T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 12816 DEL 2016 Pubblicato il 23/12/2016

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7174 del 2016, proposto da: Lega Nazionale Professionisti Serie A, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati prof. Mario Libertini, prof. Giulio Napolitano C.F. NPLGLI69L12H501H, Francesco Anglani C.F. NGLFNC76R25F152O, Bruno Ghirardi C.F. GHRBRN59L17B157P e Ruggero Stincardini C.F. STNRGR56M23G478F, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Boezio, 14;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso cui è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

- OMISSIS S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Siragusa C.F. SRGMRA48A01G273D, Alessandro Bardanzellu C.F. BRDLSN81M12H501U, Matteo Beretta C.F. BRTMTT66H09A794O, Marco D'Ostuni C.F. DSTMRC73M14F839B, e Marco Zotta, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, piazza di Spagna, 15; - Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, OMISSIS  S.r.l, OMISSIS  S.r.l., OMISSIS  S.p.a., OMISSIS  S.p.a., non costituite in giudizio;

per l'annullamento, previa sospensione,

del provvedimento n. 25966, adottato dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nell'adunanza del 19 aprile 2016 a chiusura dell'istruttoria I790, notificato alla ricorrente in data 20 aprile 2016;

di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust e di OMISSIS S.r.l., con la relativa documentazione;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 9 novembre 2016 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La vicenda, in sintesi, trae origini dalle modalità con le quali la Lega Nazionale Professionisti Serie A (Lega), quale organizzatrice della competizione, ha proceduto all’assegnazione dei diritti audiovisivi relativi al campionato di calcio “serie A” per le stagioni 2015-18, ai sensi del d.lgs. 9.1.2008, n. 9 (c.d. “Decreto Melandri”).

In sostanza, l’invito a presentare offerte elaborato dalla Lega – passato al vaglio della stessa Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) - prevedeva la suddivisione in cinque “pacchetti”, quali: 1) “pacchetto A”, concernente i diritti per le piattaforme satellitare (DTH), Internet, TV Mobile (DTH), Telefonia mobile e IPTV relativi a otto società sportive considerate di maggior interesse, per un totale di 248 eventi (pari al 65% del totale); 2) “pacchetto B”, concernente i diritti per le piattaforme digitale terrestre (DTT), Internet, TV Mobile (DTH), Telefonia mobile e IPTV relativi ai medesimi eventi del pacchetto A; 3) “pacchetto C”, concernente i diritti accessori (interviste, immagini da spogliatoi e altri) per il pacchetto A o B; 4) “pacchetto D”, concernente l’esclusiva per tutte le piattaforme per i rimanenti 132 eventi (pari al 35%) relativi a una squadra di “maggior seguito” e alle altre di “minore seguito”; 5) “pacchetto E”, concernente tre incontri a scelta tra quelli disputati di domenica alle ore 15.00, da trasmettere tramite piattaforma Internet.

Risultavano quindi pervenute offerte da parte di OMISSIS s.r.l. (Sky), RTI-OMISSIS  s.p.a. (RTI), OMISSIS  S.r.l. (Fox) e Eurosport s.a.s. (Eurosport).

All’esito della loro presa di conoscenza, però, la Lega e il suo “advisor” per la commercializzazione di tali diritti, OMISSIS  s.r.l. (Infront), ritenevano che le aggiudicazioni relative ai pacchetti A e B, pur su offerte superiori alla base d’asta, presentassero due problematiche, quali: la possibilità di aggiudicazione di tali due maggiori “pacchetti” al medesimo operatore - OMISSIS - che aveva effettuato le offerte più alte, in relazione alla possibile individuazione di una “posizione dominante” sotto il profilo della normativa “antitrust”; la possibilità di considerare l’ammissibilità di offerte condizionate, come quella effettuata da RTI (che aveva presentato: un’offerta per il pacchetto A, condizionata alla circostanza di non essere aggiudicataria di quello B, per il pacchetto B, un’offerta incondizionata e una condizionata alla mancata aggiudicazione di quello A, un’offerta per il pacchetto D, condizionata all’aggiudicazione di quello A o quello B).

La Lega, quindi, riteneva di non procedere subito all’assegnazione e di richiedere un parere a un esperto “esterno”, professore universitario, sulla fattispecie. In base a tale parere - che riteneva illegittima l’assegnazione dei pacchetti A e B al medesimo operatore e legittima la proposizione di offerte condizionate - e all’esito di un’assemblea di Lega tenutasi nelle giornate dal 23 al 26 giugno 2014, si dava corso alla definitiva assegnazione, che vedeva il pacchetto A per Sky, i pacchetti B e D per RTI. Risultava, inoltre, che il pacchetto C non era assegnato, perché le offerte erano inferiori al prezzo minimo indicato nell’invito a offrire, e che per il pacchetto E non perveniva alcuna offerta.

Da segnalare che già il 25 giugno 2014 risultava depositata anche all’AGCM una denuncia da parte di un’associazione di consumatori con la segnalazione di ritenuti illeciti anticoncorrenziali sull’assegnazione in corso, che risulterà comunque in seguito archiviata dall’Autorità.

Il 27 giugno 2014 RTI chiedeva alla Lega l’autorizzazione per la concessione in sub-licenza, in tutto o in parte, dei diritti relativi al pacchetto D a Sky. Ne seguiva l’istanza della Lega, ai sensi dell’art. 19, comma 1, d.lgs. cit., all’AGCM e all’Autorità per le Garanzie nelle Telecomunicazioni (AgCom) per ottenere la necessaria autorizzazione in deroga e tali Autorità, dopo articolata interlocuzione con l’istante, concedevano la deroga richiesta in data 17 luglio 2014 e la Lega trasmetteva l’indicazione alle interessate, specificando che la “sublicenza” si sarebbe dovuta conformare alle modalità prospettate tra le parti e comunicate alle Autorità, senza ulteriori pattuizioni rispetto a quelle previste per il pacchetto D nell’invito a presentare offerte. In seguito ad ulteriori interlocuzioni con le parti a chiarimento, queste regolavano il rapporto in questione conformemente alle prescrizioni imposte nei provvedimenti autorizzativi del luglio 2014, secondo specifica dichiarazione del 24 aprile 2015.

Sulla base di alcune notizie di stampa apparse nel febbraio 2015 aventi ad oggetto il contenuto di alcune conversazioni telefoniche di un presidente di società calcistica di serie A, l’AGCM dava avvio all’istruttoria di un procedimento volto a verificare la sussistenza di una eventuale intesa restrittiva della concorrenza, in violazione dell’art. 101 TFUE, tra RTI, Sky, Lega e Infront.

Dato corso alla complessa fase istruttoria, acquisito il parere dell’AgCom (peraltro riscontrante elementi positivi dall’esito della gara) e comunicata la CRI, era infine adottato il provvedimento finale all’esito dell’adunanza del 19 aprile 2016.

In esso, dopo ampia illustrazione dello svolgimento della fase di avvio, della descrizione delle parti e delle risultanze istruttorie, dell’indicazione del mercato rilevante, degli elementi acquisiti, della descrizione dei fatti e delle argomentazioni delle parti, l’Autorità deliberava che le condotte prese in esame erano state finalizzate alla spartizione dei diritti audiovisivi per il triennio 2015-18, alterando il confronto concorrenziale in sede di partecipazione alla gara, evitando il dispiegarsi di dinamiche concorrenziali fra gli operatori attivi sul mercato e ostacolando l’ingresso di potenziali nuovi operatori, con conseguente violazione dell’art. 101 TFUE. Era quindi disposta inibitoria per il futuro a porre in essere analoghi comportamenti ed erano applicate le relative sanzioni pecuniarie, il cui calcolo pure era ampiamente illustrato nella motivazione, consistenti in euro 1.944.070,17 per la Lega, euro 9.049.646,64 per Infront, euro 51.419.247,25 per RTI ed euro 4.000.000,00 per Sky, unico soggetto di cui era riconosciuto un ruolo marginale e sostanzialmente difensivo, di cui era pure apprezzato l’apporto collaborativo in fase istruttoria.

Riassumendo le tesi dell’AGCM, fondate essenzialmente su risultanze istruttorie di cui ai verbali delle assemblee di Lega che avevano contraddistinto il periodo dell’assegnazione dei diritti in questione, su alcuni documenti acquisiti, tra cui il testo di “e-mail” tra parti del procedimento e tra queste e terzi, nonché sulle audizioni svolte dagli Uffici con esponenti delle singole società calcistiche, si rileva quanto segue.

In primo luogo l’AGCM ricordava che il c.d. “Decreto Melandri” era stato introdotto in Italia al fine di imporre all’organizzatore della competizione apposita procedura competitiva idonea a garantire ai partecipanti condizioni di assoluta equità, trasparenza e non discriminazione, secondo quanto chiarito in sostanza nel relativo art. 9, comma 4, secondo il quale era previsto il divieto a chiunque di acquisire in esclusiva tutti i pacchetti relativi alle dirette, fermi restando i divieti previsti in materia di formazione di posizioni dominanti, dando luogo così non a un mero presidio della regolarità formale della gara ma alla salvaguardia di esigenze sostanziali di concorrenza, sia statica che dinamica, reale ed effettiva.

Richiamando il succedersi degli eventi, a partire dalla presentazione da parte della Lega delle Linee Guida da lei predisposte, l’Autorità ricordava che, in seguito all’apertura delle buste, il contenuto delle relative offerte era noto a tutti i partecipanti. Da esse, si riscontrava che: per il pacchetto A, OMISSIS aveva effettuato l’offerta più alta (con, a seguire, l’offerta di RTI e quella di Fox appartenente comunque al “gruppo Sky”); per il pacchetto B, risultava che la migliore offerta (in capo a RTI) era condizionata dal fatto che nessun soggetto si fosse aggiudicato il pacchetto precedente (con, a seguire, le offerte di Sky, Fox e RTI “non condizionata” di importo molto minore rispetto a quella condizionata); per il pacchetto D, risultava la miglior offerta sempre in capo a RTI (con, a seguire, quelle di Fox, OMISSIS ed Eurosport).

Ne era seguito quello definito come un “acceso contrasto” tra RTI, OMISSIS e Lega/Infront, ove la prima sosteneva l’illegittimità dell’eventuale aggiudicazione di entrambi i pacchetti A e B a OMISSIS e prospettava soluzioni che la vedevano assegnataria del pacchetto D e, in alternativa, di quelli A o B mentre OMISSIS difendeva la propria posizione ritenendo legittima l’aspirazione all’aggiudicazione di entrambi i pacchetti A e B, con formalizzazione di tale posizione mediante l’invio a Lega e RTI di un atto di “intimazione diffida” in tal senso.

Sussistendo i su ricordati dubbi prospettati, tanto da richiedere uno specifico parere ad un esperto “esterno”, la Lega dava inizio all’assemblea “decisoria” in data 23 giugno 2014 in cui – sosteneva l’AGCM - si iniziava a delineare concretamente una soluzione definita “spartitoria” che non teneva in considerazione le regole previste nelle stesse Linee Guida e nel “bando” perché prescindente dalla graduatoria delle offerte valide ricevute. In particolare, erano richiamate alcune e-mail “interne” a RTI in cui si faceva espresso riferimento alla possibilità di un accordo con OMISSIS quale scenario “alternativo” ad un’ipotesi di contenzioso, con eventuale estensione della trattativa anche ad alcuni diritti per la competizione calcistica europea denominata “Champions League”.

Tali trattative continuavano con il coinvolgimento di Infront, il cui rappresentante contattava telefonicamente l’amministratore delegato di OMISSIS per indicare come la Lega aveva ritenuto di definire le assegnazioni (nel senso poi concretamente realizzatosi), e delle stesse imprese coinvolte, che iniziavano una formale stesura di una scrittura privata che anticipava il ricordato esito finale, con rinuncia da parte di OMISSIS al contenzioso prospettato.

Ne seguiva, quindi, l’ultima giornata di assemblea del 26 giugno 2014 ove si dava luogo al ricordato esito definitivo dell’aggiudicazione e la successiva comunicazione del 30 giugno 2014, con la quale la Lega inviava alle autorità competenti la richiesta di autorizzazione in deroga al divieto di sub-licenza previsto dall’art. 11, comma 6, d.lgs. cit.

L’AGCM specificava anche che era emersa in seguito una difformità tra il contenuto della sub-licenza effettivamente sottoscritta tra RTI e OMISSIS e quanto a suo tempo comunicato alle autorità, laddove risultava la sottoscrizione di un documento in cui le emittenti in questione sollevavano la Lega da eventuali difformità rispetto al contenuto delle autorizzazioni rilasciate da AGCM e AgCom, secondo ulteriori contatti tra le parti svoltesi a partire dalla data del 30 giugno 2014.

Sulla base di tale ricostruzione, quindi, l’AGCM riteneva l’esistenza di comportamenti tesi ad alterare il normale dispiegarsi dei meccanismi competitivi in quanto, a fronte di un iniziale confronto competitivo tra OMISSIS e RTI, manifestatosi anche attraverso campagne mediatiche e iniziative extragiudiziali, le parti avevano dato luogo ad un’alterazione dell’esito della procedura competitiva in questione, dando luogo ad un’intesa restrittiva della concorrenza avente ad oggetto l’illecita ripartizione dei diritti audiovisivi relativi.

Specificava l’AGCM che l’intesa non aveva riguardato la fase dell’individuazione e presentazione delle offerte economiche ma aveva interessato la fase antecedente all’aggiudicazione dei diritti posti “a gara”, attraverso l’alterazione dell’esito naturale della stessa, con sostituzione di una soluzione concordata in luogo dell’esito naturale del confronto competitivo previsto dalla norma. Ciò aveva distorto il funzionamento dei meccanismi competitivi che devono governare l’assegnazione dei diritti di trasmissione audiovisivi, ostacolando sia la concorrenza di nuovi operatori nell’immediato sia la concorrenza “sul merito” e il possibile ingresso di nuovi operatori anche per il futuro e rafforzando il consolidamento delle rispettive posizioni di mercato delle emittenti interessate.

L’AGCM chiariva che tale “intesa” era stata promossa da Lega e Infront, aveva recato vantaggio principalmente a RTI e che la stessa OMISSIS era stata sostanzialmente indotta ad aderire anche per la condotta delle altre parti, con la conseguenza che tale condotta fosse riconducibile comunque a tutte quelle coinvolte nella fase istruttoria.

A tale proposito, l’Autorità specificava che, anche in virtù della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE in merito all’interpretazione dell’(allora) art. 81, par. 1, Trattato CE - secondo la quale la sua applicazione non riguarda solo le imprese attive nel mercato interessato dalle restrizioni della concorrenza, a valle o a monte del medesimo, ma tutti i soggetti che falsano la concorrenza nel mercato comune indipendentemente da quello in cui sono attivi - la Lega aveva di fatto vanificato gli obiettivi stabiliti dal “Decreto Melandri”, compromettendo l’integrità dell’assegnazione mediante procedure competitive, eque e non discriminatorie. Ciò perché la Lega ben poteva e doveva agire diversamente, rispettando quanto previsto dalle sue stesse Linee Guida e aggiudicando i pacchetti A e B al miglior offerente (Sky), per poi passare ad una nuova fase della procedura in relazione al pacchetto D che non aveva ricevuto offerte valide sopra la base d’asta. Non risultavano infatti, in base alle Linee Guida e al “bando” nonché all’art. 9, comma 4, d.lgs. cit., divieti di assegnazione dei pacchetti A e B ad un unico operatore. Se pure la Lega avesse ritenuto tale possibilità preclusa, avrebbe comunque dovuto annullare l’intera procedura e indirne una nuova con l’inserimento esplicito di tale divieto, invece di aggiudicare la procedura in violazione delle regole della “lex specialis” e prevedendo nella stessa delibera di assegnazione già il consenso alla “sub-licenza”, non richiesta né richiedibile in quella fase della procedura.

Inoltre la stessa Lega sembrava successivamente consapevole delle possibili criticità riguardanti tale sub-licenza, come evidenziato nel verbale della seduta della “commissione tecnica diritti audiovisivi” del 20 febbraio 2015, cui risultava partecipare anche Infront, tanto da portare alla sottoscrizione della clausola sopra ricordata con cui RTI e OMISSIS “sollevavano” la Lega dalle conseguenze sulle eventuali difformità rispetto al contenuto delle autorizzazioni rilasciate dalle autorità di settore.

Per quanto concerneva Infront, l’AGCM sottolineava gli stretti rapporti contrattuali intercorrenti con la Lega, che evidenziavano come Infront avesse un interesse immediato e diretto circa il raggiungimento di determinati ricavi da parte della Lega stessa e avesse attivamente suggerito la condotta da adottare, sia nell’ambito delle riunioni assembleari del 26 giugno 2014, svolgendo un ruolo di mediazione nelle discussioni fra le squadre di calcio, sia all’esterno, contattando direttamente rappresentanti dei “broadcaster” interessati e delle singole squadre di calcio e dando luogo ad un effettivo ruolo di “leadership” dell’intesa.

Il ruolo di RTI era evidenziato in relazione all’interesse nel sostenere una soluzione di aggiudicazione diversa dall’esito delle offerte formulate il 5 giugno 2014, che avrebbe visto l’assegnazione dei pacchetti A e B a Sky, come rilevato dalla documentazione acquisita in corso di istruttoria consistente in comunicazioni e-mail.

Il ruolo di OMISSIS era riconosciuto nei limiti della contestualizzazione degli eventi, laddove ad un primo atteggiamento “competitivo” era seguito un mutamento della condotta che apriva alla possibilità di accordo, come anche in questo caso rilevato da una e-mail interna a RTI del 24 giugno 2014 ove si faceva riferimento ad una proposta di accordo di Sky. Quest’ultima, pur dando luogo ad un comportamento ispirato dalle condotte poste in essere dalle altre parti del procedimento, non aveva ivi tenuto un atteggiamento meramente “passivo” ma si era attivata concretamente nel ricercare la soluzione alternativa alla naturale aggiudicazione, come poi manifestatasi.

In conclusione, l’AGCM riteneva che le parti avessero quindi dato luogo ad un’intesa restrittiva “per oggetto”, per la quale non era necessaria la prova dell’intento soggettivo, era irrilevante che l’accordo non fosse nell’interesse commerciale di alcuni dei partecipanti, si perseguivano anche altri scopi illeciti, non era necessario dimostrare un effetto diretto sui prezzi agli utenti finali, secondo le conclusioni sul punto da parte della Corte di Giustizia che venivano richiamate.

Si era dato luogo – per l’Autorità - alla ripartizione di “imput” strategici fra i due operatori attivi a livello nazionale nel mercato della “pay tv”, con evidente effetto di preclusione in danno dei concorrenti presenti e potenziali e conseguente restrizione della concorrenza, indipendentemente dall’accertamento degli effetti, tenuto conto anche che la condotta si andava a collocare in un mercato caratterizzato da un assetto oligopolistico altamente concentrato, ove le parti detengono sostanzialmente la totalità del mercato in quanto l’acquisizione di contenuti c.d. “premium” costituisce una delle principali barriere all’entrata in esso.

L’AGCM indicava, comunque, che alcuni effetti si erano oltremodo palesati, in quanto l’intesa aveva di fatto escluso la possibilità per un operatore terzo (Eurosport) di partecipare a reali procedure competitive anche solo per l’assegnazione di un sottoinsieme dei pacchetti, per i quali aveva comunque mostrato interesse concreto con la presentazione di un’offerta o anche solo per la possibilità di partecipare ad una nuova edizione della gara.

Risultavano anche la distorsione della concorrenza dinamica in un orizzonte temporale di medio-lungo termine, per la negativa incisione sulla credibilità delle future gare e sulle aspettative d’ingresso di eventuali nuovi “player” nonché la cristallizzazione delle posizioni di mercato determinate nel triennio precedente, ove le stesse RTI e OMISSIS erano risultate assegnatarie di diritti audiovisivi coincidenti.

Replicando puntualmente alle argomentazioni delle parti, ivi comprese le eccezioni procedurali, l’AGCM concludeva ribadendo le considerazioni sopra evidenziate e ritenendo che il parere di senso sostanzialmente contrario reso dall’AgCom si era soffermato esclusivamente sugli effetti benefici per i consumatori in relazione alla “sub-licenza” di cui al pacchetto D, effetti benefici che ci sarebbero stati, secondo l’AGCM, anche con la naturale modalità di aggiudicazione sopra propugnata.

Nel provvedimento finale erano quindi illustrate anche le modalità con le quali erano state determinate in concreto le sanzioni nei confronti di ciascun soggetto coinvolto.

In esse erano state considerate, sul “valore base” delle vendite: la percentuale del 15% e la c.d. “entry fee” del 20%, per Lega, Infront e RTI, le aggravanti del 15% per Lega e Infront, l’attenuante del 30% per RTI, l’incremento della sanzione per “proporzionalità e deterrenza” del 50% per Infront. Per OMISSIS era invece applicato l’art. 34 delle Linee Guida AGCM che consentiva di derogare dalle stesse, con sanzione finale limitata a euro 4.000.000,00.

Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, la Lega chiedeva l’annullamento, previa sospensione, del provvedimento in questione.

Esponendo in sintesi il ricorso introduttivo, si rileva che in esso era lamentato quanto segue.

1. Violazione di legge: la (presunta) alterazione delle regole di gara e arbitrariamente equiparata dall’AGCM ad una restrizione della concorrenza”.

Il provvedimento impugnato non si preoccupava di chiarire quale sarebbe stato il normale dispiegarsi dei meccanismi competitivi che sarebbe risultato alterato dalla condotta sanzionata.

La procedura competitiva in esame infatti non era soggetta alla disciplina del codice dei contratti pubblici, data la indiscussa natura privatistica della Lega, ma consisteva in una procedura competitiva privata, sia pur rispettosa dei criteri sanciti dagli artt. 8 e 9 d.lgs. n. 8/2009, nella quale la ricorrente disponeva di ampia discrezionalità tecnica, esercitata in modo trasparente anche ai fini di interpretazione e applicazione delle previsioni dei documenti di gara.

La ricorrente contestava che il normale dispiegarsi dei meccanismi competitivi fosse stato ritenuto coincidente con il rispetto delle procedure stabilite dal bando in una gara formale.

In realtà, secondo la Lega, l’Autorità si era erroneamente fondata sul richiamo al fenomeno del c.d. “big ridding”, ove sussiste un accordo collusivo fra partecipanti a gare pubbliche, volto a prefigurarne gli esiti con ripartizione degli affidamenti fra i partecipanti all’accordo. Tale fenomeno, però, non consiste in un’alterazione delle regole di gara bensì in uno sfruttamento opportunistico e fraudolento delle medesime, al fine di realizzare un risultato di “ripartizione del mercato”. Nel caso di specie era mancata del tutto un’analisi approfondita su questo aspetto, dato che in un’ottica “antitrust” si sarebbe dovuto allineare l’esito della gara a criteri sostanzialistici in riferimento all’effettiva concorrenza nel mercato di riferimento, senza soffermarsi sul rispetto formale delle procedure di gara in quanto tali.

Ad ogni modo - sosteneva la ricorrente - nel caso di specie non vi era neanche stata una violazione formale di tali regole di gara, dato che la conclusione finale era stata del tutto aderente al parere giuridico reso da un esperto “esterno” in ordine ai criteri interpretativi da applicare. Particolare attenzione era stata infatti riconosciuta nei confronti della c.d. “no single buyer rule” al fine di evitare la formazione di posizioni dominanti e così pure l’ammissibilità di offerte condizionate era coerente con il normale dispiegarsi dei meccanismi di mercato, tenuto anche conto che la “lex specialis” non vietava esplicitamente tale tipologia di offerta ma si limitava ad affermare che in ogni busta doveva essere contenuta solo una singola offerta.

Parimenti illogica, per la Lega, era la conclusione dell’AGCM secondo la quale, in alternativa all’assegnazione di entrambi i pacchetti A e B a Sky, vi era unicamente la revoca dell’intera gara al fine di bandire una nuova procedura. Ciò perché quest’ultima avrebbe potuto contenere regole differenti che avrebbero potuto ugualmente portare alla medesima conclusione, oltre a un possibile strascico di contenziosi e con una quasi certa riduzione dell’ammontare delle offerte per una prefigurazione di risultati che avrebbe potuto solo favorire la collusione, anche non “voluta” fra i partecipanti.

2. Violazione di legge: la (presunta) alterazione delle regole di gara/intesa è erroneamente qualificata dall’AGCM quale restrizione per oggetto”.

In ordine alla qualificazione dell’intesa, la ricorrente, nelle richiamare la giurisprudenza europea e quella “interna” in argomento, evidenziava nuovamente che l’intesa “per oggetto” poteva essere richiamata solo per ipotesi “tipiche”, tra cui la già ricordata condotta di “big ridding”, ma non per la fattispecie in esame, ove i due “competitors” sanzionati avevano in un primo momento mostrato rivalità e minacciato pesanti contenziosi, salvo poi pervenire ad una transazione una volta appreso l’esito della gara, senza per questo dare luogo ad un accordo di ripartizione “ex ante” del mercato e comunque agendo nell’ottica degli “accordi in deroga” previsti dall’art. 19 dello stesso “decreto Melandri”.

La giustificazione riportata dall’AGCM, secondo la quale l’autorizzazione all’accordo di sub-licenza era stata rilasciata quando non aveva ancora percezione del fatto che esso si fosse inserito in un più ampio contesto di accordo fra le parti interessate, non poteva essere condivisa, dato che l’Autorità era perfettamente in grado di comprendere il normale funzionamento del mercato già al momento della conclusione dell’accordo poi autorizzato.

Inoltre, non erano individuabili gli effetti restrittivi della concorrenza che l’AGCM aveva indicato come conseguenza della condotta sanzionata, in quanto era assente un’analisi economica degli effetti della gara e non era stato effettuato un corretto approfondimento delle circostanze di fatto, dal quale si sarebbe rilevato che l’esclusione dalla gara di Eurosport non era dipesa dagli eventi presi in considerazione ma dall’offerta nettamente inferiore al minimo che tale operatore aveva effettuato.

Così pure, non era illustrato a sufficienza per quale ragione un altro operatore interessato a partecipare alla futura gara di ripartizione dei medesimi diritti dovrebbe essere scoraggiato dall’esito di questa e non anche dalla diversa ipotesi che prospettava la stessa AGCM in ordine alla necessità di assegnare entrambi i pacchetti A e B a Sky. Né risultava un’effettiva cristallizzazione delle posizioni precedenti in quanto l’alternativa sarebbe stata il ritorno al monopolio di un singolo operatore, già esistente in periodo anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. n. 8/2009 e considerato in maniera assai negativa per quanto riguardava i benefici diretti per i consumatori, fermo restando che nel caso di specie era stato dimostrato, anche nel corso dell’audizione finale dell’istruttoria relativa al procedimento avviato dall’AGCM, che vi era stato un andamento al ribasso dei prezzi di trasmissione delle partite di calcio in questione che era – evidentemente - imputabile proprio alla persistente concorrenza fra due operatori, secondo quanto, d’altro canto, riscontrato dalla stessa AgCom nel parere reso nel medesimo procedimento.

3. Travisamento dei fatti, insufficienze e contraddittorietà della motivazione. In particolare: estraneità della Lega alla supposta intesa accertata dall’Autorità; mancanza dei requisiti strutturali di partecipazione necessari per la configurazione di un’intesa ex art. 101 T.F.U.E.”.

Da un corretto esame dei fatti, si doveva dedurre l’assenza di un’effettiva partecipazione della Lega a qualsiasi ipotesi di intesa anti-concorrenziale, sia sotto il profilo della predisposizione dell’Invito ad offrire, contraddistinto da chiarimenti trasmessi alla medesima Autorità, sia sotto il profilo dei chiarimenti successivamente forniti sulla richiesta di OMISSIS in merito al contenuti di tale Invito, sia sotto il profilo dell’assenza di qualunque documento istruttorio da cui poter riscontrare una partecipazione diretta della ricorrente alla (ritenuta) intesa anti-concorrenziale tra RTI e Sky, non avendo presenziato ad alcun momento della negoziazione bilaterale tra queste due imprese.

Per quanto riguardava, inoltre, il ruolo di Eurosport, la ricorrente evidenziava ancora che tale operatore non possedeva i requisiti soggettivi richiesti per la partecipazione alla gara e che comunque aveva presentato un’offerta inammissibile, in quanto inferiore di molto al minimo stabilito nei documenti della procedura. A ciò doveva aggiungersi il richiamo alle circostanze per le quali l’AGCM aveva precisato a suo tempo, all’associazione di consumatori che aveva presentato un esposto sulla vicenda, che i fatti riscontrati non giustificavano accertamenti ulteriori sotto un profilo “antitrust”.

4. Eccesso di potere per difetto di motivazione di istruttoria. Contraddittorietà violazione falsa applicazione dell’art. 101 TFUE. Mancata valutazione degli effetti dell’assegnazione. Sviamento.”

Secondo la ricorrente l’AGCM aveva anche omesso qualsivoglia valutazione degli effetti “pro-concorrenziali” e favorevoli ai consumatori dell’assegnazione finale come disposta, secondo quanto aveva rilevato anche nel suo parere l’AgCom, la quale – come detto - aveva evidenziato i benefici al pluralismo e la minor spesa per i consumatori che ne erano derivati.

5. Difetto di motivazione per mancanza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa”.

Il provvedimento impugnato non aveva dato luogo ad alcun approfondimento in ordine ai profili soggettivi riconducibili alla condotta della Lega, come richiesto dall’art. 23 reg. n. 1/2003/CE e dall’art. 3 l. n. 689/81.

Nel caso di specie poteva invocarsi tutt’al più la fattispecie dell’”errore scusabile”, data la situazione di grande incertezza venutasi a formare al momento dell’apertura delle buste, tale da rendere necessario il ricorso ad un parere di un consulente esterno che aveva portato poi alla decisione assembleare pressoché unanime (con astensione della rappresentante di una sola società calcistica). La questione dell’oggettiva incertezza normativa in cui versava la ricorrente era quindi stata completamente ignorata dall’AGCM.

6. Violazione del legittimo affidamento. Esercizio implicito del potere di autotutela senza il rispetto delle garanzie di legge.”

Le stesse autorità competenti avevano ingenerato nella ricorrente il convincimento della piena legittimità del suo operato, sia per quanto riguardava il richiamato parere dell’AgCom sia per quanto concerneva la stessa AGCM, che aveva dato luogo dapprima ad espressa approvazione delle Linee Guida e, successivamente, aveva autorizzato la richiesta sub-licenza da RTI a Sky, la quale non poteva certo essere considerato un accordo “a sé stante”, come invece indicato nel provvedimento impugnato, fermo restando che risultava anche la già richiamata archiviazione della segnalazione da parte di un’associazione di consumatori della medesima fattispecie poi oggetto dell’istruttoria avviata solo in seguito.

7. In via subordinata. Sulla determinazione della sanzione pecuniaria. Violazione del principio del contraddittorio, del diritto di difesa. Violazione del principio della correlazione tra contestazione sanzione sancito dall’art. 14 l. n. 689/1981. Violazione dell’art. 24 della Costituzione. Violazione e falsa applicazione degli artt. 15 e 31 della l. n. 287/1990 e dell’art. 11 della L. n. 689/1981. Violazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie fissate nelle Linee Guida. Violazione degli Orientamenti della Commissione per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003. Violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi di cui al Capo I, sez. I e II l. n. 689/81. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di prova, travisamento dei presupposti in fatto ed in diritto e difetto di motivazione. Violazione del principio di proporzionalità e di gradualità della sanzione. Violazione dell’art. 15, comma 1, della l. n. 287/1990 in relazione al massimo edittale”.

La ricorrente contestava anche l’importo della sanzione come concretamente stabilito, in particolare riferimento alla base di calcolo al 15% e all’incremento del 20% del valore delle vendite, dando applicazione alla c.d. “entry fee”. Era contestata anche l’irragionevole applicazione delle circostanze aggravanti e attenuanti (quest’ultima riconosciuta solo a RTI e non anche alla Lega) e alla differenza di trattamento sanzionatorio a favore di Sky.

Inoltre, la qualificazione della sanzione come effettuata, con l’attribuzione alla ricorrente dell’aggravante e dell’”entry fee”, emergeva solo nel provvedimento impugnato ma non nella CRI, con conseguente violazione del principio del contraddittorio e superamento del massimo edittale previsto.

Si costituiva in giudizio l’AGCM, esponendo le tesi orientate a rilevare l’infondatezza del ricorso in memoria presentata in prossimità della camera di consiglio per la trattazione dell’istanza cautelare.

Si costituiva in giudizio anche Sky.

Alla camera di consiglio del 6 luglio 2016, su istanza di parte, la trattazione del gravame era rinviata alla fase di merito.

In prossimità della pubblica udienza del 9 novembre 2016, la ricorrente depositava memorie (anche di replica) ad ulteriore illustrazione delle proprie tesi difensive, mentre l’AGCM depositava una memoria “unica”, relativa anche ai contenziosi instaurati dalle altre parti sanzionate e in decisione alla medesima udienza.

Alla data sopra indicata, quindi, dopo ampia discussione orale, la causa era trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il Collegio, in riferimento alla prima censura della ricorrente, secondo la quale la procedura competitiva in esame non era soggetta alla disciplina del codice dei contratti pubblici data la indiscussa natura privatistica della Lega, rileva l’infondatezza di tale tesi, in quanto la disciplina “antitrust” non si applica unicamente a procedure di “evidenza pubblica” ma ogni qual volta vi sia una condotta idonea a un’incisione negativa sulle ordinarie modalità di sviluppo di una corretta dinamica concorrenziale, anche da parte di soggetti formalmente contraddistinti da natura “privatistica”.

Inoltre, la norma “speciale” applicabile alla fattispecie, di cui al al d.lgs. 9.1.2008, n. 9 (c.d. “decreto Melandri”), recante “Disciplina della titolarità e della commercializzazione dei diritti audiovisivi sportivi e relativa ripartizione delle risorse”, è sufficientemente chiara, al relativo art. 20, nel riconoscere all’AGCM l’attività di generale vigilanza sulla sua corretta applicazione avvalendosi dei poteri di cui alla l. n. 287/1990.

Premesso ciò e al fine di un inquadramento generale della fattispecie, il Collegio, preliminarmente, rileva che la cornice normativa in cui la vicenda deve essere collocata – come detto - è essenzialmente quella di cui al c.d. “decreto Melandri”.

Il “decreto” in questione – in attuazione della “legge-delega” 19.1.2007, n. 106 – specifica al relativo art. 1 che esso pone “…disposizioni volte a garantire la trasparenza e l'efficienza del mercato dei diritti audiovisivi degli eventi sportivi di campionati, coppe e tornei professionistici a squadre e delle correlate manifestazioni sportive, organizzati a livello nazionale, ed a disciplinare la ripartizione delle risorse economiche e finanziarie assicurate dalla commercializzazione in forma centralizzata di tali diritti, in modo da garantire l'equilibrio competitivo fra i soggetti partecipanti alle competizioni e da destinare una quota di tale risorse a fini di mutualità”.

Sin dalle prime battute, quindi, il legislatore delegato evidenzia di essere attento - sì - alla trasparenza ma anche alla “efficienza” del mercato dei diritti audiovisivi in questione. Ciò appare coerente con quanto già sottolineato dal legislatore delegante all’art. 1, comma 3, lett. h), della l. n. 106/07 cit., ove era prevista una durata non superiore ai tre anni dei contratti aventi ad oggetto lo sfruttamento dei prodotti audiovisivi relativi agli eventi sportivi, “…allo scopo di garantire l'ingresso nel mercato di nuovi operatori e di evitare la creazione di posizioni dominanti”.

In sostanza, le intenzioni del legislatore erano quelle di favorire la trasparenza nelle assegnazioni dei diritti al fine di rendere efficiente il mercato relativo, allargare le opportunità di ingresso nello stesso ed evitare la conferma/creazione di posizioni dominanti.

Sotto tale profilo trova quindi ampia giustificazione il coinvolgimento dell’AGCM, chiamata anche ai sensi dell’art. 6, comma 6, del decreto legislativo in questione a verificare, per quanto di competenza, la conformità delle Linee Guida ai principi e alle disposizioni ivi dettate, unitamente all’AgCom per quanto di competenza di quell’Autorità.

Tali Linee Guida sono indicate dal legislatore quali disposizioni necessarie “…per la commercializzazione dei diritti audiovisivi recanti regole in materia di offerta e di assegnazione dei diritti audiovisivi medesimi, criteri in materia di formazione dei relativi pacchetti e le ulteriori regole previste dal presente decreto in modo da garantire ai partecipanti alle procedure competitive di cui all'articolo 7 condizioni di assoluta equità, trasparenza e non discriminazione”.

Il “decreto Melandri”, quindi, pone un accento sulla necessità di garantire “in primis” gli stessi partecipanti, anche attraverso l’attenzione verso possibili formazioni di posizioni dominanti – ritiene il Collegio non necessariamente nella forma specifica dell’”abuso” di cui all’art. 102 TFUE – sulle quali è chiamata a vigilare la stessa AGCM avvalendosi degli ampi poteri di cui al richiamato art. 20 d.lgs. cit.

L’Autorità in questione, poi, unitamente all’AgCom e proprio al fine “…di garantire la concorrenza nel mercato dei diritti audiovisivi”, provvede sulle richieste dell'organizzatore della competizione volte a consentire limitate deroghe ai divieti di cui all'articolo 11, comma 6, secondo quanto previsto dall’art. 19, comma 1, del decreto.

Tale premessa è stata illustrata dal Collegio per evidenziare che – in tesi – l’intervento di “vigilanza” e di conseguente applicazione dei poteri sanzionatori da parte dell’AGCM in relazione alle procedure di cui al “decreto Melandri” è consentito, ed anzi auspicato, dallo stesso legislatore ma – in ipotesi – tale intervento deve essere finalizzato a verificare se, in concreto, vi siano state situazioni patologiche volte a evitare essenzialmente e principalmente la creazione di posizioni dominanti, secondo la preoccupazione esplicita del legislatore delegante.

Certo, aggiunge il Collegio, il richiamo di ordine generale di cui al ricordato art. 20 non impedisce all’AGCM di verificare la sussistenza di altre forme patologiche “anticoncorrenziali”, come le “intese”, ma ciò pur sempre in un’ottica contestualizzata al mercato di riferimento e ai soggetti in esso coinvolti, siano essi l’organizzatore della competizione, gli operatori della comunicazione e l’utente inteso quale consumatore finale, secondo le relative definizioni di cui all’art. 2 d.lgs. cit.

Risulta, infatti, che l’AGCM sia stata direttamente coinvolta dalla Lega, dapprima ai sensi dell’art. 6, comma 6, d.lgs. cit. al fine di verificare la conformità delle Linee Guida ai principi dettati dal decreto stesso e, successivamente, dopo l’assegnazione dei pacchetti e la conclusione della relativa procedura, al fine di concedere l’autorizzazione “in deroga” per la sub-licenza sul pacchetto D da RTI a Sky. In entrambi i casi, pur manifestando generiche perplessità, non risulta che l’Autorità abbia riscontrato alcuna violazione dei principi di cui al “decreto Melandri”, alla l. n. 287/90 o al TFUE tale da intervenire nei termini di legge o comunque in un lasso di tempo logico e proporzionato.

Fermo restando quanto ora illustrato, il Collegio rileva che le censure della ricorrente di cui ai primi cinque motivi di ricorso - che si ritiene di esaminare complessivamente - sono condivisibili sotto un profilo sostanziale che riguarda il provvedimento impugnato in ordine all’individuazione stessa di una condotta “anticoncorrenziale”, tramite un’intesa restrittiva della concorrenza “per oggetto” ritenuta particolarmente grave.

Tale intesa si sarebbe sostanziata nella ripartizione tra i due operatori principali del mercato delle “pay tv” dei diritti audiovisivi relativi al campionato di calcio di Serie A, stravolgendo il corretto svolgimento delle procedure competitive contemplate dal “decreto Melandri” mediante la sostituzione di una soluzione concordata all’esito del confronto competitivo previsto dalla legge, recando in tal modo pregiudizio al dispiegarsi di dinamiche concorrenziali fra gli operatori attivi sul mercato e ostacolando l’ingresso di potenziali nuovi operatori. Inoltre, risultava che nella versione finale del contratto di sub-licenza vi erano difformità con quanto a suo tempo comunicato all’Autorità, dato che, a fronte della condivisione di 22 partite del pacchetto D relative a una squadra di “prima fascia”, sussisteva una clausola che obbligava RTI a non trasmettere 22 (altri) eventi di una squadra del pacchetto B.

L’intesa era stata considerata restrittiva “per oggetto” – per cui non era necessaria la prova dell’intento soggettivo, era irrilevante che l’accordo non fosse nell’interesse commerciale di alcuni dei partecipanti e che tramite esso si perseguivano anche altri scopi leciti, non era necessario dimostrare un effetto diretto sui prezzi agli utenti finali – e quindi per la sua stessa natura dannosa per il buon funzionamento del gioco della concorrenza, essendo caratterizzata da un accordo spartitorio fra i due operatori attivi a livello nazionale e detentori della sostanziale totalità del mercato mediante l’acquisizione di contenuti “premium”, orientato alla ripartizione del mercato di riferimento della “pay tv”, in seguito all’alterazione del risultato della procedura competitiva prevista da una normativa speciale, con conseguente cristallizzazione delle posizioni di mercato determinate nel triennio precedente.

Ebbene, il Collegio rileva che l’articolata tesi dell’AGCM si fonda su due premesse maggiori: l’aggiudicazione “naturale” e non contestabile della procedura competitiva era quella che vedeva i pacchetti A e B in favore di un singolo operatore, con esclusione della possibilità di offerte “condizionate”; le parti coinvolte dovevano astenersi comunque da qualunque confronto su una diversa soluzione allocativa, pur in presenza di una situazione di incertezza interpretativa che si era formata dopo l’apertura delle buste contenenti le offerte.

Irrilevanti erano considerate le seguenti circostanze: la indiscussa presentazione di offerte competitive solo da parte dei due suddetti operatori, che la possibilità di indire una nuova gara era una mera “facoltà” per la Lega, che non risultava dimostrato come l’assetto conclusivo fosse stato penalizzante per i consumatori.

Sulla base di tali considerazioni, il Collegio rileva che nella vicenda in questione si può individuare – usando un gergo “colloquiale” – un “prima” e un “dopo”. In una fase iniziale, infatti, non si riscontrava alcun profilo “anticoncorrenziale”: le Linee Guida erano state approvate dalla stessa AGCM - sia pure con una certa perplessità - la quale evidentemente non riscontrava problematiche in ordine al ventaglio di aggiudicazioni possibili; le offerte presentate erano altamente competitive per quel che riguardava i due operatori principali del mercato, che, anzi, si erano confrontati più apertamente proprio sulle rispettive piattaforme “tradizionali” e avevano – ciascuno per il proprio interesse – insistito a tutelare le contrastanti posizioni all’esito dell’apertura delle buste e conosciute le rispettive posizioni, anche mediante atti di “diffida” e “controdiffida”, prospettando evidentemente un lungo contenzioso dagli esiti incerti.

In tale fase è quindi esclusa ogni volontà, palese o occulta, di pervenire ad accordi spartitori di qualunque tipo.

Il Collegio non può astenersi dall’osservare che se vi fosse stata la volontà di spartirsi il mercato – peraltro definito “oligopolistico” dalla stessa AGCM e occupato dai due operatori principali senza che si manifestassero segnali di effettiva concorrenzialità da parte di operatori terzi (come confermato dalla circostanza per la quale alla procedura in questione avevano partecipato solo altri due gruppi imprenditoriali di cui, uno, “Fox”, riconducibile alla stessa OMISSIS e l’altro, “Eurosport” che aveva effettuato un’offerta inferiore al minimo e per il, solo meno appetibile, pacchetto D) – sarebbe stato più facile per i due operatori formulare offerte solo per le rispettive piattaforme già occupate, non comportando l’invito ad offrire un obbligo di formulare offerte su tutti i pacchetti, anche senza pervenire a posizioni concordate sul punto, peraltro ovviamente vietate in una fase interiore alla gara.

L’intesa anticoncorrenziale si materializza, invece, secondo la ricostruzione dell’AGCM, coinvolgendo non solo i due operatori ma anche Lega e Infront: le quattro parti decidono di stravolgere l’esito “naturale della gara” e, ciascuna per un proprio interesse, pervengono a definire l’accordo spartitorio stigmatizzato dall’Autorità, di cui è parte integrante quello di sub-licenza, peraltro modificato dopo l’autorizzazione concessa ex art. 11, comma 6, d.lgs. n. 9/2008.

Tale ricostruzione al Collegio non appare convincente sotto diversi profili relativi alla disciplina sostanziale “antitrust”.

In primo luogo si osserva che, a fondamento di una fattispecie di “intesa” anticoncorrenziale, prima ancora di ogni approfondimento sulle rispettive posizioni soggettive, non può che individuarsi un interesse comune – non obbligatoriamente coincidente sotto un profilo economico – tra tutte le parti partecipanti. Solo un interesse comune in termini di vantaggio acquisibile all’esito dell’intesa stessa può infatti giustificare il potere sanzionatorio dell’AGCM che, nell’ambito della sua potestà individua una “pena” pecuniaria che si pone come “contrappeso” al vantaggio in questione, così da rendere “non conveniente” il ricorso a tale forma di condizionamento del mercato.

Solo successivamente, se acquisita la certezza del vantaggio “soggettivo” in questione, ci si può soffermare sui risvolti “oggettivi”, individuando una forma di intesa “per oggetto” o “per effetto”, in relazione stessa alla struttura della fattispecie.

Il Collegio ritiene che non può prescindersi da tale aspetto “cronologico”, dovendo l’Autorità preposta verificare sempre in via pregiudiziale quale vantaggio, anche solo ipotetico, avrebbero assunto le parti dal dar luogo alla specifica condotta inquadrata come intesa “anticoncorrenziale” e solo dopo, una volta prospettato con un determinato margine di certezza che tale vantaggio è configurabile, verificare se esso lo sia in forma per c.d. “astratta” (intesa “per oggetto) e terminare l’analisi ovvero continuarla per individuarne la forma per c.d. “concreta” (intesa “per effetto”).

Inoltre, anche nell’ipotesi di intesa restrittiva “per oggetto”, la giurisprudenza ha precisato che “…al fine di valutare se un accordo tra imprese presenti un grado di dannosità sufficiente per essere considerato come una ‘restrizione della concorrenza per oggetto’ ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, occorre riferirsi al tenore delle sue disposizioni, agli obiettivi che esso mira a raggiungere, nonché al contesto economico e giuridico nel quale si colloca” (Corte di Giustizia UE, Sez. II, Toshiba, in C-373/14 P nonché ING Pensii, in C‑172/14 ivi richiamata).

Da ciò ne deriva che comunque l’Autorità è sempre chiamata ad un’attività di valutazione del contesto economico e giuridico del mercato di riferimento e degli obiettivi fondanti la condotta sanzionata, nel senso che un’intesa “per oggetto” può qualificarsi tale solo se vi è mercato sufficientemente definito che risulti “bloccato” dall’intesa come congegnata e se gli obiettivi riconducibili al momento della sua posizione in essere siano “de plano” considerabili anticoncorrenziali.

Ebbene, nel caso di specie l’AGCM ha invece direttamente ritenuto la configurazione di un’intesa “per oggetto” ritenendola prevalente su ogni previa considerazione dei ricordati profili, soffermandosi in maniera poco convincente sul comune vantaggio che avrebbe spinto “a monte” le parti (essenzialmente a ridosso della giornata del 26 giugno 2014) a promuovere la condotta poi sanzionata quale “intesa anticoncorrenziale” e sulle ripercussioni di questa sul mercato in quanto tale.

Ebbene, per quel che riguarda la posizione della ricorrente, nel provvedimento impugnato non è chiarito quale specifico interesse alla conclusione dell’”intesa” riscontrata abbia mosso la Lega nei sensi sopra riportati, non risultando dimostrato come l’assetto specifico contestato abbia beneficiato la ricorrente né risultando considerato il contrapposto interesse ad evitare un articolato contenzioso che si andava prospettando dalle diffide delle imprese aggiudicatarie.

In tale provvedimento tutt’al più si fa riferimento ad un comune coinvolgimento della Lega con Infront, che sarebbe intervenuta direttamente a perorare la soluzione poi applicata facendo da organizzatrice e mediatrice con OMISSIS e RTI, ma tale conclusione suscita comunque perplessità alla luce delle risultanze istruttorie.

Non si rinviene, infatti, una uniformità di posizioni che unisca Infront, Lega, RTI e OMISSIS in una trama comune che abbia visto il consenso, sia pure implicito, alle rispettive iniziative.

Basta esaminare – in questo – già solo la posizione dell’”advisor” di cui non si riscontra alcun interesse conforme a quello della Lega e, di conseguenza, a quello dei due operatori commerciali. L’AGCM, infatti, ha preso a riferimento l’interesse “economico e diretto” di Infront circa l’esito dell’assegnazione dei diritti di cui al relativo contratto, che prevedeva la clausola “Obbligazione di risultato” (v. nota n. 143 del p.i., pag. 25) con la quale questa si obbligava a far sì che le fosse corrisposto un ricavato totale determinato o, in caso di mancato raggiungimento di tale esito, a corrispondere essa la differenza.

In questo, però, è individuabile ad opinione del Collegio un mero interesse economico legato all’adempimento dell’obbligazione contrattuale più che un interesse ad una specifica distribuzione di risorse tra operatori determinati, considerato che il contratto in questione era stato sottoscritto ben prima della data di presentazione delle offerte e dell’apertura delle buste, per cui esso era “neutro” rispetto all’identificazione dei partecipanti alla procedura che ben poteva – in ipotesi – vedere molti più operatori concorrere rispetto a quelli effettivamente poi offerenti.

Inoltre, si ravvisa una certa coerenza nella posizione di Infront, la quale – per stessa ammissione dell’AGCM – aveva in diverse occasioni sostenuto la tesi dell’impossibilità di assegnare i pacchetti A e B alla sola OMISSIS e ciò per ragioni plausibili laddove, in una mail (richiamata nel p.i. e) inviata a un presidente di una squadra di calcio di serie A, si evidenziava che “Come segnalato dalle stesse autorità, l’acquisizione di entrambi i pacchetti A e B produrrebbe inevitabilmente il formarsi di una posizione dominante nel mercato…OMISSIS ha da sempre, come riconosciuto dall’AGCM e dall’AgCom una posizione dominante”. Aggiunge Infront nella “mail” in questione che “In ogni caso questa è l’indicazione dell’advisor fermo restando che decide solo ed esclusivamente l’assemblea che è sovrana cui potrai rivolgere le tue osservazioni”.

Ne emerge un quadro che pone Infront come estranea ad influenze decisive sul volere della Lega, cui è rimandata ogni determinazione, e come soggetto che pone una problematica di ordine giuridico non pretestuosa ma da più fonti, anche di una certa autorevolezza, evidenziata (parere del consulente esterno, dichiarazioni in assemblea di esponenti di squadre di calcio).

Inoltre, il resto degli elementi “esogeni” richiamati dall’AGCM non coinvolge direttamente Infront ma riguarda scambi di “mail” tra gli operatori economici o tra questi e soggetti esterni che accomunano peraltro Lega e Infront senza individuare in quest’ultima una precisa volontà di favorire la specifica condotta per propri interessi legati alla “spartizione” di mercato.

A ciò si aggiunga che l’ulteriore elemento esogeno sui cui si fonda l’AGCM, consistente nella circostanza per la quale il rappresentante di Infront avrebbe telefonato nella mattina del 26 giugno 2014 all’amministratore delegato di OMISSIS per comunicare l’esito della vicenda relativa all’assegnazione (pacchetto A a Sky, pacchetti B e D a RTI con disponibilità di quest’ultima a “sub-licenziare” il secondo a OMISSIS ma pur sempre “…ai sensi del Decreto Melandri”, quindi subordinandola all’autorizzazione di AGCM/AgCom), non prova alcuna diretta influenza dell’”advisor” sulla decisione, dato che le testuali parole riportate nel provvedimento impugnato facevano chiaro riferimento a quanto operato “dalla Lega”, senza assumersi alcun merito o vantaggio specifico.

Anche la successiva telefonata richiamata, ove Infront prospetta a OMISSIS la condizione di procedere alla rinuncia al contenzioso affinché la Lega esprima il consenso ad avviare il procedimento di richiesta di sub-licenza, non appare idonea a concretizzare una partecipazione decisiva di Infront a stravolgere l’esito della procedura di assegnazione ma testimonia, semmai, la sua opera di mero raccordo, quale “advisor”, con operatori coinvolti in una complessa situazione di “stallo”, fondata peraltro non su pretestuosi elementi ma su ragioni giuridiche di sostanza.

Che “a posteriori” l’AGCM affermi in merito che in realtà l’assegnazione dei due pacchetti a OMISSIS non avrebbe integrato alcuna formazione di posizione dominante non è argomento idoneo a condizionare il giudizio sulla condotta delle parti, che – come detto - deve essere esaminata esclusivamente nella contestualizzazione degli eventi che, all’epoca, vedeva molti dubbi di fattibilità nell’assegnazione dei pacchetti più appetibili ad un unico operatore di mercato o anche una prevedibile incertezza sugli esiti di una nuova gara, una volta conosciuti gli importi offerti da RTI e OMISSIS nonché da Eurosport (inferiore al minimo e per il solo pacchetto D, meno appettibile e naturalmente collegato e dipendente dalla gestione dei pacchetti A e B), con non impossibile evenienza che anche il pacchetto D (ma non quello E) potesse essere ottenuto da Sky, con evidenti ulteriori perplessità riguardo al rispetto dell’art. 9, comma 4, del “decreto Melandri”, che la stessa AGCM nel procedere all’approvazione della Linee Guida, pur potendo, non aveva contribuito a prospettare e risolvere “ex ante”.

In definitiva, le tesi dell’AGCM (di cui a pagg. 79-80 del p.i.) - secondo cui Infront: a) aveva un interesse immediato e diretto circa il raggiungimento di determinati ricavi da parte della Lega; b) aveva svolto un ruolo di mediazione nelle discussioni fra le squadre e con Sky; c) aveva rappresentato una forza di promozione, organizzazione, propulsione e coordinamento nell’intesa – non appaiono convincenti ai fini dell’irrogazione di una sanzione “antitrust” per le seguenti ragioni.

In relazione al punto sub a), il Collegio richiama quanto sopra anticipato, nel senso che la modalità di pattuizione del compenso riguarda il rapporto contrattuale Lega/Infront e non certo lo specifico risultato derivante dall’assegnazione come effettuata, per cui non è chiarito nel provvedimento impugnato come il compenso in questione abbia costituito la “molla di propulsione” dell’intesa come sanzionata; inoltre, la pattuizione riguardava la Lega e il suo “advisor” e non vi sono elementi da cui l’AGCM abbia rilevato una pattuizione o anche una forma di accordo tra Infront e Sky/RTI per addivenire alla soluzione finale censurata dall’Autorità ovvero dai quali dedurre che Infront aveva un interesse alla permanenza della precedente divisione dei diritti e ad impedire l’ingresso di nuovi operatori con eventuale incremento dei proventi della Lega stessa.

In relazione al punto sub b), non emerge un ruolo di mediazione decisiva nei confronti dei partecipanti all’”intesa”, soprattutto di RTI (di cui sono acquisite solo “mail interne” prive di efficacia probatoria decisiva), fermo restando che risulta espressamente come il rappresentante stesso di Infront affermi in una comunicazione che l’assemblea di Lega è sovrana nella decisione e fermo restando che la possibilità di formare “interfaccia” con alcuni esponenti di squadre di calcio in un momento – da contestualizzare – di estrema incertezza sulla modalità di assegnazione finale appare consona al ruolo di “advisor” proprio di Infront, dal cui atteggiamento non emerge alcuna forma di imposizione o pressione sconveniente nei confronti di Sky, RTI, Lega o anche altri esponenti di squadre di calcio.

In relazione al punto sub c), non si riscontrano elementi da cui dedurre che Infront abbia svolto un ruolo di “decision maker” e di promozione/propulsione e coordinamento dell’intesa, dato che essa si è limitata a prospettare alle parti le soluzioni possibili, esprimendo la sua opinione di consulente, senza imporre alcuna decisione in merito e senza dare luogo a una forma di concorso “atipico” nell’illecito quale “collante” dell’intesa, non riscontrandosi alcun profilo di interesse in tal senso.

Ne consegue che, non riscontrandosi alcun accordo Lega/Infront, non può rinvenirsi alcuna comunanza di intenti tra i quattro soggetti sanzionati.

Da ultimo, per completezza di esame della complessa fattispecie posta alla sua attenzione, il Collegio ritiene anche di soffermarsi sulla questione “nodale” di essa, relativa alla sussistenza o meno di un illecito “antitrust”.

Come sopra evidenziato, l’AGCM ha ritenuto che la condotta delle parti concretizzasse una forma di “intesa per oggetto” in quanto rivolta alla ripartizione del mercato, individuato in quello dei diritti televisivi relativi agli eventi calcistici la cui organizzazione è riconducibile alla Lega.

Ai fini della individuazione di tale forma di illecito, la stessa giurisprudenza riportata dall’AGCM, sia nel provvedimento impugnato sia nelle sue difese, ritiene necessaria un’interpretazione “rigorosa”, nel senso che il rilevato coordinamento deve dare luogo per la sua stessa natura a un grado di dannosità per il buon funzionamento del normale confronto concorrenziale tale da non individuare come necessaria alcuna ulteriore indagine sugli effetti concreti da esso derivanti (Corte CE, C-172/14 cit.).

Deve trattarsi, come sostanzialmente rilevato dalla ricorrente ma anche dalle altre parti coinvolte nel procedimento, di una forma di accordo, sia pure “atipica” e quindi non strettamente legata al c.d. “big ridding” quale programmazione anticipata di risultati di una gara, priva – aggiunge il Collegio – di qualsiasi giustificazione economica diversa, in un contesto di mercato comunque ben definito che vede un certo numero di “competitors” e con caratteristiche idonee a contribuire al dispiegarsi naturale di forme di concorrenza “orizzontale”.

L’intesa “per oggetto”, quindi, deve consistere in una fattispecie rivolta ad impedire l’ordinario confronto concorrenziale “a monte” del mercato, tale da impedire l’ingresso o il permanere in esso di altri operatori anche mediante una semplice allocazione di risorse idonea a condizionare il futuro funzionamento dello stesso.

Nel caso di specie, però, tali caratteristiche non si riescono ad individuare.

Non è verosimilmente contestabile che il mercato dei diritti televisivi della “pay tv”, in vigore ormai da molti anni, sia contraddistinto da una penetrazione pressoché totalitaria di due soli operatori (OMISSIS e RTI/Mediaset per il 96,80%), come indicato nello stesso provvedimento impugnato. Né si rinvengono elementi – e comunque l’AGCM non li richiama se non in via ipotetica e futura – da cui dedurre che tale mercato sia in espansione “soggettiva”, nel senso dell’esistenza di una ragionevole previsione di ingresso di altri operatori, dotati di forza economica comparabile a quella dei due sopra richiamati. La circostanza è confermata in misura ancora più netta, per quanto riguarda il mercato dei diritti calcistici dei campionati di calcio professionistici, dall’andamento della procedura in esame, ove solo due operatori (sempre i medesimi, Sky/Fox e RTI) hanno formulato offerte superiori al minimo prefissato.

Il terzo operatore (Eurosport) che era entrato in competizione, infatti, oltre ad aver effettuato un’offerta inferiore al minimo per il solo pacchetto D – come osservato nel corso del giudizio e non confutato dalle difese dell’Autorità – svolge in realtà attività di “content provider” e non di intermediario di diritti televisivi o di impresa televisiva, quale operatore “wholesale” attivo in un mercato diverso rispetto a quello “retail” della “pay tv” e con rapporti di “partnership” commerciale proprio con OMISSIS e RTI/Mediaset, a cui fornisce canali sia prima che dopo l’espletamento della procedura in questione.

Né emerge che Eurosport potesse trarre alcun sicuro vantaggio, anche in un’ottica concorrenziale “pura”, da un’eventuale riedizione della gara, una volta conosciute le sue potenzialità di offerta di gran lunga inferiori a quelle degli altri due unici “competitors”.

Nel provvedimento impugnato manca, quindi, l’illustrazione di elementi di ragionevole previsione sui quali fondare la convinzione che - in assenza dell’assetto poi concretamente formatosi a seguito dell’attribuzione distinta di A e B con sub-licenza per D ai sensi di legge e con la riedizione della gara – Eurosport (o anche ulteriori operatori) avrebbe(ro) avuto concrete possibilità di entrare nel mercato in questione per competere con efficacia.

Ne consegue che la soluzione orientata all’attribuzione dei due pacchetti principali ad uno solo dei due operatori (peraltro quello “incumbent”, presente da più anni sul mercato, con formazione di consistenti utili), come propugnata, a posteriori, dall’AGCM, non sembrava certo idonea a consentire una svolta “pro-concorrenziale”, pur in disparte ogni considerazione sulla posizione “dominante” o meno che tale operatore avrebbe (ri)acquistato.

E’ mancata, in sostanza, un’accurata analisi del mercato rilevante come concretamente strutturato che è comunque necessaria anche nell’ipotesi di intesa anticoncorrenziale “per oggetto”.

Per tale ragione, l’allocazione delle risorse in questione, anche se collegata ad un accordo per la sub-licenza, ha assunto una funzione “pro-concorrenziale” nella peculiarità del mercato di riferimento, consentendo il confronto concorrenziale tra i due unici operatori esistenti, con conseguenze tangibili anche sul piano dei vantaggi per i consumatori, che non hanno infatti visto un aumento dei prezzi per i rispettivi “abbonamenti”, come dimostrato da tabelle allegate nei contributi procedimentali delle parti. Che vi sia stato un andamento generale in ascesa dei prezzi di abbonamento alla “pay tv” negli ultimi anni, come illustrato in altra tabella dall’AGCM, non è argomento valido a confutare la conclusione ora riportata, in quanto tale andamento dei prezzi riguarda comunque l’intera piattaforma offerta e non i soli diritti audiovisivi calcistici e ben può essere legato all’incremento dei contenuti offerti e alla loro conformazione a una tecnologia migliorativa in continua evoluzione.

Alla luce di quanto illustrato, in definitiva, il Collegio rileva che l’assetto preso in considerazione dall’AGCM:

a) non può definirsi quale “accordo spartitorio”, dato che le parti hanno consentito il perpetuarsi di una concorrenza che altrimenti non ci sarebbe stata;

b) non può rientrare nella fattispecie dell’intesa anticoncorrenziale “per oggetto”, in quanto non è stata dimostrata una sua dannosità presuntiva per ripartizione di mercato, dato che non era accertata “a priori” la rispettiva quota di tale mercato e la clientela dei consumatori rimaneva pienamente contendibile;

c) la “causa” contrattuale alla base della sub-licenza per il pacchetto D richiesta dalla Lega e autorizzata dall’AGCM era pienamente lecita, in quanto orientata ad evitare contenziosi futuri, “stallo” del mercato e ulteriori inconvenienti per i consumatori, mantenendo la concorrenza effettiva in assenza di nuovi operatori concretamente interessati all’ingresso nel mercato specifico;

d) la soluzione alternativa propugnata a posteriori dall’AGCM non dava certezze in ordine ad un sicuro incremento della concorrenzialità in termini più estesi di quelli poi verificatisi, con altrettanti sicuri benefici per la Lega e i consumatori;

e) l’assetto definitivo appare anche rispettoso della normativa di cui all’art. 1, comma 3, lett. h), l. n. 106/2007 e all’art. 1 d.lgs. n. 9/2008.

Alla luce di quanto illustrato, quindi, il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato e assorbimento degli ulteriori motivi volti a contestare rilievi procedurali e, in via subordinata, la misura della sanzione.

Le spese di lite possono eccezionalmente compensarsi per intero, attesa l’estrema complessità e la novità della fattispecie.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato per quanto riguarda la sanzione irrogata nei confronti della ricorrente.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 9 novembre 2016 con l'intervento dei magistrati:

Carmine Volpe, Presidente

Ivo Correale, Consigliere, Estensore

Lucia Maria Brancatelli, Referendario

 

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