost., a causa del necessario previo esaurimento dei gradi della giustizia sportiva.

Osserva al riguardo il Collegio che l’espressione «…esauriti i gradi di giustizia sportiva…» non abbia altro significato, peraltro reso evidente dall’uso dei vocaboli, che la necessità d’esperire i rimedi interni all’ordinamento sportivo, generali o di settore, prima d’adire questo Giudice. La ragione di questa scelta, in sé non irrazionale, arbitraria o sproporzionata, risiede nella circostanza che l’ordinamento sportivo assicura già da se stesso, foss’anche mercé il solo arbitrato e ben prima dell’emanazione del citato art. 3, formule acconce di tutela interna per le controversie sportive rilevanti per l’ordinamento generale. L’art. 3, quindi, non fa che constatare l’esistenza dei rimedi in parola e, ben lungi dall’eliminarli, ne esalta la funzione di risoluzione, talvolta negoziata, delle predette controversie, perché è consapevole della necessità d’avere risposte rapide e tecnicamente più vicine al contesto da cui le liti insorgono, a causa del progredire incessante delle competizioni agonistiche, le quali appunto impongono risoluzioni veloci e prive d’eccessive solennità delle liti stesse. Tale velocità il legislatore ha voluto assicurare non già con il mero ed acriticamente indiscriminato discarico di queste ultime alla Giurisdizione amministrativa, bensì attraverso l’equo contemperamento dei rimedi interni –aventi forme forse meno solenni e rigorose di quelle giurisdizionali, ma certo con decisioni non meno efficaci ed atte a risolvere i problemi concreti dello sport–, con quelli innanzi a questo Giudice. Tanto allo scopo d’ottenere che solo le controversie più rilevanti e delicate arrivino a questo Giudice e, soprattutto, senza che tali esigenze di giustizia si trasformino nell’esatto opposto del risultato prefisso dal legislatore, ossia la paradossale creazione di rilevanti intralci all’ordinato e tempestivo progredire dei Campionati sportivi.

Pertanto, non è vero che una siffatta struttura contenziosa differisca sine die la tutela innanzi a questo Giudice. S’è già visto come l’azione giudiziaria intervenga soltanto per risolvere controversie incomponibili e sempre dopo la pronunzia degli organi tecnicamente più sensibili alle istanze delle realtà sportive, perché interni a quella medesima logica ordinamentale e promananti dalle stesse esigenze associative. In secondo luogo, quel mix di rimedi interni e giurisdizionali che il DL 220/2003 delinea, lungi dal concedere tutele meno “piene” o sostanziali che in altri contesti, concede in caso d’eventuale accoglimento della domanda di giustizia un tipo d’utilità, effettivamente ripristinatoria o solo risarcitoria per equivalente, di natura non dissimile da ciò che il giudicato amministrativo è in grado d’offrire, a seconda del momento in cui interviene, in tutte le vicende o rapporti giuridici simili al caso di specie, nei quali il fluire degli eventi e delle procedure è in continuo divenire. È appena da osservare che, se è vero dal punto di vista materiale che l’adizione di taluni organi di giustizia sportiva implichi il pagamento d’una (comunque denominata) “tassa” di ricorso, ciò non è sintomo di limitazione d'accesso alla tutela, ma solo il necessario contributo al finanziamento dei relativi organi delle Federazioni o del CONI, secondo le medesime regole associative che disciplinano il movimento sportivo organizzato, mentre la liquidazione del compenso agli arbitri, nei giudizi intentati innanzi ai collegi arbitrali della predetta Camera di conciliazione, costituiscono non già un proprium della giustizia sportiva, bensì ciò che naturaliter accade in esito ad ogni giudizio di tal fatta, anche nell'ordinamento generale.

7. – Sulla base delle considerazioni fin qui svolte, va respinta: A) – la doglianza sull’omessa indicazione, nel dispositivo del lodo impugnato, del termine e dell'Autorità cui ricorrere, giacché non v’è, nelle norme sportive o generali, alcuna seria evidenza testuale, logica o sistematica per cui detto lodo non sia altro che ciò che il relativo vocabolo indica nel lessico giuridico e, quindi, non soggiace di per sé all’art. 3 della l. 241/1990; B) – la doglianza in ordine all’incameramento della tassa versata a titolo di diritti amministrativi, trattandosi di statuizione inerente al pagamento di somme necessarie al funzionamento degli organi di giustizia sportiva liberamente aditi dalla Società ricorrente; C) – la doglianza sull’illegittimità derivata dagli atti impugnati ut supra, i quali, invece, non risultano irretiti dai vizi precedentemente illustrati.

Per quanto poi attiene al merito della statuizione arbitrale impugnata, giova rammentare che le relative questioni sono state già dalla ricorrente dedotte innanzi agli arbitri e da questi decisi con il lodo oggidì impugnato. Quest’ultimo, però, non può esser liberamente gravato, mercé la deduzione di vizi in procedendo o in judicando come se fosse un provvedimento amministrativo, giacché, com’è noto, l'impugnazione dei lodi può avvenire, a seconda che si tratti d’arbitrato rituale, piuttosto che irrituale (il quale è un mandato a transigere) solo a’sensi dell’art. 828 c.p.c. o, rispettivamente, per vizi propri della clausola compromissoria o per incapacità degli arbitri o delle parti o per errore sostanziale, dolo, violenza o eccesso di potere rispetto al mandato affidato agli arbitri stessi. Non ricorrendo nella specie alcuno dei predetti di casi di legittima impugnazione del lodo stesso, questa s’appalesa manifestamente inammissibile.

Il Collegio reputa, tuttavia, opportuno prescindere da siffatta inammissibilità, perché le censure della ricorrente sono del tutto infondate.

In particolare, s’avrà che mera petizione di principio è la ricostruzione interpretativa della ricorrente circa la natura “endoprocedimentale” d’un procedimento a formazione progressiva riconoscibile agli atti delle Federazioni sportive ed ai lodi emanati dai collegi arbitrali costituiti presso la predetta Camera di conciliazione. Questi ultimi, al contrario, hanno natura provvedimentale e, rispettivamente, decisoria e come tali sono idonei a definire l’assetto degli interessi dedotti e, di conseguenza, a divenire inoppugnabili se non tempestivamente contestati nelle opportune sedi. Da ciò discende, per un verso, che non risponde al vero che il termine ultimo, entro cui le Società sportive devono regolarizzare la loro posizione ai fini dell’ammissione ai Campionati di calcio, sia quello dell’emanazione del lodo arbitrale, in quanto è jus receptum che le Federazioni sportive possono fissare vari termini decadenziali –in relazione all'importanza dell’adempimento cui essi son collegati ed entro i quali le Società sono tenute a dimostrare l’integrale possesso dei requisiti per ottenere tale ammissione–, in tal modo scandendo in fasi il procedimento d’iscrizione ai Campionati, attraverso atti, come s’è visto, idonei a determinare arresti procedimentali nei confronti della Società aspirante. Tanto con l’ovvia conseguenza che l'eventuale fase di reclamo e contenziosa sappalesa, sotto il profilo giuridico, ontologicamente e funzionalmente distinta dal procedimento d’ammissione, servendo appunto a risolvere le controversie insorte sulla definizione di quest’ultimo. Discende per altro verso che i predetti termini sono decadenziali non solo per l’espressa perentorietà stabilita dai provvedimenti della FIGC, ma soprattutto perché essi sono tutti preordinati, collegati come sono a procedure sostanzialmente concorsuali, a definire nel più breve tempo possibile l’ordinata struttura dei Campionati di calcio.

È appena da osservare che i contestati termini si mostrano ben precisi, ragionevoli e non sproporzionati. Infatti, nella specie si versa in un’ipotesi di ripescaggio, che è la procedura concorsuale d’integrazione degli organici d’un Campionato a favore di Società non aventi il titolo sportivo per parteciparvi optimo jure. Ebbene, per ottenere tal beneficio, in concorso con altri aspiranti, legittimamente occorre che l’interessato lo chieda e contestualmente ne dimostri il possesso dei requisiti entro un certo tempo, peraltro ben noto a tutti gli operatori del settore, come d’altronde accade in ogn’altra procedura del medesimo tipo. In tal caso, non si può consentire, per evitare l’evidente aggiramento del termine, altra integrazione che quella della regolarizzazione di documenti già presentati, ma incompleti nella forma, o quella del rendimento di chiarimenti richiesti per il documento tempestivamente prodotto, ma di dubbia interpretazione. E che la ricorrente non abbia rispettato i termini de quibus e, in particolare, quello del 19 luglio 2004, non par dubbio sol che si pensi come essa, a quella data, non aveva ottenuto la rateazione del debito con l’ENPALS (intervenuta solo in un secondo momento: cfr. nulla-osta del 10 agosto 2004), né prodotto il certificato di vigenza ancorché rilasciato (e ciò è affermato da essa stessa: cfr. pag. 24 del gravame introduttivo) fin dal 22 giugno 2004.

8. – Relativamente poi ai motivi aggiunti depositati il 25 gennaio 2005, questi sono in varia guisa riproduttivi delle censure di cui al gravame introduttivo e ne seguono perciò le sorti, senz’uopo d’ulteriore disamina. Inammissibile è invece, per le ragioni poc’anzi evidenziate in tema d’impugnazione dei lodi irrituali, il ricorso n. 636/2005, in quanto esso è rivolto a contestare direttamente il contenuto del lodo reso in data 16 dicembre 2004, peraltro replicando in sostanza le censure di cui al ricorso n. 11440/ 2005 in epigrafe, senza prima dar neppure succinta giustificazione dell’impugnabilità del lodo stesso.

9. – In definitiva e riuniti i ricorsi in epigrafe, le censure attoree vanno in parte respinte e dichiarate inammissibili per la restante parte, ma la novità della questione e giusti motivi suggeriscono l’integrale compensazione, tra tutti i soggetti costituitivi, delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. 3°-ter, definitivamente pronunciando così decide: A) – riunisce i due ricorsi in epigrafe; B) – in parte respinge il ricorso n. 11440/2004 in epigrafe e lo dichiara inammissibile per la restante parte; C) – dichiara inammissibile il ricorso n. 636/2005 in epigrafe; D) – dispone l'integrale compensazione inter partes delle spese del presente giudizio.

Ordina all’Autorità amministrativa d’eseguire la presente sentenza.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 21 aprile 2005.

Francesco CORSARO, PRESIDENTE  

Silvestro Maria RUSSO, ESTENSORE

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