Decisione C.F.A. – Sezioni Unite : Decisione pubblicata sul CU n. 0118/CFA del 17 Maggio 2024 (motivazioni) - www.figc.it
Decisione Impugnata: Decisione del Tribunale federale territoriale c/o Comitato Regionale Friuli Venezia Giulia n. 93/TFT del 05.04.2024
Impugnazione – istanza: – A.S.D. Zaule Rabuiese-sig. L.G./Procura Federale Interregionale
Massima: Confermata la decisione del TFT che ha sanzionato il presidente con mesi 3 di inibizione e la società con l’ammenda di 600,0 per la violazione degli artt. 4, comma 1, e 44, comma 1, del Codice di Giustizia Sportiva per avere del procedimento pendente dinanzi alla Corte Sportiva d’Appello Territoriale depositato una “ricevuta di mancata consegna pec” relativa ad un messaggio di posta elettronica certificata che sarebbe stato inviato all’indirizzo inesistente denominato “minchiasticazzipippo@pec.it”, contenente vocaboli palesemente volgari e sconvenienti…Ciò che ha correttamente censurato il Giudice di prime cure non è l’utilizzazione dell’indirizzo di posta elettronica fittizio, asseritamente funzionale a dimostrare una tesi meramente difensiva, ma l’utilizzo assolutamente non pertinente e offensivo di quell’indirizzo, creato ad arte dagli stessi reclamanti. Sull’interpretazione dell’art. 598 c.p. ha avuto modo, recentemente, di pronunciarsi la Corte di Cassazione (Cass. pen., Sez. VI, n. 22376/2022), che ha così ritenuto: - secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, perché possa ricorrere la scriminante prevista dall'art. 598 c.p. è necessario che le espressioni ingiuriose siano adoperate in scritti o discorsi dinanzi all'autorità giudiziaria e concernano, in modo diretto ed immediato, l'oggetto della controversia ed abbiano rilevanza funzionale per le argomentazioni poste a sostegno della tesi prospettata o per l'accoglimento della domanda proposta, quand'anche non necessarie o decisive (tra tante, Sez. 5, n. 8421 del 23/01/2019, Rv. 275620). L'espressione oggettivamente ingiuriosa non deve essere quindi gratuita, ma deve essere funzionale all'esercizio del diritto di difesa, non potendo costituire il mero richiamo ad esigenze difensive il pretesto per svillaneggiare impunemente le parti processuali. Come ha evidenziato la Corte costituzionale, la tutela della libertà della difesa, che potrebbe non essere efficiente se non fosse libera dalla preoccupazione di possibili incriminazioni per offese all'altrui onore e decoro, non attribuisce infatti una singolare facoltà di offendere (sent. n. 380 del 1999); - sul tema dell'abuso delle facoltà difensive, si è già da tempo pronunciata la giurisprudenza di legittimità, ponendo in risalto anche i pronunciamenti delle istanze giudiziarie sovranazionali sul tema (Sez. U, n. 155 del 29/09/2011, Rossi, Rv. 251496). Il diritto di difesa trova invero il suo limite quando trasmodi "in forme eccedenti, o devianti, rispetto alla tutela dell'interesse sostanziale" (Sez. U. civ., n. 23726 del 15/11/2007, Rv. 599316) o si esprima in condotte "manifestamente contrarie alla finalità per la quale il diritto è riconosciuto" e che ostacoli il buon funzionamento dell'autorità giudicante e il buono svolgimento del procedimento dinanzi ad essa (Corte EDU, Molubovs e altri c. Lettonia, p.p. 62 e 65; Corte EDU, 18/11/2011, Petrovic c. Serbia) o per far valere un diritto che confligge con gli scopi di questo (Corte U.E., 20/09/2007, Tum e Dari, p. 64; 21/02/2006, Halifax e a., e ivi citate, p. 68). Muovendo dagli arresti della giurisprudenza delle Sezioni Unite civili, della Corte di Strasburgo e della Corte di Lussemburgo, la Suprema Corte nella sentenza Rossi ha enucleato la nozione di abuso del processo, quale vizio, per sviamento, della funzione, che si concreta quando l'imputato realizza uno "sviamento" della funzione dei diritti o delle facoltà che l'ordinamento processuale astrattamente gli riconosce, esercitandoli per scopi diversi da quelli per i quali gli sono riconosciuti. Orbene, nella fattispecie in esame manca il riferimento diretto ed immediato all’oggetto della controversia della espressione offensiva, che nulla apporta e nulla toglie alla tesi dei reclamanti in quella sede esposta, se non ritagliandosi un effetto strettamente riprovevole. In altre parole, la stessa tesi difensiva poteva ben essere portata in evidenza, utilizzando qualsivoglia altro indirizzo di fantasia, e mai quell’indirizzo così volgare e offensivo nei confronti dell’organo giudicante e dell’intera giustizia sportiva. Il Collegio di I° grado ha compiutamente richiamato anche l’art 4, comma 1, del CGS, declinando tutti i suoi elementi con ragionamento che questa Corte condivide in pieno. Infatti val la pena di ricordare che l’adesione all’ordinamento sportivo ed alle federazioni sportive nazionali comporta, oltre che l’accettazione delle sue norme, la condivisione di una serie di principi etici, che rendono ben più alta l’asticella della condotta del tesserato, che non può limitarsi ad un generico comportamento conforme ai principi del buon padre di famiglia, ma gli impone un più alto livello di attenzione e rispetto nei confronti degli altri tesserati e del sistema cui intende partecipare. Pertanto la decisione impugnata è immune da vizi e pienamente condivisa da questa Corte. Del pari è infondato il secondo motivo, in base al quale i reclamanti contestano la violazione del ne bis in idem, assumendo che la espunzione dell’intitolazione della mail, pronunciata dalla Corte d’appello sportiva territoriale ex art. 89 c.p.c., rappresenti una pronuncia destinata a formare giudicato sul punto. Occorre al riguardo osservare che l’art 89 c.p.c. – secondo cui il giudice può disporre che si cancellino le espressioni sconvenienti od offensive - rappresenta l’applicazione di una sanzione strettamente processuale, applicabile con la cancellazione della frase incriminata. Tanto è vero che, per giurisprudenza costante, l'eventuale istanza di cancellazione presentata dalla parte, non costituisce una domanda giudiziale ma una semplice sollecitazione all'esercizio di questo potere officioso del giudice, di guisa che l'omesso esame di essa, o il provvedimento che la rigetta, non possono essere oggetto di impugnazione (Cass. Civ., Sez. III., n. 22186/2009) Peraltro, in questa sede, l’utilizzazione di frase offensiva, più che meramente sconveniente, rappresenta di per sé una violazione disciplinare dell’art 4, comma 1, CGS, ben diversa dalla mera sanzione processuale della cancellazione. Tant’è che la Corte territoriale, dopo aver espunto il richiamo offensivo ex art 89 c.p.c, ha rimesso gli atti alla Procura federale per la valutazione, sotto diverso e più grave profilo, di tale comportamento, anche ai sensi dell’art 4, comma 1, CGS. Viene in rilievo, pertanto, ancora una volta l’art 4 CGS quale principio cardine dell’organismo sportivo e del suo ordinamento, che impone, a tutti e sempre, l’applicazione di un determinato comportamento, e il superamento del limite della norma stessa rappresenta di per sé violazione disciplinare; e ciò a prescindere dalla valutazione meramente processuale della sua espunzione del giudizio.