CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE LAVORO, SENTENZA del 21/11/2024 n. 30087

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE LAVORO, SENTENZA del 21/11/2024 n. 30087

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Presidente: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI

Relatore: AMENDOLA FABRIZIO

– OMISSIS –

ORDINANZA

 sul ricorso 15318-2022 proposto da: - OMISSIS - , elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA GIUSEPPE MAZZINI 27, presso lo studio TRIFIRO' & PARTNERS, rappresentato e difeso dagli avvocati ROBERTO TESTA, MARIO OTTONE CAMMARATA;

- ricorrente principale –

contro

A.C. MILAN S.P.A, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA 39, presso lo studio dell'avvocato MARCO PASSALACQUA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARCELLO GIUSTINIANI, CLAUDIO DANIELE MOSE' MORPURGO, ANNA GRAZIA SOMMARUGA;

- controricorrente - ricorrente incidentale –

nonché contro - OMISSIS - ;

- ricorrente principale - controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1269/2021 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 14/12/2021 R.G.N. 220/2021;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/10/2024 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.

RILEVATO CHE

1. - OMISSIS - convenne innanzi al giudice del lavoro del Tribunale di Milano la società A.C. Milan Spa per sentirla condannare al risarcimento dei danni derivanti dal recesso dal contratto di collaborazione stipulato tra le parti in data 1.7.2019 e intimato in seguito a dichiarazioni rilasciate ad un quotidiano sportivo in una intervista pubblicata il 29.2.2020; il Tribunale adito, ritenuta insussistente la giusta causa di recesso, in parziale accoglimento del ricorso, condannò A.C.M. al risarcimento del danno patrimoniale nella misura di Euro 4.125.000,00 e del danno non patrimoniale nella misura di Euro 1.250.000,00, “oltre interessi e rivalutazione monetaria sulla suddetta somma dalla data della pronuncia al saldo effettivo” e spese di lite; 2. interposto gravame da entrambe le parti, la Corte di Appello di Milano, con la sentenza pubblicata il 14 dicembre 2022, in parziale riforma della decisione di prime cure, ha confermato l’insussistenza di una giusta causa di recesso; ha rideterminato il risarcimento del danno patrimoniale in Euro 4.825.000,00 (prendendo in considerazione anche taluni benefits e il compenso variabile contrattualmente riconosciuti al collaboratore), da cui “detrarre quanto percepito ad oggi e sino al 30.11.2022 da - OMISSIS - in ragione di altre attività lavorative”; ha respinto la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale; ha confermato per il resto la sentenza impugnata, rideterminando le spese di lite poste a carico della società, compensandole per la metà;

3. la Corte territoriale, in estrema sintesi, ha condiviso con il primo giudice il convincimento per il quale “le dichiarazioni rilasciate da - OMISSIS - nell’intervista del 29.2.2020, in ‘replica’ a quelle -di segno diverso- rese da - OMISSIS (ndr. CEO della società) pochi giorni prima, costituiscono legittimo esercizio del diritto di critica del collaboratore e non possono integrare giusta causa di interruzione del rapporto”, rispettando i limiti della continenza formale, dell’interesse pubblico alla conoscenza della notizia e della verità oggettiva; secondo la Corte non giovava alla società invocare l’oggetto dell’incarico affidato al - OMISSIS - , in quanto con esso “non aveva certo abdicato alla facoltà di fare legittimo esercizio di un proprio diritto costituzionalmente garantito, qual è quello di critica”, né il collaboratore aveva violato gli impegni assunti all’art. 27 del contratto, “posto che il contenuto dell’intervista non divulga in alcun modo informazioni qualificabili come riservate alla luce delle riportate previsioni contrattuali”; 4. quanto alla liquidazione del danno patrimoniale, confermata l’esclusione della operatività della clausola di cui all’art. 22 del contratto siglato tra le parti, già ritenuta dal primo giudice, la Corte ha anche condiviso che al - OMISSIS - competesse una somma pari a quella dei compensi che avrebbe percepito nel periodo intercorrente tra il recesso ante tempus e la data del 30.11.2022 prevista quale naturale scadenza del contratto di collaborazione; ha, tuttavia, emendato la quantificazione del primo grado “nella parte in cui, nel fare applicazione del menzionato parametro, (…) ha preso in considerazione solo la componente monetaria e fissa della retribuzione, e non anche i benefits pure riconosciuti al collaboratore per l’espletamento dell’incarico e cioè la disponibilità di un alloggio a Milano (…) e la disponibilità di una vettura aziendale (…), per un valore - la cui esattezza non è stata contestata dalla società - di ulteriori 450.000 euro netti”; la Corte ha anche tenuto conto “della previsione di cui alla clausola 18, punto ii, dell’accordo, che contempla la spettanza di un compenso variabile di euro 250.000,00 netti in caso di qualificazione della squadra in Champions League (condizione verificatasi, sia pure dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado)”; dall’ammontare del danno rideterminato, quindi, in complessivi euro 4.825.000,00, la Corte ha dichiarato doversi dedurre l’aliunde perceptum, avendo il - OMISSIS - reperito presso la UEFA una nuova occupazione, ma non anche l’aliunde percipiendum, in difetto di specifiche allegazioni della società; sugli importi dovuti, la Corte territoriale non ha ritenuto “applicabile al caso di specie né l’art. 2 l. 22.5.2017, n. 81, destinata ad operare solo con riguardo alle – qui non configurabili – transazioni commerciali dei lavoratori autonomi, né l’art. 1284 c.c., dettato in materia di obbligazioni pecuniarie (e non di obbligazioni di valore, quali sono quelle risarcitorie)”; 5. infine, in accoglimento del gravame della società sul punto, ha respinto la domanda del risarcimento del danno non patrimoniale, argomentando diffusamente sulla mancanza di “elementi per ritenere imputabili a responsabilità della società gli asseriti pregiudizi non patrimoniali sofferti da - OMISSIS - ”, anche per “difetto di prova di un effettivo e apprezzabile pregiudizio all’immagine professionale del collaboratore, ricollocatosi in breve tempo in una posizione lavorativa prestigiosa e coerente con il suo bagaglio professionale”;

6. per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso - OMISSIS - in via principale con tre motivi; ha resistito A.C. Milan Spa con controricorso, contenente ricorso incidentale affidato a dieci motivi, di cui uno condizionato alla fondatezza del secondo motivo del ricorso principale; al gravame incidentale il - OMISSIS - ha replicato con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memorie; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;

CONSIDERATO CHE

1. i motivi di ricorso principale possono essere esposti secondo le rubriche e le relative sintesi formulate dalla stessa parte ricorrente:

1.1. il primo motivo denuncia: “ex art. 360 n. 4) e n. 3) cpc, circa il fatto decisivo per il giudizio in ordine alla responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale, di AC Milan ed al diritto di - OMISSIS - al risarcimento dei danni non patrimoniali, complessivamente intesi, conseguenti alla violazione delle obbligazioni previste in contratto ed al recesso per giusta causa, riconosciuta come inesistente, violazione art. 132, comma 2, cpc, anche per inesistente motivazione o motivazione apparente e comunque (art. 360, n. 4, cpc, anche in relazione ai profili di cui all’art. 360, n. 5, cpc, art. 360 n. 3, cpc) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218, 1375, 2103, 2049, 2059, 2087 e 2729 c.c.”; si censura la sentenza impugnata “per non aver riconosciuto il diritto di - OMISSIS - al risarcimento dei danni non patrimoniali, complessivamente intesi, conseguenti alla violazione delle obbligazioni previste in contratto ed al recesso per giusta causa, riconosciuta come inesistente”;

1.2. il secondo motivo denuncia: “in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cpc: violazione o falsa applicazione dell’art. 1284 c.c. e dell’art. 2, l. n. 81/2017.”; si censura la sentenza impugnata “per non aver riconosciuto il diritto dell’odierno ricorrente al computo degli interessi ed alla loro misura, ai sensi dell’art. 1284 c.c., sulle somme liquidate a titolo di danno patrimoniale”; 1.3. il terzo mezzo deduce: “violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1226 c.c. (art 360, n. 3, c.p.c.). Non operatività, nel caso di specie, del cd. aliunde perceptum”; si censura la sentenza impugnata “per aver ritenuto deducibile, a titolo di aliunde perceptum, dal danno patrimoniale liquidato, il compenso percepito dall’odierno ricorrente dal nuovo datore di lavoro”; 2. i motivi del ricorso incidentale possono essere esposti secondo la sintesi offerta dalla difesa della società; 2.1. con il primo motivo, ACM impugna la sentenza d’appello “ex art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5 c.p.c. per omesso esame di fatti decisivi ai fini del giudizio e conseguente violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1455 e 2119 c.c., nella parte in cui, concentrando la propria valutazione unicamente sul ravvisato esercizio del diritto di critica, ha aprioristicamente e irragionevolmente escluso l’esame dei singoli inadempimenti posti in essere da - OMISSIS - e la relativa sussunzione nel paradigma della giusta causa, nonostante la loro contrarietà ai valori dell’ordinamento”; 2.2. il secondo motivo denuncia “la violazione dell’art. 1362 c.c., nella parte in cui ha ritenuto (erroneamente) circoscritto alle sole informazioni intrinsecamente ‘riservate’ l’impegno assunto da - OMISSIS - in forza dell’art. 27 del contratto sottoscritto con ACM”;

2.3. il terzo motivo impugna la sentenza “ex art. 360, comma 1, n. 3 e 4 c.p.c., per violazione dell’art. 437, comma 2, c.p.c. e per contraddittorietà manifesta ed insanabile della motivazione nella parte in cui ha ritenuto (erroneamente) tardiva e non provata (nonostante la specifica richiesta di ammissione di prova testimoniale formulata con il ricorso in appello) - l’allegazione secondo cui i contenuti dell’intervista di - OMISSIS -  erano stati in precedenza discussi e condivisi nel corso di una riunione a cui era presente - OMISSIS - , il quale nulla aveva eccepito”;

2.4. col quarto mezzo si contesta la pronuncia impugnata “ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 416 e 115 c.p.c., nella parte in cui, con riferimento al ravvisato esercizio del diritto di critica, ha ritenuto (erroneamente) applicabile il principio di non contestazione in relazione ad una valutazione giuridica (quale è l’interesse pubblico)”;

2.5. con il quinto motivo, si impugna la sentenza “ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. per motivazione apparente circa un fatto decisivo del giudizio ed ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale (violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 c.c.), nella parte in cui ha escluso l’operatività dell’art. 22 del Contratto non rendendo percepibile il fondamento della propria decisione e comunque violando il principale criterio interpretativo di cui all’art. 1362 c.c. in relazione a quanto previsto dall’art. 22, cui ha attribuito un significato - quello secondo cui le parti, nel pattuire un apposito regime convenzionale delle conseguenze del recesso in assenza di giusta causa, avrebbero operato una distinzione tra ipotesi di recesso esercitato con allegazione di una giusta causa poi ritenuta insussistente in giudizio e ipotesi di recesso esercitato, fin dal principio, ad nutum – privo di qualunque base testuale (non operando, l’art. 22, una simile distinzione)”;

2.6. il sesto motivo critica la sentenza d’appello “per violazione e falsa applicazione degli artt. artt. 1362 e 1353 c.c., nella parte in cui non ha considerato che, secondo il canone ermeneutico ex art. 1362 c.c. da applicarsi all’art. 22 del Contratto, il fatto che la condizione essenziale dedotta all’art. 22 non sia ancora intervenuta non rileva per escludere l’operatività di tale clausola e del relativo regime convenzionale”;

2.7. con il settimo motivo, si impugna la sentenza “ex art. 360, comma 1, n. 3, 4 e 5 c.p.c., per violazione dell’art. 112 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 51, comma 4, lettera c) Tuir, travisamento delle risultanze processuali e omesso esame di un fatto decisivo, nella parte in cui: ha riconosciuto a - OMISSIS - il diritto di essere risarcito anche per la perdita dell’appartamento e dell’autovettura (pronunciandosi, rispetto all’autovettura, ultra petita) e quantificando il danno patrimoniale in Euro 450.000 sulla base dell’intero valore del canone di locazione (anziché quello derivante dall’applicazione della normativa fiscale), travisando l’informazione probatoria emergente dalla mancata contestazione del conteggio da parte di ACM (da controparte effettuato dalla messa in mora e non dalla data di riconsegna dell’appartamento come invece riconosciuto nella Sentenza di Secondo Grado) e omettendo di esaminare il fatto decisivo per il giudizio (emergente dal documento menzionato nella stessa Sentenza di Secondo Grado) che una parte del canone era stato posto a carico di - OMISSIS - ”;

2.8. con l’ottavo motivo si contesta la decisione gravata “ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., nella parte in cui ha riconosciuto a - OMISSIS - il diritto di essere risarcito anche per la perdita del bonus per qualificazione alla Champions League previsto dall’art. 19 del Contratto solo a condizione che il collaboratore fosse ancora in forza al termine della stagione sportiva, per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1322, 1362, 1353 e 1359 c.c. e dunque dei principi in tema di autonomia negoziale, delle regole in materia di condizione contrattuale e dei canoni legali di ermeneutica contrattuale e in violazione dei principi che prevedono la c.d. finzione di avveramento solo nell’eventualità in cui la condizione dedotta non si verifichi per il fatto di colui che aveva interesse contrario al suo compimento (omettendo di esaminare il fatto decisivo che ACM non aveva interesse contrario all’avveramento della condizione dedotta nel predetto art. 19)”;

2.9. con il nono motivo, si impugna la sentenza “ex art. 360, comma 1, n. 3 e 5 c.p.c., per aver omesso di esaminare un fatto decisivo per il giudizio dedotto da ACM, vale a dire la situazione del mercato del lavoro in relazione alla professionalità di - OMISSIS - e conseguentemente negato, in violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1227, 2727 e 2729 c.c., la detrazione (oltre che dell’aliunde perceptum, anche) dell’aliunde percipiendum dal risarcimento del danno patrimoniale”; 2.10. la società formula anche un motivo di ricorso incidentale condizionato (all’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale), impugnando la decisione di secondo grado “ex art. 360, comma 1, n. 3 e 4 c.p.c., per violazione dell’art. 437, comma 2, c.p.c. e conseguente nullità, in parte qua, della medesima, per essersi pronunciata su domanda nuova”; 3. in via preliminare deve essere esaminata l’eccezione, formulata dalla difesa del - OMISSIS - , di tardività del ricorso incidentale proposto dalla società, sostenendo che l’interesse a tale impugnazione non era insorto per effetto del ricorso principale, per cui il gravame incidentale avrebbe dovuto essere proposto nei termini ordinari, senza possibilità di usufruire dei termini previsti dall’art. 334 c.p.c. per l’impugnazione incidentale tardiva; l’eccezione è infondata alla luce del principio secondo cui: “L'impugnazione incidentale tardiva - da proporsi con l'atto di costituzione dell'appellato o con il controricorso nel giudizio di cassazione - può essere sollevata anche quando sia scaduto il termine per l'impugnazione principale, indipendentemente dal fatto che investa un capo autonomo della sentenza stessa e che, quindi, l'interesse ad impugnare fosse preesistente, dato che nessuna distinzione in proposito è contenuta negli artt. 334, 343 e 371 c.p.c. e che occorre consentire alla parte, che avrebbe di per sé accettato la decisione, di contrastare l'iniziativa della controparte, volta a rimettere comunque in discussione l'assetto di interessi derivante dalla pronuncia impugnata” (Cass. n. 15100 del 2024); infatti, occorre dare continuità all’indirizzo prevalente di questa Corte, secondo cui è ammessa l'impugnazione incidentale tardiva anche quando sia scaduto il termine per l'impugnazione principale, indipendentemente dal fatto che si tratti di un capo autonomo della sentenza stessa e che, quindi, l'interesse ad impugnare fosse preesistente (così Cass. n. 26139 del 2022; Cass. n. 25285 del 2020; Cass. n. 14094 del 2020); la ratio della norma che si ricava dal sistema delle impugnazioni è quella di consentire alla parte parzialmente soccombente, che avrebbe di per sé accettato la sentenza di primo grado, di contrastare, con l'impugnazione tardiva, l'iniziativa della controparte, volta a rimettere in discussione il rapporto controverso e, quindi, l'assetto di interessi derivanti dalla pronuncia impugnata, senza subire pregiudizio nell'apprezzamento delle proprie difese dalla iniziativa di controparte; una diversa, e più restrittiva, interpretazione indurrebbe ciascuna parte a cautelarsi proponendo un'autonoma impugnazione tempestiva sulla statuizione rispetto alla quale è rimasta soccombente, con inevitabile proliferazione dei processi di impugnazione (Cass. n. 18415 del 2018); tale indirizzo rinviene ulteriori ragioni di rafforzamento nel recente arresto di Cass. SS.UU. n. 8486 del 2024, in relazione ai due seguenti principi di diritto: “l'impugnazione incidentale tardiva è ammissibile anche quando rivesta le forme dell’impugnazione adesiva rivolta contro la parte destinataria dell’impugnazione principale, in ragione del fatto che l’interesse alla sua proposizione può sorgere dall’impugnazione principale”; “il principio secondo cui l'impugnazione incidentale tardiva è ammissibile pure quando rivesta le forme dell’impugnazione adesiva rivolta contro la parte destinataria dell’impugnazione principale è applicabile anche con riferimento all’interesse insorto a seguito di un’impugnazione incidentale tardiva”; 4. ciò posto, per ragioni di priorità nell’ordine logico-giuridico delle questioni, deve essere innanzitutto esaminato proprio il ricorso incidentale azionato dalla società; esso non merita accoglimento;

4.1. i primi quattro motivi, esaminabili congiuntamente per connessione in quanto censurano nella sentenza impugnata, sotto vari profili e con varie doglianze, la ritenuta insussistenza di una giusta causa di recesso, sono in parte inammissibili e in parte infondati; la Corte territoriale, esaminata la comunicazione con cui la società ha interrotto il rapporto di collaborazione e interpretato il contratto sottoscritto tra le parti, ha ritenuto che la contestata intervista rappresentasse un legittimo esercizio del diritto di critica e di libera manifestazione del pensiero del collaboratore e non violasse obblighi contrattualmente pattuiti; in conseguenza, confermando quanto già accertato in primo grado, ha escluso la sussistenza di una giusta causa di recesso; vale ribadire che “l'apprezzamento in ordine al superamento dei limiti di continenza e pertinenza stabiliti per un esercizio lecito della critica rivolta dal lavoratore nei confronti del datore costituisce valutazione rimessa al giudice di merito” (cfr. Cass. n. 1379 del 2019, cui si rinvia, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per ogni ulteriore aspetto); una volta ritenuto concordemente dai giudici di entrambi i gradi del giudizio che l’intervista resa dal - OMISSIS - costituisse legittimo esercizio di un diritto, con un accertamento di merito non sindacabile innanzi a questa Corte, anche per le preclusioni derivanti dalla cd. “doppia conforme”, le censure in esame non enucleano realmente i pretesi errori di diritto, prospettati solo formalmente, in cui sarebbe incorso il Collegio milanese; piuttosto, o sono volti a criticare l’accertamento della volontà negoziale tradotta nel contratto di collaborazione, indagine pure riservata ai giudici del merito, oppure pretendono una diversa valutazione dei fatti di causa (da collocare in specifici contesti, quali, “le peculiarità proprie dell’industria del calcio professionistico”, “il ruolo di - OMISSIS - ”, “il particolare momento storico”, etc.), sollecitando un sindacato che implica apprezzamenti di circostanze fattuali chiaramente preclusi al giudice di legittimità; infondata è, poi, la tesi della “contraddittorietà manifesta e insanabile della motivazione”, atteso che è certamente percepibile il percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale per confermare la pronuncia di primo grado e non è sufficiente a determinare il vizio radicale della nullità della sentenza né una eventuale insufficienza della motivazione, né, tanto meno, la circostanza che la medesima non soddisfi le aspettative di chi è rimasto soccombente; mentre la mancata ammissione della prova testimoniale, per risalente insegnamento di questa Corte, può essere denunciata per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l'omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (Cass. n. 11457 del 2007; conformi: Cass. n. 4369 del 2009; Cass. n. 5377 del 2011; Cass. n. 16214 del 2019); inoltre spetta esclusivamente al giudice del merito valutare gli elementi di prova già acquisiti e la pertinenza di quelli richiesti - senza che possa neanche essere invocata la lesione dell'art. 6, primo comma, della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo al fine di censurare l'ammissibilità di mezzi di prova concretamente decisa dal giudice nazionale (Cass. n. 13603 del 2011; Cass. n. 17004 del 2018) – con una valutazione che non è sindacabile nel giudizio di legittimità al di fuori dei rigorosi limiti imposti dalla novellata formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite (cfr. Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014); rilevazione di un vizio, peraltro, nella specie preclusa dalla ricorrenza di una cd. “doppia conforme”; infine, circa “l’interesse pubblico” alla conoscenza delle notizie, la Corte milanese ha espresso il suo convincimento non solo sulla base del principio di non contestazione, ma, del tutto condivisibilmente, ravvisando detto interesse in quanto “riguardante il pensiero in merito alle scelte strategiche e di mercato relative alla gestione di una notissima squadra di calcio di una delle figure ‘dirigenziali’ più note della omonima società appellante”; 4.2. il quinto, il sesto e l’ottavo motivo del ricorso incidentale sono inammissibili; con varie censure si critica l’interpretazione di talune clausole contrattuali offerta dalla Corte territoriale; orbene, è sufficiente rammentare che l’accertamento della volontà negoziale si sostanzia in un accertamento di fatto (tra molte, Cass. n. 9070 del 2013; Cass. n. 12360 del 2014), riservato all'esclusiva competenza del giudice del merito (cfr. Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006; Cass. n. 22318 del 2023); tali valutazioni del giudice di merito in proposito soggiacciono, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione logica e coerente (ex plurimis, Cass. n. 21576 del 2019; Cass. n. 20634 del 2018; Cass. n. 4851 del 2009; Cass. n. 3187 del 2009; Cass. n. 15339 del 2008; Cass. n. 11756 del 2006; Cass. n. 6724 del 2003; Cass. n. 17427 del 2003) e, nel vigore del novellato art. 360 c.p.c., di una motivazione che valichi la soglia del cd. “minimum costituzionale”, nella specie, secondo questo Collegio, sicuramente sufficiente; inoltre, per risalente insegnamento, sia la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica, sia la denuncia di vizi motivazionali esigono una specifica indicazione - ossia la precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata l’anzidetta violazione e delle ragioni della insanabile contraddittorietà del ragionamento del giudice di merito - non potendo le censure risolversi, in contrasto con l'interpretazione loro attribuita, nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella criticata (tra le innumerevoli: Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 12468 del 2004; Cass. n. 22979 del 2004, Cass. n. 7740 del 2003; Cass. n. 12366 del 2002; Cass. n. 11053 del 2000); nella specie, al cospetto dell’approdo esegetico cui è pervenuta la Corte distrettuale, parte ricorrente, nella sostanza, si limita a rivendicare un’alternativa interpretazione plausibile più favorevole di talune clausole contrattuali; ma per sottrarsi al sindacato di legittimità quella data dal giudice al testo non deve essere l'unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di un testo negoziale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito - alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice di merito - dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l'altra (Cass. n. 10131 del 2006); infatti il ricorso per cassazione - riconducibile, in linea generale, al modello dell'argomentazione di carattere confutativo - laddove censuri l'interpretazione del negozio accolta dalla sentenza impugnata non può assumere tutti i contenuti di cui quel modello è suscettibile, dovendo limitarsi ad evidenziare l'invalidità dell'interpretazione adottata attraverso l'allegazione (con relativa dimostrazione) dell'inesistenza o dell'assoluta inadeguatezza dei dati tenuti presenti dal giudice di merito o anche solo delle regole giustificative (anche implicite) che da quei dati hanno condotto alla conclusione accolta, e non potendo, invece, affidarsi alla mera contrapposizione di un risultato diverso sulla base di dati asseritamente più significativi o di regole di giustificazione prospettate come più congrue (in termini: Cass. n. 18375 del 2006);

4.3. parimenti inammissibile è il settimo motivo; sia perché contiene promiscuamente la contemporanea evocazione dei nn. 3, 4 e 5 dell’art. 360 c.p.c., senza alcuna adeguata indicazione di quale errore, tra quelli dedotti, sia riferibile ai singoli vizi che devono essere riconducibili ad uno di quelli tipicamente indicati dal comma 1 della disposizione richiamata, così non consentendo una adeguata identificazione del devolutum e dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, “di censure caratterizzate da (…) irredimibile eterogeneità” (Cass. SS.UU. n. 26242 del 2014; cfr. anche Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013; conf. Cass. n. 14317 del 2016; Cass. n. 3141 del 2019, Cass. n. 13657 del 2019; Cass. n. 18558 del 2019; Cass. n. 18560 del 2019); ma anche perché si denuncia il “travisamento delle risultanze processuali” al di fuori dei limiti recentemente stabiliti dalle Sezioni unite, secondo cui: “Il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale” (Cass. SS.UU. n. 5792 del 2024);

inoltre, tale pronuncia ha pure evidenziato che, “se si ammettesse la ricorribilità per cassazione in caso di travisamento della prova, […], rendendo pervio l’articolo 115 c.p.c. ben oltre il significato che ad esso è riconosciuto (cfr. Cass. SS.UU. n. 20867 del 2020), il giudizio di cassazione obbiettivamente scivolerebbe verso un terzo grado destinato a svolgersi non sulla decisione impugnata, ma sull’intero compendio delle «carte» processuali, sicché la latitudine del giudizio di legittimità neppure ripristinerebbe l’assetto ante riforma del 2012, ma lo espanderebbe assai di più”, assegnando “alla Corte di cassazione il potere di rifare daccapo il giudizio di merito”; il che è quanto sollecitato dalla censura in esame;

4.4. infine, pure il nono motivo del ricorso incidentale è infondato; infatti, la Corte non ha affatto omesso l’esame della “situazione del mercato del lavoro in relazione alla professionalità di - OMISSIS - ”, esplicitamente valutata alla pag. 15 della sentenza impugnata, ma ha solo valutato la circostanza diversamente dalle attese della società; 5. anche il ricorso principale del - OMISSIS - , relativo a talune delle conseguenze derivanti dall’illegittimità del recesso datoriale, a giudizio del Collegio non merita condivisione; 5.1. il primo motivo, concernente il diniego del risarcimento del danno non patrimoniale, non può trovare accoglimento per concorrenti profili; innanzitutto, come già esposto a proposito del settimo motivo di ricorso incidentale, la doglianza è inammissibile per la promiscua deduzione dei vizi contenuti nei nn. 3, 4 e 5 dell’art. 360 c.p.c., accompagnata da una seriale denuncia di violazione o falsa applicazione di plurime disposizioni del codice civile, senza il rispetto del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione - da intendere alla luce del canone generale "della strumentalità delle forme processuali" – che comporta, fra l'altro, l'esposizione di argomentazioni chiare ed esaurienti, illustrative delle dedotte inosservanze di norme o principi di diritto, che precisino come abbia avuto luogo la violazione ascritta alla pronuncia di merito (Cass. n. 23675 del 2013), in quanto è solo la esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (Cass. n. 25044 del 2013; Cass. n. 17739 del 2011; Cass. n. 7891 del 2007; Cass. n. 7882 del 2006; Cass. n. 3941 del 2002); l’osservanza del canone della chiarezza e della sinteticità espositiva rappresenta l'adempimento di un preciso dovere processuale il cui mancato rispetto, da parte del ricorrente per cassazione, lo espone al rischio di una declaratoria d'inammissibilità dell'impugnazione (Cass. n. 19100 del 2006) ed è dunque inammissibile un ricorso che non consenta di individuare in che modo e come le numerose norme invocate sarebbero state violate nella sentenza impugnata, quali sarebbero i principi di diritto asseritamente trasgrediti nonché i punti della motivazione specificamente viziati (tra le altre v. Cass. n. 17178 del 2014 e giurisprudenza ivi richiamata); in secondo luogo, va sottolineato che l’esistenza o meno, nella concretezza della vicenda storica, di conseguenze dannose di natura non patrimoniale derivanti dall’inadempimento contrattuale costituisce inevitabilmente una quaestio facti di competenza del giudice del merito che, come ogni altra, può essere sindacata innanzi a questa Corte nei limiti ristretti in cui può esserlo ogni accertamento di merito (cfr., da ultimo, Cass. n. 27723 del 2024); ossia: o nei rigorosi confini posti dal novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte a partire dalle già citate sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014; oppure laddove la motivazione posta a base di tale accertamento non oltrepassi la soglia del cd. minimum costituzionale, di modo che la sentenza impugnata risulti affetta dal più grave dei vizi, tale da determinarne la nullità censurabile ex n. 4 dell’art. 360 c.p.c.; nel caso che occupa il Collegio non ravvisa nella censura in scrutinio né l’enucleazione di un fatto storico, che ha dato origine alla controversia, di cui sia stato omesso l’esame da parte della Corte territoriale e avente carattere decisivo, nel senso patrocinato da questa Corte per cui, ove fosse stato esaminato, avrebbe condotto ad un esito diverso della controversia con un giudizio prognostico non di mera possibilità; né, tanto meno, si riscontra una motivazione sul punto "apparente" o frutto di "contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili" ovvero "perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, avendo i giudici d’appello diffusamente spiegato le ragioni del proprio convincimento;

5.2. il secondo motivo, che lamenta il mancato riconoscimento degli ulteriori interessi di cui al comma 4 dell’art. 1284 c.c. ovvero dell’art. 2 l. n. 81 del 2017, non è accoglibile; le Sezioni unite di questa Corte (sentenza n. 12449 del 2024) hanno recentemente chiarito che il quarto comma dell’art. 1284 non integra un mero effetto legale della fattispecie costitutiva degli interessi (cui la legge collega la relativa misura), ma rinvia ad una fattispecie, i cui elementi sono per una parte certamente rinvenibili in quelli cui la legge in generale collega l’effetto della spettanza degli interessi legali, ma per l’altra è integrata da ulteriori presupposti, suscettibili di autonoma valutazione rispetto al mero apprezzamento della spettanza degli interessi nella misura legale; entro tali limiti, viene a stabilirsi una soluzione di continuità fra la fattispecie costitutiva dell’effetto della spettanza degli interessi legali in generale e quella degli interessi legali contemplati dal quarto comma dell’art. 1284; la relativa autonomia della fattispecie produttiva dei c.d. superinteressi (relativa perché contenente ulteriori elementi di specificazione), rispetto a quella produttiva degli ordinari effetti legali, fa sì che uno dei diversi profili oggetto di accertamento giurisdizionale, a seguito della introduzione della controversia con la deduzione in giudizio di un determinato rapporto giuridico, sia anche quello della ricorrenza dei presupposti applicativi dell’art. 1284, comma 4; con la domanda giudiziale insorge una controversia ed è parte di questa controversia anche la spettanza, dopo la domanda giudiziale, del saggio degli interessi legali previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali; da quanto precede deriva che, in forza del fondamentale principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’articolo 112 c.p.c., gli interessi maggiorati devono costituire oggetto di una espressa domanda che ne evidenzi gli ulteriori presupposti, suscettibili di autonoma valutazione rispetto al mero apprezzamento della spettanza degli interessi nella misura legale, ed analogamente deve ritenersi per gli accessori ex lege n. 81 del 2017; mentre nella specie, come risulta dalle conclusioni dell’atto introduttivo del giudizio, riportate dallo stesso ricorrente, questi ha richiesto esclusivamente di “condannare la società convenuta al pagamento su tutti gli importi sopra indicati degli interessi maturati e maturandi sulle somme sopra esposte nella misura legale, nonché della rivalutazione monetaria maturata e maturanda”, con una formula chiaramente evocativa della formula prevista dall’art. 429 c.p.c., tanto che il primo giudice ha accordato gli accessori in tal guisa; solo tardivamente in appello la difesa del - OMISSIS - ha formulato la nuova domanda per i super-interessi, per cui la stessa pretesa è da ritenere inammissibile; il rigetto di tale motivo assorbe il motivo di ricorso incidentale condizionato proposto dalla società sul punto; 5.3. il terzo mezzo del gravame principale, con cui si critica la sentenza d’appello per aver riconosciuto come aliunde perceptum quanto percepito dal - OMISSIS - per l’attività lavorativa presso la UEFA, è inammissibile; la questione di fatto circa la compatibilità dell’attività lavorativa svolta presso la UEFA con l’eventuale prosecuzione del rapporto di collaborazione autonoma con l’AC Milan ha carattere di novità; essa, infatti, non risulta affrontata nella sentenza impugnata, né la parte ha cura di specificare nel corpo del motivo quando e come suddetta questione sia stata sottoposta al contraddittorio nel corso del giudizio di merito; è noto che, secondo giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte, qualora una determinata questione giuridica - che implichi un accertamento di fatto - non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (cfr. Cass. SS.UU. n. 34469 del 2019), di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. SS. UU. n. 2399 del 2014; Cass. n. 2730 del 2012; Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 25546 del 2006; Cass. n. 3664 del 2006; Cass. n. 6542 del 2004; Cass. n. 32084 del 2019; Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 27568 del 2017); 6. in conclusione, entrambi i ricorsi devono essere respinti, con assorbimento del motivo di ricorso incidentale condizionato; in considerazione della reciproca soccombenza, le spese del giudizio di legittimità si compensano integralmente; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, principale e incidentale, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);

P.Q.M.

La Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa le spese. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle parti ricorrenti in via principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, principale e incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 24 ottobre 2024

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