T.A.R. LAZIO SEDE DI ROMA – SEZIONE PRIMA – ORDINANZA DEL 28/01/2022 N. 585

Pubblicato il 28/01/2022

N. 00585/2022 REG.PROV.CAU.

N. 12323/2021 REG.RIC.           

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 12323 del 2021, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Enrico Lubrano, Filippo Lubrano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Enrico Lubrano in Roma, via Flaminia 79;

contro

C.O.N.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alberto Angeletti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; -OMISSIS-, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia, dei provvedimenti emessi dal procuratore Nazionale Antidoping ed in particolare:

I) in sede cautelare (e poi successivamente, anche in sede di merito), inibire al -OMISSIS-ogni ulteriore attività di invio di comunicazioni a terzi, che, per le ragioni sopra esposte, potrebbe comportare la produzione di altro pregiudizio nei confronti dello stesso dott. -OMISSIS-: tale richiesta viene, anche, formulata a titolo cautelare, richiedendo che venga, all'uopo, prima della trattazione del merito del ricorso, fissata la camera di consiglio per la trattazione della inibitoria e l'adozione dello stesso con provvedimento cautelare;

IBIS) in via subordinata cautelare, rispetto alla immediata adozione in sede cautelare di provvedimento inibitorio nei confronti della -OMISSIS-, si chiede che, in via interinale, il Tribunale, ritenuta la evidente urgenza della definizione del ricorso, anche per evitare la produzione a carico del dott. -OMISSIS- di ulteriori danni (dei quali potrebbe, poi, rispondere il pubblico erario), voglia, ai sensi dell'art. 55, comma 10, C.P.A., disporre la sollecita fissazione dell'udienza per la trattazione del ricorso;

II) in sede di merito, condannare la -OMISSIS- al risarcimento del danno arrecato al dott. -OMISSIS- a seguito dei richiamati interventi del -OMISSIS-e delle conseguenti determinazioni assunte dalle -OMISSIS-, che hanno sospeso l'attività del dott. -OMISSIS- (danno che sarà precisato nel corso del giudizio in relazione anche alla durata del procedimento giudiziale);

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di C.O.N.I.;

Vista la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dalla parte ricorrente;

Visto l'art. 55 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Ritenuta la propria giurisdizione e competenza;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2022 il dott. Luigi Furno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

I motivi di impugnazione non evidenziano, all’esito della cognizione tipica della fase cautelare, una ragionevole previsione di accoglimento del ricorso.

Per una migliore comprensione della presente decisione cautelare, appare opportuno ricostruire, sulla base degli atti versati in giudizio, il quadro fattuale da cui prendono le mosse i provvedimenti impugnati del presente procedimento.

All’esito delle indagini svolte dalla-OMISSIS-, avviate a seguito del decesso di un giovane ciclista, la -OMISSIS- deferiva l’odierno ricorrente dinanzi al Tribunale Nazionale Antidoping per la violazione degli artt. 2.7, 2.8, 2.9 e 3.2 delle Norme Sportive Antidoping.

L’assunto accusatorio mirava a dimostrare il coinvolgimento dell’odierno ricorrente nelle pratiche dopanti compiute dai componenti di una squadra ciclistica e da altri ciclisti dilettanti.

A conclusione del relativo giudizio, il Tribunale Nazionale Antidoping riteneva provate le violazioni da parte dell’odierno ricorrente degli artt. 2.9 e 3.2. delle Norme Sportive Antidoping, in particolare ritenendolo responsabile di aver fornito assistenza ad atleti, in violazione della normativa di settore antidoping.

Per tali ragioni il Tribunale Nazionale Antidoping, con decisione n. 43/2019, infliggeva al ricorrente la sanzione dell’inibizione per anni 4 a decorrere dal 14.1.21 con scadenza al 13.1.25.

La condanna passava in cosa giudicata all’esito della successiva decisione di conferma n. 22/2021 da parte della Corte Nazionale d’Appello Antidoping.

Successivamente la -OMISSIS- riceveva una comunicazione da parte della Federazione Ciclistica Italiana con la quale si segnalava il rilascio da parte del ricorrente di certificati di idoneità sportiva nei confronti di vari atleti.

A seguito di accertamenti finalizzati a riscontrare il contenuto della predetta segnalazione, la Procura Antidoping contestava al ricorrente la violazione dell’art. 11.14 del Codice Sportivo Antidoping per aver svolto attività vietata in costanza di inibizione.

Tale contestazione veniva integrata a seguito della ricezione di una ulteriore segnalazione inviata, in data 8.10.2021, dai-OMISSIS-ed inerente agli accertamenti eseguiti presso le strutture sanitarie -OMISSIS-, e ai successivi riscontri effettuati presso alcune associazioni sportive, mediante l’ audizione a campione di alcuni atleti.

Da tali ulteriori accertamenti emergeva, in particolare, che il ricorrente aveva rilasciato ad alcuni atleti il certificato di idoneità sportiva agonistica.

Quest’ultima segnalazione veniva trasmessa anche alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Grosseto.

Sulla base di tali presupposti fattuali, il -OMISSIS-provvedeva ad informare le strutture sanitarie interessate del fatto che al ricorrente, in ragione della inibizione inflittagli dalla giustizia antidoping, era vietato intrattenere rapporti professionali con atleti tesserati presso Federazioni e Discipline Sportive Associate.

Analoga iniziativa informativa veniva intrapresa dal -OMISSIS-anche nei confronti dei tesserati che avevano ottenuto certificati di idoneità sportiva agonistica dal ricorrente.

Le predette missive si incaricavano anche di evidenziare le gravi conseguenze cui, sotto il profilo della normativa di settore antidoping, le strutture sanitarie e gli atleti-tesserati sarebbero andati incontro, nel caso in cui avessero continuato ad avvalersi del ricorrente ai fini del rilascio di certificati di idoneità sportiva da utilizzare nell’ambito di competizioni sportive agonistiche.

Orbene, il ricorrente nel presente procedimento assume l’illegittimità di tali, a suo dire minatorie, missive, in quanto asseritamente adottate dalla procura antidoping al di fuori del perimetro delle proprie competenze.

A tali missive, nella prospettiva del ricorrente, sarebbero riconducibili, sotto il profilo causale, i successivi provvedimenti con i quali le predette strutture sanitarie hanno deciso di recidere il rapporto di lavoro professionale con il ricorrente, causandogli rilevanti danni sotto il profilo patrimoniale e non patrimoniale (cfr. la perizia medica prodotta agli atti del presente procedimento).

Sulla base di tali ragioni, l’odierno ricorrente nel presente giudizio chiede la inibizione in via cautelare al -OMISSIS- di ogni ulteriore attività di invio di comunicazioni a terzi che, per le ragioni esposte nel ricorso, potrebbe comportare la produzione di un pregiudizio nei confronti del ricorrente.

Le censure formulate dal ricorrente non convincono, sia pure nell’ambito di una cognizione sommaria, tipica della presente fase cautelare.

Come noto, l’organizzazione per la lotta al doping è caratterizzata da un complesso sistema di governato da specifiche norme internazionali recepite dallo Stato Italiano con la L. n. 230/2007.

Al vertice di tale sistema è posta la -OMISSIS-, acronimo di -OMISSIS-, dalla quale derivano funzionalmente le Organizzazioni Nazionali Antidoping istituite dagli Stati aderenti alla Convenzione Internazionale contro il Doping, adottata a Parigi il 19.10.05 dalla Conferenza Generale dell’UNESCO, cui l’Italia ha aderito, con la citata L. n. 230/07.

Ai sensi degli artt. 3 e ss. della Convenzione Internazionale contro il Doping, lo Stato Italiano si è impegnato ad adottare misure adeguate a livello nazionale e internazionale conformi ai principi sanciti dal Codice Mondiale Antidoping adottato dalla -OMISSIS-, nonché a garantire l’applicazione della Convenzione e ad adempiere ai propri obblighi mediante apposite organizzazioni Antidoping.

In esecuzione della predetta Convenzione è stata istituita, con la legge 26.11.2007 n. 230 -OMISSIS-, ovvero l’Organizzazione Nazionale Antidoping, derivazione funzionale della Agenzia Mondiale Antidoping/-OMISSIS-.

Il Codice Sportivo Antidoping è stato adottato da -OMISSIS- Italia in applicazione del Codice Mondiale Antidoping (Codice -OMISSIS-).

Per quanto più propriamente rileva nel presente giudizio, l’art. 11.14 del Codice Sportivo Antidoping recante il titolo “Status durante la squalifica o la sospensione cautelare” dispone al paragrafo 1 che “nessun Atleta o altra Persona squalificata o soggetta a sospensione cautelare può partecipare a qualsiasi titolo, per tutto il periodo di squalifica o di sospensione cautelare, ad una competizione o ad un’attività (con l’eccezione dei programmi di formazione antidoping e riabilitazione autorizzati da -OMISSIS- Italia) che sia autorizzata o organizzata da un Firmatario del Codice -OMISSIS-, da un’organizzazione ad esso affiliata, da una società o altra organizzazione affiliata ad un’organizzazione affiliata a un Firmatario, oppure a competizioni autorizzate o organizzate da una lega professionistica o da una qualsiasi organizzazione di eventi sportivi a livello nazionale o internazionale, o qualsiasi attività sportiva agonistica di alto livello o di livello nazionale finanziata da un ente governativo”.

Correlativamente l’art. 2 del Codice Sportivo Antidoping inserisce tra le violazioni della normativa sportiva antidoping il “Divieto di associazione da parte di un Atleta o Altra Persona” (art. 2.10) disponendo che:

“2.10.1 L’associazione da parte di un Atleta o Altra Persona soggetta all’autorità di un’Organizzazione antidoping, in veste professionale o in altra veste sportiva, con una Persona a supporto dell’Atleta che:

2.10.1.1 se soggetta all’autorità di un’Organizzazione antidoping, stia scontando un periodo di squalifica, oppure

2.10.1.2 se non soggetta all’autorità di un’Organizzazione antidoping, e nel caso in cui la squalifica non sia stata trattata nell’ambito della procedura di gestione dei risultati ai sensi del Codice -OMISSIS-, sia stata condannata o ritenuta colpevole solo nell’ambito di un procedimento penale, disciplinare o professionale per aver assunto una condotta che costituisca violazione della normativa antidoping se siano state applicate a tale Persona norme conformi al Codice -OMISSIS-. Lo stato di squalifica di tale persona sarà valido per un periodo non superiore a sei (6) anni dalla decisione in sede penale, professionale o disciplinare ovvero per la durata della sanzione penale, disciplinare o professionale; oppure

2.10.1.3 funga da copertura o da intermediario per un soggetto descritto all’articolo 2.10.1.1 oppure

2.10.2 Per configurarsi una violazione dell’articolo 2.10, un’Organizzazione antidoping deve stabilire che l’Atleta o altra Persona siano a conoscenza dello stato di squalifica della Persona di supporto dell’Atleta.

Spetta all’Atleta o ad altra Persona stabilire che qualsiasi associazione con una Persona di Supporto all’Atleta descritta all’articolo 2.10.1.1 o 2.10.1.2 non sia a titolo professionale o sportivo e/o che tale associazione non avrebbe potuto essere ragionevolmente evitata.

Le Organizzazioni Anti-Doping che siano a conoscenza di Personale di Supporto dell’Atleta che soddisfi i criteri descritti all’articolo 2.10.1.1, 2.10.1.2, o 2.10.1.3 devono fornire tali informazioni alla -OMISSIS-”.

Sulla base di un’esegesi meramente letterale delle richiamate disposizioni, risulta del tutto plausibile che la persona di supporto dell’atleta professionista possa essere individuata nel medico sportivo che in suo favore rilascia certificati di idoneità sportiva.

Quanto poi alla locuzione “associazione” di un’atleta a una persona posta a suo supporto, non appare condivisibile il rilievo, evidenziato nel corso delle sue difese orali dalla parte ricorrente, per cui per associazione deve necessariamente intendersi un’attività organizzata di almeno tre persone verso la realizzazione di fini comuni, essendo piuttosto quest’ultimo il significato che tale termine assume in relazione ad un particolare istituto giuridico presente nell’ordinamento penale, vale a dire l’ associazione per delinquere.

Al di fuori di questo ambito, il termine associazione non presenta sempre lo stesso significato.

Sotto il versante strettamente etimologico, la parola associazione deriva dal latino ed assume i seguenti significati: composto da, compagno, alleato.

Mentre sotto il profilo semantico indica un’unione o un’aggregazione, un’alleanza.

Del resto, ad ulteriore riprova del suo carattere polisemico, giova considerare che anche nell’ordinamento giuridico statale il termine associazione assume diversi significati a seconda del contesto normativo in cui viene utilizzato.

Basti sul punto menzionare, a titolo esemplificativo, l’istituto del contratto di associazione in partecipazione, a dimostrazione della circostanza per cui tale espressione non è affatto incompatibile anche con un accordo divisato soltanto tra due persone.

Dalle considerazioni precedenti discende, pertanto, che il criterio interpretativo letterale non appare di per sé decisivo.

Tuttavia, in disparte tale ultimo rilievo, si può certamente ritenere che anche sotto il profilo della interpretazione meramente letterale, non appare implausibile ritenere che, con la locuzione associazione tra un atleta e una persona a suo supporto si intenda il rapporto professionale tra medico ed atleta in virtù del quale il primo sottoponga il secondo a pratiche mediche ovvero nel corso del quale gli fornisca assistenza al fine di consentirne la partecipazione ad una competizione.

Tale approdo interpretativo rinviene decisivi argomenti nella interpretazione logica, teleologica e sistematica delle disposizioni in disamina.

Sul piano dell’interpretazione teleologica, la complessiva lettura del riportato impianto regolatorio lascia emergere una ratio che chiaramente riposa nella esigenza di evitare che soggetti non tesserati e condannati per violazione della disciplina anti doping continuino a porre in essere atti funzionalmente connessi al mondo dello sport professionistico, quali certamente appare, a parere del Collegio, il rilascio di certificati all’idoneità sportiva professionistica, traducendosi gli stessi in un’attività di supporto dell’atleta, ove solo si rifletta sulla loro indispensabilità ai fini dell’espletamento di qualsivoglia tipologia di attività agonistica.

Né a diversi risultati conduce l’interpretazione logica, atteso che una diversa ermeneusi, che consentisse al medico interdetto di continuare a svolgere atti della professione funzionalmente collegati all’ordinamento sportivo, rappresenterebbe una patente elusione della sanzione interdittiva, la quale, per tale via, finirebbe per assumere una portata meramente teorica.

Sotto quest’ultimo angolo di visuale, appare del tutto evidente che, in relazione alla categoria dei medici, il divieto di partecipazione ad attività di carattere sportivo non può che concernere le prestazioni professionali connesse con le attività agonistiche degli atleti e, quindi, i rapporti che i medici intrattengono con atleti ai fini della loro partecipazione ad attività sportive agonistiche.

In linea con quest’ultima considerazione, mette conto di evidenziare che anche l’originaria sanzione dalla quale è stato colpito l’odierno ricorrente ha avuto origine da un’attività di supporto medico svolta da parte di chi non rivestiva la qualifica di tesserato. Non era tale, invero, l’odierno ricorrente anche al tempo dei fatti da cui sono scaturiti i procedimenti antidoping conclusisi con la sua condanna.

Da tutto quanto precede si ricava anche la ragione per la quale sono positivamente previsti doveri di avviso anche nei confronti di atleti, in ordine al rischio cui potrebbero andare incontro, laddove si avvalessero di certificati rilasciati da medici sportivi che siano stati destinatari.

Costoro, infatti, potrebbero in buona fede ignorare la circostanza di essersi rivolti ad un medico interdetto.

Del resto, a non differenti conclusioni si giunge anche alla luce di una più ampia interpretazione di sistema, rispetto alla quale assume particolare rilevanza quanto stabilisce l’art. 2 del Codice Mondiale Antidoping, certamente applicabile al caso di specie in ragione del notorio carattere piramidale che contrassegna l’ordinamento sportivo, di cui si è dato conto in precedenza.

In particolare, l’art. 2.10 ultima parte del Codice Mondiale Antidoping dispone che affinché il divieto di associazione trovi applicazione, è necessario che l’atleta o l’altra persona siano stati informati preventivamente per iscritto da parte dell’organizzazione antidoping competente, ovvero della -OMISSIS-, in ordine allo stato di squalifica del personale di supporto dell’atleta e alle potenziali conseguenze derivanti dal divieto di associazione.

D’altronde, come puntualmente osservato dalla parte resistente, il commento a tale norma precisa che “gli atleti e le altre persone sono tenute ad astenersi dal collaborare con allenatori, preparatori o altro personale di supporto dell’atleta che risultino inammissibili a causa di violazione del regolamento antidoping ovvero che siano stati condannati in sede penale ovvero siano stati oggetto di misure disciplinari da parte di organismi professionali per questioni legate al doping. Tra le tipologie di associazione da ritenersi vietate figurano: ottenere consulenze relative ad allenamento, strategia, tecnica, alimentazione o di natura medica; ottenere terapie, cure o prescrizioni; fornire eventuali prodotti corporei per lo svolgimento di analisi; ovvero consentire al personale di supporto dell’atleta di fungere da agente o rappresentante. Affinché si concretizzi il divieto di associazione non è necessario che sia prevista alcuna forma di retribuzione”.

Appare del tutto plausibile, alla luce delle argomentazioni che precedono, ricomprendere nella locuzione “associazione tra uno sportivo professionista e una persona a suo supporto” gli allenatori, i preparatori atletici, i manager, il personale medico e paramedico, i genitori dell’atleta ed ogni altra persona che sottoponga l’atleta a pratiche mediche o che gli fornisca assistenza al fine della partecipazione ad una competizione.

Da ciò discende che, sempre sulla scorta delle precedente osservazioni, tali attività dovranno intendersi proibite ogni qualvolta uno dei soggetti appena menzionati sia stato colpito da una sanzione ai sensi della normativa sportiva anti-doping durante l’intero corso di durata della sanzione.

Sempre sul versante sistematico, particolare rilevanza, ai fini della presente decisione, assume la disposizione che disciplina i poteri di indagine della procura antidoping.

L’art. 22 delle norme sportive antidoping stabilisce, infatti, che “Al fine di una efficiente ed incisiva strategia antidoping la PNA, anche in concorso con i soggetti di cui al successivo articolo 23, pone in essere tutte le più opportune attività di indagine – nel rispetto dei principi di equità, integrità ed imparzialità - volte a prevenire ed accertare violazioni della normativa antidoping, e segnatamente:

a)Esiti atipici ed Esiti avversi risultanti dal Passaporto biologico;

b)ulteriori violazioni della normativa antidoping con particolare riguardo a quanto previsto dall’articolo 7.7 del Codice -OMISSIS-;

c)coinvolgimento del Personale di supporto dell’Atleta o di altre persone nell’ambito di una violazione della normativa antidoping.

22.2 La-OMISSIS-procede alla tempestiva conclusione delle indagini con conseguente provvedimento di archiviazione ovvero di deferimento alla competente sezione del -OMISSIS-”.

Come si ricava da una piana lettura di quest’ultima disposizione, la procura antidoping è dotata di poteri di indagine che non si limitano, in via retrospettiva, a ricercare le prove in relazione ad una già avvenuta violazione della normativa antidoping.

Essa, al contrario, è attributaria anche del potere di svolgere ampie indagini in un’ottica marcatamente preventiva, in quanto finalizzate a scongiurare il pericolo che possano commettersi future violazioni della normativa antidoping.

Ne consegue che, proprio nel quadro di tali ampli poteri di indagine preventiva, si inscrive il potere di segnalare a strutture e atleti, che si avvalgono del supporto di medici destinatari di una sanzione interdittiva, i rischi cui possono andare incontro sotto il versante delle sanzioni dell’ordinamento sportivo o comunque sotto il profilo della validità dei certificati medici rilasciati.

Da tutto quanto precede discende che la sanzione interdittiva comminata all’odierno ricorrente avrebbe dovuto impedire allo stesso di intrattenere qualsivoglia rapporto con atleti tesserati per Federazioni Sportive o per Discipline Sportive Associate soggetti alla normativa antidoping, per ragioni o finalità riconducibili alle attività sportive svolte dagli atleti, tra le quali indubbiamente rientrano le prestazioni specialistiche ed il rilascio di certificazioni di idoneità sportiva che direttamente attengono allo svolgimento di attività sportiva agonistica.

Né, infine, appare condivisibile l’ulteriore assunto di parte resistente che, argomentando dalla risoluzione dei suoi rapporti di lavoro con le strutture sanitarie, verificatasi, a suo dire, per effetto delle missive inviate dalla procura antidoping, ne ricava l’ulteriore conseguenza per cui in tal modo la procura antidoping lo priverebbe tout court della possibilità di svolgere attività professionale di medico sportivo.

In senso contrario, occorre osservare che il -OMISSIS-non è mai intervenuto con lo scopo di impedire l’attività professionale svolta dal ricorrente in favore delle due strutture sanitarie, ma esclusivamente al più limitato fine di segnalare alle stesse, sulla base di quanto previsto dal Codice Sportivo Antidoping, che la posizione del ricorrente, in ragione della sanzione inflittagli, gli impediva di intrattenere rapporti professionali con atleti tesserati con Federazioni Sportive. .

Detto in altri termini, ciò che al ricorrente appare precluso in ragione della condanna subita, è l’esercizio di un segmento della più ampia attività di medico sportivo e segnatamente quello afferente ad atti della professione medica funzionalmente collegati con l’attività sportiva agonistica,

Sulla base delle ragioni che precedono, l’istanza cautelare deve essere respinta.

La complessità delle questioni esaminate giustifica la compensazione delle spese di fase.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter) respinge la domanda cautelare.

Compensa le spese della presente fase cautelare.

La presente ordinanza sarà eseguita dall'Amministrazione ed è depositata presso la segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente e le altre strutture indicate nell’epigrafe e nella motivazione.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2022 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Arzillo, Presidente

Anna Maria Verlengia, Consigliere

Luigi Furno, Referendario, Estensore

 

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