T.A.R. LAZIO SEDE DI ROMA – SEZIONE PRIMA – SENTENZA DEL 30/05/2022 N. 7045

Pubblicato il 30/05/2022

N. 07045/2022 REG.PROV.COLL.

N. 07876/2021 REG.RIC.

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Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 7876 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da A.C. Chievo Verona S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano De Bosio, Flavio Iacovone, Andrea Manzi, Bernardo Giorgio Mattarella, Daniele Ripamonti, Luisa Torchia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

CO.N.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alberto Angeletti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; F.I.G.C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giancarlo Viglione, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Cosenza Calcio S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Fantini, Luca Spaziani, Gianluca Cambareri, Maria Serpieri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento, per quanto riguarda il ricorso introduttivo:

- della decisione del Collegio di Garanzia dello Sport n. 1045/2021 del 26 luglio 2021 di rigetto del ricorso proposto da A.C. Chievo Verona S.r.l. per l'annullamento del provvedimento del Consiglio Federale della Federazione Italiana Giuoco Calcio (“FIGC”), di cui al Comunicato Ufficiale n. 12/A del 16 luglio 2021 e di tutti gli atti presupposti;

- del provvedimento del Consiglio Federale della Federazione Italiana Giuoco Calcio di cui al Comunicato Ufficiale n. 12/A del 16 luglio 2021;

- della decisione della Commissione Vigilanza Società di Calcio “Co.Vi.So.C.” n. 4650/2021 dell'8 luglio 2021, di diniego della concessione, in favore di A.C. Chievo Verona S.r.l., della Licenza Nazionale per l'iscrizione al Campionato di Serie B per l'anno 2021/2022;

- di ogni altro atto, anche incognito, presupposto, conseguente e/o comunque connesso ai precedenti, nonché per l'accertamento del diritto di A.C. Chievo Verona S.r.l. all'ammissione al campionato di calcio di serie B per la stagione sportiva 2021-2022 e per il risarcimento dei danni subiti e subendi dalla Società per effetto dei provvedimenti impugnati.

Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da A.C. Chievo Verona S.r.l. in data 6/8/2021:

per l'annullamento:

- del Comunicato Ufficiale della FIGC n. 45/A, del 3 agosto 2021, con il quale il Presidente Federale ha deliberato lo svincolo d'autorità dei calciatori tesserati per il A.C. Chievo Verona S.r.l. ;

- del Sistema delle Licenze Nazionali 2021/2022 per la Lega Nazionale Professionisti di Serie B, in particolare dei punti 14 e 15 del Titolo I, lett. C) e le lettere D) ed E) del Titolo I, approvato dal Consiglio Federale della FIGC attraverso il Comunicato Ufficiale n. 252/A del 21 maggio 2021;

- di ogni altro atto, anche incognito, ad essi presupposto, conseguente e/o comunque connesso, in particolare quelli impugnati con il ricorso principale.

Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da A.C. Chievo Verona S.r.l. il 6/9/2021:

per l'annullamento della decisione del Collegio di Garanzia dello Sport n. 1045/2021 del 26 luglio 2021 di rigetto del ricorso proposto da A.C. Chievo Verona S.r.l per l'annullamento del provvedimento del Consiglio Federale della FIGC di cui al Comunicato Ufficiale 12/A del 16 luglio e di tutti gli atti presupposti e consequenziali già indicati nel ricorso introduttivo e nel primo ricorso per motivi aggiunti del 6 agosto 2021, con particolare riguardo allo svincolo dei tesserati disposto dal Presidente FIGC in data 3 agosto 2021.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del C.O.N.I., della Federazione Italiana Giuoco Calcio - F.I.G.C. e di Cosenza Calcio S.r.l..

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 maggio 2022 il dott. Luigi Furno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con ricorso notificato il 30 luglio 2021 e in pari data depositato, Chievo Verona s.r.l. ha impugnato i seguenti atti, chiedendone l’annullamento previa sospensiva:

- decisione n. 1045/2021 del 26 luglio 2021 del Collegio di Garanzia dello Sport recante il rigetto del ricorso proposto dalla Chievo Verona s.r.l. per l’annullamento del provvedimento del Consiglio Federale della Federazione Italiana Giuoco Calcio (“FIGC”), di cui al Comunicato Ufficiale n. 12/A del 16 luglio 2021 e di tutti gli atti presupposti compresi:

- il provvedimento del Consiglio Federale della Federazione Italiana Giuoco Calcio di cui al Comunicato Ufficiale n. 12/A del 16 luglio 2021;

-la decisione della Commissione Vigilanza Società di Calcio (“Co.Vi.So.C.” o “Commissione”) prot. n. 4650/2021, dell’8 luglio 2021, recante il diniego della concessione, in favore della Chievo Verona s.r.l. , della Licenza Nazionale per l’iscrizione al Campionato di Serie B per l’anno 2021/2022;

- ogni altro atto, anche incognito, presupposto, conseguente e/o comunque connesso ai precedenti.

1.2 Con il medesimo ricorso, Chievo Verona s.r.l. ha chiesto l’accertamento del suo diritto all’ammissione al campionato di calcio di serie B per la stagione sportiva 2021 - 2022 e per il risarcimento dei danni subiti e subendi dalla Società per effetto dei provvedimenti impugnati.

1.3 Il ricorso è affidato ai seguenti motivi:

I. violazione e/o falsa applicazione del Manuale delle licenze; violazione e falsa applicazione dell’art. 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972, dell’artt. 15-ter e 19 del D.P.R. n.602 del 1973 e dell’art. 68 del D.L. n. 18/2020;

II. violazione e/o falsa applicazione del Manuale delle licenze; violazione e falsa applicazione dell’art. 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972, dell’artt. 15-ter e 19 del D.P.R. n.602 del 1973 e dell’art. 68 del D.L. n. 18/2020 sotto altro profilo;

III. violazione e falsa applicazione dell’art. 68 del D.L. n. 18 del 2020; difetto di proporzionalità; mancata valutazione della non imputabilità della pretesa violazione alla società ricorrente; eccesso di potere in tutte le sue forme sintomatiche.

1.4 Si sono costituiti in giudizio in data 30 luglio 2021 per resistere al ricorso il CONI, la F.I.G.C e la società controinteressata Cosenza Calcio s.r.l., chiedendo, sia pure con diversità di accenti e di percorsi argomentativi, la declaratoria di inammissibilità del ricorso introduttivo e in subordine della sua infondatezza.

1.5 Con ricorso per motivi aggiunti notificato il 6 agosto 2021 e depositato in pari data, Chievo Verona s.r.l. ha impugnato, chiedendone l’annullamento, previa sospensiva, i seguenti atti:

-il Comunicato Ufficiale della FIGC n. 45/A del 3 agosto 2021, con il quale il Presidente Federale ha deliberato lo svincolo d’autorità dei calciatori tesserati per il Chievo Verona;

- il Sistema delle Licenze Nazionali 2021/2022 per la Lega Nazionale Professionisti di Serie B, con particolare riferimento ai punti 14 e 15 del Titolo I, lett. C) e lettere D) ed E) del Titolo I, approvato dal Consiglio Federale della FIGC attraverso il Comunicato Ufficiale n. 252/A del 21 maggio 2021;

- ogni altro atto, anche incognito, ad esso presupposto, conseguente e/o comunque connesso, in particolare quelli impugnati con il ricorso R.G. 7876/2021.

1.6 Con il medesimo ricorso per motivi aggiunti, Chievo Verona s.r.l. ha reiterato

l’ istanza di accertamento del diritto all’ammissione al campionato di calcio di serie B per la stagione sportiva 2021-2022 e quella per il risarcimento dei danni subiti e subendi dalla Società per effetto dei provvedimenti impugnati.

1.7 Il ricorso per motivi aggiunti è affidato ai seguenti motivi:

I. violazione e/o falsa applicazione del Manuale delle licenze 2021/2022; eccesso di potere in ogni sua forma; sviamento di potere; travisamento dei fatti; irragionevolezza; disparità di trattamento; errore e ingiustizia manifesta; in subordine: illegittimità dei punti 14 e 15 del Titolo I, lett. C) del Manuale delle licenze 2021/2022; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3, 41 e 97, co. 2 Cost.; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 368 del D.L. n. 18 del 2020 , dell’art. 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972, dell’artt. 15-ter e 19 del D.P.R. n. 602 del 1973;

II. violazione e/o falsa applicazione del Manuale delle licenze; violazione e falsa applicazione dell’art. 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972, dell’artt. 15-ter e 19 del D.P.R.n. 602 del 1973 e dell’art. 68 del D.L. n. 18/2020 sotto altro profilo.

1.8 Con memorie depositate in data 7 agosto 2021, F.I.G.C. e Cosenza Calcio s.r.l. hanno chiesto di dichiarare l’inammissibilità o in subordine l’infondatezza anche del predetto ricorso per motivi aggiunti.

1.9 Con un secondo ricorso per motivi aggiunti, notificato il 6 settembre 2021 e depositato in pari data, Chievo Verona s.r.l. ha impugnato, con annessa istanza cautelare, i seguenti atti:

- tutti gli atti già impugnati con il ricorso principale e per motivi aggiunti, con particolare riguardo al provvedimento di svincolo dei tesserati disposto dal Presidente FIGC in data 3 agosto 2021.

1.10 Il secondo ricorso per motivi aggiunti è affidato ai seguenti motivi:

- illegittimità dei provvedimenti impugnati per violazione degli artt. 3, comma 1, 10, comma 1, 11, 24, commi 1 e 2, 25, comma 2, 42, comma 3, 111, commi 1 e 2, Cost., nonché degli artt. 6, comma 1 e 7, comma 1, Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, dell’art. 1 Protocollo 1 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, dell’art. 49, commi 1 e 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, del principio di irretroattività nonché della tutela dell’affidamento, eccesso, sviamento ed abuso di potere;

- eccezione di illegittimità costituzionale delle seguenti disposizioni: art 68 Decreto “Cura Italia” n.18 del 17 marzo 2020, convertito con modificazioni dalla Legge n. 27 del 24 aprile 2020; Art. 154 “Decreto Rilancio” (DL n. 34 del 19 maggio 2020), convertito con modificazioni dalla Legge n. 77 del 17 luglio 2020; Art. 99 “Decreto Agosto” (DL n. 104 del 14 agosto 2020), convertito con modificazioni dalla Legge n. 126 del 13 ottobre 2020; Art. 1 bis Decreto Legge n. 125 del 7 ottobre 2020, convertito con modificazioni dalla L. 27 novembre 2020, n. 159; Art. 13-septies “Decreto Ristori” (DL n. 137 del 28 ottobre 2020, convertito con modificazioni dalla L. n. 176 del 18 dicembre 2020); Decreto Legge n. 183 del 31 dicembre 2020, convertito con modificazioni dalla Legge n. 21 del 26 febbraio 2021; Art. 4 "Decreto Sostegni" (DL n. 41 del 22 marzo 2021), convertito con modificazioni dalla Legge n. 69 del 22 maggio 2021; Art. 9 Legge n. 106 del 23 luglio 2021, di conversione del “Decreto Sostegni-bis” (DL n. 73 del 25 maggio 2021), e conseguente illegittimità dei provvedimenti impugnati, occorrendo anche per eccesso o abuso o sviamento di potere nella mancata delibazione della eccepita illegittimità costituzionale.

1.11 Con memorie depositate in data 7 settembre 2021, 28 settembre 2021 e 1 ottobre 2021, rispettivamente, Cosenza s.r.l., CO.N.I. e F.I.G.C. hanno chiesto di dichiarare l’inammissibilità o in subordine l’infondatezza anche del secondo ricorso per motivi aggiunti.

1. 12 Infine, con atto notificato in data 30 settembre 2021, ed in pari data depositato, Chievo Verona s.r.l., ha formulato un nuovo ricorso ex art. 116 c.p.a., con il quale ha chiesto l’annullamento del provvedimento della Federazione Giuoco Calcio del 9 agosto 2021, recante il rigetto dell’istanza di accesso agli atti presentata dalla in data 26 luglio 2021, e la condanna all’esibizione in giudizio di copia della documentazione relativa alla richiesta di iscrizione ai campionati di Serie A, Serie B e Lega Pro nelle stagioni sportive 2020/2021 e 2021/2022.

2. I fatti, molto complessi, oggetto della presente controversia possono essere ricostruiti in sintesi come segue.

2.1 Chievo Verona S.r.l. è una società calcistica che, nella stagione 2019-2020, militava nel campionato professionistico di Serie B, a seguito della retrocessione subita nella stagione 2018-2019 dal campionato di Serie A.

Nella stagione 2020-2021, Chievo Verona S.r.l si classificava in ottava posizione, maturando così la possibilità di iscriversi nuovamente al campionato di Serie B.

Nell’imminenza della conclusione della stagione 2020-2021, il Consiglio Federale della FIGC, attraverso il Comunicato Ufficiale n. 252/A del 21 maggio 2021 approvava il Sistema delle Licenze Nazionali 2021/2022 per la Lega Nazionale Professionisti di Serie B (c.d. “Manuale delle licenze 2021/2022”).

2.2 Il Manuale delle licenze è un atto, adottato con cadenza annuale dalla F.I.G.C., che fissa gli adempimenti legali, economico-finanziari, infrastrutturali, sportivi e organizzativi, che le società calcistiche sono tenute a rispettare al fine di ottenere la licenza nazionale per l’iscrizione ai campionati professionistici di Serie A, Serie B e Serie C.

2.3 Il Sistema delle Licenze per l’ammissione al Campionato di Serie B, relativo alla stagione sportiva 2021/22, stabiliva in particolare gli adempimenti ed i requisiti necessari per ottenere il rilascio della licenza e, di conseguenza, l’iscrizione al Campionato di serie B.

Per quanto più rileva nella presente sede, il Manuale relativo alla stagione sportiva 2021/22 prescriveva (ai punti 14 e 15, Par. C) che tutte le società dovevano, entro il termine del 28.6.2021 - espressamente definito “perentorio” - adempiere alle seguenti prescrizioni:

a) assolvere al pagamento dei tributi Ires, Irap ed IVA, risultanti dalle dichiarazioni annuali riferite ai periodi di imposta terminati entro il 31 dicembre 2014, 2015, 2016, 2017 e 2018 ovvero, nell’ipotesi di rateazioni delle comunicazioni di irregolarità dell’Agenzia delle Entrate o di transazioni o rateazioni con l’Agenzia delle Entrate, depositare nel medesimo termine gli atti di transazione e/o rateazione ed assolvere il pagamento delle rate scadute al 28.02.2021 (Titolo I, lett. C, punto 14);

b) assolvere, in presenza di una o più comunicazioni di irregolarità emesse dall’Agenzia delle Entrate sulla base delle comunicazioni dei dati delle liquidazioni periodiche IVA per i trimestri degli anni di imposta 2017 e 2018 ed il primo e secondo trimestre del 2019, al pagamento delle rate scadute al 28.02.2021, depositando presso la Co.Vi.So.C. una dichiarazione attestante l’assolvimento del detto adempimento (Titolo I, lett. C, punto 15).

2.4 Ciò premesso, come emerge dagli atti del presente giudizio e come riconosciuto dalla stessa parte ricorrente, Chievo Verona s.r.l. aveva maturato, a partire dal periodo d’imposta relativo all’anno 2014, un consistente debito erariale, a cause dell’insufficiente o tardivo versamento di somme dovute a titolo di IVA.

Per tale ragione, l’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Verona, notificava al Chievo Verona s.r.l. una serie di comunicazioni ex art. 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972 (c.d. “avvisi bonari”).

Di seguito, per maggiore chiarezza espositiva, si riporta un prospetto sinottico degli avvisi bonari notificati alla Ricorrente dall’Agenzia delle Entrate, relativi ai periodi d’imposta compresi fra il 2014 e il 2019, con indicazione delle somme richieste per la regolarizzazione della posizione debitoria:

Avviso bonario Periodo d’imposta Somma richiesta

Data Prot.

16 aprile 2015 34749/2015 2014 € 7.151.417,54

13 aprile 2016 33277/2016 2015 € 6.768.763,51

11 aprile 2017 39111/2017 2016 € 8.031.772,64

22 settembre 2017 01227891817 2017 – I° trim. € 653.622,09

14 novembre 2017 03349201818 2017 – II° trim. € 707.159,17

15 marzo 2018 05551451817 2017 – III° trim. € 2.875.741,07

--- --- 2017 – IV° trim. € 1.310.381,33

21 settembre 2018 01491911911 2018 – I° trim. € 2.831.795,94

15 novembre 2018 04278691912 2018 – II° trim. € 495.208,00

12 marzo2019 07224811914 2018 – III° trim. € 2.168.966,93

--- --- 2018 – IV° trim. € 1.210.885,19

27 settembre 2019 01545722017 2019 – I° trim. € 1.552.199,42

4 dicembre 2019 04346252010 2019 – II° trim. € 2.925.193,60

Totale

€ 38.683.106,43

2.5 Chievo Verona s.r.l., avvalendosi della facoltà prevista dall’art. 3-bis del D.lgs. n. 462 del 1997, chiedeva e otteneva dall’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Verona la rateizzazione della pretesa tributaria in relazione a ciascuno degli avvisi bonari sopra elencati.

In una prima fase, i Piani di versamento rateale venivano rispettati, come dimostrano i prospetti allegati dalla ricorrente agli atti del presente giudizio, con conseguente abbattimento del debito erariale maturato sino all’importo di € 17.883.000,00.

2.6 A partire dal marzo 2020, anche a causa delle difficoltà legate all’emergenza pandemica (comprese quelle relative ai mancati incassi derivanti dalla sospensione del campionato e dall’impossibilità della partecipazione degli spettatori), la Società interrompeva il versamento delle rate previste dai Piani, e pertanto decadeva dal beneficio della rateizzazione, in applicazione dell’art. 15-ter, co. 1 del D.P.R. n. 602 del 1973.

In base a tale disposizione, la decadenza dal beneficio della rateizzazione si verifica, infatti, nei seguenti casi: a) mancato pagamento della prima rata entro il termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione; b) mancato pagamento di una delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva; c) mancato pagamento dell’ultima rata entro 90 giorni dalla scadenza.

Di seguito si riporta il prospetto che riepiloga le date nelle quali sono maturate le decadenze della ricorrente dai piani di rateizzazione con l’Agenzia delle Entrate:

Periodo d’imposta

considerato dal Piano Scadenza della prima rata non pagata Data di decadenza dal Piano1

2014 2 marzo 2020 31 maggio 2020

2015 2 marzo 2020 1° aprile 2020

2016 2 marzo 2020 1° aprile 2020

2017 – I° trim. 30 aprile 2020 30 maggio 2020

2017 – II° trim. 31 marzo 2020 30 aprile 2020

2017 – III° trim. 30 aprile 2020 30 maggio 2020

2017 – IV° trim. 2 marzo 2020 1° aprile 2020

2018 – I° trim. 30 aprile 2020 30 maggio 2020

2018 – II° trim. 31 marzo 2020 30 aprile 2020

2018 – III° trim. 30 aprile 2020 30 maggio 2020

2018 – IV° trim. 30 aprile 2020 30 maggio 2020

2019 – I° trim. 1° marzo 2021 31 marzo 2021

2019 – II° trim. 30 aprile 2021 30 maggio 2021

2.7 La società ricorrente, in data 28 giugno 2021, inoltrava all’Agenzia delle Entrate-Riscossione un’istanza di rateizzazione del debito residuo, secondo un Piano di n. 72 rate di importo variabile crescente per anno.

In pari data, procedeva anche al contestuale versamento, mediante bonifico bancario, all’Agenzia delle Entrate-Riscossione – Direzione Regionale del Veneto dell’importo di € 249.000,00, pari ad un settantaduesimo del debito residuo.

2.8 L’Agenzia delle Entrate-Riscossione, con nota del 13 luglio 2021, riscontrava la predetta istanza di rateizzazione, affermando che:

(i) “l’istanza, analizzata la situazione economico patrimoniale al 30/04/2021, risulterebbe ipoteticamente concedibile”;

(ii) “ad oggi, i ruoli in questione non sono ancora stati consegnati alla scrivente Agenzia Entrate e Riscossione, motivo per il quale la rateizzazione non risulta allo stato lavorabile”.

2.9 In data 27 luglio 2021, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione notificava alla Società Chievo Verona s.r.l. un preavviso di rigetto dell’istanza di rateizzazione, con la motivazione per cui “per procedere alla rateizzazione di quanto richiesto, le partite di ruolo devono però essere cartellate e fino al perfezionarsi di tale evento, non sarà possibile procedere con la definizione dell’istanza”.

2.10 Con comunicazione del 30 luglio 2021, l’Agenzia delle Entrate ulteriormente riferiva:

- che, con particolare riferimento alle pendenze relative ai periodi d’imposta 2014-2018, con l’esclusione del IV° trimestre del 2017 e del IV° trimestre del 2018, “i ruoli sono stati vistati in data 01.07.2021, ed in base a quanto disposto dal Decreto interministeriale 321 del 03.09.1999, saranno successivamente consegnati ad Agenzia delle Entrate – Riscossione, che gestirà il seguito di competenza”;

-che, con riferimento alle pendenze relative al IV° trimestre del 2017 e al IV° trimestre del 2018, l’Agenzia delle Entrate riferiva “si sta provvedendo alla formazione dei ruoli in questi giorni. Successivamente, seguirà il visto e la consegna ad Agenzia Entrate - Riscossione con le relative tempistiche previste”;

- che, con riferimento alle pendenze relative ai primi due trimestri del 2019, l’Agenzia delle Entrate affermava: “sono ancora in fase di “estrazione ruoli”, quindi ad oggi non vi è ancora un ruolo formato e gli stessi saranno oggetto di successiva consegna ad Agenzia Entrate – Riscossione”.

Conclusivamente, l’Amministrazione finanziaria sottolineava che alla data del 28.06.2021 i ruoli relativi alle posizioni sopra esposte non erano ancora stati consegnati all’Agenzia delle Entrate – Riscossione, aggiungendo che “Nel momento in cui i suddetti ruoli, ciascuno in base alle rispettive tempistiche, verranno consegnati all’Agenzia delle Entrate – Riscossione, quest’ultima potrà provvedere alle operazioni di propria competenza”.

2.11 All’esito dell’istruttoria svolta, acquisita in particolare una nota dell’Agenzia dell’Entrate, la Commissione di Vigilanza Società di Calcio (Co.Vi.So.C), in data 8 luglio 2021, comunicava alla ricorrente di aver rilevato che, alla data del termine perentorio del 28.6.2021, in ragione delle intervenute decadenze dai piani di rateizzazione, la ricorrente non aveva adempiuto all’obbligo dei pagamenti fiscali inerenti alle liquidazioni IVA del primo e secondo trimestre 2019, di tutti i quattro trimestri 2018 e 2017 e dei periodi di imposta 2014, 2015 e 2016.

La Co.Vi.So.C. rilevava altresì che, con riferimento all’IVA per i periodi d’imposta 2014-2018, pur avendo la Società presentato un’istanza di rateazione ex art. 19 DPR 602/73 e pur avendo la stessa corrisposto una delle 72 rate, autodeterminata nel quantum, l’Amministrazione Finanziaria non aveva riscontrato tale istanza, sicché alla data del 28.6.2021 i menzionati debiti erariali non potevano essere considerati oggetto di adempimento rateale.

2.12 Con maggiore dettaglio, Co.Vi.So.C. riteneva che “le procedure di pagamento rateale relative all’Iva risultante dalle liquidazioni periodiche concernenti il primo ed il secondo trimestre del periodo d’imposta 2019 e quelle concernenti l’Iva dovuta riferita ai periodi d’imposta 2014-2018, non esplicano più efficacia. In ragione dell’intervenuta decadenza delle procedure di pagamento rateale in precedenza in itinere, quindi – alla data del termine perentorio previsto dalla disciplina di riferimento (vale a dire il 28 giugno 2021) – la società non ha ritualmente adempiuto all’obbligo di pagamento dei debiti fiscali di seguito descritti:

- Iva risultante dalle liquidazioni periodiche relative al primo ed al secondo trimestre del periodo d’imposta anno 2019;

- Iva risultante dalle liquidazioni periodiche relative al primo, secondo, terzo e quarto trimestre del periodo d’imposta anno 2018;

- Iva risultante dalle liquidazioni periodiche relative al primo, secondo, terzo e quarto trimestre del periodo d’imposta anno 2017;

- Iva relativa al periodo d’imposta anno 2016; - Iva relativa al periodo d’imposta anno 2015; - Iva relativa al periodo d’imposta anno 2014”.

In ordine alla nuova istanza di rateizzazione formulata dalla società ricorrente all’Agenzia delle Entrate – Riscossione Co.Vi.So.C. valutava che:

(a) per i debiti IVA riferiti al periodo 2014-2018, “allo spirare del termine prescritto dalla disciplina di riferimento (vale a dire il menzionato 28 giugno 2021) pur avendo corrisposto una rata determinata nel proprio quantum in autonomia – il competente Agente della Riscossione non ha in realtà ancora riscontrato in alcun modo tale istanza né ha trasmesso il rituale piano di ammortamento. Di talché, al 28 giugno 2021, i menzionati debiti erariali non possono essere considerati oggetto di un rituale adempimento rateale tale da permettere di affermare la tempestività dei pertinenti obblighi di pagamento”;

(b) per i debiti IVA riferiti al 2019, “pur avendo la società provveduto a corrispondere alla data del 28 giugno 2021 le rate scadute ed in precedenza non tempestivamente corrisposte a fronte di una rateazione in itinere – l’intervenuta decadenza della procedura già esperita ai sensi dell’art. 19 del DPR 602/73 rende dovuto il relativo debito tributario nella propria interezza. Il che impedisce di considerare la posizione della società regolare in relazione ai pertinenti obblighi di pagamento”.

(c) in conclusione “appare palese nella fattispecie concreta l’avvenuta decadenza delle procedure di rateazione in essere (una circostanza peraltro — come detto — confermata dalla ricorrente medesima). Da ciò consegue che lo sviluppo argomentativo del ricorso della Società in ordine agli adempimenti in materia di iscrizione a ruolo e successiva notifica delle cartelle di pagamento non esclude che alla data di riferimento — venuto meno l’adempimento rateale già in essere — i pertinenti debiti fiscali dovessero considerarsi irrimediabilmente scaduti, fatti salvi eventuali e successivi provvedimenti di rateazione da concedersi da parte dell’Agente della Riscossione (il quale, peraltro, per quanto consta documentalmente non parrebbe che si sia ancora espresso in proposito)”.

2.13 Contro il parere della Co.Vi.So.C., l’odierna ricorrente interponeva, in data 13 luglio 2021, ricorso al Consiglio Federale della F.I.G.C, chiedendone l’annullamento o comunque la riforma.

Nello specifico, la Società eccepiva la mancata scadenza di passività fiscali tali da legittimare il diniego di ammissione al campionato di Serie B 2021/2022.

2.14 Il Consiglio Federale della F.I.G.C. respingeva il ricorso con provvedimento pubblicato il 16 luglio 2021 nel Comunicato Ufficiale n. 12/A, con il quale negava al Chievo Verona la Licenza Nazionale 2021-2022, precludendole conseguentemente l’ammissione al Campionato di Serie B.

2.15 Contro la decisione del Collegio di Garanzia dello Sport, Chievo Verona s.r.l. proponeva ricorso presso questo Tribunale, deducendo la sussistenza dei vizi di violazione di legge e di eccesso di potere sotto vari profili, e chiedendone l’annullamento, previa sospensiva.

La relativa istanza cautelare veniva respinta con Decreto Monocratico n. 4163/21 di questa Sezione, confermato dal Consiglio di Stato con la decisione della Sezione V n. 4377/21.

2.16 Con un primo ricorso per motivi aggiunti, la parte ricorrente impugnava presso questo Tribunale il Comunicato Ufficiale della FIGC n. 45/A del 03.08.2021, con il quale era stato deliberato lo svincolo d’autorità dei calciatori tesserati con il Chievo Verona, e il Sistema delle Licenze Nazionali 2021/2022 per la Lega di Serie B (in particolare dei punti 14 e 15 del Titolo I, lett. C e le lettere D ed E), formulando una nuova istanza di misure cautelari monocratiche, la quale veniva respinta con Decreto Monocratico n. 4386/21 di Questa Sezione, cui faceva seguito l’Ordinanza Collegiale n. 4429/21 di rigetto dell’istanza di misure cautelari, confermata dal Consiglio di Stato con Ordinanza n. 4597/21.

2.17 Con un secondo ricorso per motivi aggiunti, la parte ricorrente deduceva ulteriori profili di illegittimità dei medesimi provvedimenti impugnati con il ricorso principale e con il primo ricorso per motivi aggiunti, istando nuovamente per la concessione di misure cautelari sia collegiali che monocratiche.

La richiesta di misure cautelari monocratiche veniva ulteriormente respinta con Decreto Presidenziale n. 4812/21, avverso il quale l’odierna ricorrente proponeva appello dinanzi al Consiglio di Stato che, con il Decreto Monocratico n. 4927/21, respingeva l’istanza di misure cautelari monocratiche e, con successiva Ordinanza n. 5253/21, dichiarava inammissibile il relativo appello.

La successiva Ordinanza n. 5212/21 di questa Sezione respingeva, infine, l’istanza di misure cautelari collegiali proposta unitamente al secondo ricorso per motivi aggiunti e quest’ultima decisione veniva confermata dall’Ordinanza n. 5952/21 del Consiglio di Stato il quale, con successiva Ordinanza n. 6473/21 respingeva anche l’istanza di revoca della precedente ordinanza n. 5952/2021.

2.18 Tutte le parti in vista dell’udienza di merito depositavano memorie nelle quali ribadivano gli argomenti posti a sostegno delle rispettive posizioni.

All’udienza del 17 maggio 2022 la ricorrente rinunciava, con dichiarazione resa a verbale, alla domanda ex art. 116 c.p.a.

Alla medesima udienza la causa veniva trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1.Preliminarmente il Collegio osserva che il “principio della ragione più liquida”, corollario del principio di economia processuale, consente di tralasciare ogni valutazione pregiudiziale sulle eccezioni processuali non rilevanti ai fini del decidere.

Seguendo gli insegnamenti dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 2015, si procederà, nell’ordine di esame delle questioni, a vagliare quelle che, nella graduazione espressamente formulata dalla parte ricorrente nella memoria conclusiva, assumono valore prioritario, principiando da quella con la quale si chiede di sollevare una questione di costituzionalità.

Non vi è dubbio, peraltro, che, anche sotto il profilo logico, la prospettata questione di costituzionalità assuma valenza prioritaria, per le evidenti implicazioni che la stessa, ove accolta, determinerebbe nell’ambito del presente giudizio.

Prima di esaminare puntualmente i motivi di ricorso afferenti agli evocati profili di costituzionalità, il Collegio ritiene necessario un preliminare, sintetico inquadramento in ordine alla natura giuridica del c.d. “Manuale delle licenze” nonché in ordine alla c.d. pregiudiziale sportiva, trattandosi di questioni che, come si avrà modo di verificare, condizionano l’esame anche della questione di costituzionalità.

2. La prima questione da esaminare è quella relativa alla natura giuridica del Manuale delle licenze.

2.1 Nel primo ricorso per motivi aggiunti, l’odierna ricorrente assume che il Manuale delle licenze sia un atto amministrativo generale, assimilabile ad un bando di gara o di concorso.

Tale preliminare inquadramento giuridico è stato prospettato quale premessa da cui la ricorrente trae la successiva illazione della sua non immediata lesività prima dell’adozione del relativo atto applicativo che, nel caso di specie, consisterebbe nel diniego di ammissione disposto dalla Co.Vi.So.C. in data 8 luglio 2021.

2.2 Nel secondo atto per motivi aggiunti (cfr. pag.19), contraddittoriamente rispetto a quanto in precedenza sostenuto, la ricorrente muta indirizzo interpretativo, aderendo alla diversa soluzione ermeneutica per cui il Manuale delle licenze sarebbe un atto normativo di natura regolamentare, da cui conseguirebbe, sotto il profilo della relativa proiezione processuale, la possibilità per il giudice di procedere alla sua disapplicazione anche in assenza di rituale impugnazione.

3. Tali prospettazioni ermeneutiche non possono essere condivise sia nelle premesse teoriche da cui prendono le mosse sia nei loro risvolti processuali.

3.1 Il Manuale delle licenze – come emerge chiaramente dal tenore letterale di ciascuno dei punti di cui si compone – fissa i criteri condizionanti l’ammissione al campionato calcistico di serie B.

Esso si rivolge a soggetti determinati o, comunque, facilmente determinabili. I destinatari del Manuale delle licenze sono, invero, esclusivamente le società calcistiche che:

- hanno partecipato al campionato di serie B nella stagione 2020-2021 e che non sono state promosse in serie A o retrocesse in serie C;

- sono state retrocesse in serie B a causa della negativa posizione conseguita nella classifica del campionato di serie A;

- sono state promosse in serie B all’esito della favorevole posizione conseguita nella graduatoria del campionato di serie C.

Le società appartenenti alle tre predette categorie sono le uniche che possono ottenere l’ammissione al campionato di serie B.

I destinatari del Manuale delle licenze sono, pertanto, determinati sin dal momento della sua adozione e rappresentano una categoria chiusa.

3.2 I relativi criteri di ammissione hanno, peraltro, efficacia limitata nel tempo perché valgono, per espressa previsione del Manuale, solo in relazione alla stagione calcistica 2021-2022.

3.3 Tali caratteristiche sono anzitutto radicalmente incompatibili con l’ipotizzata natura normativa, perché in esse mancano gli elementi essenziali della norma giuridica, ovvero: l’astrattezza (intesa come capacità della norma di applicarsi infinite volte a tutti i casi concreti rientranti nella fattispecie descritta in astratto); la generalità (intesa come indeterminabilità, sia ex ante che ex post, dei destinatari della norma); l’innovatività (ovvero la capacità di modificare stabilmente l’ordinamento giuridico).

Il Manuale delle licenze ha, infatti, ad oggetto una vicenda amministrativa (l’ammissione al campionato di serie B), ha destinatari determinati e non innova l’ordinamento giuridico, limitandosi a fissare i requisiti di ammissione al campionato di serie B con riferimento ad una prospettiva temporale limitata (il campionato da disputare nella stagione 2021-2022).

3.4 L’asserita natura normativa trova smentita anche nella forma e nel procedimento di approvazione del Manuale, che non è quello dei regolamenti di cui all’art. 17, comma 4, l. 23 agosto 1988, n. 400.

Basti pensare che il Manuale in questione, oltre a non recare la denominazione “regolamento”, non è stato sottoposto al parere del Consiglio di Stato, né al visto della Corte dei Conti, né previamente comunicato al Presidente del Consiglio dei Ministri. Se il Manuale delle licenze avesse natura normativa, quindi, si tratterebbe di un “atto normativo non regolamentare”, il che, però, porrebbe seri dubbi di legittimità, alla luce del tradizionale e condivisibile orientamento in base al quale la funzione normativa secondaria non può essere esercitata con una procedura diversa da quella prevista dall’art. 17 l. n. 400 del 1988, se non in assenza di una previsione legislativa specificamente derogatoria. (cfr. Ad. Plen. 4 maggio 2012, n. 9).

3.5 Al fine di distinguere tra atti amministrativi generali e regolamenti non può non richiamarsi l’elaborazione giurisprudenziale che, ormai da tempo, utilizza il requisito della indeterminabilità dei destinatari, rilevando che è atto normativo quello i cui destinatari sono indeterminabili sia a priori che a posteriori (essendo proprio questa la conseguenza della generalità e dell’astrattezza), mentre l’atto amministrativo generale ha destinatari indeterminabili a priori, ma certamente determinabili a posteriori.

4. Il Manuale delle licenze non è, a ben vedere, neanche un atto amministrativo generale. L’atto amministrativo generale, pur privo (a differenza dell’atto normativo) dell’astrattezza, si caratterizza per la generalità dei destinatari, intesa nell’unico modo compatibile con la natura “concreta” dell’atto amministrativo generale, ovvero come indeterminabilità dei destinatari ex ante, ma non ex post.

4.1 La ragione per la quale l’atto amministrativo generale ha destinatari indeterminabili a priori, ma certamente determinabili a posteriori risiede nella circostanza che esso, a differenza del regolamento, è destinato a disciplinare non una serie indeterminata di casi, ma, conformemente alla sua natura amministrativa, un caso particolare, una vicenda determinata, esaurita la quale vengono meno anche i suoi effetti.

Tipico esempio è quello dei bandi di gara o di concorso, i cui destinatari non sono determinabili al momento della pubblicazione del bando, ma lo diventano quando scadono i termini per la presentazione delle domande (i destinatari sono, invero, solo coloro che hanno presentato la domanda di partecipazione).

4.2 Il Manuale delle licenze, al contrario, come già evidenziato, si rivolge a destinatari già noti al momento della sua adozione, ovvero a tutti coloro e solo coloro che hanno partecipato al precedente campionato di serie B (ad eccezione di quelle società calcistiche che, in ragione della classifica finale del campionato, sono state retrocesse in serie C, a cui vanno aggiunte le squadre, del pari determinate ex ante, promosse in serie B dalla serie C o retrocesse in serie B dalla serie A).

4.3 Nel delineato quadro ricostruttivo, seguendo l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria n. 4 del 2019, il Manuele delle licenze deve essere più propriamente qualificato come atto amministrativo “collettivo” o “plurimo” con effetti scindibili e differenziabili per ciascun singolo destinatario.

4.4. Il tema dell’atto collettivo è stato particolarmente indagato da un’ autorevole dottrina del secolo scorso, la quale, con un insegnamento che conserva inalterata attualità, definiva l’atto collettivo “ un’esternazione unica di plurimi provvedimenti aventi oggetto eguale”.

L’atto collettivo, a differenza dell’atto generale, non si rivolge ad una pluralità di individui designati in modo generico.

L’atto collettivo si distingue nettamente anche da quello plurimo in senso stretto, essendo quest’ultimo soltanto la sommatoria di più provvedimenti individuali che si fondono in un atto unico.

4.5 La giurisprudenza ha da tempo recepito siffatto orientamento, traendone il corollario processuale per cui ciascun soggetto destinatario dell’atto collettivo è legittimato a impugnarlo distintamente, e, quindi, che ne sia possibile il distinto annullamento.

4.6 Che nel caso del Manuale delle licenze non si tratti di atto amministrativo generale, ma di atto collettivo, discende, come anticipato, dalla constatazione che mentre i destinatari dell’atto generale sono indeterminabili ex ante (ovvero al momento della sua adozione) e sono individuati solo ex post (cioè quando l’atto generale viene concretamente applicato), i destinatari del Manuale in questione sono immediatamente individuabili, già al momento dell’adozione dell’atto.

Nonostante la sua veste formale unitaria, quindi, il Manuale delle licenze è fonte di una pluralità di provvedimenti individuali e concreti, ciascuno soggettivamente riferibile alla singola società calcistica cui si rivolge.

Ogni società calcistica, in altri termini, è potenzialmente destinataria di un effetto lesivo che, per quanto omogeneo e per molti versi simile o affine a quello e subito degli altri, è, comunque, sul piano giuridico-formale, autonomo e distinto.

4.7 A differenza dell’atto generale (che, di regola, per la sua generalità non è immediatamente lesivo delle posizioni dei singoli), il provvedimento collettivo è, invece, fonte anche di effetti pregiudizievoli immediati.

Alla luce di tali coordinate ermeneutiche deve, nel caso di specie, riconoscersi al Manuale delle licenze la natura di atto amministrativo e segnatamente di atto collettivo o plurimo scindibile.

4.8 Così correttamente individuata la natura giuridica del Manuale delle licenze, deve, pertanto, escludersi che possano trovare applicazione, rispetto ad esso, i principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa in ordine alla possibilità di disapplicazione degli atti regolamentari da parte del giudice amministrativo non ritualmente impugnati, così come quelli elaborati in relazione alle clausole c.d. escludenti dei bandi di gara.

5. Risolto nei predetti termini il problema relativo alla qualificazione giuridica del Manuale delle licenze, occorre adesso scrutinare il correlato tema dell’attualità dell’interesse a ricorrere nei suoi confronti.

5.1 Nel primo ricorso per motivi aggiunti, la ricorrente assume che le disposizioni del Manuale delle licenze 2021/2022, di per sé, non rivestano immediata portata lesiva.

A sostegno di tale impostazione, la ricorrente rileva che tali prescrizioni risulterebbero meramente riproduttive di quelle contenute nel Manuale delle licenze 2020/2021, in applicazione delle quali il Chievo Verona è stato ammesso al relativo campionato di Serie B, sebbene fosse decaduto dalle rateazioni degli avvisi bonari.

L’ammissione disposta in occasione della precedente stagione dimostrerebbe chiaramente, a giudizio della ricorrente, come il vulnus lamentato dalla Società discenda piuttosto dalla non corretta applicazione dei punti 14 e 15 del Titolo I, lett. C) del Manuale delle licenze 2021/2022.

Ne deriverebbe, secondo tale traiettoria interpretativa, che anteriormente al primo atto applicativo delle suddette disposizioni (il diniego di ammissione disposto dalla Co.Vi.So.C. in data 8 luglio 2021), la Società non fosse assolutamente in grado di avvertire la lesività del Manuale delle licenze 2021/2022.

5.2 Si tratterebbe, ad avviso della ricorrente, di una situazione ben differente rispetto a quella delle cd. clausole immediatamente escludenti o preclusive della partecipazione alle procedure di evidenza pubblica, la cui lesività è da subito percepibile dai potenziali concorrenti, essendo legate a situazioni e qualità del soggetto esattamente e storicamente identificate, preesistenti alla gara stessa, e non condizionate dal suo svolgimento.

Il Manuale delle licenze ai fini dell’iscrizione - argomenta ulteriormente l’odierna ricorrente - non prenderebbe in considerazione una situazione storicamente ad esso preesistente e totalmente definita, ragione per la quale, alla luce della consolidata giurisprudenza amministrativa sull’interesse a ricorrere, sarebbe senz’altro ammissibile la sua impugnazione proposta insieme all’illegittimo atto applicativo.

Da tali premesse ricostruttive, la ricorrente trae il corollario per cui, prima del parere della CO.VI.SO.C dell’8 luglio 2021, nessun interesse all’impugnazione del predetto Manuale poteva dirsi radicato in capo alla Società e che, pertanto il dies a quo da cui far decorrere i termini per l’impugnazione di tale atto andrebbe individuato proprio nell’8 luglio 2021, ovvero dal momento in cui la Società ha avuto contezza dell’interpretazione che la FIGC intendeva imprimere al Manuale delle licenze 2021/2022.

6. Le pur raffinate argomentazioni della parte ricorrente non sono - come anticipato - condivisibili nelle loro premesse teoriche e comunque sono inidonee a sorreggere la conclusione della non immediata lesività del Manuale delle Licenze.

6.1 Dalle considerazioni esposte in premessa emergono, infatti, le ragioni per le quali questo Collegio non condivide l’inquadramento giuridico del Manuale in questione nel genus degli atti amministrativi generali, in luogo della sua più corretta riconducibilità a quello degli atti collettivi.

6.2 Ciononostante, il Collegio intende comunque farsi carico di scrutinare la questione della lesività immediata o differita dell’atto amministrativo in disamina, anche nella diversa prospettiva qualificatoria avanzata dalla ricorrente, attese le evidenti implicazioni che essa determina per il presente giudizio.

7.Preliminarmente occorre tuttavia puntualizzare alcuni non irrilevanti aspetti in fatto.

7.1 Va, infatti, subito evidenziata la circostanza per cui il Manuale delle licenze non è stato impugnato dalla ricorrente né in sede sportiva né con il ricorso introduttivo del presente giudizio, ma soltanto con il primo ricorso per motivi aggiunti.

È, sotto tale profilo, destituita di fondamento l’ulteriore tesi, sostenuta dalla ricorrente nel secondo ricorso per motivi aggiunti, di aver implicitamente impugnato il Manuale delle licenze dinanzi all’organo di giustizia sportiva, e quindi con il successivo ricorso principale dinanzi a questo Tribunale.

Nel ricorso introduttivo proposto al Collegio di Garanzia ed in quello principale presso questo Tribunale, l’odierna ricorrente ha, infatti, soltanto contestato la errata interpretazione del Manuale da parte della Co.Vi.So.C e non anche la sua illegittimità.

7.2 Tale circostanza, del resto, è implicitamente ammessa dalla stessa ricorrente nel corso del primo atto per motivi aggiunti, le cui argomentazioni, in precedenza riportate, muovono univocamente dalla premessa della non immediata lesività del Manuale delle licenze, e della conseguente non necessità di una sua immediata impugnazione.

7.3 Né può essere valorizzata, per giungere a diverse conclusioni, la circostanza per cui con il ricorso introduttivo la ricorrente ha inteso impugnare anche “Ogni altro atto anche incognito, presupposto, conseguente e/o comunque connesso ai precedenti”.

Trattasi, invero, di una mera formula di stile, che non può, in assenza di puntuali censure rivolte avverso il provvedimento specifico, surrogare la sua mancata autonoma impugnazione.

E’ stato, infatti, ripetutamente affermato dalla giurisprudenza che tale clausola, quando non integrata da alcuna specificazione, non è sufficiente a far ricomprendere nell’oggetto del ricorso atti non impugnati (cfr. ex multis C.d.S. sent. n. 4047/2003).

8. Ciò premesso in punto di fatto, è possibile passare ad esaminare il tema della ricorrenza - o meno - della immediata lesività del Manuale delle licenze.

A tal fine, occorre muovere da talune considerazioni di ordine generale.

8.1 Il tema della invalidità derivata degli atti, evocato dalla ricorrente per sostenere la non lesività immediata del Manuale delle licenze, è stato come noto oggetto di particolare approfondimento sia in dottrina che in giurisprudenza.

8.2 In generale la questione dei riflessi processuali del nesso di presupposizione tra atti è stata però indagata principalmente sotto il profilo degli effetti, caducanti o meramente vizianti, che l’annullamento dell’ atto presupposto illegittimo può produrre sull’atto presupponente.

In questi casi, come la migliore dottrina non ha mancato di rilevare, non basterebbe semplicemente constatare il carattere viziato dell’atto presupposto al fine di contagiare anche l’atto presupponente, ma occorrerebbe più propriamente provocare l’annullamento dell’atto a monte al fine di trasmettere il vizio anche al conseguente atto a valle ( vizio caducante o viziante, a seconda della più o meno intenso legame che avvince il nesso di presupposizione).

8.3 Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale la nozione di atto presupposto è fondata, in relazione ad atti di un unico procedimento o anche ad atti autonomi, sull’esistenza di un collegamento fra gli atti stessi, così stretto nel contenuto e negli effetti, da far ritenere che l’atto successivo sia emanazione diretta e necessaria di quello precedente, così che il primo è in concreto tanto condizionato dal secondo nella statuizione e nelle conseguenze da non potersene discostare (C.d.S., Sez. IV, 23 marzo 2000, n. 1561; Sez. V, 15 ottobre 1986, n. 544).

La dottrina, dal canto suo, ha osservato come la connessione di più provvedimenti amministrativi per presupposizione postuli un aspetto strutturale ed uno funzionale.

Sotto l’aspetto strutturale, gli atti sono in una relazione di successione giuridica e cronologica, o di necessario concatenamento; l’atto presupposto non soltanto precede e prepara quello presupponente, ma ne è il sostegno esclusivo.

Gli effetti del provvedimento pregiudiziale sono i fatti costitutivi del secondo, o meglio del relativo potere; vi è una consequenzialità necessaria tra i due provvedimenti, tale che l’esistenza e la validità di quello presupposto sono condizioni indispensabili affinché l’altro possa legittimamente esistere e produrre la propria efficacia giuridica.

Quanto all’aspetto funzionale, poi, gli atti risultano preordinati alla realizzazione di un unico rapporto amministrativo, riguardano, cioè, un unico bene della vita; ciascun atto spiega da solo taluni effetti giuridici, ma soltanto congiuntamente all’altro dà vita al rapporto giuridico, che rappresenta l’oggetto dell’interesse pubblico considerato dai più poteri funzionalmente collegati.

Da quanto detto emerge che, sul piano della disciplina, l’illegittimità ed il conseguente annullamento dell’atto presupposto determinano l’illegittimità di quello conseguente (c.d. trasmissione della antigiuridicità; cfr. ex multis Consiglio di Stato, sent. n. 6922/2020).

8.4 E’ evidente tuttavia che questo tema di indagine, per quanto affascinante, non può nel caso di specie assumere alcun rilievo, per la semplice considerazione che nel caso di che trattasi è mancata proprio l’impugnazione dell’atto presupposto (il c.d. Manuale delle licenze rispetto al successivo atto di esclusione).

Non ricorrendo siffatta ipotesi, occorre interrogarsi sulla limitrofa questione della c.d. doppia impugnazione, dell’atto presupposto e dell’atto presupponente, nei casi di invalidità derivata.

Sotto questo diverso angolo di visuale, è stato messo in luce in dottrina che il regime processuale degli atti collegati può variare in ragione della natura dell’atto presupposto, prima ancora che del loro nesso di presupposizione.

Ai fini che qui rilevano, siffatto tema necessita di essere indagato sia nel prisma del nesso di presupposizione tra singoli atti amministrativi, in adesione alla premessa ricostruttiva, condivisa da questo Collegio, che inquadra il Manuale nella categoria dell’atto collettivo, sia nella diversa prospettiva, privilegiata dalla ricorrente nel primo ricorso per motivi aggiunti, del nesso di presupposizione tra atto generale e successivo atto applicativo.

8.5 In particolare, nella prima prospettiva di analisi, il discrimine tra impugnativa immediata o differita dell’atto presupposto illegittimo è strettamente correlato alla autonoma portata lesiva dell’atto presupposto.

L’esempio ricorrente nella manualistica è quello del rapporto che lega la dichiarazione di pubblica utilità al successivo decreto di espropriazione.

Come noto, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la dichiarazione di pubblica utilità, pur inserendosi nell’ambito del più ampio procedimento espropriativo, ma rivestendo autonoma portata lesiva, deve essere impugnata nel termine perentorio di decadenza che decorre dalla sua adozione.

Successivamente, la parte interessata avrà l’onere di impugnare anche l’atto conclusivo del procedimento, nella specie il decreto di esproprio, sia per vizi propri sia per far valere la sua eventuale illegittimità derivata dal vizio che inficiava la dichiarazione di pubblica utilità.

E tuttavia, sempre ad avviso di un costante orientamento giurisprudenziale, in mancanza di previa impugnazione della dichiarazione di pubblica utilità, non sarà più possibile far valere l’illegittimità derivata dell’atto successivo.

Ne discende, sul piano processuale, non soltanto l’autonoma impugnabilità della dichiarazione di pubblica utilità ma anche l’onere della sua tempestiva impugnazione ai fini della trasmissione della sua illegittimità al successivo atto della serie.

8.6 La ratio sottesa a tale regime processuale risiede, come anticipato, nel contenuto dell’atto e segnatamente nel suo effetto dispositivo-sostanziale da cui deriva la sua autonoma portata lesiva e il conseguente onere di impugnarlo.

9. Nel caso all’esame del Collegio, non pare dubitabile che alla base della esclusione del Chievo dal campionato di serie B vi sia la mera constatazione, da parte della Co.vi.so.c, del mancato assolvimento dei requisiti di regolarità fiscale postulati ai punti 13 e 14 del titolo primo del Manuale delle licenze.

9.1 Anzi, ad essere rigorosi, occorrerebbe prendere atto che la decisione di non ammissione si limita semplicemente a trarre le dovute conseguenze dalla violazione di una regola di opportunità economica scolpita a chiare lettere nei punti 13 e 14 del Manuale.

In altre parole, nel caso di che trattasi, la vera scelta discrezionale, nel bilanciamento di tutti gli interessi, pubblici e privati, in gioco, si è cristallizzata nel Manuale delle licenze, allorquando si è deciso di precludere l’ammissione alla serie B alle squadre che versassero in una situazione di irregolarità fiscale.

9.2 Del resto, allargando l’orizzonte a più ampie considerazioni di sistema, non dissimili argomentazioni segnano in giurisprudenza anche la linea di discrimine tra atto endo-procedimentale non impugnabile e c.d. arresto procedimentale.

Normalmente , infatti, l’atto procedimentale non è impugnabile in via autonoma, in quanto la lesione della sfera giuridica del destinatario è di regola imputabile all'atto che conclude il procedimento (giurisprudenza costante: v. da ultimo Cons. Stato, sez. VI, 28 giugno 2016, n. 2862).

Tuttavia questa regola generale subisce eccezioni in casi particolari, in relazione ad atti endo-procedimentali idonei a determinare in via inderogabile il contenuto dell'atto conclusivo del procedimento (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 febbraio 2008, n. 296; sez. V, 6 ottobre 2009 n. 6094; sez. IV, 16 maggio 2011, n. 2961; sez. IV, 4 dicembre 2012, n. 6188).

Con maggiore dettaglio, si tratta dei casi in cui gli atti presupposti sono “idonei, come tali, ad imprimere un indirizzo ineludibile alla determinazione conclusiva” (ex multis cfr. Consiglio di Stato sentt. n. 2223/2012, n. 296/2008, n. 1246/2004, n. 1377/1998, n. 226/97).

9.3 Questo è, nella sostanza, esattamente quanto si è verificato nel caso di specie, in cui le regole indicate nel Manuale hanno prodotto un effetto radicalmente preclusivo della successiva ammissione della ricorrente al campionato di serie B, ledendone immediatamente l’interesse e pertanto onerandola della relativa immediata impugnazione.

9.4 Né a diverse conclusioni applicative si giungerebbe nel caso qui in esame, anche a voler seguire la non condivisibile premessa ricostruttiva della ricorrente, per cui il Manuale delle licenze sarebbe un atto amministrativo generale, assimilabile ad un bando di gara.

Anche in questa diversa prospettiva, che mutua lo schema di presupposizione che lega il bando di gara al successivo atto di esclusione (ovvero di aggiudicazione), l’esito processuale, nello specifico caso qui in esame, sarebbe lo stesso.

A differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente, infatti, nel caso che occupa si verserebbe comunque nell’ipotesi di bando con clausole c.d. escludenti, con il conseguente corollario della loro immediata impugnazione.

Depone a favore di siffatta conclusione in primo luogo la semplice considerazione per cui già al momento dell’adozione del Manuale delle licenze la ricorrente non possedeva i requisiti richiesti ai predetti punti 13 e 14.

Né, per giungere a diverse conclusioni, può essere condivisa l’affermazione della parte ricorrente per cui il Manuale delle licenze ai fini dell’iscrizione non prenderebbe in considerazione una situazione storicamente ad esso preesistente e totalmente definita.

9.5 In senso contrario, occorre evidenziare, con riserva di ulteriori approfondimenti in merito nel prosieguo della trattazione, che la decadenza nella quale è incorsa la società ricorrente, la quale si è ininterrottamente protratta fino al termine del 28 giugno (data ultima indicata dal Manuale per dimostrare la titolarità dei requisiti finalizzati a ottenere l’ammissione al campionato del serie B) rendeva i punti 13 e 14 del Manuale radicalmente preclusivi della ammissione della ricorrente e quindi, come tali immediatamente lesivi.

Anche in presenza di un atto generale, e segnatamente di un bando di gara, secondo il costante orientamento giurisprudenziale, una clausola asseritamene illegittima, che porti alla sicura esclusione di un determinato soggetto, deve da questo essere impugnata nei termini di decadenza decorrenti immediatamente e non dal momento in cui viene reso noto l’esito della procedura di gara.

Del resto, proprio muovendo dal preliminare inquadramento del Manuale delle licenze nell’ambito degli atti generali, in un caso del tutto sovrapponibile, sotto tale profilo, a quello qui in esame, il Consiglio Stato, con la sentenza n. 4001 del 2021 è giunto alla medesima conclusione della immediata impugnabilità delle previsioni in esso contenute.

9.6 Né a migliore sorte è destinato, sul punto in disamina, l’ulteriore argomento formulato dalla ricorrente, secondo il quale le prescrizioni contenute nel Manuale 2021/2022 non farebbero altro che replicare quelle contenute nel Manuale delle Licenze 2020/2021, in applicazione delle quali il Chievo Verona è stato ammesso al relativo campionato di Serie B.

In senso contrario va, infatti, osservato che, a parità di prescrizioni, ben diversa era tuttavia la posizione fiscale della odierna ricorrente con riferimento alla stagione 2020-2021, quanto meno sotto il profilo dei relativi accertamenti effettuati dall’Agenzia delle Entrate.

10. All’esito delle argomentazioni in precedenza esposte, può pertanto giungersi alla conclusione per cui, in linea generale, l’impugnabilità degli atti amministrativi (collettivi, endoprocedimentali, generali), a prescindere dalla loro formale qualificazione, è subordinata al loro carattere immediatamente lesivo secondo quel fenomeno che la più autorevole dottrina ha sintetizzato nella efficace formula della c.d. pluriqualificazione degli atti e delle fattispecie giuridiche.

Lo stesso atto può cioè rilevare sia come atto del procedimento, sia come atto, avente effetti esterni, lesivo di posizioni giuridiche di alcuni terzi.

10.1 Ciò posto, non suscettibile di positiva valutazione, nella presente prospettiva di analisi, è anche l’argomento della ricorrente per cui il primo atto immediatamente lesivo della serie andrebbe ravvisato nel diniego di ammissione disposto dalla Co.Vi.So.C. in data 8 luglio 2021, affermazione da cui si fa discendere l’ulteriore illazione per cui l’impugnazione formulata contro il Manuale soltanto nel primo atto per motivi aggiunti del 6 agosto 2021 sarebbe regolare in quanto avvenuta entro l’ordinario termine per ricorrere.

10.2 In disparte ogni considerazione relativa alla questione della c.d. pregiudiziale sportiva, che di qui a un attimo sarà approfondita, mette subito conto ribadire che in senso contrario depone il decisivo rilievo, già evidenziato, per cui il diniego di ammissione disposto dalla Co.Vi.So.C si limita, in base ad una interpretazione testuale dei punti 13 e 14 del Manuale delle licenze, a trarre le dovute conseguenze dalla mera constatazione dell’assenza dei requisiti da essi richiesti.

10.3 Del resto, l’immediata lesività dei punti 13 e 14 del Manuale delle licenze è stata implicitamente ammessa anche dalla ricorrente, allorquando, nel corso delle difese rassegnate innanzi al Collegio di Garanzia dello Sport , ha censurato “l’illogica e ingiustificata asimmetria nel recepire nell’ordinamento sportivo norme imperative vigenti si coglie dal comunicato ufficiale n. 252/A FIGC in cui è ipotizzato un trattamento sfavorevole tra il punto 10 e ss e il punto 14 e ss … Cioè per il pagamento degli emolumenti la F.I.G.C. cita la possibilità di effettuare deroghe all’esito di leggi statali …”.

10.4 Destituita di fondamento sul punto è anche l’ulteriore prospettazione difensiva, secondo la quale, pur ammettendo l’immediata lesività in astratto del Manuale delle licenze, prima dell’8 luglio 2021 (data del parere negativo emesso dalla Co.Vi.So.C.) comunque la ricorrente non avrebbe avuto percezione della sua illegittimità.

10.5 La questione da ultimo evocata attiene al tema dell’individuazione del dies a quo per impugnare gli atti amministrativi.

In generale, su tale questione va osservato che l’orientamento assolutamente maggioritario della giurisprudenza amministrativa fa decorrere il termine per impugnare dalla conoscenza degli elementi essenziali dell’atto , coincidenti con l’autorità emanante e con il suo contenuto dispositivo (cfr. ex multis C.d.S., sezione III, sent. n. 3709/2016).

Nel caso di specie, il Sistema delle Licenze Nazionali ( c.d. Manuale delle licenze) è stato approvato in data 21 maggio 2021 come da Comunicato Ufficiale n. 252/A del Consiglio,

mentre il primo ricorso per motivi aggiunti, tramite il quale il Manuale è stato per la prima volta impugnato, è stato notificato e depositato 77 giorni dopo la predetta data di approvazione.

10.6 Né varrebbe, per giungere ad una diversa conclusione, valorizzare, come fa la ricorrente, il principio di diritto affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 12 del 2020, alla stregua del quale, nel rito appalti, il dies a quo per impugnare va correlato alla conoscenza non soltanto del contenuto dispositivo del provvedimento ma anche della anche della conoscenza anche dei motivi di illegittimità.

Come, infatti, attentamente osservato da autorevole dottrina, la soluzione elaborata dall’Adunanza Plenaria in quest’ultima decisione finisce per delineare un unicum nella disciplina dell’interesse a ricorrere che può essere spiegato con la forte ingerenza che il diritto eurounitario (cfr. Corte di Giustizia c-54 2018) spiega nel settore degli appalti, anche in deroga alla tradizionale regola della c.d. autonomia procedurale del nostro ordinamento.

10.7 A smentire l’assunto della odierna ricorrente, secondo cui prima della data dell’8 luglio 2021 (data del parere negativo emesso dalla Co.Vi.So.C.), non avrebbe avuto alcuna percezione della diretta lesività dei punti 13 e 14 del Manuale delle licenze, depone, inter alia, la decisiva constatazione che la stessa ricorrente, a ridosso della scadenza del termine perentorio del 28.06.2021, e quindi ben prima della data dell’8 luglio, ha tentato in extremis di presentare all’Agenzia delle Entrate una nuova istanza di rateazione e, soprattutto, di effettuare uno spontaneo atto di pagamento.

10.8 Da siffatto comportamento può chiaramente desumersi che la società ricorrente, già alla data del 21 maggio 2021, era a conoscenza:

- dei requisiti richiesti dal Sistema di Licenze Nazionali;

- ovviamente della propria posizione sotto il profilo fiscale (vale a dire della decadenza dai precedenti piani di rateazione);

- dell’impossibilità di ottemperare a quanto chiaramente richiesto dall’ordinamento sportivo ai fini dell’ottenimento della Licenza;

- in definitiva, della portata escludente delle regole imposte ai punti 13 e 14 del Manuale.

Conclusivamente, alla luce delle precedenti osservazioni, l’impugnazione del Manuale delle licenze, formulata soltanto con il primo atto per motivi aggiunti, è irricevibile per tardività.

11. Ciò premesso, può passarsi a trattare il tema della c.d. pregiudiziale sportiva.

Secondo la prospettazione formulata dalla ricorrente nel primo atto per motivi aggiunti, l’art. 3, co. 1 del D.L. n. 220 del 2003 (come modificato dall’art. 1, co. 647 della legge n. 145 del 2018) avrebbe abolito la c.d. “pregiudiziale sportiva” nelle controversie aventi ad oggetto i provvedimenti di ammissione ed esclusione dalle competizioni professionistiche delle società o associazioni sportive professionistiche, o comunque incidenti sulla partecipazione a competizioni professionistiche.

11.1 Muovendo da tale assioma la ricorrente trae l’ulteriore corollario della inopponibilità del vincolo derivante dalla c.d. pregiudiziale sportiva agli atti impugnati nel presente giudizio.

11.2 L’assunto della ricorrente non è condivisibile.

11.3 Prima di affrontare quest’ultima questione, pare utile ricostruire sinteticamente il quadro normativo di riferimento nel quale essa si si colloca.

11.4 La materia è, come noto, disciplinata in via generale dal decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220 (Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva), convertito dalla legge 17 ottobre 2003, n. 280, il quale, all’art. 1 stabilisce che i rapporti tra l'ordinamento sportivo e quello statale sono regolati in base al principio di autonomia, salvo i casi di c.d. rilevanza esterna nell’ordinamento generale della Repubblica:

“1.La Repubblica riconosce e favorisce l'autonomia dell'ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell'ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale.2. I rapporti (tra l'ordinamento sportivo e l'ordinamento della Repubblica) sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di (( . . . )) rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo”.

In applicazione di tali principi, il successivo art. 2 riserva all'ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto:

“(a) l'osservanza e l'applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento

delle attività sportive));

b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”;

2. Nelle materie di cui al comma 1, le società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati hanno l'onere di adire, secondo le previsioni degli statuti e regolamenti del Comitato olimpiconazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui gli articoli 15 e 16 del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, gli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo.”.

Per quanto riguarda l’ambito statuale, di competenza del giudice ordinario e del giudice amministrativo, l’art. 3 (Norme sulla giurisdizione e disciplina transitoria) dispone: “Esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell'articolo 2, è disciplinata dal codice del processo amministrativo. In ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui all'articolo 2, comma 2, nonché quelle inserite nei contratti di cui all'articolo 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91. Sono in ogni caso riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ed alla competenza funzionale inderogabile del tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma, le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti di ammissione ed esclusione dalle competizioni professionistiche delle società o associazioni sportive professionistiche, o comunque incidenti sulla partecipazione a competizioni professionistiche. Per le stesse controversie resta esclusa ogni competenza degli organi di giustizia sportiva, fatta salva la possibilità che lo statuto e i regolamenti del CONI e conseguentemente delle Federazioni sportive di cui gli articoli 15 e 16 del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, prevedano organi di giustizia dell’ordinamento sportivo che, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del presente decreto decidono tali questioni anche nel merito ed in unico grado e le cui statuizioni, impugnabili ai sensi del precedente periodo, siano rese in via definitiva entro il termine perentorio di trenta giorni dalla pubblicazione dell’atto impugnato. Con lo spirare di tale termine il ricorso all’organo di giustizia sportiva si ha per respinto, l’eventuale decisione sopravvenuta di detto organo è priva di effetto e i soggetti interessati possono proporre, nei successivi trenta giorni, ricorso dinanzi al tribunale amministrativo regionale del Lazio”.

A tale norma fa da pendant l’articolo 133, comma 1, lett. z-septies ) cod. proc. amm., che a sua volta prevede che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “le controversie relative ai provvedimenti di ammissione ed esclusione dalle competizioni professionistiche delle società o associazioni sportive professionistiche, o comunque incidenti sulla partecipazione a competizioni professionistiche ”.

11.5 E’ largamente condivisa dagli interpreti l’affermazione secondo la quale l’ordinamento sportivo si colloca nell’ambito della più generale tematica della pluralità degli ordinamenti giuridici.

L’impostazione in esame è confortata da più ampie considerazioni di sistema.

Sotto il profilo sistematico, infatti, occorre ricordare che il sistema del diritto sportivo – cui è correlata la relativa funzione giustiziale – riposa, sin dalla sua nascita, sulle solide fondamenta costituite dalla Carta del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) (come detto, l’art. 1 d.-l. n. 203 del 2003 evidenzia che l'ordinamento sportivo nazionale è «articolazione dell'ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale»).

11.6 Proprio facendo leva su siffatte interrelazioni, autorevole dottrina indica nell’ordinamento sportivo una delle più significative manifestazioni del c.d. diritto amministrativo globale.

11.7 Le norme appena riportate, nate con il preciso intento di arginare l’intervento della giustizia statale sull’autonomia dell’ordinamento sportivo, hanno inteso tracciare una linea di confine tra i territori rispettivamente riservati all’ordinamento sportivo e ai suoi organi di giustizia, e quelli nei quali è possibile l’intervento della giurisdizione statale, e del giudice amministrativo in particolare, nel tentativo di conciliare due principi che mostrano diversi momenti di potenziale conflitto: il principio dell’autonomia dell’ordinamento sportivo (che trova il suo fondamento costituzionale negli artt. 2 e 18 della Costituzione) e il principio del diritto di azione e di difesa (espressamente qualificato come inviolabile dall’art. 24 Cost.).

Sotto tale profilo, assumono particolare rilievo le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale nella decisione del 25 giugno 2019 n. 160 (sulle orme della precedente decisione della Corte Cost., n. 49 del 2011) in cui si legge : “nel quadro della struttura pluralistica della Costituzione, orientata all’apertura dell’ordinamento dello Stato ad altri ordinamenti, anche il sistema dell’organizzazione sportiva, in quanto tale e nelle sue diverse articolazioni organizzative e funzionali, trova protezione nelle previsioni costituzionali che garantiscono i diritti dell’individuo, non solo come singolo, ma anche nelle formazioni sociali in cui si esprime la sua personalità (art.2 Cost.) e che assicurano il diritto di associarsi liberamente per fini che non sono vietati al singolo dalla legge penale (art. 18 Cost.). Con la conseguenza che eventuali collegamenti con l’ordinamento statale, allorchè i due ordinamenti entrino reciprocamente in contatto per intervento del legislatore statale, devono essere disciplinati tenendo conto dell’autonomia di quello sportivo e delle previsioni costituzionali in cui essa trova radice”.

11.8 Come è stato autorevolmente sostenuto in dottrina, la c.d. pregiudiziale sportiva va incontro alle esigenze dello sport organizzato, normativizzando, con il conforto della giurisprudenza, quanto non di rado è previsto dagli statuti di associazioni e di società dedite alle più svariate attività, i quali stabiliscono che le deliberazioni degli organi sociali siano previamente sottoposte al riesame di altri organi interni.

Sulla scorta di questa premessa, tale dottrina ulteriormente osserva che, anche ove si ritenga che la giustizia sportiva non corrisponda a una giustizia endoassociativa, ma vada iscritta nella categoria dell'autotutela amministrativa contenziosa, non può, infatti, dimenticarsi come sia stato ampiamente segnalato, sia in dottrina sia in giurisprudenza , che, a certe condizioni, ipotesi di giurisdizione condizionata alla proposizione di ricorsi amministrativi sono state ritenute legittime dalla Corte costituzionale.

Ed in effetti, la citata decisione della Corte Cost. n. 160/2019 ha affermato chiaramente legittimità della pregiudiziale sportiva, nel quadro di un’equilibrata attuazione del principio dell’autonomia dell’ordinamento sportivo.

11.9 L’assetto descritto ha trovato una definitiva sistemazione nei riferimenti normativi riportati, i quali recepiscono puntualmente i principi individuati, nel tempo, da giurisprudenza e dottrina, in tema di rapporti tra ordinamento sportivo ed ordinamento statuale.

Dalle riportate previsioni normative emerge, invero, che, essendo comunque quello sportivo un ordinamento infra-statuale, le sue peculiarità non possono sacrificare le posizioni soggettive che assumono rilevanza anche per l’ordinamento statuale, perché inviolabili o comunque meritevoli di tutela rafforzata in quanto non disponibili.

11.10 Nel delineato quadro sistematico nasce la clausola residuale di salvaguardia in favore della giurisdizione esclusiva amministrativa, cui compete il sindacato sugli aspetti della giustizia sportiva di rilievo anche pubblicistico.

Ma, in concreto, e per quanto più propriamente rileva nella presente sede, ciò potrà avvenire - in base al chiaro tenore del predetto art. 3 - solo una volta «esauriti i gradi della giustizia sportiva» (Cons. Stato, VI, 14 novembre 2011, n. 6010).

11.11 Siffatta locuzione normativa dà vita alla c.d. pregiudiziale sportiva , da soddisfare necessariamente prima dell’azione da proporsi innanzi al giudice statale.

11.12 Tale pregiudiziale, come è stato autorevolmente rilevato da altra dottrina, va osservata per tutte le materie, rispetto alle quali sorgono posizioni soggettive rilevanti per l’ordinamento generale, da portarsi, pertanto, innanzi al giudice amministrativo (oppure innanzi a quello ordinario per quanto concerne i rapporti patrimoniali tra società).

11.13 Secondo la giurisprudenza amministrativa, logico corollario della pregiudiziale sportiva “è il principio del c.d. vincolo dei motivi, in base al quale, atteso che i ricorsi in sede di giustizia sportiva sono necessariamente propedeutici al successivo ricorso in sede giurisdizionale, possono essere presentati innanzi al giudice amministrativo soltanto i motivi di censura già proposti dinnanzi alla giustizia sportiva, mentre risulta invece preclusa la proposizione di motivi nuovi” (cfr. TAR Lazio, sez. III Quater, sent. n. 10771/2015).

11.14 Nessun serio argomento ermeneutico può essere addotto a favore della tesi secondo la quale la pregiudiziale sportiva non dovrebbe trovare applicazione con riferimento al nuovo giudizio relative alle ammissioni e/o esclusioni dalle competizioni sportive introdotto dall’art. 1 ( commi 647-48-49-50) della legge 145/2018.

Il citato art. 3, così come novellato dalla legge n. 145/2018, dopo aver sancito la regola della pregiudiziale sportiva, dispone, infatti, che “Sono in ogni caso riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ed alla competenza funzionale inderogabile del tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma, le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti di ammissione ed esclusione dalle competizioni professionistiche delle società o associazioni sportive professionistiche, o comunque incidenti sulla partecipazione a competizioni professionistiche. Per le stesse controversie resta esclusa ogni competenza degli organi di giustizia sportiva, fatta salva la possibilità che lo statuto e i regolamenti del CONI e conseguentemente delle Federazioni sportive di cui gli articoli 15 e 16 del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, prevedano organi di giustizia dell’ordinamento sportivo che, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del presente decreto decidono tali questioni anche nel merito ed in unico grado e le cui statuizioni, impugnabili ai sensi del precedente periodo, siano rese in via definitiva entro il termine perentorio di trenta giorni dalla pubblicazione dell’atto impugnato. Con lo spirare di tale termine il ricorso all’organo di giustizia sportiva si ha per respinto, l’eventuale decisione sopravvenuta di detto organo è priva di effetto e i soggetti interessati possono proporre, nei successivi trenta giorni, ricorso dinanzi al tribunale amministrativo regionale del Lazio.”

11.15 La disposizione appena riportata, pertanto, statuisce:

- che siffatte controversie siano “in ogni caso” riservate alla giurisdizione amministrativa esclusiva;

- che resta salva la possibilità che lo statuto e i regolamenti del CONI e conseguentemente delle Federazioni sportive di cui gli articoli 15 e 16 del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, prevedano organi di giustizia dell’ordinamento sportivo;

- che, al fine di evitare il verificarsi di incresciosi allungamenti dei tempi per la risoluzione delle problematiche così insorte, si prevede che le decisioni dei giudici sportivi siano rese in via definitiva entro il termine perentorio di trenta giorni dalla pubblicazione dell’atto impugnato;

- che, con lo spirare di tale termine, il ricorso all’organo di giustizia sportiva si ha per respinto (c.d. silenzio-rifiuto), e che i soggetti interessati possono proporre, nei successivi trenta giorni, ricorso dinanzi al tribunale amministrativo regionale del Lazio.

11.16 Come la migliore dottrina non ha mancato di rilevare commentando la disposizione in esame, la sottrazione alla regola della pregiudiziale sportiva di tale nuovo rito è soltanto apparente, atteso che la modifica apportata dall’art. 1 (commi 647-48-49-50) della legge 145/2018 all’art. 3 della legge n. 280/2003, dopo aver previsto che “sono in ogni caso riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo” le controversie relative ai provvedimenti di ammissione ed esclusione dalle competizioni professionistiche delle società, contempla la successiva eccezione che smentisce la premessa, in quanto fa “salva la possibilità che lo statuto e il regolamento del Coni e conseguentemente delle federazioni sportive di cui agli art. 15 e 16 del decreto legislative 23 luglio n. 242, prevedono organi di giustizia dell’ordinamento sportive che decidano tali questioni anche nel merito”.

11.17 A sostegno della tesi favorevole all’applicabilità della pregiudiziale sportiva anche al c.d. rito delle ammissioni, oltre al condivisibile argomento letterale sul quale pone l’accento l’invocata dottrina, il Collegio ritiene di poter valorizzare i seguenti ulteriori fondamentali canoni ermeneutici:

a) il canone dell’interpretazione sistematica: sotto tale angolo di visuale, si rileva che il legislatore si è fatto carico di coordinare i rapporti tra il rito sportivo e quello dinanzi alla giustizia amministrativa sotto il profilo temporale con la specifica previsione, in particolare, dello sbarramento ultimo presidiato dalla regola della formazione del silenzio - rifiuto.

La ragione di tale coordinamento sistematico risiede nella necessità di realizzare una composizione equilibrata delle contrapposte esigenze sottese, da un lato, all’autonomia dell’ordinamento sportivo e, dall’altro lato, ai principi costituzionali del giusto processo ( tra i quali la ragionevole durata) e del diritto di difesa;

b) il canone dell’interpretazione teleologica: il principio generale che si ricava dall’art. 3 D.L. n. 220 del 2003 è quello per cui sono attribuite alla cognizione del giudice amministrativo (ovvero ordinario) soltanto quelle controversie dell’ordinamento sportivo che assumono rilevanza anche per l’ordinamento generale dello Stato, ma solo dopo che siano stati percorsi i gradi di giurisdizione della giustizia sportiva.

Muovendo da tale premessa, la specifica ragione della disposizione relativa alle controversie aventi ad oggetto i provvedimenti di ammissione e di esclusione dalle competizioni sportive trova fondamento nell’esigenza di affermare il principio per cui, queste ultime controversie, data la loro oggettiva ed evidente importanza economica, vadano sempre e comunque riservate “anche” alla cognizione del giudice amministrativo.

In altri termini, con tale previsione il legislatore mira a sterilizzare l’operatività della clausola elastica, come tale suscettibile di interpretazioni differenziate, che assegna al giudice amministrativo le controversie dell’ordinamento sportivo allorquando le stesse assumono anche una rilevanza per l’ordinamento generale, per affermare, con riferimento alle delicate controversie relative provvedimenti di ammissione e di esclusione dalle competizioni sportive, una presunzione iuris et de iure di rilevanza per l’ordinamento generale.

Essa pertanto, ritaglia all’interno della complessiva disposizione di cui al citato art. 3 una “sotto-fattispecie” (c.d. specialità per specificazione) che non smentisce la regola della pregiudiziale, ma semplicemente mira sottrarre al giudizio dell’interprete la verifica della rilevanza di tali controversie per l’ordinamento dello Stato.

11.18 A sostegno dell’applicazione della c.d. pregiudiziale sportiva anche al rito in esame si è peraltro espressa, proprio nell’ambito del giudizio cautelare relativo alla controversia in esame, l’autorevole Ordinanza del Consiglio di Stato n. 4429/21, nella parte in cui ha rilevato che le ragioni di pretesa illegittimità delle clausole del Manuale delle licenze “avrebbero dovuto essere prospettate, nel rispetto della cd. pregiudiziale sportiva, dinanzi agli organi della giustizia sportiva, poiché tra i provvedimenti comunque incidenti sulla partecipazione a competizioni professionistiche, di cui alla novella dell’art. 3, co. 1 del D.L. n.220del 2003 introdotta dall’art. 1, co. 647, della legge n. 145 del 2018, ed all’art. 12 ter dello Statuto del CONI, rientrano anche quelli che stabiliscono termini e requisiti dei relativi procedimenti”.

11.19 Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, trova, pertanto, conferma l’assunto dell’applicazione della c.d. pregiudiziale sportiva anche al rito delle ammissioni ed esclusioni.

11.20 Tutto ciò premesso, non è contestato il fatto che l’odierna ricorrente, per le ragioni in precedenza evidenziate, in riferimento al Manuale delle licenze, abbia adito direttamente gli organi della giustizia amministrativa.

11.21 Quanto invece al provvedimento di svincolo dei soggetti tesserati con la società ricorrente, l’impugnativa dinanzi a questo Tribunale è stata proposta ancor prima che venisse definito il giudizio proposto dalla ricorrente dinanzi al Tribunale Federale della FIGC e comunque prima che fosse percorsa l’intera “filiera” della giustizia sportiva.

Tale modus procedendi contrasta radicalmente con il disposto di cui all’ art. 3, comma 1, del D.L. n. 220/2003.

Anche l’atto di svincolo dei calciatori è un atto amministrativo dotato di immediata portata lesiva (l’assunto è condiviso questa volta anche dalla ricorrente) e come tale anche rispetto ad esso s’imponeva il rispetto del vincolo della c.d. pregiudiziale sportiva.

In tema valgono l’insieme delle considerazioni già svolte con riferimento al Manuale delle licenze, che a questo proposito si richiamano integralmente.

11.22 Come ha avuto modo di chiarire un consolidato orientamento giurisprudenziale, il vincolo della pregiudiziale sportiva preclude l’accesso diretto alla giurisdizione amministrativa senza il previo esaurimento dei rimedi giustiziali sportivi e la sua violazione comporta l’inammissibilità del ricorso dinanzi al giudice amministrativo (cfr. Cons. Stato, I, Parere 29.10.2018 n. 2455; Cons. Stato, V, 22.12.2014 n. 6244; Cons. St., VI, 31.05.2013, n. 3002; TAR Lazio, Roma, I ter, 2.11.2021 n. 11162; 5.07.2021 n. 7937; 20.06.2019 n. 8034).

11.23 Da tutto quanto argomentato discende, pertanto, l’inammissibilità del primo ricorso per motivi aggiunti avente ad oggetto l’impugnazione del Manuale per le licenze e dell’atto di svincolo dei calciatori.

12. Riassumendo, sulla base delle considerazioni che precedono, le conclusioni alle quali questo Collegio è finora giunto, si evidenzia che:

a) il Manuale delle licenze è un atto amministrativo collettivo immediatamente lesivo, ragione per la quale, anche a prescindere dalla questione della pregiudiziale, occorreva immediatamente impugnarlo entro il termine decadenziale (da ciò consegue l’irricevibilità della sua impugnazione in questa sede, avvenuta soltanto con il primo atto per motivi aggiunti);

b) ai fini dell’impugnazione del predetto Manuale nell’ambito della giustizia amministrativa, occorreva comunque rispettare il vincolo della cd. pregiudiziale sportiva (ne discende, sotto questo ulteriore profilo, nel caso all’esame del Collegio, anche l’inammissibilità in parte qua del primo atto per motivi aggiunti)

c) l’atto di svincolo dei calciatori è un atto amministrativo dotato di immediata portata lesiva e - come tale - anche rispetto ad esso s’imponeva rispetto del vincolo della c.d. pregiudiziale sportiva (affermazione da cui si trae il corollario processuale della inammissibilità della sua impugnazione avvenuta con il primo ricorso per motivi aggiunti, a causa del mancato il rispetto della regola del previo esaurimento dei gradi della giustizia sportiva).

13. È nel quadro di queste preliminari, indispensabili, considerazioni di sistema che si può passare all’esame della censura di costituzionalità avanzata dalla ricorrente nel ricorso per motivi aggiunti.

13.1 La società ricorrente chiede di sollevare questione di legittimità costituzionale per la violazione degli artt. 3, 10, 11 della Costituzione (questi ultimi in riferimento alla violazione degli artt.6, 7, 14 CEDU, 1 Protocollo 12 CEDU e 49, 3° comma, Carta dei diritti fondamentali della UE) con riferimento alle seguenti norme di legge:

- art. 68, comma 1, Decreto “Cura Italia” n.18 del 17 marzo 2020, convertito con modificazioni dalla Legge n. 27 del 24 aprile 2020 e successive parimenti incostituzionali modificazioni;

- art. 144 del Decreto “Rilancio” n. 34 del 19 maggio 2020, convertito in Legge n. 77 del 17 luglio 2020;

- art. 3, comma 2, del Decreto Legge n. 21 ottobre 2021;

- art. 3 - ter, Legge 17 dicembre 2021 n. 215

- art. 144 del Decreto “Rilancio” n. 34 del 19 maggio 2020, convertito in Legge n. 77 del 17 luglio 2020.

13.2 Preliminarmente il Collegio osserva che alcuni parametri di costituzionalità evocati dalla ricorrente sono del tutto inconferenti.

Ed invero, erronea appare l’indicazione degli artt. 10 e 11 della Costituzione, quali parametri di costituzionalità indirettamente vulnerati per effetto della violazione delle invocate norme interposte della Cedu.

In adesione al consolidato insegnamento della giurisprudenza costituzionale, inaugurato con le storiche decisioni n. 348 e 349 del 2007, il Collegio, infatti, rileva che il parametro di costituzionalità da evocare nel caso di specie avrebbe dovuto essere quello di cui all’art. 117 della Cost..

13.3 Ciò premesso, si illustrano di seguito i principali passaggi argomentativi posti a sostegno delle prospettate questioni di costituzionalità.

13.4 Preliminarmente la ricorrente assume che l’ art. 68, comma 1, del Decreto “Cura Italia” n.18 del 17 marzo 2020, convertito con modificazioni dalla Legge n. 27 del 24 aprile 2020, determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento, rilevante ai fini della violazione dell’art. 3 Cost., tra i contribuenti che, al pari della odierna ricorrente, prima dell’entrata in vigore della predetta disposizione, erano da considerare più meritevoli di tutela, in quanto avevano spontaneamente iniziato un percorso di regolarizzazione delle pendenze tributarie (in particolare attraverso il ricorso alle dilazioni pre-esattoriali), e i contribuenti che, invece, si trovavano nella successiva e più grave fase della esecuzione esattoriale, solo rispetto ai quali la normativa emergenziale ha previsto la sospensione della notifica delle cartelle esattoriali.

13.5 A supporto di questo primo assunto la ricorrente valorizza il seguente percorso argomentativo “non è possibile sostenere che differente trattamento troverebbe giustificazione nel fatto che i contribuenti meno meritevoli, che già avevano subito la notifica di titolo esecutivo, se non avessero beneficiato della rimessione in termini, avrebbero subito l’esecuzione forzata durante la pandemia, beneficio che i contribuenti più meritevoli, decaduti dalle dilazioni pre-esattoriali in corso di pandemia, hanno avuto comunque (dato che la notifica di nuove cartelle è stata sospesa per tutti), è fallace, in quanto trascura di considerare, da un lato, l’aggravio di sanzioni e interessi che la “cartellazione” comporta (ingiustamente, visto che lo Stato ha riconosciuto la causa di forza maggiore in relazione alla mancata continuazione dei piani di dilazione in essere), dall’altro lato, soprattutto, la condizione di debitori morosi che si assume al momento della decadenza dalla dilazione (pre-esattoriale o esattoriale che sia), ex art. 1219, 2° comma, n. 3 cod. civ. (a mente del quale il debitore di somma di denaro liquida, scaduto il termine, cioè decaduto da un qualunque piano di dilazione, è “in mora” ex lege, senza che sia necessaria la “costituzione in mora”): situazione che è incompatibile con una normale continuità aziendale, come del resto la presente vicenda insegna (esclusione dall’attività d’impresa, ad opera dell’amministrazione, causa decadenza della dilazioni pre-esattoriali pur senza ricezione di titolo esecutivo, senza “consolidamento” e “iscrizione a ruolo esattoriale” dell’imposta arretrata).

La posizione di “contribuente moroso”, la classificazione di tutto il debito tributario arretrato come “scaduto”, anziché “a scadere”, comporta lo stato di insolvenza, l’impossibilità di presentare un bilancio di continuità aziendale (non falso), l’impossibilità della continuità aziendale.

Ed è proprio quest’ultima osservazione che dimostra la manifesta incostituzionalità della normativa accusata, l’avere consentito la qualificazione di “debitore moroso” a contribuenti regolarmente in dilazione pre-esattoriale all’8 marzo 2020 (cioè “non morosi”), per non avere continuato a pagare le rate, e ciò mentre la stessa normativa consentiva ai contribuenti in dilazione esattoriale all’8 marzo 2020 (cioè “non morosi” ma meno meritevoli dei primi, in quanto già soggetti a titolo esecutivo prima dell’8 marzo 2020) di sospendere i pagamenti senza perdere la qualifica di “non morosi” (in quanto beneficiari di dilazione).

L’art. 68 del medesimo D.L. prevedeva, appunto, la esclusione della responsabilità del debitore, dunque l’esclusione di eventuali decadenze, con riguardo al mancato pagamento delle rate delle dilazioni esattoriali in essere all’8 marzo 2020.Dilazioni esattoriali, dunque, quelle concesse a debitori in “inadempimento 2” (così qualificato in ricorso 6 settembre 2021) prima dell’8 marzo 2020, quindi in una situazione di inadempimento più grave di quella in cui si trovava la ricorrente al momento dell’avvia ???… solo ai meno meritevoli è stato concesso di nulla pagare tra l’8 marzo 2020 ed il 2 novembre 2021, e di conservare i piani rateali in corso pagando entro il 2 novembre 2021 una sola delle rate sospese (tra l’8 marzo 2020 ed il 2 novembre 2021)”.

13.6 La censura di incostituzionalità farebbe ulteriormente leva, nella prospettazione della ricorrente, sulla considerazione per cui il censurato art. 68, comma 1 del D.L. n. 18 del 2020, disponendo, a partire dall’8 marzo 2020, la sospensione delle attività di notifica delle cartelle esattoriali, avrebbe precluso alla ricorrente anche la possibilità di accedere al beneficio della sospensione esattoriale in fase esecutiva.

13.7 Sulla base di queste premesse, la ricorrente assume che l’accoglimento della predetta questione di costituzionalità avrebbe, come immediata conseguenza, quella di considerare la decadenza in cui essa è incorsa come giammai avvenuta.

L’assunto si fonda sul seguente sillogismo: “se è incostituzionale la legge che ha discriminato i contribuenti in dilazione pre-esattoriale all’8 marzo 2020 (situazione definita in ricorso 6 settembre 2021 di “inadempimento 1”, tale in realtà solo prima della dilazione pre-esattoriale, dato che il contribuente è rimesso in termini da dalla dilazione pre-esattoriale, che è automatica), è incostituzionale (cioè non sussiste, né sussisteva legittimamente il 28 giugno 2021) la decadenza intervenuta a causa della incostituzionalità della legge emergenziale.

13.8 Un granitico riscontro in ordine alla fondatezza delle argomentazioni formulate, emergerebbe, ad avviso della ricorrente, dalla successiva legislazione emergenziale, la quale, si assume, al precipuo scopo di scongiurare le asserite discriminazioni in precedenza operate in danno dei contribuenti più meritevoli avrebbe previsto, in particolare con l’art. 144, comma 1, del D.L. 34 del 19 maggio 2020, la proroga al 16 settembre 2020 delle scadenze dei pagamenti rateali intervenute tra l’8 marzo 2020 e il 31 maggio 2021, con possibilità di pagamento in quattro rate.

Ciononostante anche quest’ultima normativa sarebbe, a giudizio della ricorrente, affetta da una intrinseca irragionevolezza di fondo, avendo limitato la proroga da essa disposta solo fino al 16 settembre 2020.

13.9 Argomenta, infatti, la ricorrente sul punto: “In sostanza, dunque, la “decadenza” sofferta dalla ricorrente, in virtù dell’art. 144, comma 1, del D.L. 34 del 19 maggio 2020, non si è verificata dal 1° giugno 2020 (diversamente, dunque, da quanto indicato nel nostro doc. 92), ma il 17 settembre 2020, in quanto per tutti i piani una delle due rate consecutive (la decadenza del piano, ai sensi dell’art. 15-ter D.P.R. 602 del 1973 avviene solo in caso di mancato pagamento di due rate trimestrali consecutive, salvo il caso dell’ultima rata, che determina la decadenza se non pagata entro 90 giorni successivi alla scadenza della rata) è stata prorogata fino al 16 settembre 2020 dal D.L. 34/2020, e conseguentemente, nessun piano rateale è in realtà decaduto fino al 16 settembre 2020, mentre il piano rateale 2014 (la cui ultima rata sarebbe scaduta in assenza di proroga emergenziale, rectius avrebbe determinato la decadenza dal piano in caso di mancato pagamento entro il 31 maggio 2021, cfr. doc. 9, pag. 1), in virtù, ora, della l. 215/2021 (G.U. 20 dicembre 2021, doc. 123), è stato conservato addirittura fino al 16 dicembre 2021”.

13.10 L’assioma da cui muove la ricorrente è evidentemente quello secondo cui la decadenza e comunque la mancata iscrizione al campionato siano causalmente riconducibili al combinato operare delle predette, in ipotesi costituzionalmente illegittime, normative emergenziali.

A sostegno di tale affermazione, la ricorrente rileva: “la ricorrente, quand’anche il legislatore, incongruamente, non avesse prorogato ulteriormente le scadenze delle dilazioni pre-esattoriali, poteva ragionevolmente confidare che, con il venire meno del divieto di cartellazione (15 ottobre 2020, tale essendo il termine della sospensione della cartellazione allora vigente), si sarebbe, nei venti giorni successivi (come poi verificatosi a settembre 2021) ricevuta la cartella esattoriale ed avuto accesso alla dilazione esattoriale (in relazione ai tempi per la concessione si consideri che la domanda presentata il 28 giugno 2021, doc. 10, ha avuto riscontro definitivo parte dell’Agenzia delle Entrate il 24 agosto 2021 (doc. 119), vale a dire in meno di 60 giorni, nonostante pandemia e mese di agosto, con la conseguenza che è dimostrato per tabulas che la concessione della dilazione esattoriale può avvenire tranquillamente in due, massimo tre mesi, dalla data della “decadenza”, o per meglio dire dalla data in cui la decadenza può innescare l’emissione della cartella di pagamento, del titolo esecutivo.

Tale ragionevole aspettativa avrebbe tranquillamente consentito di presentarsi con la dilazione esattoriale in essere entro fine 2020, quindi ben prima del termine per l’iscrizione al campionato successivo (28 giugno 2021)”.

13.11 Da tutto quanto premesso sarebbe conseguito, nella prospettiva della ricorrente, l’irragionevole conseguenza per la quale “il perverso combinarsi della discriminazione incostituzionale consistente nel prorogare, da parte del legislatore dell’emergenza a partire da agosto 2020 (cfr. docc. 91 e 92) solo le dilazioni esattoriali e non quelle pre-esattoriali e nel continuare a prorogare anche il divieto di emissione di nuove cartelle esattoriali (e dunque l’accesso alla dilazione esattoriale) via via fino al 1° settembre 2021 (come detto, il 16 settembre 2020, quando si verificava la decadenza dei piani in essere, salvo quello relativo al periodo di imposta 2014, la legge allora vigente prevedeva che il 15 ottobre 2020 sarebbe cessato il divieto di cartellazione, mentre poi così non è stato, leggi sopravvenute hanno via via prorogato il divieto fino al 1° settembre 2021, sempre senza sanare il vulnus della mancata remissione in termini delle dilazioni pre-esattoriali), ha prodotto la situazione kafkiana e contraria al senso comune della quale qui si lamenta l’illegittimità costituzionale sotto più fronti, ma, essenzialmente, la violazione dell’art. 3 Cost., per avere discriminato illogicamente i contribuenti in dilazione pre-esattoriale all’8 marzo 2020 e per di più impedito loro, fino al 1° settembre 2021, l’accesso alla dilazione esattoriale e la violazione del canone nulla poena sine lege, poiché, come detto sopra, non era assolutamente prevedibile, il 16 settembre 2020, che la “sanzione” non sarebbe stata “soltanto” la triplicazione delle sanzioni e l’applicazione degli aggi e degli interessi di mora esattoriali, ma l’impossibilità di accesso alla dilazione esattoriale (non solo fino al 15 ottobre 2020 come prevedeva la legislazione vigente il 16 settembre 2020, ma) per ancora un anno, fino al 1° settembre 2021, con conseguente impossibilità (nella specie) di iscrizione al campionato di calcio dell’anno successivo (o, in altri casi, la partecipazione ad appalti o gare che avessero richiesto quale condizione di ammissione non solo la regolarità fiscale da certificato negativo di carichi pendenti, ma l’inesistenza di una situazione di mora transitoria e di obbligazioni inadempiute non rimesse in termini da dilazioni in corso) e, conseguente, distruzione aziendale”.

13.12 Anche l’art. 3, comma 2, del Decreto Legge del 21 ottobre 2021, n. 146 sarebbe censurabile, a dire della ricorrente, sotto il profilo della violazione del canone costituzionale della ragionevolezza, a causa, in particolare della mancata estensione alle dilazioni pre-esattoriali:

a) della proroga al 2 novembre 2021 del pagamento di dilazioni esattoriali con riferimento a rate originariamente da pagarsi tra l’8 marzo 2020 e il 31 agosto 2021;

b) della conservazione del beneficio del termine delle dilazioni in essere all’8 marzo 2020 mediante pagamento entro il 2 novembre 2021 di una sola delle rate originariamente da pagarsi tra l’8 marzo 2020 e 31 agosto 2020, senza fissazione di un termine per il pagamento delle altre rate sospese.

13.13 Più in generale, un ulteriore riscontro della fondatezza delle censure di incostituzionalità mosse dalla ricorrente alle predette normative emergenziali si ricaverebbe, sia pure in via retrospettiva, dalla successiva entrata in vigore dell’ art. 3 – ter della Legge 17 dicembre 2021 n. 215, il quale implicitamente riconoscerebbe la incostituzionalità, per ingiustificata disparità di trattamento, del precedente assetto normativo emergenziale (e segnatamente di quello derivante dalla irragionevole mancata estensione della rimessione in termini anche in favore delle pre-esattoriali).

Anche quest’ultima norma tuttavia, secondo la ricorrente, non sfuggirebbe alla censura di incostituzionalità per la violazione del principio costituzionale di ragionevolezza, in ragione:

- della mancata estensione del beneficio da essa concesso ai pagamenti delle rate di dilazioni pre-esattoriali da effettuarsi tra 1° giugno 2020 e il 31 agosto 2021;

- della intrinseca irragionevolezza derivante dalla impossibilità di poter accedere concretamente al relativo beneficio a causa della sua entrata in vigore in data successiva al termine perentorio per avvalersi del beneficio previsto.

13.14 A rincalzo delle complessive considerazioni già sviluppate, la ricorrente così conclude: “E poiché il legislatore dell’emergenza è coerente nella discriminazione incostituzionale in favore dei contribuenti meno meritevoli, e meno sono meritevoli più vantaggi vengono loro accordati, ecco che ancora nel D.L. “milleproroghe” n. 228/2021 (convertito in l. n. 15/2022 del 25 febbraio 2022) si ricorda di questi contribuenti, poverini, già non solo decaduti dalle dilazioni pre-esattoriali prima dell’emergenza pandemica, ma decaduti anche dalle successive dilazioni esattoriali prima dell’emergenza pandemica, e consente loro la rimessione in termini con semplice domanda da presentarsi entro il 30 aprile 2022, senza pagare le rate impagate: questo lo sconcertante significato del comma 5 bis aggiunto dal d..l. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito in l. n. 15/2022: “5-bis. Le disposizioni del comma 5, primo periodo, si applicano anche alle richieste di rateazione relative ai carichi di cui allo stesso comma 5, presentate dal 1° gennaio 2022 al 30 aprile 2022…La coerenza all’incontrario è confermata dall’art. 10 quinquies della l. 25/22 del 28 marzo 2022 che proroga i termini di altre particolari tipologie di dilazioni esattoriali (“rottamazione-ter”, “saldo e stralcio“) sanando ogni precedente decadenza fino al 30 aprile 2022 per le rate del 2020, fino al 31 luglio 2022 per le rate del 2021 e fino al 30 novembre 2022 per quelle del 2022. Perciò, delle tre categorie di contribuenti in considerazione, I. coloro che prima dell’8 marzo 2020 erano meno inadempienti di tutti, come la ricorrente (in regolarizzazione spontanea, mai sanzionati con “cartellazione”), II. coloro che prima dell’8 marzo 2020 erano già stati sanzionati con “cartellazione”, III. coloro che prima dell’8 marzo 2020 erano non solo già stati sanzionati con “cartellazione” ma erano poi anche decaduti dalla dilazione esattoriale non avendo pagato le rate (si ripete, prima dell’8 marzo 2020), il legislatore dell’emergenza ha favorito più di tutti i peggiori, classe III, che sono ancora in termini (30 aprile 2022), ha consentito agli intermedi, classe II di nulla pagare fino al 2 novembre 2022 e poi conservare il beneficio della dilazione pagando una sola delle rate sospese, ed ha coerentemente disintegrato con la furio di Attila coloro che fino all’8 marzo 2020, cioè prima di subire il danno da pandemia, non erano stati sanzionati con la notifica del titolo esecutivo (“cartellazione”).

Perciò, concorrenti del Chievo, ammesse al campionato 2020-2021 dal quale la ricorrente è stata esclusa, possono essere non solo società più inadempienti del Chievo verso il fisco prima dell’8 marzo 2020 in quanto in dilazione esattoriale e non “pre-esattoriale” all’8 marzo 2020, ma addirittura società addirittura decadute dalla dilazione esattoriale prima dell’8 marzo 2020, e che hanno potuto ottenere una nuova dilazione esattoriale (in quanto già titolari della “sanzione”, cioè del “titolo esecutivo”, della “cartella” inadempiuta) in virtù della legge-beffa sopra richiamata, in tutti i casi senza alcunché dover pagare al fisco.

Un mondo all’incontrario, ove sono privilegiati solo gli inadempienti più gravi e recidivi pre-pandemia.

Nessuna incostituzionalità è più clamorosa di questa. mento dei piani di dilazione pre-esattoriale (che l’avevano rimessa in termini)”.

13.15 Infine, con il secondo atto per motivi aggiunti, la ricorrente deduce una ulteriore ragione di incostituzionalità delle predette disposizioni di legge, derivante dalla violazione delle disposizioni costituzionali interposte di cui agli artt. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonché agli artt. 6, 7, 14 CEDU, 1 Protocollo 12 CEDU (in riferimento rispettivamente ai parametri costituzionali di cui agli artt. 11 e 117 Cost. e - loro tramite - degli artt. 25 e 27 Cost.)

13.16 In particolare, la violazione deriverebbe dalla inflizione di sanzioni sostanzialmente penali da parte di fonti normative di rango secondario, quali, a giudizio della ricorrente , sarebbero il Manuale delle licenze e dell’atto di svincolo dei calciatori, in violazione pertanto dei principi di legalità e di colpevolezza di cui artt. art. 25 e 27 Cost..

13.17 Ciò sulla base dell’insegnamento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo relativo alle sanzioni sostanzialmente punitive, secondo cui le misure afflittive che, per quanto applicate da organi di natura amministrativa e non giurisdizionale, sono attratte nello statuto protettivo delle principali garanzie riconosciute in «materia penale», al di là della loro formale qualificazione giuridica.

In particolare, la ricorrente assume in argomento che “lo svincolo dei tesserati comporta altresì la sanzione punitiva, del tutto ingiustificata da alcun obiettivo di preservare il “merito sportivo” dei calciatori, della perdita del diritto di addestramento, cioè la royalty spettante sulle rivendite dei cartellini dei giocatori formati nelle giovanili della squadra esclusa già passati ad altre squadre professionistiche prima del provvedimento di esclusione dal campionato e di svincolo dei tesserati. Anche a volere peraltro prescindere da questo (per la verità già dirimente) elemento, nel caso concreto non solo si ha una sanzione punitiva (incluso il diniego di iscrizione al campionato di competenza) “senza la copertura di una normativa di rango primario che ne legittimi l’adozione”, ma per di più una sanzione punitiva non prevista e neppure prevedibile alla luce del Sistema delle Licenze vigente al momento dell’adozione del comportamento poi sanzionato (la decadenza per mancato pagamento dei piani rateali pre-esattoriali), in violazione, anche in questo caso, del divieto di retroattività della legge penale (sempre art. 25, comma 2, Cost.) e dell’art. 7 CEDU e 49, primo comma11, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (divieto di retroattività sostanziale della sanzione punitiva, violazione del principio fondamentale nulla poena sine lege, nella specie si ha addirittura poena contra legem!), secondo quanto emerge de plano dai fatti sopra descritti: al momento della decadenza del piano12, 31 maggio 2021, e quindi delle condotte foriere delle conseguenze di cui si è detto, non era prevedibile a legislazione vigente, che la proroga della formazione di partite definitive di ruolo tributario, e quindi l’impossibilità della rateazione esattoriale, sarebbe stata via via prorogata – stante il permanere dell’emergenza Covid-19 - fino a venire a scadere dopo la scadenza del termine per l’iscrizione al campionato 2021-2022, tanto meno e soprattutto non era prevedibile, a disciplina regolamentare pre-vigente, che la FIGC adottasse, per il 2021-2022, un comportamento esattamente contrario a quello adottato nel Sistema Licenze 2020-2021, che, a valle dell’emergenza pandemica, veniva modificato, nel maggio e poi ancora nel giugno 2020, al fine di evitare che le squadre in difficoltà di liquidità per l’emergenza pandemica e che per tale motivo erano state nella impossibilità sopravvenuta di coltivare i piani rateali in essere al marzo 2020, fossero escluse dal campionato 2020-2021, ne subissero tutte le correlate inevitabili conseguenze, e proprio per tale motivo spostavano la data di riferimento delle regolarità fiscale dal 31 maggio 2020 (secondo quanto previsto nel “Sistema” pubblicato il 16 dicembre 2019) al 31 dicembre 2019 (pre-Covid-19), peraltro mantenendo anche il riferimento alla rateazione esattoriale (in situazione di Inadempimento 2) come fatto non ostativo alla iscrizione al campionato…..”.

13.18 Dall’affermata ricorrenza, a giudizio della ricorrente, nel caso di specie, di sanzioni sostanzialmente penali, deriverebbe anche la violazione del principio di proporzionalità sotteso all’art. 49, comma 3, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Rileva sul punto la ricorrente: “Va anche considerata la, clamorosa, violazione del principio di proporzionalità della pena ormai parte della Costituzione materiale in virtù di plurime pronunce della Corte Costituzionale, ma comunque consacrato dall’art. 49, comma 3, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea: “Le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato”: principi che ormai sono parte della costituzione materiale italiana, a seguito dei due arresti della Corte Costituzionale, la 236/2016 in materia di alterazione di stato civile (doc. 49) e la 222/2018 (doc. 50, est. Viganò, attuale lucerna iuris alla Corte Costituzionale nel diritto punitivo alla luce dei principi CEDU) sulla proporzionalità delle pene accessorie.Ora, nella specie, non è chi non veda la incredibile sproporzione di questi provvedimenti, già di per sé sine materia perché in verità non vi è stata, da parte del Chievo Verona alcuna violazione rilevante nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (stante il fatto che il non pagamento delle rateazioni su avvisi bonari, in situazione di “Inadempimento 1”, è avvenuta sotto l’ombrello ed in conseguenza ed osservanza della legislazione emergenziale Covid-19, che consentiva tale comportamento congelando la situazione di “Inadempimento 2”, nonostante detti non pagamenti, e rinviando a dopo la fine dell’emergenza pandemica l’emissione di pretese esecutive, i.e. cartelle esattoriali, e la conseguente possibilità-diritto di rateazione esattoriale), che comminano una condanna a morte quando al Chievo Verona è ancora aperta la possibilità (confermata dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione) della rateazione esattoriale e non tengono conto in alcun modo dell’impossibilità sopravvenuta derivante dall’emergenza pandemica, dalla sospensione dei campionati, dalla chiusura degli stadi, dalla paralisi del mercato calciatori e del fatto che, prima dell’emergenza in questione, il Chievo Verona non aveva mai omesso il pagamento delle rate pre-esattoriali, cosa che ha poi fatto solo quando consentito e anzi suggerito dalla legge emergenziale.

Se consideriamo che la perdita dell’iscrizione al campionato e la confisca/espropriazione del patrimonio rappresentati dai contratti e vincoli con i calciatori costituiscono, in sostanza, una pena di morte, e possono dirsi equivalenti ad una interdizione perpetua, basta dire che, nell’ordinamento italiano, l’interdizione perpetua è prevista solo per i delitti puniti con l’ergastolo, cioè il pluriomicidio premeditato e aggravato dall’associazione mafiosa, la non proporzionalità di questa pena appare a luce meridiana, considerato che, nella specie, la colpa del Chievo Verona è stata esclusivamente di non pagare delle rate di una rateazione tributaria scadute in un periodo di pandemia e che dunque la legge tributaria permetteva espressamente di non pagare (differendo ogni conseguenza sanzionatoria [incremento delle sanzioni pecuniarie] alla cessazione dell’emergenza Covid-19 e consentendo anche a quel punto l’accesso ad una nuova rateazione esattoriale), anziché non pagarle quando era vietato non pagarle (pre-Covid-19), il che avrebbe dato accesso senza problemi al campionato atteso il differimento ex lege delle rate esattoriali a periodo successivo a quello rilevante per la regolarità fiscale ai sensi dello (scellerato) “Sistema delle Licenze” 2021-2022.Del resto, anche a comparare la sanzione della perdita dell’iscrizione e del parco giocatori e del vivaio, anziché alla interdizione perpetua, alla interdizione da una professione o arte, in ogni caso la sanzione sarebbe del tutto sproporzionata, dal momento che la interdizione da una professione è prevista per delitti gravi, mentre nel caso di specie siamo di fronte semplicemente all’impossibilità di proseguire un piano di rientro pre-esattoriale, nel maggio 2020, causa effetti dannosi della pandemia Covid-19.Di qui le ragioni di illegittimità costituzionale e di diritto primario sovraordinato degli impugnati provvedimenti, che viene qui fatta valere”.

13.19 La riprova del fatto che queste ultime censure di costituzionalità abbiano ad oggetto gli atti costituiti dal Manuale delle licenze e dallo svincolo dei calciatori si ricava, in particolare dal seguente passaggio: “Rispetto alla circostanza che i rilievi sopra riportati concernono, in parte, il Manuale delle licenze 2021-2022 ed in parte il provvedimento di svincolo dei tesserati quali provvedimento rispettivamente presupposti e consequenziali al provvedimento impugnato inizialmente innanzi al Collegio di Garanzia CONI (la esclusione dal Campionato di Serie B), va osservato quanto segue:

a) la illegittimità costituzionale di un regolamento amministrativo, quale è il Sistema delle Licenze 2021-2022, deve essere rilevata d’ufficio, e dunque codesto Tribunale Amministrativo Regionale è competente al riguardo anche se l’eccezione non era stata originariamente proposta innanzi al Collegio di Garanzia CONI;

b) anche a volere qualificare il Sistema delle Licenze come un provvedimento e non come un regolamento (il che non pare corretto, in quanto si tratta di una regolamentazione rivolta a chiunque si trovi nelle condizioni per accedere al campionato di Serie B, ed inoltre in quanto implementa, o dovrebbe implementare, una regolamentazione coerente con quella in essere per i passati campionati, salvo evidentemente per le eccezionalità dell’anno e la data di scadenza dei vari adempimenti), non è predicabile, ovvero non sarebbe costituzionalmente orientato, un assetto in forza del quale un provvedimento incostituzionale ma non immediatamente lesivo (anche perché suscettibile, come in questo caso, di interpretazione costituzionalmente orientata, quella che era stata infatti dedotta dalla società ricorrente nei precedenti atti difensivi) non possa essere delibato come incostituzionale (e dunque disapplicato) anche d’ufficio dal Giudice investito della impugnazione del provvedimento o dei provvedimenti lesivi (nella specie: l’esclusione dal Campionato di Serie B ed il successivo svincolo dei tesserati): ad esempio, un Manuale che disponesse il divieto di iscrizione delle squadre i cui Presidenti siano di religione ebraica (cosa che in effetti la odierna resistente ha purtroppo fatto, in passato), oppure di pelle scura, oppure abbiano gli occhi azzurri, oppure siano donne, dovrebbe essere necessariamente impugnato unitamente all’atto lesivo? Di certo tale interpretazione non è costituzionalmente orientata, un provvedimento amministrativo che violi principi di ordine costituzionale (e, nella specie, anche di ordine sovranazionale, attesa la violazione dell’art. 7 CEDU) è tamquam non esset, ed è conseguentemente sufficiente impugnare l’atto amministrativo immediatamente lesivo, come è stato fatto nel caso di specie, per consentire al Giudice di delibare non solo l’atto lesivo in sé, ma anche la costituzionalità dei presupposti del medesimo. Ciò deriva dalla considerazione che la p.a. ha l’obbligo di disapplicare propri precedenti provvedimenti incostituzionali, e, viceversa, la (ottusa) applicazione del precedente provvedimento incostituzionale (non immediatamente lesivo).

14. Tutto ciò premesso, il Collegio rileva che le questioni di costituzionalità evocate dalla ricorrente non sono idonee ad integrare il requisito della rilevanza nell’ambito del presente giudizio.

14.1 Pur non essendo del tutto chiara la volontà della ricorrente sul punto, il Collegio si farà carico di esaminare la rilevanza delle predette questioni di costituzionalità, sia nella prospettiva di una pronuncia puramente demolitoria delle riferite normative emergenziali, sia nell’ottica di un intervento manipolativo-additivo, vale a dire finalizzato ad ovviare ai prospettati dubbi di costituzionalità attraverso l’introduzione, nelle disposizioni censurate della clausola di estensione del relativo regime di favore anche ai contribuenti che, come la ricorrente, si trovavano nella fase della c.d. dilazione pre-esattoriale.

14.2 L’art. 23 comma 2 della legge 87/1953 così stabilisce: “ L’autorità giurisdizionale, qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale o non ritenga che la questione sollevata sia manifestamente infondata, emette ordinanza con la quale, riferiti i termini ed i motivi della istanza con cui fu sollevata la questione, dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso”.

14.3 Il requisito della rilevanza, come rilevato dalla migliore dottrina, consiste in un legame di strumentalità tra la questione di legittimità e il giudizio a quo.

Siffatta condizione si verifica, per espressa previsione del riportato art. 2, quando il giudizio principale “non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale”.

Nel valutare la sussistenza del requisito della rilevanza, il giudice deve quindi tenere conto di due aspetti fondamentali: l’applicabilità della legge sospettata di incostituzionalità; l’influenza che l’eventuale pronuncia di incostituzionalità è in grado di esercitare sul giudizio in corso.

14.4 La Corte costituzionale, con un orientamento del tutto consolidato, è sempre stata rigorosa nell’applicare il filtro della rilevanza, per evitare di doversi pronunciare su questioni (teoriche o politiche) scisse dal requisito della necessaria concretezza e dell’effettiva incidenza sulla soluzione della lite.

Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale (ex multis, Corte cost. sent. n. 303/07), invero, ai fini dell’ingresso della questione di costituzionalità sollevata nel corso di un giudizio dinanzi ad un’autorità giurisdizionale, è requisito necessario, unitamente al vaglio della non manifesta infondatezza, che essa sia rilevante, ovvero che investa una disposizione avente forza di legge di cui il giudice rimettente è tenuto a fare applicazione, quale passaggio obbligato ai fini della risoluzione della controversia oggetto del processo principale.

La rilevanza della questione di costituzionalità comporta, dunque, che, primo fra tutti, il giudice rimettente dovrà fare applicazione concreta della decisione della Consulta nella soluzione della controversia a lui sottoposta.

14.5 Nel caso all’esame del Collegio, detto requisito è del tutto assente.

Al fine di argomentare compiutamente sulla questione, s’impone una cursoria premessa di inquadramento normativo e sistematico.

15. L’art. 136 Cost. dispone che “quando la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”.

15.1 L’art. 30 l. 11 marzo 1953, n. 87, a sua volta, prevede che “la sentenza che dichiara l'illegittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge dello Stato o di una Regione, entro due giorni dal suo deposito in Cancelleria, è trasmessa, di ufficio, al Ministro di grazia e giustizia od al Presidente della Giunta regionale affinché si proceda immediatamente e, comunque, non oltre il decimo giorno, alla pubblicazione del dispositivo della decisione nelle medesime forme stabilite per la pubblicazione dell'atto dichiarato costituzionalmente illegittimo. La sentenza, entro due giorni dalla data del deposito viene, altresì, comunicata alle Camere e ai Consigli regionali interessati, affinché, ove lo ritengano necessario adottino i provvedimenti di loro competenza. Le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. Quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali”.

15.2 Come noto, l’invalidità della legge impugnata per contrasto con norme gerarchicamente superiori non produce effetto ipso iure, ma va affermata con una sentenza di natura costitutiva, vincolante erga omnes, che riguarda tutti i soggetti dell’ordinamento e tutti i rapporti non ancora definiti.

È stato correttamente osservato dalla dottrina che un’interpretazione letterale dell’art. 136 Cost. lascerebbe qualificare l’effetto delle sentenze di accoglimento come una sorta di abrogazione, dal momento che la norma perde efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza, riguardando, pertanto, solo i rapporti futuri e non quelli pendenti alla data della decisione.

15.3 L’ incongruenza cui darebbe luogo tale conclusione (la quale, a tacere d’altro, impedirebbe alla dichiarazione di incostituzionalità di produrre effetti nel giudizio a quo) è stata superata con l’interpretazione dell’art. 136 Cost. ad opera del citato art. 30 l. 11 marzo 1953, n. 87, a mente del quale le norme dichiarate incostituzionali “non possono avere applicazione” dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.

Pertanto, la “perdita di efficacia” dell’art. 136 Cost. diventa “perdita di ulteriore applicabilità” delle norme dichiarate incostituzionali, con riferimento a tutti i rapporti, anche quelli già pendenti.

In questo senso l’effetto delle sentenze di accoglimento è qualificato in termini di “annullamento” della legge dichiarata incostituzionale che viene espunta dall’ordinamento, in ciò differenziandosi dalle leggi soltanto abrogate da ulteriori disposizioni di legge le quali (fatte salve eventuali previsioni di retroattività delle norme successive) continuano ad applicarsi ai rapporti ancora pendenti alla data dell’abrogazione.

15.4 Nel delineato quadro di regole e principi, il Collegio osserva che condizione imprescindibile, affinché siffatto annullamento possa concretamente operare, è che sussista nel giudizio a quo un rapporto processuale pendente.

Ne consegue, pertanto, la necessità che penda presso il giudice a quo l’impugnazione di un provvedimento amministrativo, di cui si assuma l’illegittimità costituzionale riflessa o mediata (rectius: l’illegittimità costituzionale della legge attributiva o regolativa del potere che nel provvedimento si manifesta) e che, pertanto, all’esito dell’eventuale accoglimento della questione di costituzionalità, possa essere annullato.

15.5 Ed invero, sulla base di un consolidato indirizzo interpretativo della giurisprudenza costituzionale e amministrativa, il limite all’efficacia delle sentenze di accoglimento è, infatti, rappresentato dai rapporti ormai “esauriti” per effetto di prescrizione, decadenza o passaggio in giudicato di una sentenza, prevalendo in questi casi il principio di certezza del diritto.

Unica eccezione alla regola appena descritta si realizza in materia penale, come chiaramente disposto dall’art. 30, comma 4, l. 11 marzo 1953, n. 87. Si tratta in questo caso di un’applicazione del principio già stabilito dall’articolo 2, comma 2, c.p., nonché dalla particolare tutela della libertà personale voluta dalla nostra Costituzione.

15.6 Nel nostro sistema di giustizia costituzionale è, infatti, del tutto consolidata l’affermazione secondo cui gli effetti dell'incostituzionalità non si estendono ai diritti quesiti e ai rapporti ormai esauriti in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l'ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero per essersi verificate preclusioni processuali o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d'incostituzionalità (ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, 12 luglio 2018, n.4264).

15.7 Declinando tale regola nel settore del diritto amministrativo, se ne ricava, in particolare, che la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma di legge non può travolgere i provvedimenti amministrativi ormai divenuti definitivi per mancata impugnazione o per formazione del giudicato sulla relativa controversia (cfr. Consiglio di Stato, sezione prima, n. 01209/2021).

Secondo l’insegnamento della Corte Costituzionale, infatti “a differenza dello ius superveniens, che attiene alla «vigenza normativa», la dichiarazione di illegittimità costituzionale rimuove la norma censurata dall'ordinamento in quanto affetta da una invalidità «genetica», legata al sistema di gerarchia delle fonti: invalidità che impone di considerarla tamquam non fuisset, con il solo limite - non del giudicato - ma di quegli effetti «già compiuti e del tutto consumati», per loro natura insuscettibili di neutralizzazione” (Corte Cost. 16 aprile 2021, n. 68).

Più nello specifico, con sentenza 8 ottobre 2021, n. 191, la Corte Costituzionale ricorda che “per costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, la cosiddetta efficacia retroattiva delle pronunce di illegittimità costituzionale incontra il limite dei rapporti esauriti, tra i quali rientrano quelli che non possano più dare materia a un giudizio in ragione della disciplina dei termini di inoppugnabilità degli atti amministrativi (sentenza n. 10 del 2015, ordinanza n. 135 del 2010)”.

15.8 Trattasi di un insegnamento consolidato e risalente nel tempo, alla cui stregua l'efficacia delle sentenze di accoglimento non retroagisce fino al punto di travolgere le «situazioni giuridiche comunque divenute irrevocabili» ovvero i «rapporti esauriti».

15.9 Tale regola, oltre a rispondere ad una consolidata elaborazione giurisprudenziale, ha un radicato fondamento logico perché evita che si rimettano in discussione assetti amministrativi consolidati e risalenti (sentenze n. 49 del 1970, n. 26 del 1969, n. 58 del 1967 e n. 127 del 1966).

L’efficacia retroattiva delle sentenze che dichiarano l’illegittimità costituzionale non è dunque illimitata ma al contrario presuppone che i rapporti su cui la decisione può produrre effetti siano pendenti nel processo a quo.

15.10 Nel solco di tali considerazioni sistematiche, il Collegio evidenzia che l’atto emanato in base a legge incostituzionale è infatti, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale e dottrinale, annullabile.

Siffatto indirizzo ermeneutico risale, come noto, alla pronuncia dell’Adunanza Plenaria 8/1963: “Quando, con la dichiarazione di incostituzionalità, la legge perde l’efficacia, la conseguenza che bisogna trarre” relativamente agli atti amministrativi “è solo che vi è stata una illegittima attribuzione di potestà discrezionale”, quindi “l’esercizio di un potere viziato per riflesso del vizio di costituzionalità che inficia la norma attributiva….la dichiarazione di illegittimità costituzionale ha efficacia ex tunc, salvo il limite degli effetti irrevocabilmente prodotti dalla norma incostituzionale (situazioni e rapporti divenuti incontrovertibili per il maturarsi di termini di prescrizione o di decadenza, o perché definiti con giudicato, etc….

…..La norma dichiarata incostituzionale non può dichiararsi inesistente (con conseguente inesistenza dell’organo creato in base ad essa e degli atti emessi da tale organo). Fra legge ed atto amministrativo non sussiste un rapporto di consequenzialità analogo a quello ravvisabile tra atto preparatorio e atto finale del procedimento amministrativo. L’atto amministrativo, quale manifestazione di autonomia del potere esecutivo, ha una sua vita ed una sua individualità propria e non resta direttamente travolto dalla cessazione di efficacia della legge. … La dichiarazione di incostituzionalità di una norma che attribuisce alla P.A. un potere discrezionale, non trasforma ex tunc le originarie posizioni di interesse legittimo in diritti soggettivi, privando di giurisdizione l’adito Consiglio di Stato. Infatti nel momento della emanazione dell’atto il potere discrezionale non poteva dirsi mancante ma veniva esercitato in base ad una legge viziata di incostituzionalità (…) i ricorsi impostati sulla intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale vanno decisi dal giudice amministrativo tenendo presente che l’atto amministrativo continua ad avere vita autonoma finché non sia rimosso con uno degli strumenti a ciò idonei e che persiste l’interesse di chi ne ha chiesto l’annullamento ad ottenerlo”.

15.11 Questo orientamento che, in definitiva, reputa l’atto amministrativo emanato sulla base di una legge successivamente dichiarata incostituzionale, anche se invalido, produttivo dei suoi effetti sino alla sua formale rimozione a mezzo dell’annullamento (purché non sia già divenuto definitivo e/o non sia “sceso” il giudicato sulla relativa controversia), è stato confermato in seguito dalla giurisprudenza e dalla dottrina.

Sulle orme di tale risalente elaborazione, la più recente giurisprudenza amministrativa ha, infatti, a tal riguardo utilizzato la categoria dell’invalidità “sopravvenuta” (o “derivata”), alludendo ad un atto amministrativo conforme al proprio modello legale nel momento della emanazione e, quindi, nel momento di esercizio del potere sotteso, ma divenuto viziato a seguito della dichiarazione di incostituzionalità della stessa norma, attributiva o regolativa.

15.12 Unico limite, anche in questa diversa prospettiva di analisi, rimane tuttavia la pendenza della controversia e la rilevanza della questione ai fini della decisione del giudice amministrativo, le quali sono assenti in situazioni e rapporti divenuti incontrovertibili per il maturarsi di termini di prescrizione o di decadenza.

La giurisprudenza afferma, in particolare, che il giudice non può applicare d’ufficio l’intervenuta pronuncia di illegittimità costituzionale della norma in ipotesi in cui, ex ante, non avrebbe potuto sollevare, di ufficio o su istanza di parte, la questione di legittimità costituzionale della norma predetta per difetto di rilevanza.

15.13 Calando i suindicati principi nel caso all’esame del Collegio, occorre subito osservare, richiamando sul punto le argomentazioni formulate in precedenza, che tra i provvedimenti amministrativi soggetti alla disciplina ora esposta rientra anche l’atto amministrativo costituito dal Manuale per le licenze.

Esso, tuttavia, alla luce delle osservazioni formulate in premessa:

- non è stato impugnato entro l’ordinario termine decadenziale;

- la sua tardiva impugnazione è, peraltro, avvenuta in radicale violazione del vincolo della pregiudiziale sportiva.

15.14 Da tale duplice anomalia processuale discendono rispettivamente l’irricevibilità e l’inammissibilità nel presente giudizio dei ricorsi di annullamento formulati per motivi aggiunti nei confronti del provvedimento amministrativo costituito dal Manuale delle licenze.

15.15 Considerazioni analoghe possono essere formulate nei confronti dell’atto di svincolo dei calciatori, la cui impugnazione nel presente procedimento è inammissibilmente avvenuta in spregio alla regola della c.d. pregiudiziale sportiva.

15.16 Tali eventi rientrano tra quelli cui l’ordinamento e il costante orientamento della giurisprudenza costituzionale e amministrativa ricollegano il consolidamento del rapporto giuridico regolato dal provvedimento, da cui consegue una capacità di resistenza anche ad una eventuale pronuncia di illegittimità costituzionale.

Per concludere in argomento, il limite invalicabile per dare ingresso ad una questione di costituzionalità nel giudizio amministrativo è costituito dalla pendenza di un procedimento rispetto all’atto emanato in base ad una legge di cui si assume l’incostituzionalità, non potendo la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma di legge travolgere i provvedimenti amministrativi ormai divenuti definitivi per mancata impugnazione

16. Ulteriori ragioni, a ben vedere, cospirano nel senso di ritenere le prospettate questioni di costituzionalità non rilevanti nell’ambito del presente giudizio, anche se scrutinate nella prospettiva di una pronuncia di accoglimento “secco” della questione di illegittimità costituzionale delle riportate normative emergenziali.

16.1 Come puntualmente rilevato nella decisione n. 56/2021 del Collegio di Garanzia dello Sport, i requisiti richiesti ai punti 14 e 15 del Manuale delle licenze, ai fini della iscrizione al campionato di serie B), non sussistevano, in capo alla ricorrente, già quando l’Agenzia delle Entrate aveva emesso nei confronti della società una o più comunicazioni di irregolarità.

La società ricorrente avrebbe dovuto, infatti, entro il termine perentorio del 28 giugno 2021, assolvere al pagamento delle rate delle imposte scadute al 28 febbraio 2021 ovvero avere in corso transazioni o rateazioni con l’Agenzia delle Entrate ed aver assolto al pagamento della rate dei piani transattivi o rateali, parimenti scadute al 28 febbraio 2021.

16.2 Tuttavia, come descritto in narrativa, nel caso di specie è documentata in atti la circostanza che la ricorrente fosse decaduta dal piano di rientro pre – esattoriale già in costanza del regime normativo emergenziale inaugurato in data 8 marzo 2020.

16.3 Appare opportuno ricostruire sul punto il quadro normativo di riferimento.

L’art. 2 D.lgs. 462/1997 così dispone: “1. Le somme che, a seguito dei controlli automatici effettuati ai sensi degli articoli 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1972, n. 633, risultano dovute a titolo d'imposta, ritenute, contributi e premi o di minori crediti già utilizzati, nonchè di interessi e di sanzioni per ritardato o omesso versamento, sono iscritte direttamente nei ruoli a titolo definitivo. 2. L'iscrizione a ruolo non è eseguita, in tutto o in parte, se il contribuente o il sostituto d'imposta provvede a pagare le somme dovute [...]”.

L’art. 3 bis - Rateazione delle somme dovute- prescrive che “1. Le somme dovute ai sensi dell'articolo 2, comma 2, e dell'articolo 3, comma 1, possono essere versate in un numero massimo di otto rate trimestrali di pari importo, ovvero, se superiori a cinquemila euro, in un numero massimo di venti rate trimestrali di pari importo. 2. L'importo della prima rata deve essere versato entro il termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione. Sull'importo delle rate successive sono dovuti gli interessi, calcolati dal primo giorno del secondo mese successivo a quello di elaborazione della comunicazione. Le rate trimestrali nelle quali il pagamento e ‘dilazionato scadono l'ultimo giorno di ciascun trimestre. 3. In caso di inadempimento nei pagamenti rateali si applicano le disposizioni di cui all'articolo 15-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. 4. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 si applicano anche alle somme da versare a seguito del ricevimento della comunicazione prevista dall'articolo 1, comma 412, della legge 30 dicembre 2004, n.311, relativamente ai redditi soggetti a tassazione separata”.

Il comma 3 dell’art. 2 D.lgs. 462/1997 statuisce poi che “ In caso di inadempimento nei pagamenti rateali si applicano le disposizioni di cui all'articolo 15-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602”.

L’art.15-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 a sua volta così dispone: “1. In caso di rateazione ai sensi dell'articolo 3-bis del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 462, il mancato pagamento della prima rata entro il termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione, ovvero di una delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, comporta la decadenza dal beneficio della rateazione e l'iscrizione a ruolo dei residui importi dovuti a titolo di imposta, interessi e sanzioni in misura piena”, salvo il “caso di lieve inadempimento”.

Il Manuale delle licenze, ai punti 14 e 15 (Titolo I, lett. C) reca le seguenti prescrizioni:

-assolvere il pagamento dei tributi IRES, IRAP ed IVA, risultanti dalle dichiarazioni annuali riferite ai periodi di imposta terminati entro il 31 dicembre 2014, 2015, 2016, 2017 e 2018, depositando altresì, presso la Co.Vi.So.C. una dichiarazione, sottoscritta dal legale rappresentante della società e dal revisore legale dei conti o dal presidente del Collegio sindacale o del consiglio di sorveglianza o dal sindaco unico, attestante detto adempimento. In caso di rateazione delle comunicazioni di irregolarità ovvero di transazioni o di rateazioni con l’Agenzia delle Entrate, le società devono depositare i medesimi atti di transazione e/o di rateazione ed assolvere il pagamento delle rate scadute al 28 febbraio 2021. Qualora siano in corso contenziosi, le società devono depositare la documentazione comprovante la pendenza della lite non temeraria innanzi al competente organo” ;

-“assolvere, in presenza di una o più comunicazioni di irregolarità emesse dall’Agenzia delle Entrate sulla base delle comunicazioni dei dati delle liquidazioni periodiche IVA relative ai diversi trimestri degli anni d’imposta 2017 e 2018, nonché al primo ed al secondo trimestre dell’anno d’imposta 2019, il pagamento delle rate scadute al 28 febbraio 2021, depositando altresì, presso la Co.Vi.So.C. una dichiarazione, sottoscritta dal legale rappresentante della società e dal revisore legale dei conti o dal presidente del Collegio sindacale o del consiglio di sorveglianza o dal sindaco unico, attestante detto adempimento”.

16.4 Alla luce di tale trama regolamentare, la società ricorrente avrebbe dovuto, entro il termine perentorio del 28 giugno 2021, essere in regola con pagamento delle rate delle imposte scadute al 28 febbraio 2021 ovvero avere in corso transazioni o rateazioni con l’Agenzia delle Entrate ed aver assolto al pagamento della rate dei piani transattivi o rateali, parimenti scadute al 28 febbraio 2021.

Ma questo, così come comprovano inequivocabilmente i documenti in atti, non è accaduto.

Da qui la condivisibile affermazione contenuta nella decisione nella decisione n. 56/2021 del Collegio di Garanzia dello Sport: “La situazione del debitore che, per usare il lessico della parte ricorrente, “resti inerte e attenda l’emissione e la notifica della successiva cartella di pagamento” è, in termini sostanziali, di attuale responsabilità per l’ “obbligo” nei confronti del creditore erariale (Agenzia delle Entrate) e, in termini processuali, di prospettica soggezione nei confronti dell’agente della riscossione (Agenzia delle Entrate – Riscossione): situazioni, entrambe, non incise nella loro consistenza dalla ulteriore disponibilità di mezzi di tutela.”

16.5 Al riguardo, mette conto sin da ora di evidenziare, in conformità con quanto puntualmente rilevato sul punto dall’ordinanza di Consiglio di Stato n. 4597/2021, che la virtuale suscettibilità di futura rateazione, ex articolo 19 d.P.R. n. 602 del 1973 - a seguito della ricezione di un atto della riscossione e del teorico ripristino della regolarità fiscale - non è, sul piano ontologico e sul versante teleologico, idonea a escludere la qualificazione delle obbligazioni tributarie in esame, a seguito dalla decadenza dal “beneficium”, come debiti fiscali inadempiuti alla data del 28 giugno 2021.

Del resto, come ulteriormente evidenziato in quest’ultima decisione, anche ad altri fini (nella fattispecie, dell'art. 80, comma 4, D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50) è stato recentemente ribadito in giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. V, Sentenza 10 maggio 2021, n. 3613) che la rateizzazione non onorata dal contribuente è sufficiente a dimostrare che l'operatore economico “non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali non definitivamente accertati”.

16.6 Ne discende, pertanto, che la ricorrente, indipendentemente dal regime normativo introdotto in data 8 marzo 2020, era già decaduta dal beneficio di termini rateali ai sensi dell'articolo 3-bis D. lgs. 18 dicembre 1997, n. 462, e dunque era qualificabile verso l’Erario quale soggetto responsabile di inadempimento non lieve.

Essa, trovandosi già in una situazione di inadempienza, anche in base al principio di auto-responsabilità, non può invocare alcuna concausa o sopravvenienza, per assolversi dalle conseguenze del pregresso inadempimento in cui era incorsa.

Nel caso di specie, l’intera condotta posta in essere dalla ricorrente, sia precedente sia successiva alla entrata in vigore della normativa emergenziale, è pienamente riconducibile alla sua sfera di controllo e responsabilità.

Per tali ragioni, la sopravvenuta normativa emergenziale, a differenza di quanto opinato dalla ricorrente, non assume valenza causale rispetto alla produzione dell’evento negativo (la mancata ammissione al campionato di serie B), di cui la medesima si duole.

16.7 La dimostrazione compiuta di quest’ultimo assunto sarà oggetto di approfondita disamina nel corso della valutazione delle questioni di merito, ma già in questa sede può essere anticipata la considerazione per cui i comportamenti alternativi leciti, costituiti nel caso di specie dal ricorso più tempestivo alla richiesta di dilazione in fase esecutiva ovvero, in alternativa, dall’esigibile adempimento spontaneo, secondo i principi generali in tema di adempimento delle obbligazioni, avrebbero consentito alla società di ripristinare tempestivamente il requisito della regolarità fiscale.

16.8 Non convince, poi in radice, il tentativo, a più riprese effettato dalla ricorrente nei suoi scritti difensivi, di accreditare la prospettiva della rateazione in executivis come un diritto del contribuente, che sarebbe stato impedito, nel caso all’esame del Collegio, unicamente dalla sopravvenienza normativa che ha disposto la sospensione della notifica delle cartelle esattoriali.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale la situazione soggettiva dell’esecutando per debiti tributari che, ove del caso, faccia istanza de non exequendo è ben lungi dall’essere ricostruibile in termini univoci di diritto soggettivo.

Come si avrà modo di riferire con maggiore dettaglio in seguito, l’orientamento della giurisprudenza è infatti nel senso che il “relativo provvedimento sia costitutivo”; da esso consegue un “beneficio che, una volta accordato, comporta la sostituzione del debito originario con uno diverso, con novazione dell'obbligazione originaria e nascita di una nuova obbligazione tributaria” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 27 agosto 2014, n. 4382).

Tale beneficio, come condivisibilmente affermato in giurisprudenza “non si produce automaticamente ma viene «concesso» con apposito atto dell’Agente della riscossione che può, dunque anche denegarlo, ciò che è – del resto – espressamente contemplato dalla disposizione censita; “pertanto, la semplice richiesta del contribuente non può integrare alcuna formalizzazione di impegno al pagamento fintanto che non sia intervenuto apposito provvedimento di ammissione al beneficio” (Tar Umbria, sez. I, 31 luglio 2019, n. 455).

Sulla base di tali considerazioni, la società non vantava alcuna pretesa giuridicamente tutelata alla formazione dei ruoli e all’ammissione al beneficio.

16.9 Alla luce delle considerazioni che precedono, l’impossibilità addotta a scusante per la mancata ammissione al regime di nuova rateazione in executivis dipende immediatamente e direttamente dalla precedente decadenza dal beneficio del termine e dal successivo inerte comportamento della ricorrente.

Anche alla luce dell’esame di tale ultimo profilo, trova, pertanto, conferma l’irrilevanza nel presente giudizio delle prospettate questioni di costituzionalità.

16.10 Dall’insieme delle considerazioni esposte discende il rigetto delle prospettate questioni di costituzionalità, le quali, quand’anche sollevate nell’ambito del presente giudizio, andrebbero incontro ad una sicura declaratoria di inammissibilità da parte della Consulta per difetto di rilevanza nel processo a quo.

17. Esaurita la trattazione di tutte le questioni in rito unitamente ai prospettati profili di costituzionalità, è ora possibile passare ad esaminare i motivi di merito la cui disamina sarà agevolata dal richiamo di parte degli argomenti in precedenza formulati.

17.1 Con il primo motivo del ricorso principale, la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione del punto 14 del Manuale delle licenze, il quale, a suo giudizio, andrebbe interpretato nel senso che il requisito ivi previsto dovrebbe intendersi soddisfatto con la sola presentazione dell’istanza di rateizzazione ed il pagamento delle rate eventualmente scadute dopo il 28.02.2020.

17.2 Ad avviso della ricorrente, in particolare, la decisione n. 56 del Collegio di Garanzia sarebbe illegittima nella parte in cui essa ha ritenuto insussistenti, in capo al Chievo Verona, i requisiti per l’iscrizione alla stagione del Campionato di Serie B previsti dal Manuale delle licenze 2021/2022.

17.3 A sostegno di tale assunto, la ricorrente in particolare adduce che, nel valutare una domanda di ammissione alla stagione 2021/2022, sarebbe stato necessario procedere ad una lettura costituzionalmente orientata del Manuale delle licenze 2021/2022 alla luce, anzitutto, dei principi di ragionevolezza e proporzionalità ed in coordinamento con la normativa emergenziale.

Sulla base di tale impostazione, la ricorrente assume che costituirebbe un valido atto di rateazione, sufficiente ai fini della iscrizione al campionato di serie B), anche la mera istanza di rateazione presentata dal contribuente.

17.4 Ne discenderebbe, in tale prospettiva ermeneutica, la regolarità fiscale della posizione della ricorrente, la quale, come esposto in narrativa, successivamente all’intervenuta decadenza ha depositato, in data 28 giugno 2021, l’istanza di rateazione all’Agenzia delle Entrate – Riscossione ed ha pagato l’importo di una prima rata il cui importo è stato da lei spontaneamente quantificato.

17.5 Alla luce delle generiche previsioni del punto 14 del Manuale - argomenta ulteriormente la ricorrente - non sarebbe legittima la richiesta di adempimenti ulteriori rispetto a quelli forniti dalla Società.

Ciò, sempre a giudizio della società ricorrente, anche in ragione della necessità di interpretare il citato p. 14 in coordinamento con la normativa emergenziale che ha sospeso la notificazione delle cartelle con cui l’Agente della Riscossione dà impulso al processo di riscossione.

Sotto tale profilo, non si potrebbe, ad avviso della ricorrente, condizionare l’iscrizione a un adempimento impossibile (come la notificazione delle cartelle di pagamento e la successiva presentazione dell’istanza di rateazione) per poi sanzionare con l’esclusione la sua mancata esecuzione.

Non si potrebbe, in altri termini, ritenere la Società responsabile in ragione di una sorta di “peccato originale”: la decadenza dal beneficio dalla rateazione ex art. 3-bis del D. Lgs. n. 462/1997.

Sarebbe assurdo - chiosa la ricorrente - applicare (così come fatto dal Collegio di Garanzia dello sport) al caso di specie il principio dell’actio libera in causa, trattandosi di una regola di diritto penale sull’imputabilità dell’illecito penale, come tale inapplicabile ad una questione completamente diversa di diritto amministrativo.

18 Il motivo, per quanto elegantemente argomentato, è infondato.

18.1 Contro la ricostruzione interpretativa della ricorrente depone in primo luogo il chiaro tenore letterale della previsione di cui al punto 14 del Manuale delle licenze, la quale, riferendosi alle rateazioni “avvenute” e al pagamento delle rate scadute, postula chiaramente che le rateazioni non siano state soltanto richieste, ma anche espressamente approvate dall’Amministrazione finanziaria.

18.2 Conforta tale approdo ermeneutico anche il ricorso all’interpretazione sistematica e teleologicamente orientata. Si osserva, infatti, che:

- il provvedimento che concede la sospensione, come anticipato, ha carattere costitutivo e la situazione che ne scaturisce è definita quale beneficio che, una volta accordato, comporta la sostituzione del debito originario con uno diverso, con novazione dell’obbligazione originaria e nascita di una nuova obbligazione tributaria (C. d. S., sez. V, sent. n. 4382/14);

- la fattispecie dell’art. 19 del d.P.R. n. 602 del 1973 presuppone l’avvenuta formazione e consegna dei ruoli (secondo quanto previsto, tra l’altro, dal d.m. 3 settembre 1999, n. 321, contenente il relativo regolamento), cioè presuppone l’esistenza di un titolo esecutivo (arg. ex art. 49 del d.P.R. n. 602 del 1973);

- l’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, per quanto qui rileva, stabilisce, poi, al comma 1, lett. c-bis), che la cartella di pagamento deve essere notificata a pena di decadenza entro il 31 dicembre “del terzo anno successivo a quello di scadenza dell’ultima rata del piano di rateazione per le somme dovute a seguito degli inadempimenti di cui all’art. 15-ter”;

- nelle more della formazione dei ruoli da parte dell’ente impositore e della loro consegna all’agente della riscossione, nonché dell’emissione della cartella di pagamento, il contribuente non versa in una situazione di diritto soggettivo all’ammissione del beneficio della dilazione di pagamento, né peraltro tale situazione giuridica soggettiva è configurabile dopo la formazione e la consegna del ruolo e nemmeno a seguito dell’istanza di dilazione di pagamento;

- lo stesso art. 19 prevede, infatti, al comma 1, che presupposto per l’ammissione al beneficio è, oltre alla detta iscrizione a ruolo, la dichiarazione (o la dimostrazione, per gli importi superiori a 60.000 euro) di una temporanea situazione di obiettiva difficoltà del debitore, da valutarsi da parte dell’agente della riscossione;

- come anticipato, in base al prevalente orientamento giurisprudenziale, la situazione soggettiva dell’esecutando per debiti tributari che, ove del caso, faccia istanza de non exequendo è ben lungi dall’essere ricostruibile in termini univoci di diritto soggettivo e, pendente la citata istanza, lungi altresì dal potersi considerare un diritto;

- l’impossibilità addotta a scusante per la mancata (allo stato) ammissione al regime di nuova rateazione in executivis dipende immediatamente e direttamente dalla precedente decadenza dal beneficio del termine, ovvero dall’inadempimento dell’obbligo tributario.

18.3 In conclusione, la società non vantava alcuna pretesa giuridicamente tutelata alla formazione dei ruoli e all’ammissione al beneficio (men che meno a seguito della presentazione dell’istanza soltanto alla data del 28 giugno 2021, improduttiva di effetti giuridici in assenza di atto discrezionale dell’agente della riscossione, dalla portata costitutiva, di concessione del beneficio), la cui soddisfazione possa dirsi preclusa per la sopravvenienza della normativa emergenziale.

18.4 Anche l’ulteriore argomento, su cui pone l’accento la ricorrente, secondo il quale non si potrebbe condizionare l’iscrizione a un adempimento impossibile, non coglie nel segno.

18.5 In senso contrario, il Collegio rileva che nelle circostanze date era ben esigibile un comportamento alternativo in grado di porre nell’irrilevanza il regime normativo principiato l’8 marzo 2020.

Come anticipato in precedenza, i comportamenti alternativi leciti, avrebbero potuto consistere nel caso di specie nel ricorso più tempestivo alla richiesta di dilazione in fase esecutiva, ovvero, in alternativa, nel ricorso all’adempimento spontaneo, secondo i principi generali in tema di adempimento delle obbligazioni, avrebbero consentito alla società di ripristinare tempestivamente il requisito della regolarità fiscale.

18.6 Per tali ragioni non si tratta nel caso all’esame del Collegio di fare applicazione del principio che ispira l’art. 87 c.p., (actio libera in causa), né di quello correlato secondo cui “ Qui in re illicita versatur respondit etiam pro casu”, ma più semplicemente del principio di auto-responsabilità.

Nel caso di che trattasi l’intera condotta posta in essere dalla ricorrente, sia precedente sia successiva alla entrata in vigore della normativa emergenziale, è riconducibile alla sua sfera di controllo e, pertanto, di conseguente responsabilità.

18.7. Basti pensare, ma l’argomento sarà ulteriormente approfondito nel corso dell’esame del terzo motivo del ricorso principale, che la ricorrente, pure a fronte delle prime decadenze maturate sin dal mese di 2020, si è ridotta a formulare l’istanza di rateizzazione in executivis soltanto in data 28 giugno 2021, ovvero proprio alla scadenza del termine perentorio fissato dal Manuale delle licenze per il possesso del requisito della regolarità fiscale.

18.8 Più in generale, va disatteso l’assunto della ricorrente, secondo cui la corretta esegesi dell’art. 68 del D.L. n. 18 del 2020 avrebbe dovuto portare ad una sorta di “generale rimessione in termini” anche rispetto a coloro che, , come la ricorrente , erano incorsi in una decadenza dal beneficio di termini rateali ai sensi dell'articolo 3-bis D. lgs. 18 dicembre 1997, n. 462.

L’assunto è infondato dal momento che, come condivisibilmente affermato dell’ordinanza n.4597/2021 del Consiglio di Stato, detta disposizione - come fatto palese dalla rubrica (“Sospensione dei termini di versamento dei carichi affidati all'agente della riscossione”) - concerne la fase della riscossione successiva all’iscrizione a ruolo dei tributi.

Pertanto la sospensione ex lege, riguardando i termini dei versamenti “derivanti da cartelle di pagamento emesse da agenti della riscossione”, non opera affatto come “generale rimessione in termini” del contribuente e non è idonea ad incidere sulla rateazione dei c.d. avvisi bonari ex art. 3 bis del d.lgs. n. 462 del 1997, accordata dall’ente impositore, Agenzia delle Entrate.

19. Con il secondo motivo del ricorso principale, la ricorrente deduce: violazione e/o falsa applicazione del Manuale delle licenze; violazione e falsa applicazione dell’art. 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972, dell’artt. 15-ter e 19 del D.P.R. n. 602 del 1973 e dell’art. 68 del D.L. n. 18/2020 sotto altro profilo.

19.1 In particolare, la ricorrente contesta la correttezza dell’affermazione posta a fondamento della decisione del Collegio di Garanzia dello Sport n. 56 , secondo cui : “In ragione dell’intervenuta decadenza delle procedure di pagamento rateale in precedenza in itinere, quindi – alla data del termine perentorio previsto dalla disciplina di riferimento (vale a dire il 28 giugno 2021) – la società non ha ritualmente adempiuto all’obbligo di pagamento dei debiti fiscali [...]”.

Siffatta ratio decidendi, ad avviso della ricorrente, sarebbe censurabile, in quanto fondata su di una erronea interpretazione dell’art. 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972.

La decadenza dal beneficio della rateazione non varrebbe, nella prospettiva della ricorrente, a configurare l’inadempimento di Chievo Verona s.r.l..

19.2 A sostegno del proprio assunto la ricorrente evidenzia che l’art. 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972 disciplina la liquidazione dell’IVA dovuta in base alle dichiarazioni presentate dal contribuente, prevedendo lo svolgimento di una procedura c.d. “di controllo formale”, alla quale, in caso di emersione di difformità rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, segue l’invio da parte dell’Amministrazione finanziaria di una comunicazione bonaria di irregolarità (c.d. “avviso bonario”), che riporta le rettifiche effettuate, le imposte, le sanzioni e gli interessi da versare.

Si tratterebbe, nella traiettoria espositiva della ricorrente, di un atto avente la funzione di evitare al contribuente la reiterazione di errori e di consentirgli la regolarizzazione di aspetti formali, ossia di un adempimento rivolto esclusivamente ad orientare il comportamento futuro dell'interessato.

19.3 In atri termini, l’atto in esame si caratterizzerebbe per essere un atto meramente istruttorio volto ad anticipare il contraddittorio con il contribuente, incentivando l’adempimento spontaneo.

Esso, per tali motivi, non sarebbe di per sé idoneo ad avviare il procedimento di riscossione, che prenderebbe invece le mosse dalla successiva iscrizione a ruolo, comunicata al contribuente con la notifica della cartella di pagamento.

A fronte del ricevimento di un avviso bonario, argomenta ulteriormente la ricorrente, il contribuente può, alternativamente:

- presentare all’Amministrazione finanziaria, entro 30 giorni, i propri chiarimenti;

- regolarizzare immediatamente la propria posizione debitoria, mediante il pagamento integrale, entro 30 giorni, degli importi rettificati dall’Amministrazione finanziaria;

- accedere al beneficio della rateizzazione delle somme dovute, ai sensi dell’art. 3-bis del D.lgs. n. 462 del 1997;

- non regolarizzare, in tutto o in parte, la propria posizione, attendendo l’iscrizione a ruolo delle somme richieste e la conseguente notifica della cartella di pagamento.

La ricorrente ha optato per la rateizzazione degli importi indicati negli avvisi bonari relativi alle dichiarazioni IVA presentate negli anni 2014-2019.

I relativi Piani di rateizzazione sono stati regolarmente adempiuti dalla Società, fin quando l’imponderabile e imprevista diffusione della pandemia ha costretto la ricorrente a rivedere il programma di rientro dal proprio debito erariale.

19.4 Da tali premesse la ricorrente trae il convincimento secondo cui l’unica conseguenza che l’art. 15-ter del D.P.R. n. 602 del 1973 riconnette all’inadempimento rispetto al Piano di rateizzazione consisterebbe nell’avvio della riscossione tramite ruolo e nella conseguente notifica della cartella di pagamento da parte del concessionario.

Dall’avvenuta decadenza dal piano di rateizzazione degli avvisi bonari, non discenderebbe, a giudizio della ricorrente, anche l’accertamento di una situazione di irregolarità fiscale, né altra conseguenza pregiudizievole per il contribuente.

L’irregolarità fiscale si cristallizzerebbe, infatti, solo nel successivo avvio della riscossione tramite ruolo che tuttavia postula l’imprescindibile requisito della sussistenza di credito erariale liquido ed esigibile.

Sulla scorta delle complessive considerazioni formulate, la ricorrente giunge alla conclusione per cui alla data del 28 giugno 2021, la posizione debitoria del Chievo Verona nei confronti dell’Amministrazione finanziaria non poteva dirsi scaduta. Il relativo credito/debito erariale non era liquido né esigibile.

20. Le argomentazioni della ricorrente non possono essere condivise soprattutto nelle conclusioni cui giungono.

20.1 In generale va premesso che, in relazione al momento in cui sorge l’obbligazione tributaria, la dottrina prevalente aderisce alla c.d. tesi dichiarativa, la quale ricollega la fonte dell’obbligazione tributaria alla realizzazione del presupposto di imposta.

Logico corollario di tale impostazione è che gli atti impositivi posti in essere dall’amministrazione finanziaria non rientrano nel meccanismo costitutivo del rapporto d’imposta.

Il fondamento costituzionale di tale indirizzo ermeneutico viene ravvisato nella riserva di legge relativa prevista dall’art. 23 della Cost., dal quale appunto si ricaverebbe la giustificazione della esclusiva fonte legale dell’obbligazione tributaria.

Nel solco di siffatto orientamento ermeneutico, la più recente giurisprudenza di legittimità significativamente afferma che in tema di IVA il fatto generatore dell’obbligazione tributaria è costituito dalla materiale esecuzione della prestazione di servizi ( cfr. Cassazione sez. Trib n. 9064 del 1 aprile 2021).

20.2 Seguendo tale autorevole orientamento, il mancato adempimento dell’obbligazione legale integrerebbe di per sé la responsabilità del debitore di imposta.

Tale assunto è maggiormente fondato proprio nelle ipotesi in cui, come nel caso di che trattasi, l’imposta viene autoliquidata dal contribuente.

Infatti , le procedure ex art. 36 - bis e 36 - ter del d.P.R. n. 600 del 1973 e, per quanto qui rileva, ex art. 54 - bis del d.P.R. n. 633 del 1972, aventi a oggetto i controlli formali delle dichiarazioni dei redditi ed IVA, prescindono dall’emissione di un avviso di accertamento.

20.3 Il c.d. avviso bonario, a differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente, è una comunicazione di irregolarità che fotografa un inadempimento.

In linea con tali coordinate ermeneutiche, l’art. 15 ter del D.P.R. n. 602 / 1973 prevede che il mancato pagamento della prima rata entro il termine di trenta giorni dal ricevimento dell’avviso bonario, ovvero l’omesso versamento di una delle rate successive entro il termine di scadenza previsto per quella successiva, comporta:

- la decadenza dal beneficio della dilazione;

- l’iscrizione al ruolo del dovuto residuo a titolo d’imposta, interessi e sanzioni in misura piena.

Il comma 3 dell’art. 15 ter DP:R. n. 602 / 1973 prevede anche l’ipotesi di lieve inadempimento, introdotto dal legislatore al fine di preservare gli effetti della rateazione in presenza di ritardi contenuti o di lievi omissioni.

In tale ultimo caso, il contribuente non incorre nella decadenza e l’eventuale frazione di imposta non pagata non è iscritto a ruolo.

20.4 L’analisi testuale di quest’ultima disposizione conforta l’interpretazione cui aderisce la sopra menzionata dottrina.

Ed invero, il riferimento all’inadempimento non può assumere alcun diverso significato se non quello di definire la violazione del precedente rapporto obbligatorio di imposta.

20.5 Alla luce di tali osservazioni, correttamente, pertanto, il Collegio di Garanzia dello sport ha stabilito che i requisiti richiesti dai punti punti 14 e 15 del Titolo I, lett. c), del Manuale delle licenze, ai fini del rilascio della licenza nel Sistema delle per l’ammissione al Campionato Professionistico di Serie B 2021/2022, non sussistevano già quando l’Agenzia delle Entrate aveva emesso nei confronti della società una o più comunicazioni di irregolarità, non essendo richiesta la definitività dell’accertamento tributario.

20.6 Depongono, del resto, a favore del già verificatosi inadempimento non lieve da parte della ricorrente anche ulteriori elementi quali il consistente ammontare dei debiti fiscali della società e la loro risalenza nel tempo.

20.7 Anche sotto il profilo dell’interpretazione teologica, del resto, il punto 14 del Manuale non può essere interpretato nel senso che il requisito ivi indicato sarebbe stato soddisfatto anche con la sola presentazione dell’istanza di rateizzazione.

Il fondamento della previsione di cui al citato punto 14, infatti, è duplice.

Esso risiede, per un verso, nella garanzia della solidità economico-finanziaria delle società calcistiche e, per altro verso, nella tutela della par condicio tra queste ultime.

Entrambe siffatte rationes sarebbero frontalmente violate laddove si aderisse all’interpretazione propugnata dalla ricorrente, la quale, in ultima analisi, comporterebbe l’ inevitabile e inammissibile effetto di spostare in un momento incerto (in quanto correlato alla possibilità di ottenere in futuro la rateizzazione in executivis) e comunque futuro l’accertamento del possesso dei predetti requisiti.

Infatti, l’assenza di un termine certo per il possesso dei requisiti economico-finanziari implicherebbe l’elusione del predetto termine perentorio del 28.6.2021 e la conseguente preclusione di qualsivoglia possibilità di vigilanza e controllo da parte della FIGC in ordine all’effettiva ricorrenza dei requisiti di ammissione in disamina.

20.8 Sotto un ulteriore e concorrente profilo, il consentire soltanto alla ricorrente di prendere parte al campionato di serie B), nonostante la posizione di irregolarità fiscale, avrebbe violato i più elementari principi della par condicio rispetto alle altre società.

20.9 Di qui la correttezza, anche sotto quest’ultimo profilo, della decisione del Collegio di Garanzia dello sport laddove ha riscontrato la mancanza, in capo alla ricorrente, dei requisiti di cui ai citati punti 14 e 15 del Manuale del “Sistema delle Licenze Nazionali”.

21. Con un terzo ordine di censure, la ricorrente deduce: violazione e falsa applicazione dell’art. 68 del D.L. n. 18 del 2020; difetto di proporzionalità. Mancata valutazione della non imputabilità della pretesa violazione alla Società ricorrente. Eccesso di potere in tutte le sue forme sintomatiche.

21.1 L’odierna ricorrente, nello specifico, contesta la circostanza di non aver potuto beneficiare della sospensione della riscossione in fase esecutiva per cause a lei non imputabili, e segnatamente in ragione delle sospensioni dell’attività di riscossione coattiva introdotte dall’art. 68 del D.L. n.18/2020. Da qui anche la conseguente violazione del principio di proporzionalità nella determinazione di non ammettere il Chievo al campionato di serie B.

21.2 Più in dettaglio, la ricorrente assume che, in assenza della predetta sospensione, essa avrebbe avuto certamente accesso al beneficio della rateizzazione ex art. 19 del D.P.R. n. 602 del 1973.

21.3 Dimostrerebbero quest’ultimo assunto, a dire della ricorrente, le comunicazioni intrattenute con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione.

21.4 Tale impossibilità rivestirebbe, argomenta l’odierna ricorrente, natura oggettiva, in quanto derivante dal factum principis, e non sarebbe in alcun modo causalmente attribuibile alla condotta della Società.

21.5 La traiettoria argomentativa della ricorrente si snoda nei seguenti passaggi :

- al 28.06.2021 i ruoli relativi alle posizioni debitorie della ricorrente non erano ancora stati consegnati all’Agenzia delle Entrate – Riscossione;

- l’istanza di rateizzazione presentata dalla Società il 28 giugno 2021 è stata valutata positivamente dall’Amministrazione finanziaria, che l’ha reputata “concedibile”;

- tuttavia, la predetta non è stata accolta perché, come testualmente riferito dall’agenzia delle Entrate “per procedere alla rateizzazione di quanto richiesto, le partite di ruolo devono però essere cartellate e fino al perfezionarsi di tale evento, non sarà possibile procedere con la definizione dell’istanza”;

- non dipenderebbe dalla Società l’avvio del procedimento di riscossione; tale evento era estraneo alla sfera di controllo del Chievo Verona ed era pertanto inesigibile.

22. Anche quest’ultimo motivo del ricorso principale non può essere accolto.

22.1 In primo luogo, anche in riferimento quest’ultimo ordine di censure, è da revocare in dubbio il non plausibile assioma del “ diritto alla sospensione della riscossione in fase esecutiva” da cui ancora una volta muove la ricorrente.

22.2 Occorre, infatti, ancora una volta rimarcare, richiamando sul punto le precedenti considerazioni, che nelle more della formazione dei ruoli da parte dell’ente impositore e della loro consegna all’agente della riscossione, nonché dell’emissione della cartella di pagamento, il contribuente non versa in una situazione di diritto soggettivo all’ammissione del beneficio della dilazione di pagamento.

La società ricorrente, per le ragioni suesposte, non vantava alcuna pretesa giuridicamente tutelata alla formazione dei ruoli e all’ammissione al beneficio.

22.3 Né è possibile invocare, per dimostrare il contrario, lo scambio di missive tra la ricorrente e l’Agenzia delle Entrate dal quale, piuttosto si ricava, come si avrà modo di dimostrare, solo l’astratta possibilità di accedere al beneficio della rateazione in executivis e non certo il perfezionamento della relativa fattispecie costitutiva.

22.4 In punto di fatto, si evidenzia invero che l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, con comunicazione del 13 luglio 2021, riscontrava l’istanza di rateizzazione formulata in data 28 giugno 2021 dalla ricorrente, affermando che:

- “l’istanza analizzata la situazione economico patrimoniale al 30/04/2021, risulterebbe ipoteticamente concedibile”;

- “ad oggi, i ruoli in questione non sono ancora stati consegnati alla scrivente Agenzia Entrate e Riscossione, motivo per il quale la rateizzazione non risulta allo stato lavorabile”.

In data 27 luglio 2021, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione notificava alla Società Chievo Verona s.r.l. un preavviso di rigetto dell’istanza di rateizzazione, con la motivazione per cui “per procedere alla rateizzazione di quanto richiesto, le partite di ruolo devono però essere cartellate e fino al perfezionarsi di tale evento, non sarà possibile procedere con la definizione dell’istanza”.

22.5 Dalla piana lettura delle sopra riportate note dell’Agenzia delle Entrate emerge:

- da un lato, che la rateizzazione appariva soltanto “ipoteticamente concedibile” ad ulteriore riprova dell’assenza di un diritto soggettivo perfetto in capo alla ricorrente;

- sotto altro profilo, che la condizione indispensabile per poter accedere alla rateizzazione in fase esecutiva consisteva nella previa necessità alla c.d. procedura di cartellazione delle partite di ruolo.

22.6 Contrariamente a quanto opinato dalla ricorrente, l’Agenzia delle Entrate non oppone, ai fini del completamento della c.d. procedura di cartellazione, alcun ostacolo rinveniente dalla normativa emergenziale oggetto di censura (la quale, si badi bene, ha sospeso soltanto la notifica delle cartelle esattoriali, e non anche la precedente fase di lavorazione e cartellazione).

22.7 Quest’ultimo elemento assume particolare rilievo, ad avviso del Collegio, proprio se ci si pone nell’ottica del giudizio “controfattuale” invocato dalla ricorrente, perché dimostra, una volta di più, che, anche in assenza della censurata normativa emergenziale, è tutt’altro che scontato che la ricorrente avrebbe ottenuto:

a) il beneficio del rateazione in executivis (an);

b) entro i termini del 28 giugno 2021 (quando).

22.8 Come noto il c.d. “giudizio controfattuale” è così chiamato perché sottende un ragionamento ipotetico che si svolge “contro i fatti”, ossia chiedendosi come si sarebbero sviluppati gli accadimenti in assenza di un determinato fattore che è in concreto intervenuto.

22.9 Ebbene, indossando nel caso di specie, come chiede di fare la ricorrente , le lenti del giudizio controfattuale(c.d. “eliminazione mentale”), occorre chiedersi che cosa sarebbe accaduto in assenza della normativa che, a decorrere dal marzo 2020, aveva sospeso la notifica delle cartelle esattoriali.

22.10 In tale ottica, occorre subito rilevare che già la prima comunicazione dell’Agenzia delle Entrate è del 13 luglio 2021, e quindi successiva al termine perentorio del 28.6.2021 indicato dal Manuale delle licenze per la regolarizzazione della situazione fiscale.

22.11 Sotto un ulteriore profilo, il Collegio rileva:

- che l’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, per quanto qui rileva, stabilisce, al comma 1, lett. c-bis), che la cartella di pagamento deve essere notificata a pena di decadenza entro il 31 dicembre “del terzo anno successivo a quello di scadenza dell’ultima rata del piano di rateazione per le somme dovute a seguito degli inadempimenti di cui all’art. 15-ter”;

- che sulla base dell’id quod plerumque accidit tra la richiesta di dilazione e l’accoglimento del beneficio trascorre un considerevole lasso temporale.

Del resto, proprio in tale ottica trova giustificazione la previsione, di cui al punto che precede, di un arco temporale di tre anni per la concessione del beneficio decorrenti dalla data di scadenza dell’ultima rata del piano.

22.12 Alla luce delle osservazioni che precedono, la deduzione del sicuro ottenimento del predetto beneficio, che dal complessivo argomentare della ricorrente sembrerebbe ascriversi al paradigma delle deduzioni nomologiche, deve, a parere del Collegio, essere più realisticamente ridotta ad un’inferenza meramente probabilistica, ovvero ad una mera chance, specie sotto il profilo del rispetto del temine perentorio del 28 giugno.

22.13 Un’ulteriore conferma della fondatezza di quest’ultimo assunto si ricava dalla comunicazione del 13 luglio 2021 con la quale l’agenzia delle Entrate afferma “ad oggi, i ruoli in questione non sono ancora stati consegnati alla scrivente Agenzia Entrate e Riscossione, motivo per il quale la rateizzazione non risulta allo stato lavorabile”.

Ed infatti, osserva il Collegio, la consegna dei ruoli da parte dell’Agenzia Entrate e Riscossione, non dipendeva di certo dalla sospensione della notifica delle cartelle esattoriale, la quale attiene solo al momento finale della procedura di riscossione.

Prova ne sia la successiva comunicazione del 30 luglio 2021, con la quale l’Agenzia delle Entrate ribadisce che, con riferimento alle pendenze relative ai periodi d’imposta 2014-2018, con l’esclusione del IV° trimestre del 2017 e del IV° trimestre del 2018, i relativi “ruoli sono stati vistati in data 01.07.2021, ed in base a quanto disposto dal Decreto interministeriale 321 del 03.09.1999, saranno successivamente consegnati ad Agenzia delle Entrate – Riscossione, che gestirà il seguito di competenza”.

22.14 Queste considerazioni evidenziano ulteriormente che, anche sotto tale profilo, i ritardi, che la ricorrente addebita esclusivamente al sopraggiungere della normativa emergenziale, sono in verità addebitabili alla circostanza che soltanto in data 28 giugno 2021 (ovvero dopo più di un anno dal maturarsi delle prime decadenze) ha deciso di rivolgere all’agenzia delle Entrate un’istanza di rateizzazione in executivis.

22.15 Ed allora, una volta assunta, su impulso della ricorrente, la prospettiva di analisi controfattuale, è necessario, ad avviso del Collegio, portarla avanti fino in fondo.

Occorrerebbe allora, più propriamente, chiedersi cosa sarebbe accaduto se la ricorrente, invece di attendere più di un anno il corso degli eventi, sperando in una sorta di sanatoria generalizzata, si fosse sin da subito attivata per chiedere una dilazione in executivis.

Verosimilmente, sulla base ancora una volta di quello che normalmente accade, l’Agenzia delle Entrate avrebbe completato, entro il termine del 28 giugno 2021, la fase della cd. cartellazione (non impedita, lo si ribadisce, dalla normativa emergenziale) e, previa valutazione della situazione di obiettiva difficoltà della richiedente, si sarebbe verosimilmente espressa in favore della richiesta di rateizzazione in fase esecutiva ( con una risposta non ipotetica, come quella che è presente agli atti del presente procedimento, ma connotata da certezza in ordine all’an della futura concessione del beneficio, una volta venuta meno la sospensione della notifica delle cartelle esattoriali).

22.16 Del resto, tale modus procedendi, che si dipana secondo uno schema bifasico, caratterizzato da una prima fase di accettazione e certificazione cui segue la successiva fase di iscrizione a ruolo, è quello normalmente seguito dall’agenzia delle entrate allorquando stipula con il debitore d’imposta la c.d. transazione fiscale di cui all’art. 182 - ter del r.d. 267 del 1942.

E, ritiene il Collegio, un impegno formale dell’Agenzia delle Entrate nei suindicati termini sarebbe stato, con ogni probabilità, idoneo a scongiurare il giudizio negativo della CO.VI.SO.C..

Quest’ultimo assunto trova, del resto, puntuale riscontro nella indicata nota della CO.VI.SO.C. dell’8 luglio 2021, la quale con riferimento all’istanza di rateazione ex art. 19 DPR 602/73, ha puntualmente ribattuto che, alla data dell’8 luglio (la prima comunicazione, nei predetti termini dubitativi, dell’ Agenzia delle Entrate arriverà infatti soltanto in data 13 luglio) mancava qualsivoglia riscontro su tale richiesta da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

Cioè a dire che sarebbe bastato, ai fini del rilascio della licenza, un atto di accettazione dell’Amministrazione Finanziaria (certus an anche se incertus quando).

22.17 In alternativa, come anticipato in precedenza, il comportamento alternativo lecito avrebbe potuto consistere nell’adempimento spontaneo secondo i principi generali in tema di adempimento delle obbligazioni, che avrebbe consentito alla società di ripristinare tempestivamente il requisito della regolarità fiscale.

Proprio in tema di adempimento spontaneo, occorre ulteriormente osservare che, in ultima analisi, anche in costanza della normativa emergenziale, la ricorrente avrebbe potuto comunque procedere, ad attivare l’istituto generale della mora credendi nei confronti di un eventuale, ma poco credibile, atteggiamento ostativo dell’ agenzia delle Entrate.

22.18 Per tali complessive ragioni, nel caso all’esame del Collegio sembra mancare anche la prova per induzione in ordine al fatto che, in assenza della normativa che ha sospeso la notifica delle cartelle esattoriali, la ricorrente, sulla base dei contegni omissivi assunti, avrebbe ottenuto, entro il termine previsto, il beneficio della sospensione in executivis.

Alla stregua di queste ultime considerazioni, risulta, inoltre, smentita l’affermazione della parte ricorrente in ordine alla inesigibilità di un comportamento alternativo e, di contro, resta confermato ancora una volta il fatto che l’intera vicenda occorsa è riconducibile alla sua sfera di responsabilità.

23. Da ultimo va disatteso anche il motivo con il quale la ricorrente ha lamentato l’ingiustizia dell’esclusione dal campionato di serie B) per contrasto con il principio di proporzionalità, per essere in particolare la misura irrogata non commisurata all’inadempimento.

23.1 In senso contrario va evidenziato che, anche sulla base delle ricordate esigenze sottese alla ratio della previsione di cui al punto 14 del Manuale delle licenze, il provvedimento escludente costituisce, infatti, la necessaria, tipica e predeterminata, ed equilibrata conseguenza dell’inadempimento addebitabile all’appellante per il mancato possesso dei requisiti economico-finanziari per l’ammissione ai campionati nei termini perentori indicati dalla lex specialis.

24. Con il primo atto per primi motivi aggiunti la Società ricorrente ha impugnato il Comunicato ufficiale della FIGC n. 45/A del 03.08.2021, con il quale è stato deliberato lo svincolo d’autorità dei calciatori tesserati per il Chievo Verona, e il Sistema delle Licenze Nazionali 2021/2022 per la Lega di Serie B, in particolare dei punti 14 e 15 del Titolo I, lett. C) e le lettere D) ed E).

24.1 Con il secondo atto per motivi aggiunti, la ricorrente ha dedotto profili di illegittimità costituzionale dei provvedimenti già impugnati con il ricorso e tra essi l’atto con in quale è stato deliberato lo svincolo d’autorità dei calciatori tesserati.

24.2 Con riferimento a entrambe le questioni si richiamano in questa sede le argomentazioni già formulate a sostegno della inammissibilità del primo ricorso per motivi aggiunti per violazione della c.d. pregiudiziale sportiva e della irrilevanza nel presente giudizio delle prospettate questioni di costituzionalità.

24.3 Con riferimento all’atto con in quale è stato deliberato lo svincolo d’autorità dei calciatori tesserati, va in questa sede ulteriormente aggiunto che alcun rilievo può assumere, ai fini del superamento del vincolo della pregiudiziale e del suo corollario costituito dal vincolo pregiudiziale dei motivi, l’impugnazione sopravvenuta in sede sportiva con ricorso autonomo e successivo rispetto a quello presentato dinanzi a questo Tribunale amministrativo.

In senso contrario a siffatta modalità procedurale si oppone la ratio della vincolo della pregiudiziale, in precedenza ampiamente delineata, oltre che l’ intuitivo rilevo per cui l’oggetto del giudizio non può essere esteso a vicende successive, non ritualmente introdotte in giudizio e non ricomprese, pertanto, tra quelle oggetto della controversia (cfr. Consiglio di Stato, sent. n. 4001 del 2021).

25. Va in conclusione esaminata un’ultima doglianza contenuta nel secondo ricorso per motivi aggiunti, relativa all’asserita illegittimità, anche costituzionale, del termine di due giorni previsto dalla delibera 1658 del 25 febbraio 2020, dal Consiglio Nazionale del CONI ai fini dell’impugnazione al Collegio di Garanzia del CONI.

25.1 La ragione della illegittimità costituzionale indiretta di questa previsione, risiederebbe, a giudizio della ricorrente, nel combinato operare di tale stretto termine decadenziale con la marcata portata lesiva del provvedimento della mancata ammissione al campionato di serie B), tale da farlo rientrare nel genus al quale, delle sanzioni natura punitiva.

25.2 Da siffatta premessa discenderebbe, a giudizio della ricorrente, la violazione dei principi costituzionali del diritto di difesa e del giusto processo di cui agli artt. art. 24, comma 1 e comma 2, e 111, comma 1 e 2, Cost., così come interpretati anche alla luce dei parametri interposti costituiti dall’agli artt. 6 comma, CEDU e 47, 1° comma, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, in relazione alle sanzioni di carattere sostanzialmente punitivo.

25.3 Come noto, nella sua ormai quarantennale giurisprudenza in tema, la Corte di Strasburgo ha individuato tre figure sintomatiche della natura penale di una sanzione (i cosiddetti criteri “Engel”): la qualificazione dell’illecito operata dal diritto nazionale; la natura della sanzione, alla luce della sua funzione punitiva-deterrente; la sua severità, ovvero la gravità del sacrificio imposto (sentenza 8 giugno 1976, Engel c. Olanda; i principi da essa enunciati sono stati confermati da molte sentenze successive: 26 marzo 1982, Adolf c. Austria, paragrafo 30; 9 febbraio 1995, Welch c. Regno Unito, paragrafo 27; 25 agosto 1987, Lutz c. Germania, paragrafo 54; 21 febbraio 1984, Öztürk c. Germania, paragrafo 50; 22 febbraio 1996, Putz c. Austria, paragrafo 31; 21 ottobre 1997, Pierre-Bloch c. Francia, paragrafo 54; 24 settembre 1997, Garyfallou AEBE c. Grecia, paragrafo 32).

25.4 Come ribadito nella sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia, questi criteri sono «alternativi e non cumulativi», ma ciò non impedisce di adottare un «approccio cumulativo se l’analisi separata di ciascun criterio non permette di arrivare ad una conclusione chiara in merito alla sussistenza di una “accusa in materia penale” (Jussila c. Finlandia [GC], n. 73053/01, §§ 30 e 31, CEDU 2006-XIII, e Zaicevs c. Lettonia, n. 65022/01, § 31, CEDU 2007-IX)» .

Come altrettanto noto, la collocazione di una misura prevista dall’ordinamento interno nella nozione di pena sostanziale elaborata dalla Corte di Strasburgo comporta che siano applicabili ad essa le garanzie previste dalla CEDU, quali in particolare: il diritto al giusto processo in materia civile e penale (art. 6); il principio nulla poena sine lege (art. 7); la retroattività in mitius; il divieto del bis in idem (art. 4, paragrafo 1, del Protocollo n. 7).

Come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale, spetta nondimeno in ultima analisi alla Corte Costituzionale valutare come ed in qual misura il prodotto dell’interpretazione della Corte europea si inserisca nell’ordinamento costituzionale italiano. La norma CEDU, nel momento in cui va ad integrare il primo comma dell’art. 117 Cost., da questo ripete il suo rango nel sistema delle fonti, con tutto ciò che ne segue, in termini di interpretazione e bilanciamento, operazioni alle quali la Corte Costituzionale istituzionalmente attende nella sua qualità di giudice del sistema costituzionale e ordinamentale (sentenza n. 317 del 2009).

In altri termini, è riservato alla corte Costituzionale l’apprezzamento della giurisprudenza europea formatasi sulla norma conferente, «in modo da rispettarne la sostanza, ma con un margine di apprezzamento e di adeguamento che le consenta di tener conto delle peculiarità dell’ordinamento giuridico in cui la norma convenzionale è destinata a inserirsi (sentenza n. 311 del 2009)» (sentenza n. 236 del 2011; da ultimo, sentenza n. 193 del 2016).

25.5 Alla luce di tali coordinate giurisprudenziali, il Collegio ritiene che il provvedimento di mancata ammissione alle competizioni sportive non costituisca una sanzione punitiva.

Infatti va ictu oculi esclusa, nel caso di che trattasi, la ricorrenza del primo dei predetti criteri, pacificamente non rivestendo detto provvedimento nell’ordinamento interno natura penale sotto il profilo formale.

25.6 Il secondo criterio attiene, come detto, alla sostanza punitiva della misura.

La natura punitiva della misura si desume, secondo la giurisprudenza di Strasburgo, da un complesso di elementi, tra i quali principalmente il tipo di condotta sanzionata, il nesso fra la misura inflitta e l’accertamento di un reato, la presenza di beni e interessi tradizionalmente affidati alla sfera penale, il procedimento con il quale la misura è adottata.

Nella sentenza del 9 febbraio 1995, Welch c. Regno Unito, paragrafo 27 , la Corte Edu ha inoltre affermato afferma che «il punto di partenza per ogni valutazione sulla sussistenza di una pena consiste nel determinare se la misura in questione è imposta a seguito [«following» nella versione inglese e «à la suite» nella versione francese] di una condanna per un illecito penale».

Con maggiore attinenza al caso di specie, occupandosi di sanzioni amministrative, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha escluso che si configurino come “penali”, nel significato convenzionale del termine, quelle che sono essenzialmente dirette a ripristinare la situazione di legalità restaurando l’interesse pubblico leso (sentenza 7 luglio 1989, Tre Traktörer Aktiebolag c. Svezia, paragrafo 46).

Anche alla luce di siffatti ulteriori elementi sintomatici, elaborati dalla Corte Edu, va certamente esclusa la natura penale del provvedimento di mancata ammissione alle competizioni sportive.

Scopo del provvedimento in disamina è, invero, quello di preservare le esigenze proprie del corretto funzionamento dell’ordinamento sportivo e più in particolare della singola competizione sportiva, mirando al contempo a tutelare anche la corretta concorrenza tre le società in competizione.

Vengono pertanto in rilievo i principi costituzionalmente rilevanti di buon andamento ed imparzialità di cui all’art. 97 Cost. (nella predisposizione da parte di CONI e FIGC di competizioni sportive che, per il loro indubbio rilievo economico , mirino a salvaguardare l’equilibrio complessivo del sistema) e di tutela libertà di iniziativa economica e della concorrenza di cui all’art. 41 della Costituzione (con riferimento alla par condicio tra tutte le società partecipanti alla competizione, anche sotto il profilo del legittimo utilizzo di risorse economiche da investire nella costruzione di squadre competitive).

In armonia con i predetti principi costituzionali, la misura in disamina impedisce la partecipazione alle riferite competizioni sportive di società che, non possedendo adeguati requisiti di carattere economico-finanziario, potrebbero metterne a repentaglio il complessivo equilibrio.

Essa riveste, pertanto, carattere preventivo e non punitivo.

25.7 Esclusa, anche alla luce del secondo criterio Engel, la natura punitiva e in questo senso “penale” della non ammissione, occorre passare al terzo indice, riguardante la gravità delle conseguenze sfavorevoli per colui che ne è colpito.

La Corte di Strasburgo ha chiarito che per valutare tale gravità si deve fare riferimento al massimo edittale e non alla misura effettivamente irrogata nei confronti di chi instaura il giudizio avverso lo Stato (sentenza 30 marzo del 2004, Hirst c. Regno Unito n. 1; sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia; sentenza 22 maggio 1990, Weber c. Svizzera, paragrafo 34). Ha inoltre ulteriormente evidenziato che il rigore di una misura punitiva dipende inoltre dalla sua capacità di incidere sulla posizione del destinatario: ciò che rileva, cioè, è la dimensione soggettiva e non quella oggettiva della pretesa punitiva (sentenza 1° febbraio 2005, Ziliberberg c. Moldova, paragrafo 34).

Ciò premesso, neanche tale ultimo requisito appare sussistere nel caso di che trattasi.

In senso contrario, va evidenziato che la mancata ammissione alle competizioni sportive riveste carattere temporaneo.

I criteri di ammissione hanno, come esposto in narrativa, efficacia limitata nel tempo perché valgono, per espressa previsione del Manuale delle licenze, solo in relazione alla stagione calcistica 2021-2022.

A favore di quest’ultima conclusione, può, mutatis mutandis, utilmente richiamarsi, per i principi in essa applicati, una recente pronuncia della Corte Edu ( Sez I 17 giugno 2021 n. 55093/13), intervenuta sia pur nel diverso contesto della sanzione sospensiva di cui alla legge 190 del 2012.

25.8 In conclusione, sulla base delle osservazioni che precedono, appare compatibile con il quadro delle garanzie apprestate dalla CEDU, così come interpretate dalla Corte di Strasburgo, la misura in disamina, la cui finalità è quella di evitare l’ammissione alle competizioni sportive di società non in regola con gli opportuni requisiti economico finanziari.

26. Il venir meno, alla luce di tali conclusioni, dell’applicazione, al provvedimento di non ammissione alle competizioni sportive, dello statuto costituzionale riservato alle sanzioni sostanzialmente punitive, rende più agevole lo scrutinio in ordine alla censura di l’illegittimità del termine breve per impugnare il relativo provvedimento.

27. La ragionevolezza di quest’ultima previsione risiede nella volontà di operare un equilibrato bilanciamento tra contrapposti interessi.

27.1 Lo scopo generale che il legislatore ha inteso realizzare, introducendo tale breve termine di impugnazione, consiste, infatti, nella necessità di realizzare una ragionevole composizione delle contrapposte esigenze sottese all’autonomia dell’ordinamento sportivo e, dall’altro lato, ai principi costituzionali del giusto processo (tra i quali la ragionevole durata) e del diritto di difesa;

27.2 In tale ottica, lo stesso legislatore si è fatto carico di coordinare, sotto il profilo temporale, i rapporti tra il rito sportivo relativo alle ammissioni e quello dinanzi alla giustizia amministrativa, contingentando le scansioni temporali e prevedendo uno sbarramento finale presidiato dalla regola della formazione del silenzio rifiuto.

27.3 Trattasi di un sistema prefigurato nelle sue linee di fondo dal Legislatore, nell’esercizio non irragionevole della sua discrezionalità, nel cui ambito armonicamente si colloca anche disposizione qui censurata, la quale mira, a sua volta, ad evitare il verificarsi di incresciosi allungamenti dei tempi per la risoluzione delle problematiche insorte nell’ambito della giustizia sportiva.

Essa si pone in funzione della esigenza, palesata dal legislatore, di una rapida risoluzione della controversia sportiva prima del passaggio alla cognizione del giudice amministrativo.

Il risultato di tale assetto regolatorio, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, si è tradotto nel raggiungimento di un ragionevole punto di equilibrio tra le esigenze sottese all’autonomia dell’ordinamento sportivo e quelle di ragionevole contenimento dei tempi del contenzioso, presidiando in ultima analisi, il diritto di difesa dello stesso ricorrente, il quale potrà rapidamente ottenere il vaglio di seconda istanza da parte del giudice amministrativo.

A favore della ragionevolezza di siffatto impianto disciplinare depone anche l’ulteriore considerazione per la quale esso appare strettamente funzionale alla rapida partenza del campionato di calcio entro i termini prefissati dalle regole di settore.

Alla luce delle osservazioni che precedono, pertanto, anche il motivo di ricorso in esame deve essere respinto.

28. Anche la domanda risarcitoria formulata dalla ricorrente deve essere respinta.

28.1 Dal complesso delle osservazioni che precedono, sulla base delle quali è stata accertata la legittimità degli atti impugnati, consegue l’assenza di responsabilità da parte delle amministrazioni resistenti.

Sul punto invero è sufficiente richiamare la recente decisione della Adunanza Plenaria n. 7/2021 che, nel solco della storica sentenza delle Sezioni Unite numero 500 del 1999, ha ribadito la riconducibilità della responsabilità dell’amministrazione per l’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o per il mancato esercizio di quella doverosa al paradigma della responsabilità da fatto illecito.

28.2 Secondo i principi ribaditi da quest’ultimo autorevole arresto giurisprudenziale, elemento centrale nella fattispecie di responsabilità da illegittima attività provvedimentale è l’ingiustizia del danno, da dimostrare in giudizio, diversamente da quanto avviene per la responsabilità da inadempimento contrattuale, in cui la valutazione sull’ingiustizia del danno è assorbita dalla violazione della regola contrattuale.

Declinata nel settore relativo al «risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi», di cui all’art. 7, comma 4, cod. proc. amm., il requisito dell’ingiustizia del danno implica che il risarcimento potrà essere riconosciuto se l’esercizio illegittimo del potere amministrativo abbia leso un bene della vita del privato, che quest’ultimo avrebbe avuto titolo per mantenere o ottenere, secondo la dicotomia “interessi legittimi oppositivi - pretensivi”.

28.3 Infatti, diversamente da quanto avviene nel settore della responsabilità contrattuale, il cui aspetto programmatico è costituito dal rapporto giuridico regolato bilateralmente dalle parti mediante l’incontro delle loro volontà concretizzato con la stipula del contratto-fatto storico, il rapporto amministrativo si caratterizza per l’esercizio unilaterale del potere nell’interesse pubblico, idoneo, se difforme dal paradigma legale e in presenza degli altri elementi costitutivi dell’illecito, a ingenerare la responsabilità aquiliana dell’amministrazione.

28.4 Alla stregua di tali condivisibili coordinate interpretative, manca - nel caso all’esame del Collegio - il presupposto dell’ingiustizia del danno, non ravvisandosi, per le ragioni indicate, un illegittimo esercizio del potere amministrativo da cui sia conseguita una lesione dell’interesse legittimo della ricorrente correlato al bene della vita agognato.

28.5 Da ciò logicamente discende l’assorbimento delle questioni attinenti alla colpa della Pubblica Amministrazione e al quantum risarcitorio (in quanto relative alla sfera del c.d. “danno – conseguenza”).

29. Sulla base delle ragioni che precedono il ricorso principale e i ricorsi per motivi aggiunti devono conclusivamente essere respinti.

30. Le spese del presente giudizio, in ragione della peculiare complessità e novità della presente controversia, possono essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge nei sensi di cui in motivazione.

Compensa integralmente le spese di lite tra tutte le parti del presente giudizio.

Ordina che il presente dispositivo sia eseguito dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2022 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Arzillo, Presidente

Anna Maria Verlengia, Consigliere

Luigi Furno, Referendario, Estensore

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