TRIBUNALE DI PERUGIA– SENTENZA N. 996/2020 DEL 21/09/2020
Il Giudice del Tribunale di Perugia, dott. Luca Marzullo, in funzione di giudice monocratico, all’esito della discussione svoltasi mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte ai sensi dell’art. 83 co. 7 lett. h) del D.L. 18/2020 (L. conv. 27/2020) e art. 221 l. 77/2020 di conv. d.l. 34/2020, all’udienza del 21/09/2020 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura di dispositivo e contestuale motivazione (art. 281sexies c.p.c.) la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. R.G. 791/2012 tra
Parte_1
Rappresentato e difeso dall’Avv. Omissis ed elettivamente domiciliato presso il difensore nello studio sito in Perugia, via Centova n. 6 (studio avv.to Omissis ), giusta delega in atti;
CP_1
CONTRO
Attore
Rappresentato e difeso dall’Avv. Omissis ed elettivamente domiciliato presso il
difensore nello studio sito in Perugia, via Cesarei n. 4, giusta delega in atti;
Convenuto
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
- Con atto di citazione notificato il 13/02/2012,
Parte_1
ha convenuto
in giudizio
CP_1
affermando che: quale calciatore dilettantistico presso la “
[...]
Org_1
”, il 26/03/2011, durante una partita di campionato 3° cat. - girone D -
[...]
Organizzazione_2
contro la “
Org_3
” tenutasi a Macchie di Castiglione
(PG), ha avuto un contrasto con il convenuto, giocatore della squadra avversaria; l’arbitro
Persona_1
era intervenuto fischiando fallo a favore di
CP_1
il quale, subito
dopo e mentre il gioco era fermo e la palla lontana, aveva reagito con un calcio alla tibia
destra di
Parte_1
ne era seguita l’espulsione di
CP_1
per fallo di reazione,
mentre
Parte_1
era stato portato in pronto soccorso dove gli era stata
diagnosticata la “frattura del terzo medio della gamba destra” ed era stato ingessato; dopo i vari controlli e la terapia prescritta, il gesso è stato rimosso il 07/06/2011; la malattia, tuttavia, si è protratta anche successivamente residuando dei postumi dopo la rimozione dell’apparecchio, consistenti in ipomiotrofia muscolare dell’arto leso.
Ha altresì allegato che durante il periodo di malattia non ha potuto svolgere la sua libera professione di geologo.
Sicché, ritenendo che di aver subito un danno ingiusto con conseguenze pregiudizievoli di natura patrimoniali e non a causa della condotta dolosa e antigiuridica del convenuto, ne ha chiesto la condanna al risarcimento dei danni subiti e subendi in misura non inferiore ad € 20.000,00.
1.1 Con comparsa depositata il 11/05/2012 si è costituito il convenuto contestando
la dinamica dell’infortunio e, in particolare, rappresentando una sua condotta priva della volontà di ledere e diretta, invece, al gioco competitivo; in ogni caso ha contestato la quantificazione dei danni indicata dall’attore.
A sostegno della propria tesi ha evidenziato: come un evento di tal fatta sia
prevedibile in una partita di calcio, rientrando nell’alea dell’attività sportiva, e non generi responsabilità in capo all’autore della condotta; che la mera violazione delle regole del gioco non è sufficiente a far scaturire una responsabilità civile; che il fatto che sia stata applicata la sanzione di una sola giornata di qualifica dimostra come la condotta non sia stata violenta, come invece riportato dal referto arbitrale, altrimenti il giudice sportivo ne avrebbe
applicate almeno due; che sembrerebbe che
Pt_1
abbia continuato a giocare dopo l’evento,
non essendo riportate sostituzioni nel referto arbitrale.
1.2 Mutata ripetutamente la persona del giudice assegnatario, la causa è stata trattata con il deposito delle memorie di cui all’art. 183 c. 6 nn. 1 e 2 c.p.c. del solo convenuto e con successivi scambi di memorie autorizzate, nonché con note scritte in vista delle udienze cd. a trattazione scritta; è stata istruita, oltre che documentalmente, mediante l’assunzione di testimoni di entrambe le parti ed interrogatorio formale del convenuto; trattenuta in decisione, ma poi rimessa sul ruolo per ragioni dipendenti dal trasferimento ad altro ufficio del giudice assegnatario, la causa è stata ulteriormente istruita attraverso la CTU volta a consentire al giudice di stabilire:
- se la lesione certificata fosse da considerarsi causalmente collegata al atto per
come allegato dall’attore;
- l’entità del danno biologico permanente derivatone, in percentuale;
- se il danno biologico abbia comportato una compromissione della capacità di
svolgere la professione esercitata all’epoca dei fatti.
Sotto il profilo della dinamica processuale, si osserva, infine, che, ritenendo sussisterne i presupposti e l’opportunità, il giudice ha disposto procedersi a mediazione delegata ai sensi dell’art. 5 co. 2 D.lvo 28/2010 che, tuttavia, ha avuto esito negativo; pertanto il giudice, ritenuta la causa matura per la decisione, ne ha disposto la discussione orale ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c.
2. RICOSTRUZIONE DEL FATTO A SEGUITO DI ISTRUTTORIA
Tanto premesso, la domanda è fondata e va accolta nei limiti e nei sensi per i motivi di seguito esposti.
La gran parte dei fatti oggetto della cognizione sono stati allegati da entrambe le parti in maniera concorde, pertanto, quali fatti non contestati, non necessitano di prova e possono darsi per assodati. In particolare, non è dato dubitare: che il 26/03/2011, durante
una partita di calcio del campionato 3° cat. - girone D -
Organizzazione_2
contro la “
Org_3
” tenutasi a Macchie di Castiglione (PG), a pochi minuti dalla fine
della partita (40’ del II tempo), il convenuto
CP_1
abbia colpito con un calcio la
tibia destra del giocatore della squadra avversaria
Parte_1
realizzando così un
fallo sanzionato con l’espulsione dal campo e la squalifica per una giornata di gara; che lo
stesso giorno
Pt_1
ha riportato la frattura del terzo medio della gamba destra (la
tibia) con conseguente ingessatura.
2.1 Ciò che, invece, è controverso è, innanzitutto, se la condotta di
CP_1
sia stata intenzionalmente diretta a colpire l’avversario (come sostiene l’attore) oppure se il
primo avesse di mira il pallone conteso con l’altro e solo accidentalmente, o meglio,
nell’ambito del contrasto di gioco, abbia colpito la gamba di
Pt_1
Reputa il Tribunale che gli esiti dell’istruttoria consentono di affermare che la
condotta lesiva sia stata volontaria e che la stessa sia estranea alla dinamica di gioco.
In particolare, l’arbitro della gara,
Persona_1
subito dopo la sua
conclusione, ha compilato il referto della partita e ha dichiarato, fra i fatti di rilievo, che al
40’ del secondo tempo [è stato] espulso il n° 16 avversario colpendolo con un calcio ad una gamba.
CP_1
perché reagiva ad un fallo di un
Tale dichiarazione deve ritenersi particolarmente attendibile visto che è stata redatta nell’immediatezza del fatto, da un soggetto terzo ed imparziale rispetto ai contendenti, e investito del compito specifico di osservare la dinamica di gioco ed intervenire in caso di infrazioni.
Ed invero, sentito come testimone di parte attrice (ud. 17/07/2014) ha dichiarato di non ricordare l’episodio, ma di confermare il referto di gara a sua firma. La deposizione resa appare particolarmente credibile anche per la sincerità con cui l’arbitro ammette di non aver conservato memoria dell’accaduto, il che è comprensibile e rinforza il giudizio di genuinità della dichiarazione nel suo complesso, visto il tempo trascorso (circa tre anni e mezzo) e le numerose gare dirette nonché, presumibilmente, il numero di infortuni che mediamente i giocatori riportano durante il campionato.
Il contenuto del referto, poi, è coerente con il racconto reso dai testimoni
dell’attore.
Invero,
Testimone_1
(Ud. 27/02/2015) ha riferito che
CP_1
di lato colpì
con un calcio
Pt_1
he era fermo senza che ci fosse una dinamica di gioco e che lui e
gli altri andarono a soccorrerlo.
Dal canto suo, il fatto che il testimone di parte attrice
Pt_3
(ud. 17/07/2014)
abbia riferito di non ricordare di aver visto l’accaduto, è coerente con il fatto che il calcio sia stato dato in un momento in cui il gioco era fermo e, quindi, l’attenzione degli spettatori non era concentrata su di un’azione in corso.
2.1.1. Non risultano, invero, idonee a minare la ricostruzione della presente vicenda in punto di fatto le deduzioni di parte convenuta.
Il convenuto ha contestato la veridicità di quanto riportato nel referto arbitrale in base ad alcuni elementi a supporto della sua tesi del contrasto in corso di gioco e lecito, evidenziando:
- il fatto che se veramente ci fosse stata la reazione violenta descritta, allora la
sanzione del giudice sportivo sarebbe stata di almeno due giornate di squalifica, mentre ne è stata applicata una sola;
- la testimonianza resa dai suoi testimoni che riferiscono - tutti - una condotta
regolare:
Controparte_2
(ud. 14/01/2014) ha riferito di aver visto perfettamente
l’accaduto e che il contrasto è avvenuto mentre entrambi i giocatori andavano a velocità
sostenuta cercando ognuno di impossessarsi della palla;
Testimone_2
ha raccontato
nel dettaglio l’azione di gioco (il cross, la palla in aria e
CP_1
intento a calciarla, mentre
Pt_1
interviene per contrastare l’azione e viene colpito accidentalmente trovandosi nella
direzione del calcio; le risposte del convenuto all’interrogatorio formale (ud. 17/07/2014), che riportano una dinamica in tutto coerente con quella dei propri testimoni, cioè che non si è trattato di un fallo di reazione ma di una normale azione di gioco;
- infine, il referto arbitrale non avrebbe valenza dimostrativa incontestabile (Cass.
pen. 6342/2016) e i testimoni del convenuto hanno raccontato che si trattava di un’azione di gioco, mentre quelli dell’attore non hanno ricordato di aver visto il contrasto, ma solo le sue conseguenze e lo stesso consulente stragiudiziale incaricato dall’attore ha affermato che si è trovato innanzi ad un classico dell’infortunistica sportiva).
Tali considerazioni, tuttavia, non sono persuasive alla luce del fatto che:
- in base al codice di giustizia sportiva la condotta violenta nei confronti di altri giocatori è sanzionata con la sanzione minima di due giornate di squalifica salva l’applicazione di circostanze attenuanti (art. 19.4 del codice allora vigente, prodotto dal convenuto); pertanto il fatto che sia stata applicata la sanzione per una sola giornata è facilmente spiegabile per la presenza dell’attenuante dell’aver reagito all’altrui fatto ingiusto, visto che è stato indicato nel referto come fallo di reazione ad altro fallo.
- i testimoni del convenuto, la cui attendibilità soggettiva è già di per sé attenuata
dal fatto di essere simpatizzanti o dirigenti della squadra di
CP_1
rendono
dichiarazione scarsamente credibili soprattutto per via di alcuni elementi: nel dettaglio, l’accuratezza nella descrizione dell’evento, nonostante gli anni trascorsi e l’ordinarietà dell’evento che riferiscono; la loro sovrapponibilità nei dettagli (ad esempio tutti riferiscono
l’esatta collocazione spaziale dei giocatori, prossimi all’area di rigore del
Org_1 ,
nonostante nei capitoli nulla sia chiesto in proposito); il fatto che taluno abbia risposto a
domande non formulate (oltre a quella della collocazione spaziale), come è il caso del
testimone
Testimone_3
(ud. 14/01/2014) quando ha affermato che
Pt_1
rimase
in campo, sebbene la domanda n. 4 a cui rispondeva non evocasse questa risposta (E’ vero
che l’evento dannoso occorso al Sig.
Pt_1
si è realizzato nell’ambito dell’azione di gioco descritta ai
capitoli 2 e 3 che precedono? I capitoli 2 e 3 non richiamano mai l’uscita dal campo di
Pt_1 .
Tali elementi inducono a ritenere che i testimoni escussi abbiano cristallizzato un preciso ricordo che tuttavia non corrisponde a quanto effettivamente accaduto e che ciò sia accaduto per essersi confrontati sul fatto, come dimostra la sovrapponibilità dei particolari (finanche il numero della maglia dei due giocatori) e la narrazione anche scollegata dalla specifica domanda rivolta.
Peraltro, anche a voler prescindere dalle considerazioni che precedono, la versione
dei fatti offerta dai testi del convenuto rimane pur sempre compatibile con le allegazioni dell’attore ove si consideri che gli stessi hanno ragionevolmente riferito le circostanze e gli
attimi immediatamente precedenti alla reazione del
CP_1
e, segnatamente, abbiano fatto
riferimento all’azione di gioco in cui era stato lo steso convenuto a subire il fallo, cui poi ha reagito.
Detto altrimenti, le convergenti dichiarazioni dei testimoni di parte convenuta non
erano sorrette dalla volontà di offrire una versione che favorisse il
CP_1 ma
probabilmente perché il calcio alla gamba era stato preceduto da un fallo di
Pt_1
contro
CP_1
Lo stesso fallo a cui poi – a gioco fermo –
CP_1
ha reagito colpendo
l’av versario ;
- quanto alla valenza dimostrativa della relazione arbitrale, è vero che tale documento non è incontestabile, ma non per questo è irrilevante e nemmeno di debole efficacia dimostrativa; anzi, è proprio la provenienza da soggetto esperto e professionalmente tenuto a refertare con attenzione ciò che con altrettanta attenzione deve osservare, che lo rende particolarmente attendibile; né può valorizzarsi l’espressione utilizzata dal medico che ha relazionato sulla lesione a distanza di oltre sei mesi, perché è palese che un classico dell’infortunistica sportiva è commento riferito alla frattura, non al
comportamento in campo di
conoscenza diretta.
CP_1
di cui il medico non poteva aver avuto
In base alle sovraesposte considerazioni intorno alla valutazione delle prove e al loro esito conoscitivo, risulta accertato, secondo i parametri decisori del giudizio civile, che il 26/03/2011 al 40’ del secondo tempo di una partita di calcio tenutasi a Macchie di
Castiglione (PG), a seguito di un fallo subito, il giocatore
CP_1
del Vitellini ha
sferrato un calcio al giocatore destra.
Parte_1
del
Org_1
colpendolo alla gamba
2.2 A tal riguardo, ragioni di completezza espositiva impongono ulteriormente di
ricordare che:
- in tema di valutazione delle prove, nel nostro ordinamento, fondato sul principio del libero convincimento del giudice, non esiste una gerarchia di efficacia delle prove, per cui i risultati di talune di esse debbano necessariamente prevalere nei confronti di altri dati probatori, essendo rimessa la valutazione delle prove al prudente apprezzamento del giudice (cfr. ex multis Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9245 del 18/04/2007);
- spetta quindi in via esclusiva al Giudice del merito- in forza del principio generale di cuiall’art. 116 c.p.c.- il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7074 del 28/03/2006);
- la norma in questione sancisce la fine del sistema fondato sulla predeterminazione legale dell’efficacia della prova, conservando solo specifiche ipotesi di fattispecie di prova legale, e la formula del “prudente apprezzamento” allude alla ragionevole discrezionalità del giudice nella valutazione della prova, che va compiuta tramite l’impiego di massime di esperienze (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10484 del 2004 anche in motivazione);
- l’esame dei documenti esibiti e delle deposizione dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale espletata, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, nonché la determinazione giudiziale assunta di ammettere o meno la prova, così come quella di tenere conto o no della prova assunta involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10484 del 2004 anche in motivazione; Cass. Sez. L, Sentenza n. 11933 del 07/08/2003; Cass. N. 9662 del 2001; N. 13910 del 2001; Sez. L, Sentenza n. 10739 del 02/12/1996);
- conseguentemente, ai fini di una corretta decisione, il giudice non è tenuto a
valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, né a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo
averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10484 del 2004 anche in motivazione Cass. 6 settembre 1995, n. 9384).
2.3. In secondo luogo è controverso se il contatto fisico fra i due giocatori abbia
comportato la frattura al terzo medio della gamba destra di
Pt_1
(tesi attorea),
oppure se tale incontestata lesione sia derivata da fatti diversi, estranei a quelli di causa (tesi del convenuto). Gli esiti dell’istruttoria consentono di affermare che la frattura sia stata
causata in modo diretto ed esclusivo dal calcio sferrato da
CP_1
infatti:
-
- Persona_2
(ud. 17/07/2014) ha riferito che lui ed altri sono andati a
soccorrere
Pt_1
che era a terra dolorante e di non ricordare se fu sostituito, ma
di ricordare che uscì dal campo accompagnato da altri dirigenti. Il testimone, nonostante sia un dirigente della squadra dell’attore, appare attendibile e credibile per il fatto di aver ammesso di non ricordare alcuni dettagli che pure sono controversi fra le parti (come ad esempio se ci fu la sostituzione) e di non aver visto lo scontro perché era da un’altra parte;
-
- Testimone_1
(ud. 27/02/2015) ha riferito che lui ed altri andarono a
soccorrere
Pt_1
che uscì dal campo e fu portato in ospedale; di non ricordare
l’espulsione di
CP_1
e nemmeno la sostituzione di
Pt_1
Anche lui,
nonostante allenatore del
Org_1
, è da ritenersi genuino proprio perché alcuni
dettagli (compresi quelli a favore della tesi di
Pt_1
e accertati, come l’espulsione
di CP_1
li ha dimenticati, come è normale che accada dopo circa quattro anni;
-
- il CTU ha confermato che il trauma diretto patito [per come riferito] … con meccanismo comprimente e flettente ha superato la resistenza dell’osso della tibia; vale a dire che sussiste l’adeguatezza causale tra il calcio e la frattura riscontrata.
A tal proposito il convenuto ha contestato la versione attorea valorizzando come:
i) se in quel momento ci fosse stata una frattura,
Pt_1
sarebbe stato sostituito,
mentre ciò non risulta dal referto arbitrale, pertanto è da ritenersi che sia restato in campo;
ii) non c’è prova che la frattura sia stata causata dallo scontro e non, invece, da fatti diversi accaduti successivamente nella stessa giornata dopo la partita e prima di arrivare al Pronto Soccorso.
Si osserva come le considerazioni del convenuto non valgano a smentire il fatto che
la condotta di
CP_1
abbia causato la frattura a
Pt_1
In particolare:
- la mancata menzione di un fatto nel referto arbitrale (la sostituzione) ha una portata conoscitiva debole circa il mancato accadimento di quel fatto, potendo essere frutto di dimenticanza e quindi di una condotta involontaria; viceversa l’espressa menzione di un fatto (il fallo di reazione con calcio all’avversario), ha una portata conoscitiva forte, perché è frutto di una condotta consapevole e
volontaria; d’altro canto seppure
Pt_1
non fosse stato sostituito (nonostante
il regolamento lo consentisse), non di meno è uscito dal campo come riferito dai testimoni; svariati potrebbero essere i motivi della mancata sostituzione, non ultimo il fatto che la partita fosse al termine;
- i testimoni di parte attrice hanno riferito che
Pt_1
fu subito soccorso e portato in
Ospedale. Di fronte ad un processo causale dimostrato (il calcio alla tibia), il convenuto non ha neanche allegato processi causali alternativi ed autonomi (e nemmeno concorrenti) che possano aver causato la lesione e che possano inficiare il giudizio di altissima probabilità, prossima alla certezza, che si stato il calcio e nient’altro a provocare la frattura; né sono in altro modo emersi.
E’ stato accertato, quindi, che il calcio che
causato a quest’ultimo la lesione refertata in atti.
CP_1
ha sferrato a
Pt_1 ha
2.4. In terzo luogo, necessitano di accertamento le conseguenze pregiudizievoli di natura patrimoniale e non patrimoniale sia sotto il profilo della loro esistenza, che sotto quello della loro consistenza.
Quanto a quelli non patrimoniali è dirimente l’accertamento svolto dal consulente
d’ufficio, al cui contenuto si ritiene di aderire in quanto procedimentalmente corretto (il CTU ha indagato sui fatti allegati dalle parti, utilizzando gli stessi elementi conoscitivi già riversati in atti, le parti hanno interloquito in corso di accertamento per mezzo dei loro consulenti, i quali – ricevuta la bozza – hanno concordato con l’esito della perizia) e condivisibile sotto il profilo sostanziale (perché basato su fatti provati, indicando le regole scientifiche applicate e pervenendo a conclusioni coerenti). Può quindi ritenersi provato
che lo stato di malattia sia durato circa 140 giorni, dopo i quali
Pt_1
ha raggiunto la
guarigione clinica, sebbene con lievi postumi permanenti. È accertato altresì che dall’infortunio sia derivata una temporanea impossibilità di svolgere l’attività lavorativa di geologo libero professionista che, incontestabilmente, l’attore svolgeva e svolge tuttora. Quanto ai postumi permanenti il CTU li ha quantificati pari al 3% di invalidità e consistenti nella dolorabilità del callo osseo post-frattura; quantificazione che ha trovato la condivisione di entrambi i consulenti di parte e che è lievemente inferiore a quella del 5% che a soli sei mesi dall’infortunio, aveva rilevato il consulente extragiudiziale dell’attore.
3. ILLICEITA’ DEL FATTO - RESPONSABILITÀ AQUILIANA
Vista la fattispecie concreta come ricostruita al § 2 la disamina intorno alla scriminante relativa alle condotte poste in essere durante il gioco sportivo che, al di fuori di quest’ambito, integrerebbero fatti illeciti (di natura penale) è facilmente risolvibile.
Le questioni su quale sia la causa di giustificazione che elide l’antigiuridicità, nonché
le sotto-questioni intorno alla sua natura tipica o atipica, sugli elementi indizianti la sua esistenza (come la proporzionalità, la violazione o meno del regolamento di gioco etc.), su quanto l’elemento ludico debba prevalere su quello agonistico (con conseguente irrigidimento dei canoni della proporzionalità e l’abbassamento del limite di tolleranza dell’ardore competitivo), presuppongono tutte che l’azione posta in essere non sia sorretta
dal dolo diretto a ledere l’antagonista, ma sia finalizzata al risultato sportivo – magari con
l’accettazione dell’eventualità che si possa ledere l’avversario.
Quando, come nel caso di specie si è ritenuto, vi sia un dolo diretto a percuotere l’avversario e arrecargli una lesione, quelle disquisizioni sono ultronee rispetto all’analisi giuridica di interesse. Altro è, poi, la questione intorno alla prova della direzione della volontà verso la competizione o verso la lesione, e in tale disamina assumono valenza conoscitiva elementi indizianti quali la sproporzione fra la condotta tenuta e l’obiettivo di gioco, l’assenza di collegamento funzionale fra gli stessi. Trattasi, tuttavia, di questione in punto di fatto già analizzata al § 2.1. Quando la finalità lesiva costituisce prevalente spinta all’azione, anche ove non consti, in tal caso, alcuna violazione delle regole dell’attività, il fatto è antigiuridico e fonte di responsabilità (Cass. 9559/2016)
Per queste ragioni, in modo così lineare da non richiedere supporti argomentativi di
ordine giurisprudenziale, trova applicazione l’istituto della responsabilità aquiliana, che obbliga colui che commette un fatto doloso (come nel caso di specie) da cui derivi un danno ingiusto (la lesione del diritto alla salute) a risarcire le conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate, purché provate nell’an e nel quantum; tanto quelle di natura patrimoniale, che quelle di natura non patrimoniale, essendo il diritto alla salute di rango costituzionale. Tutto ciò in forza del combinato disposto degli artt. 2043 c.c., 32 Cost. e 2059 c.c.
Quanto alla prova dell’entità dei danni, una volta assolto l’onere probatorio intorno
alla loro esistenza, l’ordinamento prevede una regola di giudizio peculiare per il caso in cui non sia possibile provare il preciso ammontare: il tal caso la domanda risarcitoria non è perciò solo respinta, come dovrebbe applicandosi la regola ordinaria del riparto, ma il giudice procede ad una liquidazione in via equitativa, in forza degli artt. 2056 e 1226 c.c.
4. RISARCIMENTO DEI DANNI - LIQUIDAZIONE
L’attore ha ritenuto che dalla lesione del bene salute, siano derivati danni patrimoniali e danni non patrimoniali (vale a dire il danno biologico) e ha offerto una quantificazione omnicomprensiva di € 20.000,00 alternativa ad una valutazione equitativa.
4.1. Quanto ai danni patrimoniali, l’attore ha allegato che all’epoca svolgeva, come
oggi, attività di geologo libero professionista. Durante la malattia non ha potuto svolgere la propria attività professionale patendo un danno anche di natura patrimoniale. (citazione § 12); il CTU ha ritenuto che dopo la stabilizzazione dei postumi l’attività lavorativa si è svolta normalmente. Ebbene, nonostante la piena prova (relazione del CTU e regola di esperienza) circa l’an del danno patrimoniale consistito quanto meno dal lucro cessante e con tutta probabilità anche nel danno emergente per via delle spese mediche, non è stato offerto alcun elemento in ordine al quantum e pertanto la domanda di risarcimento (che dev’essere provato sia nell’an che nel quantum) dev’essere respinta lì dove ha ad oggetto il danno patrimoniale.
Non può applicarsi, infatti, l’invocata norma che in via residuale consente al giudice
una liquidazione equitativa anche nell’ipotesi di responsabilità aquiliana (artt. 1226 e 2056
c.c.), perché tale tecnica di liquidazione presuppone l’impossibilità di offrire elementi oggettivi di quantificazione. Nel caso di specie, ben avrebbe l’attore potuto produrre documenti attestanti il danno emergente (ricevute e fatture per spese mediche ad esempio) e il lucro cessante (come ad esempio dati di fatturato, rinunce ad incarichi, penali per ritardo) oppure elementi atti a dimostrare la perdita di occasione di ricevere incarichi nuovi (ad esempio corrispondenza con possibili committenti). Nulla di tutto questo è agli atti, e il giudice non può – attraverso l’art. 1226 c.c. – supplire al mancato assolvimento dell’onere probatorio come allocato in capo alle parti in base all’art. 2697 c.c.
Atteso che il giudice ha la facoltà di liquidare il danno in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., quest’ultima norma non può essere invocata laddove l’esistenza di un pregiudizio sia incerta, ovvero possibile ma non probabile. Al fine di corroborare l’assunto in base al quale può ricorrersi a un giudizio in tal senso solo a determinate condizioni, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la facoltà per il giudice di liquidare in via equitativa il danno esige due presupposti: in primo luogo, che sia concretamente accertata l’ontologica esistenza d’un danno risarcibile, prova il cui onere ricade sul danneggiato, e che non può essere assolto semplicemente dimostrando che l’illecito ha soppresso una cosa determinata, se non si dimostri altresì che questa fosse suscettibile di sfruttamento economico; in secondo luogo, il ricorso alla liquidazione equitativa esige che il giudice di merito abbia previamente accertato che l’impossibilità (o l’estrema difficoltà) d’una stima esatta del danno dipenda da fattori oggettivi, e non già dalla negligenza della parte danneggiata nell’allegare e dimostrare gli elementi dai quali desumere l’entità del danno (Cassazione civile, sez. VI, n. 4534/2017).
4.2. Quanto ai danni non patrimoniali, sotto il profilo del danno biologico, essi
sono sufficientemente dimostrati nell’an e i criteri oggettivi e para-legali contenuti nella tabelle milanesi, ne disciplinano la quantificazione equitativa, offrendosi come parametro di conformità della valutazione equitativa alla disposizione di legge (Cass. 27562/2017).
Il CTU, infatti, ha ritenuto che dalla frattura ossea sia derivata un’invalidità
temporanea del 100% per i primi 40 giorni, attenuatasi progressivamente nel corso dei successivi 100 giorni (con inevitabile approssimazione, 75% per altri 30 giorni, 50% nei successivi 40; 25% per ulteriori 40 giorni). Dopo di che, intervenuta la stabilizzazione del nuovo stato di salute, cioè la guarigione, sono rimasti postumi permanenti che il perito ha apprezzato come pari un’invalidità del 3%, per via del dolente callo osseo post-frattura.
Sussiste, dunque, tanto un’inabilità temporanea (piena e poi parziale) che un’invalidità permanente, entrambe liquidabili in base alle tabelle milanesi. Infatti, nel caso di specie – che non rientra nel campo di applicazione del codice delle assicurazioni, la cui cogenza è limitata alle lesioni derivanti da sinistri stradali - tali tabelle trovano applicazione anche per i postumi cosiddetti micro-permanenti, vale a dire apprezzabili in una invalidità tra 1 e 9 punti percentuali. Infatti, in tema di danno biologico è precluso il ricorso in via analogica al criterio di liquidazione del danno non patrimoniale da micropermanente derivante dalla circolazione di veicoli a motore e natanti ovvero mediante il rinvio al decreto emanato annualmente dal Ministro delle
attività produttive, mentre è congruo il riferimento ai valori inclusi nella tabella elaborata, ai fini della liquidazione del danno alla persona, dal Tribunale di Milano, in quanto assunti come valore "equo", in grado di garantire la parità di trattamento in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad aumentarne o a ridurne l'entità (Cass. 13982/2015).
Circa la modalità di applicazione di tali tabelle, si osserva che il valore minimo è finalizzato a ristorare le conseguenze ordinarie della lesione e cioè «corrispondenti al caso di incidenza della lesione in termini “standardizzabili” in quanto frequentemente ricorrenti (sia quanto agli aspetti anatomo-funzionali, sia quanto agli aspetti relazionali, sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva» (così i “Criteri orientativi” allegati alla tabella); di modo che il giudice non dovrà liquidare una somma intermedia fra minimo il massimo in difetto di una specifica allegazione e prova di un pregiudizio non standard che abbia colpito l’area anatomo- funzionale e/o relazionale.
Nel caso di specie, l’attore non ha allegato alcun pregiudizio di carattere non patrimoniale che sia andato oltre o si sia aggiunto a quelli standard già considerati in tabella; pertanto i valori tabellari non devono essere corretti con alcuna percentuale di personalizzazione.
In base a tali considerazioni la liquidazione del danno non patrimoniale conseguente alla lesione così come accertata è di €13.035,00 visto il seguente calcolo:
- Invalidità permanente del 3% a partire dall’età di 32 anni (al momento della
guarigione con postumi): €4.215,00
- Invalidità temporanea parametrata ad € 98,00 giornaliere per il caso del 100%, €
8.820,00
- 40 giorni al 100% = 40*98,00 = € 3.920,00
- 30 giorni al 75% = 30* 73,50 = € 2.205,00
- 40 giorni al 50% = 40* 49,00 = € 1.960,00
- 30 giorni al 25% = 30* 24,50 = € 735,00
5. CONCLUSIONI
Per tutte le esposte ragioni, accertata la responsabilità di
illecito consistito nell’aver intenzionalmente sferrato un calcio a
CP_1
per il fatto
Parte_1
procurandogli la frattura della tibia destra, provata l’esistenza del conseguente danno non patrimoniale consistito in un’invalidità temporanea gradatamente scemata in 140 giorni e poi permanente pari al 3%, la domanda attorea dev’essere accolta limitatamente a tale categoria di danno, liquidato in € 13.035,00. È invece rigettata nella parte in cui ha ad oggetto danni patrimoniali in quanto, sebbene provato il loro potenziale avveramento, non sono stati allegati in maniera specifica e, di conseguenza, neanche provati.
Sono dovuti altresì gli interessi legali sulla cifra qui liquidata effettuata ai valori attuali della moneta e, dunque, dalla data odierna, in cui diventa debito di valuta, maggiorata di interessi legali fino al saldo.
6. SULLE SPESE
Le spese seguono la soccombenza.
La liquidazione viene svolta, in conformità dell’art. 4 co. 1 D.M. 55/2014, tenuto conto del valore della controversia, dell’attività processuale espletata e delle questioni in fatto o diritto trattate ed è specificata nel dispositivo. Più in dettaglio:
-
- ai fini dell’individuazione del valore della controversia, essendo la domanda
parzialmente accolta, esso è determinato in € 13.035,00, in base al decisum;
-
- per la fase di studio, introduttiva e decisionale, si ritiene adeguato applicare una riduzione del 20% sulle tariffe medie.
- per la fase istruttoria si ritiene adeguata la tariffa media.
Le spese della CTU sono poste, nei rapporti interni fra le parti, a carico del convenuto, ferma restando la loro solidale obbligazione nei confronti del consulente.
Le spese della mediazione, da liquidarsi sulla base dei documenti prodotti dall’attore, sono poste definitivamente a carico del convenuto che – per la gran parte del petitum – è risultato soccombente.
PQM
Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe, ogni contraria domanda ed eccezione disattesa, in parziale accoglimento della domanda:
- condanna il convenuto
CP_1
al pagamento di € 13.035,00 a favore
dell’attore
Parte_1
a titolo risarcimento dei danni da responsabilità
extracontrattuale, oltre agli interessi legali dalla pronuncia al saldo;
- condanna il convenuto
CP_1
alla rifusione delle spese di lite a favore
dell’attore
Parte_1
per la sola parte non compensata la quale è pari ad
€ 4188,00 per compenso professionale, oltre rimborso forfetario 15%, Cap ed Iva come per legge.
- pone le spese di mediazione pari ad € 341,60 definitivamente a carico del
convenuto
CP_1
- pone le spese della CTU a carico del convenuto Perugia, 21/09/2020
CP_1
Il giudice
(dott. Luca Marzullo)
Sentenza resa ex art. 281 sexies e pubblicata mediante allegazione al verbale.
Il Giudice (dott. Luca Marzullo)