TRIBUNALE DI TARANTO – SENTENZA N. 2215/2023 DEL 12/10/2023
TRIBUNALE DI TARANTO SEZIONE LAVORO
Il Tribunale, in funzione di Giudice del Lavoro, in composizione monocratica nella persona della dott.ssa Giulia VIESTI, all’udienza del 12 ottobre 2023 ha pronunciato, dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, la seguente
Sentenza
nella causa per controversia di lavoro promossa da:
Parte_1
rappr. e dif. dall’avv. Omissis
contro
- Ricorrente -
Controparte_1
LEGALE RAPPRESENTANTE P.T.,
rappr e dif. dagli avv.ti Omissis e Omissis
, IN PERSONA DEL
- Convenuto –
OGGETTO: “RIVENDICAZIONI CREDITI DI LAVORO”
Fatto e diritto
Con ricorso depositato l’11 novembre 2020 la parte ricorrente in epigrafe esponeva che:
→ aveva lavorato alle dipendenze della convenuta dal 1°.06.2018 al 10.09.2019, presso la sede
della Orga in
CP_1
alla Via per San Giorgio Jonico parco Cimino, osservando i seguenti
orari imposti dal datore di lavoro: lunedì, mercoledì e venerdì dalle ore 12.30 alle ore 15.30 e dalle ore 17.30 alle ore 22.00; martedì e giovedì dalle ore 10.00 alle ore 15.30; una volta al mese nel fine settimana dalle ore 08.30 alle ore 12.30;
→ che aveva svolto mansioni di istruttore fitness e di segretario amministrativo alle dipendenze e
sotto la direzione del vicepresidente dell’
Organizzazione_2
[...]
, essendo assoggettato alle puntuali e specifiche direttive impartitegli dallo stesso,
che gli indicava modalità, orari e luogo di esecuzione della prestazione e controllava il lavoro
svolto e al quale rendeva conto del proprio operato, ricevendo apprezzamenti o correttivi;
→ che, in caso di assenze per malattia, doveva inviare la relativa certificazione medica ed
avvisare tempestivamente la giustificare assenze o ritardi;
Orga
dell’impossibilità di recarsi al lavoro essendo tenuto a
→ che aveva svolto la propria attività lavorativa inserito nella organizzazione e nell’organigramma della asd, utilizzando gli attrezzi e gli strumenti messi a disposizione da parte della stessa;
→ che il rapporto di lavoro era cessato in data 20.09.2019 con licenziamento verbale e senza motivo, essendo stato invitato a non presentarsi più sul luogo di lavoro;
→ che per la suddetta attività lavorativa aveva percepito una retribuzione mensile di 400€ corrisposta in contanti, con un extra di 50€ per ogni weekend lavorato;
→ che le mansioni gli orari di lavoro erano riconducibili e sussumibili sotto un rapporto di lavoro subordinato a tempo parziale (circa 34 ore settimanali) con attribuzione della qualifica di
operaio, mansione di istruttore di palestra ed inquadramento al 3° livello del
[...]
Organizzazione_3
, con retribuzione commisurata in 1.123€ mensili.
Chiedeva dunque al Tribunale di Taranto, in funzione di giudice del lavoro, la condanna della parte convenuta al pagamento in suo favore della somma di € 16.759,99 a titolo di differenze retributive. Si costituiva in giudizio la società resistente eccependo l’incompetenza del giudice adito per devoluzione della controversia al collegio arbitrale (come previsto dalla clausola compromissoria di cui all’art. 31 dell’atto costitutivo dell’associazione) e contestando nel merito gli avversi assunti; chiedeva pertanto il rigetto del ricorso.
All’odierna udienza la causa, istruita documentalmente e mediante escussione di testimoni, è stata infine discussa e viene dunque decisa ai sensi dell’art. 429, co. 1, cpc. nel testo riformulato dall’art. 53 del D. L. 25 giugno 2008 n° 112, conv. con modif. dalla L. 6 agosto 2008 n° 133, dando lettura della sentenza (comprensiva del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione).
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Tali risultando le richieste delle parti, va respinta l’eccezione, sollevata dalla convenuta, fondata sulla pretesa competenza degli organi di giustizia sportiva.
Nella fattispecie dedotta in ricorso viene (pacificamente) in considerazione una prestazione resa in favore di una associazione sportiva dilettantistica che si assume (da parte del ricorrente) essere
riconducibile alla fattispecie del rapporto di lavoro subordinato: pertanto, alla stregua del disposto dell'art. 806 c.p.c., comma 2, la presente controversia non può essere devoluta alla decisione di arbitri in mancanza di una espressa previsione di legge o di accordi collettivi di lavoro.
Tanto premesso e venendo al merito, il ricorso è infondato e va rigettato.
Invero, per come più sopra rilevato, la domanda attorea si fonda sul presupposto che il rapporto dedotto in ricorso sia stato connotato dai tratti caratteristici della subordinazione: sulla base di siffatta causa petendi viene richiesta la condanna della resistente al pagamento della somma sopra indicata.
Ebbene, all’esito della prova testimoniale espletata non è emersa prova ragionevolmente certa della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti, connotato dalle caratteristiche descritte in ricorso.
Vale la pena richiamare alcuni noti principi generali in tema di subordinazione.
In proposito, premesso che “ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato sia di rapporto di lavoro autonomo, a seconda delle modalità del suo svolgimento” (in tal senso, ex plurimis, CASS. LAV. 10/5/2003 n° 7171 e CASS. LAV. 3/4/2000 n° 4036), va osservato, in linea generale, che, secondo un consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale, “il carattere distintivo essenziale del rapporto di lavoro subordinato da quello autonomo è la subordinazione intesa come vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo (organizzativo e disciplinare) del datore di lavoro, che deve estrinsecarsi nell’emanazione di ordini specifici, oltre che nell’esercizio di un’attività di vigilanza e controllo nell’esecuzione delle prestazioni lavorative, sia pure diversamente atteggiata in relazione alle peculiarità di queste ultime, non prescindendo, altresì, dalla preventiva ricerca della volontà delle parti per accertare, anche attraverso il nomen juris attribuito al rapporto, come le stesse abbiano inteso qualificare detto rapporto, senza, peraltro, che tale accertamento sia disgiunto da una verifica dei risultati con riguardo alle caratteristiche e modalità concretamente assunte dalla prestazione stessa nel corso del suo svolgimento” (CASS. LAV. 19/11/2003 n° 17549).
È stato altresì significativamente osservato, in riferimento alla ipotesi, in certo senso paradigmatica, della agenzia, che “al fine di distinguere tra rapporto di lavoro subordinato e rapporto di agenzia deve considerarsi che elementi peculiari di quest’ultimo sono rappresentati dall’organizzazione da parte dell’agente di una struttura imprenditoriale, anche a livello soltanto embrionale, e dall’assunzione da parte dello stesso (e non già del preponente) del rischio per l’attività promozionale svolta, che si manifesta nell’autonomia dell’agente nella scelta dei tempi e dei modi della stessa, pur nel rispetto - secondo il disposto dall’art. 1746 cod. civ. - delle istruzioni ricevute dal preponente, ancorché con la predeterminazione solo indicativa degli itinerari, mensili o settimanali, da percorrere ovvero del numero di clienti da visitare, e dell’obbligo di giornaliera informazione preventiva” (CASS. LAV. 01/09/2003 n° 12756).
Ancora più approfonditamente, la S.C. ha condivisibilmente osservato che: “ai fini della distinzione del rapporto di lavoro subordinato da quello autonomo, elementi rilevanti sono l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo (da esplicarsi con ordini specifici e non con semplici direttive di carattere generale), organizzativo e disciplinare del datore di lavoro e il suo inserimento nell’organizzazione aziendale, da valutarsi con riferimento alla specificità dell’incarico conferitogli e alle modalità della sua attuazione. Lo svolgimento di controlli da parte del datore di lavoro è invece compatibile con ambedue le forme di rapporti, sicché assume rilievo ai fini della qualificazione del rapporto come subordinato solo quando per oggetto e per modalità i controlli siano finalizzati all’esercizio del potere direttivo e, eventualmente, di quello disciplinare; altri elementi, quali l’assenza di rischio, la continuità della prestazione, l’osservanza di un orario, la localizzazione della prestazione e la cadenza e la misura fissa della retribuzione assumono natura meramente sussidiaria e non decisiva, mentre la qualificazione del rapporto compiuta dalle parti al momento della stipulazione del contratto può essere rilevante, ma certamente non è determinante” (CASS. LAV. 17/07/2003 n° 11203; conformi, oltre a CASS. LAV. 13/2/2004 n° 2842, anche CASS. LAV. 22/8/2003 n° 12364).
Deve pertanto sottolinearsi e ribadirsi che, anche nel caso in cui, in ragione del concreto atteggiarsi del rapporto, non risulti di immediata percezione l’elemento dell’assoggettamento o meno del lavoratore alle altrui direttive e si debba fare riferimento a circostanze “indicative” (quali la collaborazione sistematica e non occasionale, l’osservanza di un orario predeterminato, il versamento, a cadenza fissa, di una retribuzione prestabilita, il coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo dato all’impresa dal datore di lavoro, l’assenza in capo al lavoratore di una pur minima struttura imprenditoriale e di rischio economico), siffatti “indici” debbono comunque essere valutati tenendo presente che “… non sono configurabili gli elementi costitutivi del rapporto di lavoro subordinato nel caso in cui le prestazioni necessarie ai fini del perseguimento dei fini aziendali siano organizzate in maniera tale da non richiedere l’esplicazione da parte del datore di lavoro di un potere gerarchico, concretizzantesi in ordini e direttive e nell’esercizio del potere disciplinare…” (tra le tante già citate, CASS. LAV., 18/11/2000 n° 14947) ed altresì che “l’elemento tipico … è la subordinazione, intesa quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore di lavoro con assoggettamento alle direttive da questo impartite circa le modalità di esecuzione dell’attività lavorativa; altri elementi - come l’osservanza di un orario, l’assenza di rischio economico, la forma di retribuzione e la stessa collaborazione- possono avere, invece, valore indicativo, ma mai determinante. L’esistenza del suddetto vincolo va concretamente apprezzata dal giudice di merito con riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione” (ex plurimis CASS. LAV., 3/4/2000 n° 4036).
Tanto chiarito, venendo dunque al merito della causa, occorre fare applicazione al caso di specie dei sopra esposti principi di diritto, da questo giudice pienamente condivisi.
Giova rilevare, inoltre, che l’accertato rapporto associativo è particolarmente rilevante in questa sede perché impone una valutazione ancor più rigorosa rispetto alla prospettazione attorea in termini di “subordinazione” (dovendosi peraltro rimarcare che trattasi di circostanza che non costituisce un'eccezione in senso proprio, integrando piuttosto un elemento di valutazione della prova e quindi un criterio di accertamento del fatto costitutivo della pretesa, cioè la sussistenza o meno di subordinazione: cfr. in fattispecie in parte qua analoga Cass. Lav. 29 settembre 2015 n° 19304).
Ebbene, pare a questo giudicante che, nel caso di specie - alla stregua delle prove acquisite ed in applicazione dei richiamati principi di diritto – a fronte di siffatti rigorosi oneri probatori, le prove offerte dalla parte ricorrente siano risultate insufficienti.
In particolare, anche a voler pretermettere le dichiarazioni rese dai testi addotti da parte convenuta (invero integralmente asseverative delle circostanze esposte nella memoria di costituzione), deve decisivamente osservarsi che le dichiarazioni rese dai testimoni addotti da parte ricorrente sono risultate inidonee a fornire la prova della sussistenza della subordinazione, attesa la non specificità delle stesse (in ordine ad eventuali “direttive” e “controlli” in riferimento agli orari di lavoro ed alle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa), non essendo stato fornito alcun dettaglio relativamente agli specifici ordini o disposizioni eventualmente impartiti dal presunto datore di lavoro, soprattutto in ordine ai controlli eventualmente esercitati sull’operato della parte ricorrente e, in particolare sulla configurazione di un vincolo di disponibilità personale tale da limitare la libertà del lavoratore.
Si ribadisce infatti che, attesa la ritenuta sussistenza di un rapporto associativo tra le parti dell’asserito rapporto di lavoro, il controllo giudiziale sugli indici ipoteticamente sintomatici di un rapporto di subordinazione deve essere svolto in maniera particolarmente rigorosa, dovendosi altresì fare applicazione del principio di diritto secondo il quale, giusta il disposto di cui all’art. 2697 c.c., “qualora il giudice del merito ritenga sussistere un insanabile contrasto tra le deposizioni rese dai testimoni in ordine ai fatti costitutivi della domanda, fondando siffatto convincimento non sul rapporto strettamente numerico dei testi, bensì sul dato oggettivo di detto contrasto, ritenuto ostativo al raggiungimento della certezza necessaria alla decisione e, con apprezzamento di fatto congruamente motivato, reputi non superabile il contrasto sulla scorta delle ulteriori risultanze istruttorie, ritenute altresì inidonee a dimostrare la fondatezza della domanda, l'insufficienza della
prova si riverbera in danno della parte sulla quale grava l'onere della prova, comportando, conseguentemente, il rigetto della domanda da questa proposta” (sic CASS. SEZ. II, 5 MAGGIO 2003 N° 6760; conforme CASS. LAV., 26 MAGGIO 1999 N° 5133; successivamente, sempre nello
stesso senso, CASS.
CP_2
I, 15 FEBBRAIO 2010 N° 3468).
Né sembra ammissibile sostenere che, trattandosi di mansioni di routine, non sarebbe stata necessaria alcuna direttiva, atteso che anche siffatte mansioni, se svolte nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato, devono essere pianificate dal datore di lavoro il quale, quindi, deve dare direttive, controllarne l’esecuzione, eventual mente acc ertar e gli inadempi menti ed irrogar e sanzioni disciplinari e, in una parola, assoggettare il lavoratore al proprio potere direttivo. Se tali pressanti poteri di intervento non sussistono (o, comunque, non vengono provati), allora non è possibile parlare di lavoro subordinato, essendo invece configurabile, eventualmente, una diversa tipologia di rapporto.
In particolare, i testi escussi hanno genericamente confermato che il ricorrente, nel periodo dedotto in ricorso, collaborava con l’associazione ponendo in essere tutte quelle attività tipicamente svolte dall’istruttore di palestra. E tuttavia, siffatte circostanze, mentre, per un verso, appaiono compatibili con la prospettazione dei fatti fornita da parte resistente, non offrono elementi sufficienti a fondare la domanda attorea.
Nella specie le dichiarazioni dei testi - anche in considerazione della loro qualità, essendo frequentatori della palestra che hanno pertanto avuto contatti occasionali con le parti in causa - non hanno fornito elementi utili a qualificare il rapporto quale rapporto di lavoro subordinato, visto che nessuno dei testi escussi è stato in grado di riferire circa le concrete modalità di espletamento dell’attività lavorativa prestata dal ricorrente (con riferimento, eventualmente, a un obbligo di presenza giornaliera, un obbligo di osservanza di orari di lavoro fissi e predeterminati, alla necessità di autorizzazioni e/o giustificazioni in caso di assenza, alla fruizione di ferie, alla sottoposizione al potere di controllo e disciplinare, all’inserimento del lavoratore in modo stabile ed esclusivo nell'organizzazione aziendale), da cui potersi desumere l’esistenza del vincolo di subordinazione. Alcuni di loro, infatti, hanno riferito di orari di lavoro parzialmente difformi da quelli indicati in
ricorso, indice del fatto che il
Parte_1
non fosse affatto obbligato al rispetto di certi turni di lavoro,
ma anzi che l’orario fosse variabile e liberamente stabilito dallo stesso ricorrente, eventualmente previa consultazione con gli altri soci istruttori. Sul punto particolarmente significative sono le
dichiarazioni di
Tes_1
(“conoscevo in anticipo, anzi specifico meglio, giorno per giorno gli
orari nei quali avrei incontrato il
Parte_1
in palestra in quanto faccio un esempio il lunedì mi
comunicava per il giorno successivo quando l'avrei trovato in palestra. Io trovavo il signor
Parte_1
in palestra ogni mattina dal lunedì al venerdì dalle 09:30 alle 10 per un'ora circa”) e di
Persona_1
(“il
Parte_1
come tutti i soci collaboratori non era obbligato a rispettare alcun
orario di lavoro e poteva recarsi in qualsiasi giorno della settimana. I soci collaboratori si mettevano d'accordo fra loro su tali dettagli”).
Inoltre, nessuno dei testi ha confermato che il Tenente
Org_2
impartisse direttive specifiche al
Parte_1
in merito a modalità, orari e luogo e controllo del lavoro., né che esprimesse
apprezzamenti o correttivi. Tutti i testi hanno concordemente riferito che il Tenente e il
Parte_1
usavano consultarsi in merito alla organizzazione della palestra ossia, nello specifico, in merito alla sistemazione degli attrezzi e allo spostamento degli stessi all’interno dell’ambiente.
Infine, quanto all’asserito licenziamento verbale, nessuno dei testi di parte ricorrente è stato in grado di confermare tale circostanza.
Alla luce delle considerazioni che precedono, in mancanza di prova della natura subordinata del rapporto di lavoro, dunque, non può che concludersi per il rigetto nel merito della domanda (che tale natura evidentemente presupponeva, in via esclusiva, ai fini delle spettanze retributive).
Le spese di lite seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunziando, così provvede:
- rigetta il ricorso;
- condanna parte ricorrente al pagamento in favore della parte convenuta delle spese processuali, liquidate in complessivi €.2.400,oo ex D.M. n° 55/14, oltre rimborso spese forfetarie, IVA e CPA, con distrazione in favore dei procuratori di parte resistente, dichiaratisi anticipatari.
Taranto, 12 ottobre 2023.
IL TRIBUNALE - GIUDICE DEL LAVORO
dott.ssa Giulia VIESTI