T.A.R. LAZIO SEDE DI ROMA – SEZIONE PRIMA – ORDINANZA DEL 06/06/2024 N. 11557

T.A.R. LAZIO SEDE DI ROMA - SEZIONE PRIMA – ORDINANZA DEL 06/06/2024 N.  11557

Pubblicato il 06/06/2024

N. 11557/2024 REG.PROV.COLL.

N. 09553/2023 REG.RIC.           

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 9553 del 2023, proposto da-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Nino Paolantonio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Principessa Clotilde n. 2;

contro

Federazione Italiana Giuoco Calcio, rappresentata e difesa dall'avvocato Giancarlo Viglione, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Lungotevere dei Mellini n. 17; C.O.N.I, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alberto Angeletti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Via Giuseppe Pisanelli n. 40;

per la declaratoria di illegittimità

ed eventuale accertamento della nullità, o per l’annullamento, delle decisioni: della Corte Federale d’Appello della F.I.G.C. n. 63 del 3° gennaio 2023; del Collegio di Garanzia del CONI n. 40 dell’8 maggio 2023; in parte qua, della Corte Federale d’Appello della F.I.G.C. n. 110 del 30 maggio 2023, e quindi

per la condanna

della F.I.G.C., del C.O.N.I. e della PROCURA FEDERALE presso la F.I.G.C., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, al risarcimento dei danni patrimoniali e non, patiti dal ricorrente per effetto delle decisioni sopra descritte, ai sensi dell’art. 30, c.p.a. e dell’art. 2 del d.l. n. 220/2003;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Federazione Italiana Giuoco Calcio e del C.O.N.I;

Visto l'art. 79, co. 1, cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 marzo 2024 la dott.ssa Silvia Simone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Con la presente ordinanza questo Tribunale solleva questioni pregiudiziali di interpretazione ai sensi dell’art. 267 del Trattato U.E., in relazione alla compatibilità della disciplina nazionale di cui al Decreto legge 19 agosto 2003, n. 220, recante “Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva”, convertito con modificazioni dalla L. 17 ottobre 2003, n. 280, con il diritto unionale, per i profili che saranno di seguito esposti.

A. ILLUSTRAZIONE SINTETICA DELL’OGGETTO DELLA CONTROVERSIA ED ARGOMENTI DELLE PARTI

1. Con il ricorso introduttivo del giudizio il sig.-OMISSIS- agisce per l’accertamento della nullità, o l’annullamento, delle decisioni della Corte Federale d’Appello della FIGC n. 63 del 30 gennaio 2023, del Collegio di Garanzia del CONI n. 40 dell’8 maggio 2023, in parte qua, della Corte Federale d’Appello della FIGC n. 110 del 30 maggio 2023, e per la condanna della FIGC, del CONI e della Procura federale presso la FIGC al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, dallo stesso patiti per effetto delle decisioni sopra descritte, ai sensi dell’art. 30, c.p.a. e dell’art. 2 del d.l. n. 220/2003.

1.1 La causa è stata discussa all’udienza pubblica del 12 marzo 2024 e quindi trattenuta in decisione.

2. Il giudizio in esame scaturisce da una complessa vicenda sportiva, che nei suoi passaggi essenziali può essere riassunta come segue.

3. Con deferimento del 1° aprile 2022 la Procura Federale presso la FIGC ha contestato alla Juventus F.C. S.p.A. e ai suoi vertici, come ad altre società di calcio, di aver concluso operazioni di mercato “contraddistinte da una sistematica sopravvalutazione del corrispettivo di cessione dei diritti alle prestazioni dei calciatori coinvolti nei trasferimenti nonché dall’altrettanto sistematica sostanziale corrispondenza (e conseguente compensazione finanziaria) tra i valori attribuiti dalle società ai diritti scambiati”. Le indagini sono state avviate dopo aver appreso da varie fonti di una verifica ispettiva relativa ad operazioni di compravendita di diritti alle prestazioni dei calciatori avviata dalla CONSOB nei confronti della F.C. Juventus S.p.A., nonché di un’indagine penale attivata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino nei confronti della stessa società e dei suoi amministratori per le ipotesi di reato di false comunicazioni delle società quotate ed emissione di fatture per operazioni inesistenti.

4. Istruito il procedimento, anche previa acquisizione di informazioni e documentazione da parte della Co.Vi.So.C., la Procura Federale ha inviato a numerosi club tra cui la Juventus F.C. S.p.A. e ai relativi esponenti e amministratori l’atto di deferimento con il quale ha contestato rispettivamente la violazione degli artt. 6 e 31, comma 1, del Codice di Giustizia Sportiva (di seguito, anche “CGS”) e degli artt. 4 e 31, comma 1, CGS, per aver indicato in 15 (delle 17 complessivamente contestate) operazioni c.d. incrociate un valore dei diritti alle prestazioni sportive dei calciatori intenzionalmente sovrastimato (“indicando un corrispettivo superiore al reale”) e, quindi, fraudolentemente alterato al solo fine di determinare “maggiori plusvalenze fittizie”.

5. Tra le persone fisiche deferite figura anche l’odierno ricorrente, Sig.-OMISSIS-, all’epoca dei fatti Consigliere di Amministrazione privo di deleghe della Juventus F.C. S.p.A. Al ricorrente la Procura Federale presso la FIGC ha contestato la “violazione dell’obbligo di osservanza delle norme federali nonché dei doveri di lealtà, correttezza e probità di cui all’art. 4, comma 1 e dell’art. 31 comma 1 del Codice di Giustizia Sportiva, anche in relazione all'art. 19 dello statuto federale per: a) aver approvato, in concorso con gli altri amministratori, le situazioni trimestrali al 31.03.2019, 31.03.2020, 31.03.2021, le situazioni semestrali al 31.12.2019 e 31.12.2020 ed i Bilanci al 30.06.2019 e 30.06.2020 della società ove sono contabilizzate plusvalenze fittizie per complessivi € 60.376.449 e immobilizzazioni immateriali di valore superiore al massimo consentito dalle norme che regolano i Bilanci delle società di capitali per complessivi € 59.398.800, condotte finalizzate a far apparire risultati economici superiori al reale (maggiori utili o minori perdite) e un patrimonio netto superiore a quello realmente esistente alla fine di ciascun esercizio, di ciascun trimestre e di ciascun semestre; b) non aver posto in essere, in adempimento dell’obbligo di agire informato ed esprimere dissenso rispetto ad irregolarità amministrative della gravità descritta al punto a), condotte idonee a rilevare l’alterazione dei conti sociali e apportare le dovute correzioni agli stessi”.

6. Il Sig. -OMISSIS-è stato prosciolto dagli addebiti con decisione n. 0128/TFNSD-2021-2022 del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare, confermata dalla decisione della Corte Federale di Appello – Sezioni Unite, n. 0089/CFA- 2021-2022 del 27 maggio 2022.

7. Avverso quest’ultima sentenza la Procura Federale della FIGC ha proposto ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 63 del CGS, sostenendo che dagli atti del procedimento penale nel frattempo acquisiti sarebbero elementi nuovi, sopravvenuti rispetto alla decisione della Corte Federale di Appello e dai quali risulterebbe confermata l’esistenza di un sistema di scambi incrociati di calciatori con altre società sportive finalizzati alla realizzazione di plusvalenze artificiali.

8. Con decisione n. 0063/CFA-2022-2023, del 20-30 gennaio 2023, la Corte Federale d’Appello, ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 63, comma 1, lett. d), del CGS ai fini della revocazione della precedente decisione, ha accolto parzialmente il ricorso. Nei confronti del ricorrente la Corte Federale d’Appello ha irrogato la sanzione della inibizione temporanea di mesi 24 a svolgere attività in ambito FIGC, con richiesta di estensione in ambito UEFA e FIFA.

9. Avverso detta decisione il Sig. -OMISSIS-ha proposto tempestivo ricorso al Collegio di Garanzia dello Sport presso il CONI.

10. Il Collegio di Garanzia, con decisione n. 40, pubblicata in data 8 maggio 2023, ha rigettato il ricorso proposto dal sig.-OMISSIS-, rimettendo la decisione alla Corte Federale di Appello.

11. Il giudizio di rinvio è stato definito dalla Corte Federale d’Appello con decisione n. 110 del 30 maggio 2023, con la quale sono stati prosciolti dalle incolpazioni gli amministratori privi di delega ed è stata ridotta la sanzione nei confronti della F.C. Juventus a 10 punti di penalizzazione da scontare nella stagione sportiva 2022/2023. E’stata invece confermata la sanzione di 24 mesi di inibizione a carico del sig. -OMISSIS-.

12. Con il ricorso introduttivo del giudizio in esame il sig. -OMISSIS-lamenta l’illegittimità dei provvedimenti impugnati per i seguenti motivi di diritto.

13. Secondo il ricorrente, la sanzione della inibizione temporanea di 24 mesi sarebbe illegittima in quanto:

- si fonderebbe su una contestazione relativa a fattispecie non riconducibile all’attività stricto sensu sportiva, in quanto concernente la presunta omissione del dissenso – e presupposta violazione del dovere di agire informati – in ordine all’approvazione di documenti contabili da parte del Consiglio di Amministrazione della società Juventus F.C. S.p.A. Detta sanzione non ricadrebbe, pertanto, nell’ambito riservato alla giurisdizione sportiva ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. b), d.l. 220/2003, in quanto la FIGC e il CONI non sono titolari del potere di irrogare sanzioni disciplinari per irregolarità contabili. Le decisioni gravate sarebbero dunque nulle per difetto assoluto di attribuzione degli organi della giustizia sportiva e comunque annullabili dal giudice amministrativo;

- si fonderebbe su una fattispecie “aperta” e indeterminata, ossia quella dell’art. 4 del CGS FGCI in tema di inosservanza della lealtà sportiva, con conseguente violazione del principio di tassatività delle misure afflittive, precipitato del principio di legalità, particolarmente rigoroso in materia di sanzioni sostanzialmente penali (per giurisprudenza CEDU), quale quella in esame. L’art. 4 del CGS FGCI non potrebbe, dunque, essere utilizzata quale norma incriminatrice autonoma, come invece avvenuto nelle decisioni gravate;

- l’applicazione dell’art. 4 CGS FIGC comporterebbe una violazione dei principi del giusto processo, del diritto di difesa e di parità delle armi. La decisione della Corte Federale d’Appello n. 63/2023, sostiene il ricorrente, avrebbe riqualificato come illecite per violazione dell’art. 4 CGS FIGC condotte che in due pregressi gradi di giudizio sono state considerate irrilevanti sul piano disciplinare proprio per “l’assenza di parametri normativamente sanciti” sulla base dei quali attribuire un valore ai diritti alle prestazioni sportive di un calciatore, con la conseguente impossibilità di valutare come illecite le plusvalenze generate dalle operazioni di compravendita contestate alla Juventus.

13.1 In relazione a detti profili, il ricorrente chiede che venga sollevata, con riferimento all’art. 2, comma 1, lett. b) del d.l. 220/2003:

a) questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. artt. 2, 3, 24, 25, 103, 111, 113 e 117, comma 1, della Costituzione in relazione agli artt. 6 e 7 CEDU e agli artt. 47, 48 e 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (di seguito anche “CDFUE”), laddove in base a detta disposizione si consente una riqualificazione postuma delle fattispecie concrete, così come accaduto con la decisione della Corte Federale d’Appello n. 63/2023;

b) alternativamente o cumulativamente, ai sensi dell’art. 267 del TFUE, questione pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia UE, onde accertare se una normativa nazionale quale l’art. 2 del d.l. 220/2003 si ponga in contrasto con gli artt. 47, 48 e 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché con l’art. 6 della CEDU, nella misura in cui la disposizione nazionale consente che sia irrogata ad un dirigente sportivo la sanzione inibitoria dello svolgimento di attività professionale in ambito FIGC, FIFA e UEFA in presenza di una norma dell’ordinamento sportivo (art. 4 CGS FGCI) asseritamente sanzionatoria, ma in realtà generica ed indeterminata, e quindi lesiva dei principi di legalità, tassatività e tipicità delle sanzioni penali, nonché limitativa del diritto di difesa e dei principi basilari del giusto processo.

14. Il ricorrente deduce poi l’inapplicabilità al processo sportivo a quo dell’art. 63, comma 1, lett. d), del CGS FIGC, il quale prevede la possibilità del ricorso per revocazione “se è stato omesso l’esame di un fatto decisivo che non si è potuto conoscere nel precedente procedimento, oppure sono sopravvenuti, dopo che la decisione è divenuta inappellabile, fatti nuovi la cui conoscenza avrebbe comportato una diversa pronuncia”. Sostiene in proposito che detta disposizione sarebbe in contrasto con l’unica fattispecie revocatoria prevista dal CGS CONI, il cui art. 63, comma 2, dispone che “le altre decisioni della Corte federale di appello per le quali sia scaduto il termine per il ricorso al Collegio di Garanzia dello Sport ovvero la decisione di quest'ultimo qualora il ricorso non sia stato accolto possono essere revocate, su ricorso della parte interessata, quando la decisione dipende esclusivamente da un errore di fatto risultante incontrovertibilmente da documenti acquisiti successivamente per causa non imputabile all'istante”.

15. Quale ulteriore motivo di censura delle decisioni gravate, il sig -OMISSIS-deduce poi la circostanza che la decisione della Corte Federale d’Appello – confermata dal Collegio di Garanzia - avrebbe riqualificato i medesimi fatti (per i quali il ricorrente era stato prosciolto dal contestato illecito disciplinare) senza utilizzare alcun elemento probatorio nuovo, né diverso rispetto a quelli posti a base dell’originario deferimento, trasformando così il rimedio revocatorio in un inammissibile terzo grado di giudizio di merito. Deduce altresì il difetto di motivazione, la contraddittorietà e la disparità di trattamento circa il contributo concreto apportato dal Sig. -OMISSIS-rispetto agli altri amministratori, tenuto tra l’altro conto che quest’ultimo ha assunto la carica di Amministratore delegato di Juventus F.C. S.p.A. solo in data -OMISSIS-, e quindi dopo i fatti oggetto di deferimento.

16. Con la decisione della Corte Federale d’Appello – confermata sul punto dal Collegio di Garanzia – sarebbe stata altresì operata, secondo il ricorrente, una modifica del thema decidendum, con conseguente impossibilità per il ricorrente di articolare adeguate difese, in violazione degli artt. 111 e 24 Cost., art. 6 CEDU, art. 2 CGS CONI e art. 44 CGS FIGC.

17. Il ricorrente lamenta infine l’erroneità delle decisioni impugnate per aver ravvisato la violazione dell’art. 4, comma 1, del CGS FIGC nell’asserita volontà di aggirare l’applicazione di un principio contabile (IAS 38 § 45) che, a detta del ricorrente, all’epoca non era applicato nel settore da parte delle società calcistiche quotate e non, nonché la violazione dell’art. 119 CGS e la conseguente tardività dell’azione disciplinare, in quanto la notitia criminis avrebbe dovuto essere individuata nella nota della Procura federale 14.4.2021 contenente le “indicazioni interpretative” fornite alla Co.Vi.So.C.

18. Conclusivamente, il ricorrente chiede a questo Tribunale di dichiarare l’illegittimità, con eventuale accertamento della nullità, o annullamento, delle decisioni indicate e di condannare la FIGC, il CONI e la Procura Federale presso la FIGC al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, che lo stesso avrebbe patito per effetto delle citate decisioni, ai sensi dell’art. 30, c.p.a. e dell’art. 2 del d.l. n. 220/2003, per un importo complessivo pari a euro 8.094.667,00, da maggiorarsi di interessi e rivalutazione monetaria con le decorrenze di legge.

19. Si sono costituite in giudizio la FIGC e il CONI con articolate memorie, con le quali chiedono la reiezione del ricorso del sig. -OMISSIS-, siccome inammissibile e infondatoEccepiscono in via preliminare il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo relativamente alla domanda di annullamento proposta dal sig. -OMISSIS-; sostengono in proposito che, ai sensi dell’art. 2 del DL 220/2003, come interpretato dalla Corte Costituzionale, il giudice amministrativo, può conoscere delle sanzioni disciplinari inflitte a società, associazioni ed atleti solo in via incidentale e indiretta, al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione.

20. Nel caso di specie, osservano le controparti, il ricorrente è stato assoggettato ad un procedimento disciplinare avente ad oggetto la contestazione di violazione di norme previste dal CGS FIGC ed ha impugnato la sanzione disciplinare dell’inibizione per 24 mesi adottata ad esito di detto procedimento. Non sarebbe, dunque, sostenibile la tesi secondo cui la sanzione inflitta si fonderebbe su un’incolpazione riguardante una fattispecie avulsa dall’attività sportiva; è, infatti, pacifico che l’attività contabile posta in essere nell’amministrare una società di calcio incide sullo svolgimento dell’attività sportiva, sia ai fini dell’ammissione alle relative competizioni, sia per quanto riguarda il rispetto delle regole del fair play finanziario, e come tale essa rientra nella giurisdizione sportiva.

20.1 Tale eccezione, peraltro, sostiene il CONI, sarebbe stata sollevata dal ricorrente per la prima volta dinanzi al giudice amministrativo, in palese violazione del c.d. vincolo dei motivi, che preclude la proposizione per la prima volta innanzi al giudice statale di censure non previamente proposte agli organi della giustizia sportiva.

20.2 Sostengono poi le controparti che i presunti danni subiti dal sig. -OMISSIS-non sarebbero conseguenza del procedimento disciplinare che ha coinvolto il ricorrente in sede sportiva, quanto piuttosto una conseguenza del procedimento penale a cui lo stesso è sottoposto.

20.3 Il CONI evidenzia di seguito che la ratio dell’art. 4, comma 1, CGS FIGC non potrebbe essere ricostruita secondo il principio di determinatezza e tassatività delle fattispecie penali. Le connotazioni proprie del diritto sportivo e la libera adesione a esso dei soggetti che ne fanno parte richiederebbero, infatti, di adottare una prospettiva di carattere “valoriale”, di cui l’art. 4 del CGS FIGC è espressione.

21. Con memoria depositata il 23 febbraio 2024 il sig. -OMISSIS-, nel replicare alle controdeduzioni delle controparti (ivi inclusa l’eccezione di novità della censura per violazione del “vincolo dei motivi”), deduce ulteriormente:

“(i) che l’interpretazione di cui alla corrente giurisprudenza, costituzionale, della Cassazione e del Giudice amministrativo, contrasta con il diritto europeo in tema di giusto processo, segnatamente: a) per violazione diretta dell’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, che impone al Giudice nazionale di annullare una sanzione illegittima allo scopo di realizzare una tutela effettiva; b) per violazione degli artt. 45, 49 e 56 (oltre che 101 e 102) del TFUE, sotto il profilo della lesione dei diritti alla libertà di circolazione dei lavoratori, alla libertà di stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione Europea;

(ii) che, pertanto, dovendo il diritto sportivo in generale, e quello relativo alla tutela dei diritti in particolare, uniformarsi al diritto dell’Unione europea, al quale il primo soggiace integralmente, il Giudice nazionale può a sua volta disapplicare direttamente – o, se si preferisce, non applicare – la normativa nazionale in tema di tutela giurisdizionale nei confronti delle sanzioni sportive”.

21.1 Sostiene, in particolare, il ricorrente che l’art. 2 del d.l. 220/2003 è interpretato anche dai giudici amministrativi nel senso indicato dalle sentenze della Corte costituzionale nn. 49 del 2011 e 160 del 2019; “Tuttavia, esaminando i capisaldi argomentativi di tali sentenze ci si avvede che essi sono contraddetti dal diritto europeo, nelle declinazioni che ne ha dato la giurisprudenza tanto della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (in appresso “CGUE”) quanto la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (in seguito anche “CEDU”). Com’è ben noto da anni, secondo la Corte costituzionale il “diritto vivente” – perché, si ricordi, l’art. 2, d.l. 220/2003, sul punto, afferma il contrario di quanto la Corte dice – escluderebbe che i provvedimenti irrogativi delle sanzioni disciplinari emesse dagli organi della Giustizia sportiva, e confermate nei vari gradi di giurisdizione sportiva, possano essere annullate dal Giudice statale, in quanto: (i) la “scelta legislativa” – in realtà inesistente – a base della esclusione dell’azione di annullamento avverso le sanzioni disciplinari sportive sarebbe “… frutto … del non irragionevole bilanciamento operato dal legislatore fra il menzionato principio costituzionale di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale e le esigenze di salvaguardia dell'autonomia dell'ordinamento sportivo - che trova ampia tutela negli artt. 2 e 18 Cost …”.

(ii) la “protezione giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, può … giustificare scelte legislative che, senza escludere tale protezione, la conformino in modo da evitare intromissioni con essa "non armoniche", come il legislatore ha valutato che fosse, nel caso in esame, la tutela costitutiva”; (iii) “… l'autonomia e la stabilità dei rapporti costituisce di regola dimensione prioritaria rispetto alla tutela reale in forma specifica, per il rilievo che i profili tecnici e disciplinari hanno nell'ambito del mondo sportivo …”.

21.2 Questi argomenti – prosegue il ricorrente – “sono infondati alla stregua del diritto costituzionale statale, come evidenziato da autorevole dottrina; ma, soprattutto, sono radicalmente smentiti dal diritto e dalla giurisprudenza europei. La asserita autonomia dell’ordinamento sportivo è attinta dalla Corte costituzionale italiana dagli artt. 18 e 2, Cost., in tema di libertà di associazione e di tutela dei diritti della personalità nelle formazioni sociali luogo di esplicazione della personalità, tra cui l’ordinamento sportivo. La giurisprudenza della CGUE, viceversa, è ferma e costante nell’affermare che le norme dell’ordinamento sportivo, tra cui vanno incluse quelle emanate dalle Federazioni internazionali, non godono di alcuna franchigia rispetto al diritto unionale, neppure in ragione delle peculiarità attinenti all’attività sportiva (c.d. sui generis) e quella economica ad essa correlata”.

21.3 Nella misura in cui costituisce un'attività economica, la pratica dello sport è, afferma il ricorrente, pienamente soggetta alle disposizioni del diritto dell'Unione europea applicabili a tale attività, quali quelle in materia di tutela della concorrenza (v., in tal senso, sentenze del 12 dicembre 1974, Walrave e Koch, 36/74, UE:C:1974:140, punto 4, e del 16 marzo 2010, Olympique Lyonnais, C‑325/08, EU:C:2010:143, punto 27). Solo alcune norme specifiche, adottate esclusivamente per ragioni non economiche e che riguardano questioni di interesse esclusivo dello sport in quanto tale, devono essere considerate estranee a qualsiasi attività economica. “Non appartengono quindi ad alcun novero specifico o eccezionale – che conferisca al diritto sportivo una franchigia dal controllo giudiziario statale – norme, quali gli artt. 4 e 31, CGS FIGC – oggetto di contestazione nel presente giudizio – che, assoggettando a sanzioni inibitorie temporanee, o addirittura definitive, l’attività sportiva intesa quale oggetto di attività economica (quale è quella di dirigente di un club calcistico, come è stato-OMISSIS-), costituiscono un ostacolo all’esercizio di attività professionale nell’ambito delle relazioni regolate dal diritto sportivo, ledendo i diritti di libertà di circolazione dei lavoratori, di stabilimento e di prestazione di servizi (artt. 45, 49 e 56, TFUE)”.

21.4 Il ricorrente richiama in proposito la recente sentenza resa dalla Corte di Giustizia nel caso International Skating Union (sentenza della Grande Sezione del 21 dicembre 2023, C-124/21 P), dalla quale – osserva - si trarrebbero, in particolare, i seguenti principi: (i) le peculiarità che caratterizzano lo sport non consentirebbero alcun arretramento della disciplina statale rispetto alla tutela delle situazioni soggettive coinvolte, quando – come nella specie – l’applicazione delle norme sportive incide su diritti di natura economica riconosciuti dal TFUE (diritti di libertà di circolazione dei lavoratori, di stabilimento e di prestazione di servizi); (ii) la tutela giurisdizionale innanzi ai giudici di uno Stato membro non può escludere la previsione di misure che consentano di paralizzare in via cautelare e, all’esito, di annullare gli effetti di atti lesivi di diritti ed interessi di coloro, ivi inclusi i dirigenti sportivi, che siano colpiti da sanzioni inibitorie. Da ciò conseguirebbe, pertanto, sostiene il ricorrente, l’illegittimità, per contrasto con il diritto unionale (in particolare, dell’art. 47, CDFUE, in combinato disposto con gli artt. 45, 49 e 56, oltre che 101 e 102, TFUE), dell’art. 2 del d.l. 220/2003 nella misura in cui, secondo la lettura offertane dalla Corte costituzionale e dai giudici statali di legittimità e di merito, il giudice amministrativo non dispone del potere di sospendere in via cautelare e di annullare le sanzioni disciplinari adottate dagli organi sportivi federali, potendo viceversa decidere solo sulla domanda di risarcimento del danno.

Evidenzia poi il ricorrente che anche il Consiglio di Stato, in una pronuncia relativa al settore delle comunicazioni elettroniche, ha riconosciuto che un meccanismo di ricorso previsto dal diritto processuale di uno Stato membro, per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva ai sensi dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dell’art. 19, par. 1, seconda parte, del Trattato dell’Unione europea non può escludere la tutela di annullamento, atteso che la sola tutela risarcitoria per equivalente “costituisce un succedaneo non idoneo a ristorare l’operatore economico del pregiudizio arrecato da provvedimenti illegittimi” (Cons. Stato, VI, ord. 1° dicembre 2023, n. 10416).

22. Prosegue il ricorrente rilevando che una sanzione disciplinare inibitoria quale quella irrogata al ricorrente, fondata su una formula aperta come l’art. 4 CGS FIGC, comporterebbe una lesione dei diritti al giusto processo, alla libertà di circolazione, di stabilimento e di prestazione di servizi, quali garantiti dal TFUE. Pertanto, “questa misura arbitraria, a prescindere da ogni dovuta e doverosa tutela risarcitoria per equivalente ex post, se riconosciuta illegittima dal Giudice statale, deve poter rimossa con effetto retroattivo da quel medesimo Giudice, quando, ancora oggi, gli effetti inibitori non sono terminati; e se tali effetti sono prossimi, il Giudice (codesto Tribunale) deve poter sospenderli in sede cautelare. Solo questa è una giustizia statale effettiva”.

22.1 “Ancora, sempre secondo la giurisprudenza della CGUE, quando l'impresa interessata – nella specie, la FIGC – ha il potere (i) di determinare le condizioni alle quali altre imprese potenzialmente concorrenti possono accedere al mercato, o (ii) di decidere caso per caso in materia, mediante una decisione di autorizzazione preventiva o di rifiuto di autorizzazione preventiva a tale accesso, tale potere, per non violare l'articolo 102 TFUE, in combinato disposto con l'articolo 106 TFUE, deve essere circoscritto e limitato con criteri materiali trasparenti, chiari e precisi” (v., per analogia, sentenza del 28 febbraio 2013,Ordem dos Técnicos Oficiais de Contas, C‑1/12, EU:C:2013:127, punti da 84 a 86, 90, 91 e 99), onde impedirne un esercizio arbitrario. Tali criteri devono essere idonei a garantire l’esercizio non discriminatorio di tale potere e a consentire un controllo giurisdizionale efficace ed effettivo (v., in tal senso, sentenza del 28 febbraio 2013, Ordem dos TécnicosOficiais de Contas, C‑1/12, EU:C:2013 :127, paragrafo 99). L’indeterminatezza del contenuto dell’art. 4, CGS FIGC, viceversa, ne conferma la censurata capacità lesiva e suggella l’illegittimità per contrasto con il diritto europeo – segnatamente con l’art. 47, CDFUE, e con gli artt. 45, 49, 56, 101, 102 e 106, TFUE – dell’art. 2, d.l. 220/2003, che vieta l’azione di annullamento nei confronti delle sanzioni lesive dei diritti di libertà assicurati dal diritto UE, ponendosi così in contrasto con i fondamenti normativi eurounitari del diritto ad un processo equo e ad una tutela effettivaPer altro verso, l’art. 31 non punisce con l’inibizione condotte, mai poste in essere da-OMISSIS-, relative a presunte irregolarità contabili (il che non implica, ovviamente, che nei confronti delle sanzioni amministrative, se e nella misura in cui esse violino diritti riconosciuti dal TFUE, i dirigenti sportivi debbano essere privati della tutela statale di annullamento)”.

22.2 L’intero sistema di giustizia sportiva della FIGC e del CONI priverebbe dunque, secondo il ricorrente, coloro che vi soggiacciono, di una tutela equa ed effettiva, in violazione dei principi CEDU da tempo acquisiti al nostro ordinamento processuale nazionale. Pur ammettendo che la prima fase di un procedimento il cui esito sia l'applicazione di una sanzione amministrativa qualificabile come “penale”, o un provvedimento idoneo a determinare “diritti e obblighi di carattere civile”, possa essere condotta, per ragioni di flessibilità e di efficienza, di fronte ad un'autorità che non rispetti compiutamente i requisiti di cui all'art. 6 CEDU, tuttavia deve essere possibile proporre ricorso avverso tale decisione innanzi a un organo che tali garanzie assicuri pienamente (c.d. garanzia di compensazione nella full jurisdiction, come elaborata dalla giurisprudenza CEDU e recepita nel nostro ordinamento). Gli organi di giustizia sportiva della FIGC e del CONI difetterebbero infatti del requisito della terzietà e indipendenza, in violazione dell’art. 47, CDFUE. Alla stregua dei principi elaborati dalla Corte di Strasburgo nel caso Alì Riza – sostiene il ricorrente - occorre, inoltre, verificare (i) se l’ordinamento sportivo del calcio in Italia dia adito, quanto al sistema delle tutele, a dubbi circa il possesso dei requisiti di indipendenza ed imparzialità richiesti inderogabilmente dall’art. 47 della CDFUE e, in caso di risposta negativa al quesito, (ii) se il deficit di tutela possa essere colmato, secondo il modello della full jurisdiction, nel processo amministrativo.

22.3 In particolare, “Il punto nodale consiste nel comprendere – una volta acclarato che la disciplina della CEDU può incidere anche sulla definizione dei criteri (nazionali) di rilevanza delle situazioni soggettive formatesi nell’ordinamento del calcio – se il sistema di giustizia previsto per la tutela di tali situazioni, da intendersi nella sua globalità, comprensivo cioè anche del controllo (successivo) del giudice statale sulle pronunce sportive, possa considerarsi, nel suo complesso, in linea con il diritto europeo, che prevale sul contenuto dell’art. 2, lett. b), del d.l. 220/2003, come malamente interpretato dalla Corte costituzionale. A tale scopo, …bisogna riflettere sull’ambito applicativo delle garanzie convenzionali nei confronti delle situazioni soggettive aventi origine nell’ordinamento del calcio. A questo riguardo, si registra una importante diversità di vedute tra la giurisprudenza della Corte EDU e quella costituzionale. Tanto la Corte costituzionale quanto il Giudice amministrativo hanno affermato che il pregiudizio scaturente dalla applicazione di sanzioni sportive, idoneo a ridondare nell’area del diritto statale, sarebbe adeguatamente risarcibile per equivalente monetario, così giustificando l’esclusione della tutela di annullamento; invece detto danno, secondo la giurisprudenza della Corte EDU, assume un rilievo del tutto secondario rispetto alla più efficace tutela di annullamento. Si vede bene, quindi, come il criterio del danno economico, tanto caro alla giurisprudenza costituzionale in thema, quale parametro per giustificare la conformità dell’art. 2, d.l. 220/2003 agli artt. 24, 103 e 113, non copre l’area delle situazioni soggettive tutelabili dinanzi ad un tribunale nazionale: esso assume viceversa un ruolo unicamente ausiliario, laddove ad assumere rilievo, e dunque a rendere giuridicamente rilevante al di là dei confini dell’ordinamento settoriale la situazione soggettiva del ricorrente, sono gli effetti della decisione impugnata, in quanto preclusivi del diritto ad esercitare una professione, oppure lesivi per lo svolgimento della propria carriera”.

23. Posto che le regole CONI e federali che presiedono alla nomina dei giudici sportivi (nominati dal Consiglio Federale, la cui maggioranza qualificata è espressione delle società sportive), la durata dei mandati di Consiglieri federali e Giudici sportivi federali (che coincidono), la composizione e le funzioni della Commissione di garanzia, nonché del Consiglio federale e del Consiglio nazionale del CONI, afferma poi il ricorrente, non assicurerebbero il requisito dell’indipendenza degli organi di giustizia sportiva della FIGC e del CONI, in violazione dell’art. 47 CDFUE, bisogna allora accertare se il tribunale che deve effettuare la “compensazione” in sede di full jurisdiction possa essere considerato tale. “Codesto Tar non lo è, poiché non ha – afferma la Corte costituzionale, pur non disponendolo la legge – il potere di annullare la sanzione disciplinare sportiva. Sotto questo aspetto, la tutela assicurata dal ricorso al Tar italiano avverso una sanzione disciplinare sportiva non è effettiva”.

23.1 Le eccezioni delle controparti, basate sulla giurisprudenza nazionale, sarebbero dunque infondate poiché, in nome di una asserita autonomia dell’ordinamento sportivo, non terrebbero conto della questione della effettività della tutela di annullamento.

23.2 Da qui il potere del giudice amministrativo di disapplicare l’art. 2 del d.l. 220/2003 per contrasto con gli artt. 47 della CDFUE e 45, 49 e 56 del TFUE, nella parte in cui precluderebbe l’annullamento della sanzione disciplinare sportiva illegittima.

24. Solo in via di “strettissimo subordine” il ricorrente chiede che si sollevi questione pregiudiziale, ex art. 267 del TFUE, di compatibilità del citato art. 2 con le predette norme europee, sottoponendo alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea i seguenti quesiti:

“1. se gli artt. 101 e 102, 45, 49 e 56, TFUE, e 47, CDFUE, devono essere interpretati nel senso che ostano alla previsione di una norma nazionale, quale l’art. 2, d.l. 220/2003, che esclude l’annullabilità e la previa sospensione cautelare degli effetti di una sanzione disciplinare sportiva che inibisce l’attività professionale di un dirigente sportivo per 24 mesi in ambito nazionale ed europeo;

2. se gli artt. 101 e 102, TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una norma nazionale, quale l’art. 2, d.l. 220/2003, che vieta l'annullamento e la previa sospensione cautelare degli effetti di una sanzione disciplinare sportiva di provvedimenti limitativi della libera circolazione di dirigenti sportivi in esito a presunti illeciti disciplinari”.

25. Con successiva memoria depositata il 1° marzo 2024 il sig. -OMISSIS-ha ulteriormente argomentato in relazione alla natura sostanzialmente penale della sanzione disciplinare sportiva.

26. La FIGC a sua volta, con memoria depositata il 1° marzo 2024, nel confermare la propria posizione, ha eccepito tra l’altro la tardività della richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE ai sensi dell’art. 267 TFUE, in quanto prospettata dal ricorrente in sede di memoria difensiva, rispetto ai “meri cenni” presenti nel ricorso introduttivo, oltre che l’infondatezza delle questioni sollevate, essendosi la Corte Costituzionale già pronunciata diverse volte sull’art. 2 del D.L. 220/2003. Da dette sentenze – osserva la FIGC – emerge come il nostro ordinamento preveda una tutela rispetto alle sanzioni disciplinari, ma in ragione di un “bilanciamento effettuato dal legislatore” che tiene conto della autonomia dell’ordinamento sportivo, tale tutela non può che tradursi esclusivamente in una “tutela risarcitoria”. Quanto all’asserito contrasto con gli artt. 101 e 102 TFUE, la FIGC eccepisce che la sanzione adottata dalla Corte Federale d’Appello impugnata, avendo efficacia limitata all’ambito federale “con richiesta di estensione in ambito UEFA e FIFA” (profilo di competenza UEFA e FIFA, come tale sottratta al presente giudizio), non precluderebbe in alcun modo la “libera circolazione” del ricorrente nell’ambito sportivo sovranazionale.

27. In data 10 marzo 2024 il ricorrente ha depositato documentazione da cui risulta che, su richiesta della FIGC, il presidente della Commissione Disciplinare della FIFA ha deciso di estendere le sanzioni imposte dalla FIGC, tra cui il sig. -OMISSIS-, con effetto mondiale.

B. I QUESITI RIMESSI A CODESTA CORTE DI GIUSTIZIA.

28. Ricostruiti i tratti principali del giudizio all’esame di questo Collegio e le argomentazioni delle parti, con la presente ordinanza questo Tribunale, pur non essendo giudice di ultima istanza, rimette a codesta Corte di Giustizia plurimi quesiti relativi all’interpretazione della normativa e dei principi euro-unitari. In ragione della pluralità dei quesiti, l’esposizione delle disposizioni unionali ed interne verrà effettuata in corrispondenza di ciascun quesito, al fine di calibrare puntualmente le questioni rilevanti alla luce del quadro normativo di riferimento.

PRIMO QUESITO: SUGLI ARTT 6 e 19, PAR. 1, DEL TUE, INTERPRETATI ALLA LUCE DELL’ART. 47 DELLA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA, E SULLA COMPATIBILITA’ RISPETTO A TALI DISPOSIZIONI DELLA NORMATIVA NAZIONALE.

Con il primo quesito, il Collegio chiede alla Corte se gli artt 6 e 19, par. 1, del TUE interpretati alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea devono essere interpretati nel senso che, al fine di assicurare il principio della tutela giurisdizionale effettiva e i principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale, ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui all’art. 2 del d.l. 220/2003 – come interpretata nel diritto vivente italiano – la quale, esauriti i gradi della giustizia sportiva nazionale, circoscrive la giurisdizione del giudice statale nazionale (nel caso di specie, il giudice amministrativo) sulle sanzioni sportive a carattere disciplinare al solo profilo del risarcimento del danno per equivalente, escludendo la tutela caducatoria - e dunque la reintegrazione o esecuzione in forma specifica - e la possibilità di sospendere in via cautelare l’efficacia delle sanzioni medesime.

LA NORMATIVA UNIONALE RILEVANTE.

Sul piano della normativa unionale, vengono in evidenza:

- l’art. 6 del TUE prevede che “1. L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell'Unione definite nei trattati. I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni. 2. L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati. 3. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali”;

- l’art. 19, par. 1, seconda parte, del TUE prevede: “Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione”;

- l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea prevede che “Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare. A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia”.

LA NORMATIVA NAZIONALE RILEVANTE.

Sul piano della normativa nazionale vengono in evidenza:

- l’art. 24, comma 1, della Costituzione della Repubblica italiana: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”;

- l’art. 103, comma 1, della Costituzione della Repubblica italiana: “Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi”;

- l’art. 113 della Costituzione della Repubblica italiana: “Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa”;

- l’art. 1 del D.lgs. n. 104/2010 (recante il Codice del processo amministrativo): “1. La giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo”;

- l’art. 29 del D.Lgs. n. 104/2010: “L'azione di annullamento per violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere si propone nel termine di decadenza di sessanta giorni”;

- l’art. 30 del D.Lgs. n. 104/2010: “1. L'azione di condanna può essere proposta contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi di cui al presente articolo, anche in via autonoma. 2. Può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria. Nei casi di giurisdizione esclusiva può altresì essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi. Sussistendo i presupposti previsti dall'articolo 2058 del codice civile, può essere chiesto il risarcimento del danno in forma specifica. 3. La domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo. Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti. 4. Per il risarcimento dell'eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di cui al comma 3 non decorre fintanto che perdura l'inadempimento. Il termine di cui al comma 3 inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere. 5. Nel caso in cui sia stata proposta azione di annullamento la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza. 6. Di ogni domanda di condanna al risarcimento di danni per lesioni di interessi legittimi o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di diritti soggettivi conosce esclusivamente il giudice amministrativo”.

In alcune fattispecie l’ordinamento italiano conosce limiti alla tutela giurisdizionale in forma specifica.

In particolare, l’art. 2058 del codice civile italiano dispone che “Il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte possibile. Tuttavia il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore”.

L’art. 1, comma 1037, della legge n. 205/2017 prevede inoltre che “I giudizi riguardanti l'assegnazione di diritti d'uso delle frequenze, la gara e le altre procedure di cui ai commi da 1026 a 1036, con particolare riferimento alle procedure di rilascio delle frequenze per il servizio televisivo digitale terrestre, rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e sono devoluti alla competenza funzionale del TAR del Lazio. In ragione del preminente interesse nazionale alla sollecita liberazione e assegnazione delle frequenze, l'annullamento di atti e provvedimenti adottati nell'ambito delle procedure di cui ai commi da 1026 a 1036 non comporta la reintegrazione o esecuzione in forma specifica e l'eventuale risarcimento del danno eventualmente dovuto avviene solo per equivalente. La tutela cautelare e' limitata al pagamento di una provvisionale”.

Assumono rilievo nella fattispecie, ai fini dell’inquadramento della disciplina di riferimento, anche le norme statali che disciplinano l’ordinamento sportivo e la giustizia in materia sportiva.

In particolare, l’art. 133, comma 1, lett. z, del Codice del processo amministrativo, Materie di giurisdizione esclusiva: “1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge: z) le controversie aventi ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservate agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ed escluse quelle inerenti i rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti”.

Con specifico riguardo all’ordinamento sportivo, viene in evidenza il decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220, “Recante disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva”, come convertito con modificazioni dalla L. 17 ottobre 2003, n. 280, che stabilisce: Art. 1 -Principi generali: 1. La Repubblica riconosce e favorisce l'autonomia dell'ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell'ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale. 2.I rapporti ((tra l'ordinamento sportivo e l'ordinamento della Repubblica)) sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di (( . . . )) rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo.

Art. 2 - Autonomia dell'ordinamento sportivo: 1. In applicazione dei principi di cui all'articolo 1, è riservata all'ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: a) l'osservanza e l'applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive; 2. Nelle materie di cui al comma 1, le società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati hanno l'onere di adire, secondo le previsioni degli statuti e regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui gli articoli 15 e 16 del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, gli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo.

(…) Art. 3 Norme sulla giurisdizione e disciplina transitoria:1. Esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell'articolo 2, è disciplinata dal codice del processo amministrativo. In ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui all'articolo 2, comma 2, nonché quelle inserite nei contratti di cui all'articolo 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91”.

LA GIURISPRUDENZA NAZIONALE.

Sul piano giurisprudenziale, con riguardo all’ordinamento sportivo, alla sua autonomia e al rapporto tra giustizia sportiva e giustizia statale (amministrativa in particolare), le coordinate fondamentali del sistema sono state tracciate dalle sentenze della Corte costituzionale, richiamate nel corso del giudizio, n. 49/2011 del 7 febbraio 2011, e n.160/2019, del 17 aprile 2019.

In particolare, con la sentenza n. 49/2011, la Corte costituzionale ha affermato che gli articoli 1, 2 e 3 del d.l. n. 220/2003 (Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva), convertito dalla l. 17 ottobre n. 280/2003, prevedono tre forme di tutela giustiziale: “i) una prima forma, limitata ai rapporti di carattere patrimoniale tra le società sportive, le associazioni sportive, gli atleti (e i tesserati), demandata alla cognizione del giudice ordinario; ii) una seconda, relativa alle questioni aventi ad oggetto le materie di cui all'art. 2, non apprestata da organi dello Stato, ma da organismi interni all'ordinamento sportivo, in quanto non idonee a far sorgere posizioni soggettive rilevanti per l'ordinamento generale, ma solo per quello settoriale; iii) una terza, tendenzialmente residuale e devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo “esauriti i gradi della giustizia sportiva”.

La Corte costituzionale ha poi precisato che l'art. 1 del d.l. n. 220 del 2003 va correttamente inteso nel senso che - laddove il provvedimento adottato dalle Federazioni sportive o dal C.O.N.I. incida anche su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l'ordinamento giuridico generale - la domanda volta ad ottenere non la caducazione dell'atto, ma il conseguente risarcimento del danno, va proposta al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva, non operando una riserva a favore della giustizia sportiva (innanzi alla quale la pretesa risarcitoria non può essere fatta valere). Quindi, qualora la situazione soggettiva ha consistenza tale da assumere nell’ordinamento statale la configurazione di diritto soggettivo o di interesse legittimo, è riconosciuta la tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo.

La Corte Costituzionale ha dunque escluso che “la mancanza di un giudizio di annullamento (che, oltretutto, difficilmente potrebbe produrre effetti ripristinatori, dato che in ogni caso interverrebbe dopo che sono stati esperiti tutti i rimedi interni alla giustizia sportiva, e che costituirebbe comunque, in questi casi meno gravi, una forma di intromissione non armonica rispetto all’affermato intendimento di tutelare l’ordinamento sportivo) venga a violare quanto previsto dall’art. 24 Cost.. Nell’ambito di quella forma di tutela che può essere definita come residuale viene, quindi, individuata, sulla base di una argomentata interpretazione della normativa che disciplina la materia, una diversificata modalità di tutela giurisdizionale”.

Ha aggiunto la Corte che “le ipotesi di tutela esclusivamente risarcitoria per equivalente non sono certo ignote all’ordinamento. Infatti – ed il riferimento è pertinente in quanto si verte in tema di giurisdizione esclusiva –, è proprio una disposizione del codice civile, vale a dire l’art. 2058, richiamata dall’art. 30 del recente d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), a prevedere il risarcimento in forma specifica come un’eventualità («qualora sia in tutto o in parte possibile»), peraltro sempre sottoposta al potere discrezionale del giudice («tuttavia il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore»). In questo caso, secondo il “diritto vivente” il legislatore ha operato un non irragionevole bilanciamento che lo ha indotto, per i motivi già evidenziati, ad escludere la possibilità dell’intervento giurisdizionale maggiormente incidente sull’autonomia dell’ordinamento sportivo”.

Con la successiva sentenza n.160/2019 la Corte costituzionale ha affermato che “la previsione di una «diversificata modalità di tutela giurisdizionale» dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi limitata al risarcimento del danno per equivalente – secondo l’interpretazione offerta dal diritto vivente – è idonea a scongiurare l’illegittimità della norma censurata. Tale conclusione – raggiunta sul rilievo che il legislatore ha realizzato in questo modo un non irragionevole bilanciamento degli interessi in gioco – implica un giudizio di compatibilità costituzionale della «esplicita esclusione della diretta giurisdizione sugli atti attraverso i quali sono [...] irrogate le sanzioni disciplinari» (punto 4.5. del Considerato in diritto), esclusione che comprende la tutela reale degli interessi legittimi sui quali le sanzioni eventualmente incidano. Cosicché è evidente che, là dove afferma che «la mancanza di un giudizio di annullamento» non vìola «quanto previsto dall’art. 24 Cost.», la sentenza n. 49 del 2011 non lascia spazio nemmeno ai diversi dubbi di legittimità per violazione degli artt. 103 e 113 Cost., i quali, secondo le parole della stessa pronuncia, costituiscono il «fondamento costituzionale» della tutela demolitoria. A ciò si può aggiungere che non apporta nuovi profili di illegittimità, diversi da quelli già esaminati, nemmeno la prospettata qualificazione delle decisioni degli organi della giustizia sportiva come provvedimenti amministrativi, dal momento che la stessa sentenza n. 49 del 2011 non esclude che le sanzioni sportive possano ledere anche situazioni giuridiche aventi consistenza di interesse legittimo e ne colloca di conseguenza la tutela risarcitoria per equivalente nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo secondo quanto previsto dall’art. 133, comma 1, lettera z), dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al Governo per il riordino del processo amministrativo)”.

La Corte ha poi aggiunto che “la normativa contestata, nell’interpretazione offerta dal diritto vivente e fatta propria da questa Corte, tiene ferma la possibilità, per chi ritenga di essere stato leso nei suoi diritti o interessi legittimi da atti di irrogazione di sanzioni disciplinari, di agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno e che questa forma di tutela per equivalente, per quanto diversa rispetto a quella di annullamento in via generale assegnata al giudice amministrativo, risulta in ogni caso idonea, nella fattispecie, a corrispondere al vincolo costituzionale di necessaria protezione giurisdizionale dell’interesse legittimo. La scelta legislativa che la esprime è frutto infatti del non irragionevole bilanciamento operato dal legislatore fra il menzionato principio costituzionale di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale e le esigenze di salvaguardia dell’autonomia dell’ordinamento sportivo – che trova ampia tutela negli artt. 2 e 18 Cost. – «bilanciamento che lo ha indotto [...] ad escludere la possibilità dell’intervento giurisdizionale maggiormente incidente» su tale autonomia, mantenendo invece ferma la tutela per equivalente”. “Deve poi escludersi il carattere costituzionalmente necessitato della tutela demolitoria degli interessi legittimi, in quanto l'art. 113 Cost., correttamente interpretato, attribuisce al legislatore ordinario un certo spazio di valutazione nel regolare modi ed efficacia della tutela giurisdizionale contro l'atto amministrativo. Di conseguenza, il giudice amministrativo può conoscere, nonostante la riserva a favore della giustizia sportiva, delle sanzioni disciplinari inflitte a società, associazioni e atleti, in via incidentale e indiretta, al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione. Così l'esplicita esclusione della diretta giurisdizione sugli atti sanzionatori disciplinari — che è a tutela dell'autonomia dell'ordinamento sportivo — consente comunque a chi lamenti la lesione di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante, di agire in giudizio per il conseguente risarcimento del danno”.

Anche la Corte Suprema di Cassazione, Sezioni unite civili, è intervenuta sul tema, affermando che “spetta al giudice amministrativo pronunciarsi sulla domanda di risarcimento del danno per equivalente ed anche a pronunciarsi, nell'ambito della propria giurisdizione esclusiva, sulla doglianza di ineffettività della tutela conformata dal sistema nazionale della giustizia sportiva, in comparazione con il diritto eurounitario, anche utilizzando se del caso lo strumento del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE. In tali fattispecie l'esplicita esclusione della diretta giurisdizione sugli atti attraverso i quali sono state irrogate le sanzioni disciplinari a tutela dell'autonomia dell'ordinamento sportivo consente infatti di agire in giudizio per ottenere il conseguente risarcimento del danno a chi lamenti la lesione di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante” (sentenza n. 33536/2018).

Quanto alla giurisprudenza del giudice amministrativo nazionale, tra le altre con la recente sentenza n. 17711, del 27 novembre 2023, il Tar del Lazio ha evidenziato che, per consolidata giurisprudenza amministrativa, “..in tema di sanzioni disciplinari sportive, vi è difetto assoluto di giurisdizione sulle controversie riguardanti i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni, riservate, a tutela dell'autonomia dell'ordinamento sportivo, agli organi di giustizia sportiva che le società, le associazioni, gli affiliati e i tesserati hanno l'onere di adire ai sensi del D.L. n. 220 del 2003, convertito in L. n. 280 del 2003, anche ove si invochi la tutela in forma specifica della rimozione della sanzione disciplinare, ferma restando la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ex art. 133, comma 1, lett. z), c.p.a., in ordine alla tutela risarcitoria per equivalente, non operando in tal caso alcuna riserva a favore della giustizia sportiva e potendo il giudice amministrativo conoscere in via incidentale e indiretta delle sanzioni disciplinari, ove lesive di situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l'ordinamento statale (cfr., tra molte, Cassazione civile sez. un., 28/12/2020, n. 29654). La violazione dei principi del giusto processo, che parte ricorrente ritiene essersi consumata nell’ambito dei vari gradi della giustizia sportiva, non può infatti valere ad attribuire al giudice amministrativo un potere di annullamento che gli è espressamente precluso dal Legislatore, ma può condurre, laddove ne ricorrano i presupposti, ad una condanna al risarcimento del danno”.

Analogamente, il Consiglio di Stato ha ritenuto “inammissibile, per difetto di giurisdizione amministrativa, il ricorso in annullamento di sanzioni disciplinari inflitte da organi della giustizia sportiva a fronte di un illecito sportivo….. Dalla sentenza costituzionale n. 49 del 2011 si desume la legittimità delle basi del quadro derivante dall'art. 1, d.-l. n. 220 del 2003 sul principio di autonomia tra l'ordinamento sportivo e l'ordinamento giuridico generale” (Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 24 settembre 2012, n. 5065; cfr. anche CdS, Sez. V, n. 1173 del 15 marzo 2017 e n. 3458 del 13 luglio 2017).

E ancora “Le decisioni degli organi di giustizia federale, dunque, devono considerarsi alla stregua di provvedimenti amministrativi ogniqualvolta, seppur in materia disciplinare riservata, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. a, d.l. n. 220 cit., all'ordinamento sportivo, vengano ad incidere su posizioni giuridiche soggettive rilevanti per l'ordinamento statale, che come tali, non possono sfuggire alla tutela giurisdizionale statale, pena la lesione del fondamentale diritto di difesa, espressamente qualificato come inviolabile dall'art. 24 Cost. (TAR Lazio, Roma, sez. I-ter, sent. nr. 1163/2017). Pertanto, allorquando la decisione in materia disciplinare giunga a ledere posizioni giuridicamente rilevanti per l'ordinamento statale, torna ad espandersi la giurisdizione residuale del giudice amministrativo in materia, innanzi al quale può essere fatta valere, appunto, la pretesa risarcitoria secondo i dettami delle sentenze della Corte Costituzionale n. 49/2011 e n. 160/2019” (TAR Lazio, sez. I-ter, sent. n. 9850/2021).

Alla luce di queste premesse, si comprende che anche le censure relative alla regolarità del processo sportivo e alla asserita violazione dei principi del “giusto processo”, pur potendo dare luogo, ove accertate, ad una condanna risarcitoria, non mutano l’oggetto del potere sanzionatorio esercitato dagli organi dell’ordinamento sportivo e precludono l’esercizio del potere caducatorio da parte del giudice statale.

Questo assetto è stato ritenuto conforme a Costituzione, dal momento che la normativa contestata, nell’interpretazione offerta dal “diritto vivente” e fatta propria dalla Corte, ha tenuto ferma la possibilità, per chi ritenga di essere stato leso nei suoi diritti o interessi legittimi da atti di irrogazione di sanzioni disciplinari, di agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno; in proposito, detta forma di ristoro per equivalente, per quanto diversa rispetto a quella di annullamento in via generale assegnata al giudice amministrativo, è stata ritenuta in ogni caso idonea a soddisfare il vincolo costituzionale di necessaria tutela giurisdizionale dell’interesse legittimo. La scelta legislativa che la esprime, continua la Corte, “è frutto infatti del non irragionevole bilanciamento operato dal legislatore fra il menzionato principio costituzionale di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale e le esigenze di salvaguardia dell’autonomia dell’ordinamento sportivo – che trova ampia tutela negli artt. 2 e 18 Cost. – «bilanciamento che lo ha indotto [...] ad escludere la possibilità dell’intervento giurisdizionale maggiormente incidente» su tale autonomia, mantenendo invece ferma la tutela per equivalente”.

E dunque, il Giudice delle Leggi ha affrontato i profili di apparente contraddittorietà tra il principio di pienezza della tutela giurisdizionale e la riserva di giurisdizione in ambito sportivo, affermando che “la tutela dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, se non può evidentemente comportare un sacrificio completo della garanzia della protezione giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, può tuttavia giustificare scelte legislative che, senza escludere tale protezione, la conformino in modo da evitare intromissioni con essa “non armoniche”, come il legislatore ha valutato che fosse, nel caso in esame, la tutela costitutiva”, ed ancora: “In base a tale ricostruzione il giudice amministrativo può comunque conoscere delle questioni disciplinari che riguardano diritti soggettivi o interessi legittimi, poiché l’esplicita riserva a favore della giustizia sportiva, se esclude il giudizio di annullamento, non intacca tuttavia la facoltà di chi ritenga di essere stato leso nelle sue posizioni soggettive, ivi comprese quelle di interesse legittimo, di agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno. A tali fini non opera infatti la riserva a favore della giustizia sportiva, davanti alla quale del resto la pretesa risarcitoria non potrebbe essere fatta valere. Questa scelta interpretativa, costituzionalmente orientata, si fonda su una valutazione di non irragionevolezza del bilanciamento effettuato dal legislatore, che ha escluso «la possibilità dell’intervento giurisdizionale maggiormente incidente sull’autonomia dell’ordinamento sportivo» (punto 4.5. del Considerato in diritto) e limitato l’intervento stesso alla sola tutela per equivalente di situazioni soggettive coinvolte in questioni nelle quali l’autonomia e la stabilità dei rapporti costituisce di regola dimensione prioritaria rispetto alla tutela reale in forma specifica, per il rilievo che i profili tecnici e disciplinari hanno nell’ambito del mondo sportivo. Ambito nel quale, invero, le regole proprie delle varie discipline e delle relative competizioni si sono formate autonomamente secondo gli sviluppi propri dei diversi settori e si connotano normalmente per un forte grado di specifica tecnicità che va per quanto possibile preservato” (C.Cost. sent. n. 160/2019).

Il Consiglio di Stato, a sua volta, in una sentenza del 13 luglio 2017, ha stabilito che “il ricorso per l’annullamento delle sanzioni disciplinari irrogate dagli organi di giustizia sportiva per la commissione di un illecito sportivo è inammissibile per difetto di giurisdizione amministrativa”.

LE RAGIONI DEL PRIMO QUESITO.

Come osservato anche dal Consiglio di Stato nell’ordinanza n. 10416/2023 citata nel giudizio, le previsioni dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione che ai sensi dell’art. 6, par. 1, prima parte, del TUE ha lo stesso valore giuridico dei Trattati) conferiscono alla garanzia della tutela giurisdizionale la valenza di principio fondamentale e generale di diritto dell’Unione europea. Inoltre, l’art. 19, par. 1, seconda parte, del TUE obbliga gli Stati membri a stabilire i rimedi giurisdizionali necessari ad assicurare ai singoli, nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione, il rispetto del loro diritto a una tutela giurisdizionale effettiva (cfr.: C.G.U.E, IX Sezione, sentenza del 7 luglio 2022, in C-261/21, punto 43; C.G.U.E. sentenza del 26 marzo 2020, in C558/18 e C563/18, EU:C:2020:234, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

Al contempo, secondo la giurisprudenza di codesta Corte di giustizia, fatta salva l’esistenza di norme dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro, in forza del principio dell’autonomia procedurale, stabilire le modalità processuali di tali rimedi giurisdizionali, a condizione, tuttavia, che tali modalità, nelle situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione, non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe disciplinate dal diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’Unione (principio di effettività) (C.G.U.E., sentenza del 21 dicembre 2021, Randstad Italia, C497/20, EU:C:2021:1037, punto 58; C.G.U.E., sentenza del 10 marzo 2021, Konsul Rzeczypospolitej Polskiej w N., C-949/19, EU:C:2021:186, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).

Nel caso all’attenzione di questo Tribunale si pone un problema di effettività della tutela giurisdizionale assicurata dall’ordinamento nazionale nei riguardi delle sanzioni sportive a carattere disciplinare. Come esposto, la normativa di cui all’art. 2 del d.l. n. 220/2003, per come interpretata dalle Corti nazionali, preclude infatti - in forza del principio di autonomia dell’ordinamento sportivo rispetto a quello statale - al giudice amministrativo italiano, una volta esauriti i gradi della giustizia sportiva, l’annullamento delle sanzioni disciplinari irrogate dagli organi sportivi; tra queste rientra anche la sanzione disciplinare irrogata al Sig. -OMISSIS-, dirigente apicale di una squadra di calcio, oggetto del giudizio pendente dinanzi a questo Tar. Come evidenziato, in particolare, la tutela giurisdizionale conferita dall’ordinamento interno non prevede la possibilità per il giudice amministrativo di disporre la caducazione della sanzione disciplinare e neppure la sospensione dell’efficacia della stessa in via cautelare, così precludendo la reintegrazione in forma specifica e, quindi, in termini generali, il conseguimento del bene della vita finale al quale la parte – lesa illegittimamente da un provvedimento amministrativo – anela: è disponibile esclusivamente un risarcimento per equivalente monetario.

In relazione al principio di effettività, occorre ricordare che il diritto dell’Unione non produce l’effetto di obbligare gli Stati membri a istituire mezzi di ricorso diversi da quelli già contemplati dal diritto interno, a meno che, tuttavia, dall’impianto sistematico dell’ordinamento giuridico nazionale in questione risulti che non esiste alcun rimedio giurisdizionale che permetta, anche solo in via incidentale, di garantire il rispetto dei diritti che i singoli traggono dal diritto dell’Unione, o che l’unico modo per poter adire un giudice da parte di un singolo sia quello di commettere violazioni del diritto (C.G.U.E., sentenze del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság, C924/19 PPU e C925/19 PPU, EU:C:2020:367, punto 143; del 21 dicembre 2021, Randstad Italia, C497/20, EU:C:2021:1037, punto 62; del 13 luglio 2023, in C-363/2021 e C-364/2021).

Il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva richiede, tra l’altro, che l’organo giurisdizionale rispetti le caratteristiche fondamentali di terzietà, imparzialità e indipendenza, profilo che pure è oggetto di contestazione nel giudizio in esame con riguardo agli organi del CONI e della FIGC.

Si afferma infatti a livello europeo che “Questo requisito di indipendenza degli organi giurisdizionali, intrinsecamente connesso al compito di giudicare, costituisce un aspetto essenziale del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva e del diritto fondamentale a un equo processo, che riveste importanza cardinale quale garanzia della tutela dell’insieme dei diritti derivanti al singolo dal diritto dell’Unione e della salvaguardia dei valori comuni agli Stati membri enunciati all’articolo 2 TUE, segnatamente del valore dello Stato di diritto” (Commissione c. Polonia, C-791/19, 15 luglio 2021, §58).

Al fine di garantire che le posizioni giuridiche soggettive possano essere tutelate davanti a un giudice imparziale e indipendente è necessario che i provvedimenti emanati da un organismo non giurisdizionale siano impugnabili davanti all’autorità giudiziaria (in questo senso, inter alia, FMS et al., C-924/19, 14 maggio 2020, §145).

Il giudice chiamato a valutare una sanzione dovrà avere non solo il potere di disporre il risarcimento del danno ma dovrà poter annullare il provvedimento che l’ha comminata (International Skating Union, C-124/21, 21 dicembre 2023, §201 e §203).

Assume dunque rilevanza, ai fini della decisione del caso in esame, che codesta Corte chiarisca in via pregiudiziale se l’art. 2 del d.l. 220/2003 – come interpretato nel diritto vivente italiano – nel limitare la giurisdizione del giudice statale nazionale (nel caso di specie, il giudice amministrativo) sulle sanzioni sportive a carattere disciplinare, una volta esauriti i gradi della giustizia sportiva, al solo profilo del risarcimento del danno per equivalente escludendo la tutela caducatoria e la possibilità di sospendere in via cautelare l’efficacia delle sanzioni medesime, è conforme al diritto dell’Unione, e in particolare gli artt. 6 e 19 del TUE, interpretati alla luce dell’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea e 6 della CEDU.

II. SECONDO QUESITO: SULL’ART. 6 DEL TUE INTERPRETATO ALLA LUCE DEGLI ART. 49 DELLA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA E 7 DELLA CEDU, E SULLA COMPATIBILITA’ RISPETTO A TALI DISPOSIZIONI DELLA NORMATIVA NAZIONALE.

Nel caso all’esame del Collegio si dubita, inoltre, della piena conformità della disciplina nazionale di cui all’art. 2 del d.l. 220/2003, convertito dalla legge n. 280/2003, come interpretata nel diritto vivente, al principio di legalità e della tassatività della fattispecie incriminatrici - laddove detta disposizione consenta agli organi dell’ordinamento sportivo di irrogare ad un dirigente sportivo una sanzione disciplinare a carattere inibitorio rispetto allo svolgimento dell’attività professionale in conseguenza della violazione di una disposizione dell’ordinamento sportivo federale (art. 4, comma 1, del CGS FGCI), la quale stabilisce, con una clausola generale, che tutti i tesserati e dirigenti sportivi sono tenuti ad osservare, oltre che lo Statuto e le altre norme federali, i principi di lealtà correttezza e probità.

L’art. 4, comma 1, del CGS FIGC (“Obbligatorietà delle disposizioni generali”) dispone, in particolare, che: “1. I soggetti di cui all'art. 2 sono tenuti all'osservanza dello Statuto, del Codice, delle Norme Organizzative Interne FIGC (NOIF) nonché delle altre norme federali e osservano i principi della lealtà, della correttezza e della probità in ogni rapporto comunque riferibile all'attività sportiva. 2. In caso di violazione degli obblighi previsti dal comma 1, si applicano le sanzioni di cui all'art. 8, comma 1, lettere a), b), c), g) e di cui all'art. 9, comma 1, lettere a), b), c), d), f), g), h). 3. L'ignoranza dello Statuto, del Codice e delle altre norme federali non può essere invocata a nessun effetto. I comunicati ufficiali si considerano conosciuti a far data dalla loro pubblicazione”.

A livello sovranazionale, l’art. 7, comma 1, della CEDU (“Nulla poena sine lege”), dispone che “1. Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso”.

L’art. 49, comma 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea prevede che “Nessuno può essere condannato per un'azione o un'omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l'applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest'ultima”.

In proposito, la giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo, a partire dalla nota sentenza Engel and others v. the Netherlands del 1976, ha stabilito il principio per il quale le sanzioni che presentano carattere afflittivo, pur se non qualificate formalmente come penali negli ordinamenti degli Stati Parte della CEDU, devono ricadere nell’ambito delle garanzie convenzionali previste per le sanzioni penali. Il principio, poi consolidato nella giurisprudenza sovranazionale con successive sentenze quali Öztürk v. Germany del 1984, Grande Stevens v. Italy del 2014 e A. and B. v. Norway del 2016, definisce il concetto di “accusa penale” di cui all’art. 6 CEDU in senso sostanziale, avendo riguardo alla natura dell’illecito ovvero alla severità della sanzione connessa alla sua violazione, piuttosto che al solo dato della classificazione dello stesso come reato da parte del diritto nazionale.

Il principio della sentenza “Engel” fa parte del diritto unionale come principio generale e comporta che venga affermata la natura sostanzialmente penale di una sanzione amministrativa avente carattere gravemente afflittivo, con l’effetto che le garanzie proprie del diritto penale dovranno essere estese all’illecito formalmente non penale che preveda una sanzione amministrativa afflittiva.

Il principio di legalità in materia di reati ha tra i propri corollari il principio di tassatività e di determinatezza del precetto e della sanzione penale, onde assicurare ai consociati la prevedibilità delle conseguenze giuridiche delle proprie condotte.

La Corte costituzionale italiana nella sentenza n. 63 del 2019 ha affermato in proposito che “rispetto a singole sanzioni amministrative che abbiano natura e finalità punitiva, il complesso dei principi enucleati dalla Corte di Strasburgo a proposito della materia penale […] non potrà che estendersi anche a tali sanzioni”. Alla luce di quanto precede, è indubbio che anche alle sanzioni amministrative afflittive siano applicabili i principi di tassatività e determinatezza.

LE RAGIONI DEL SECONDO QUESITO.

Nel caso all’esame del Collegio, nei confronti del sig. -OMISSIS-è stata applicata una sanzione disciplinare consistente nella inibizione temporanea di mesi 24 a svolgere attività professionale in ambito FIGC, con estensione in ambito sovranazionale, per violazione del principio di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all'attività sportiva, così come previsto dall’art. 4 del CGS FIGC. Si tratta, dunque, di una sanzione che presenta un indubbio carattere afflittivo, sia per il suo contenuto e sia per le ricadute in termini economici. Rispetto a detta sanzione, il ricorrente ha lamentato la violazione del principio di determinatezza e tassatività della fattispecie sanzionatoria quale declinato alla luce criteri Engel, atteso il carattere di generalità e indeterminatezza dell’art. 4, comma 1, del CGS, che renderebbe detta disposizione inidonea a configurare una norma incriminatrice autonoma.

Assume, dunque, rilevanza per il caso all’esame del Collegio che codesta Corte chiarisca in via pregiudiziale se l’art. 2 del d.l. 220/2003 – come interpretata nel diritto vivente italiano – la quale consente agli organi dell’ordinamento sportivo di irrogare ad un dirigente sportivo una sanzione disciplinare a carattere inibitorio rispetto allo svolgimento dell’attività professionale in conseguenza della violazione di una disposizione dell’ordinamento sportivo federale a carattere generale quale l’art. 4, comma 1, del CGS FGCI, è conforme al diritto dell’Unione, e in particolare all’art. 6 del TUE, come interpretato alla luce degli art. 47, 48 e 49 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea e 6 e 7 della CEDU, e ai principi di legalità, di tassatività e di determinatezza delle fattispecie incriminatrici, nonché del giusto processo, quale declinati dalla giurisprudenza europea

TERZO QUESITO: SUGLI ARTT. 101 E 102, 45, 49 E 56 DEL TFUE, E 47 DELLA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA E SULLA COMPATIBILITA’ RISPETTO A TALI DISPOSIZIONI DELLA NORMATIVA NAZIONALE.

Nell’ambito del giudizio all’esame del Collegio, il ricorrente lamenta, altresì, che la sanzione dell’inibizione temporanea dall’esercizio dell’attività professionale di dirigente apicale di squadra di calcio a livello federale, con possibilità di estensione a livello UEFA e FIFA, sarebbe illegittima in quanto contrastante con gli artt. 101 e 102 del TFUE. E tanto poiché tale sanzione si tradurrebbe in un provvedimento limitativo della libertà di circolazione, di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di dirigenti sportivi all’interno dell’Unione europea in esito a presunti illeciti disciplinari.

L’art. 6 del TFUE, come richiamato, prevede le competenze complementari dell’Unione europea, annoverando tra le materie anche lo sport.

Gli artt. 45-49-56 del TFUE assicurano le libertà fondamentali delle persone nell’Unione in materia di libera circolazione dei lavoratori, di stabilimento dei cittadini, di prestazione dei servizi.

L’art. 101 del TFUE vieta le decisioni di associazioni di imprese che possano pregiudicare la libera concorrenza nel mercato interno avendo per oggetto o per effetto di impedire, restringere, falsare la concorrenza stessa.

L’art. 102 del TFUE vieta invece lo sfruttamento abusivo da parte di una impresa di una posizione dominante sul mercato interno o una parte sostanziale di esso.

Secondo la Corte di Giustizia le decisioni assunte dalle associazioni di diritto privato organizzatrici delle competizioni calcistiche quali la FIGC possono essere qualificate quali “decisioni di associazioni di imprese” ai sensi dell’art. 101 TFUE e quindi sono soggette alle previsioni di tale disposizione e della disciplina in materia di concorrenza in generale (cfr. CGUE, 21.12.23, C-333/21, “European Superleague Company SL”, par. 87).

LE RAGIONI DEL TERZO QUESITO.

Assume, dunque, rilevanza per il caso all’esame del Collegio che codesta Corte chiarisca in via pregiudiziale se il diritto dell’Unione, e in particolare gli artt. 101 e 102, 45, 49 e 56 del TFUE, e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui all’art. 2 del DL n. 220/2003, che consente l’irrogazione da parte degli organi sportivi di una sanzione disciplinare a carattere inibitorio per effetto della quale è inibita ad un dirigente sportivo lo svolgimento dell’attività professionale per 24 mesi in ambito nazionale e anche sovranazionale, con una conseguente compressione dei diritti alla libertà di circolazione dei lavoratori, alla libertà di stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione europea.

C. I QUESITI SOTTOPOSTI A CODESTA CORTE DI GIUSTIZIA.

29. In definitiva, si sottopongono a codesta Corte di Giustizia i seguenti quesiti, ai sensi dell’art. 267 TFUE:

1) se il diritto dell’Unione, e in particolare gli artt. 6 e 19 del TUE, interpretati alla luce dell’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea e 6 della CEDU devono essere interpretati nel senso che, al fine di assicurare il rispetto dei principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale, ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui all’art. 2 del d.l. 220/2003, convertito dalla legge n. 280/2003, – come interpretata nel diritto vivente italiano – la quale, esauriti i gradi della giustizia sportiva nazionale, circoscrive la giurisdizione del giudice statale nazionale (nel caso di specie, il giudice amministrativo) sulle sanzioni sportive a carattere disciplinare al solo profilo del risarcimento del danno per equivalente, escludendo il potere di annullamento e la possibilità di sospendere in via cautelare l’efficacia delle sanzioni medesime;

2) se il diritto dell’Unione, e in particolare l’art. 6 e 19 del TUE, interpretati alla luce degli art. 47, 48 e 49 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea e 6 e 7 della CEDU devono essere interpretati nel senso che, al fine di assicurare il rispetto dei principi di legalità, di tassatività e di determinatezza delle fattispecie incriminatrici, nonché del giusto processo, ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui all’art. 2 del d.l. 220/2003, convertito dalla legge n. 280/2003, – come interpretata nel diritto vivente italiano – la quale consente agli organi dell’ordinamento sportivo di irrogare ad un dirigente sportivo una sanzione disciplinare a carattere inibitorio rispetto allo svolgimento dell’attività professionale in conseguenza della violazione di una disposizione dell’ordinamento sportivo federale (art. 4, comma 1, del Codice di Giustizia Sportiva FGCI), la quale stabilisce, con una clausola generale a carattere indeterminato, che tutti i tesserati e dirigenti sportivi sono tenuti ad osservare, oltre che lo Statuto e le altre norme federali, i principi di lealtà correttezza e probità;

3) se il diritto dell’Unione, e in particolare gli artt. 101 e 102, 45, 49 e 56 del TFUE, e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui all’art. 2 del d.l. n. 220/2003, convertito dalla legge n. 280/2003, che consente l’irrogazione da parte degli organi sportivi di una sanzione disciplinare per effetto della quale è inibita ad un dirigente sportivo lo svolgimento dell’attività professionale per 24 mesi in ambito nazionale e sovranazionale.

30. Ai sensi delle “Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale”, pubblicate in GUUE del 8 novembre 2019, vanno trasmessi, a cura della Segreteria della Sezione, in copia alla Cancelleria della Corte di Giustizia dell’Unione europea, mediante plico raccomandato:

- la presente ordinanza;

- la copia degli atti del fascicolo di causa.

La trasmissione potrà essere effettuata per via telematica all’indirizzo DDP-GreffeCour@curia.europa.eu, oppure mediante plico raccomandato indirizzato alla cancelleria della Corte di giustizia (rue du Fort Niedergrünewald, 2925 Luxembourg).

31. Il presente giudizio , ai sensi dell’art. 79, comma 1, c.p.a., viene sospeso nelle more della definizione del procedimento incidentale di rinvio.

32. Ogni ulteriore decisione, anche in ordine alle spese, è riservata alla pronuncia definitiva.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter) non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, provvede come segue:

- rimette alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea le questioni pregiudiziali indicate al paragrafo E della motivazione, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea;

- dispone che la copia integrale della presente ordinanza, unitamente alla copia integrale del fascicolo di causa, siano trasmesse, a cura della Segreteria della Sezione, alla Cancelleria della Corte di Giustizia dell’Unione Europea;

- dispone la sospensione del presente giudizio;

- riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle spese.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente e le persone fisiche indicate nella presente pronuncia.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 marzo 2024, con l'intervento dei magistrati:

Francesco Arzillo, Presidente

Giovanni Mercone, Referendario

Silvia Simone, Referendario, Estensore

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