TRIBUNALE DI TERNI – SENTENZA N. 353/2022 DEL 19/10/2022
IL TRIBUNALE DI TERNI
SEZIONE LAVORO
Il giudice del lavoro Manuela Olivieri, nella causa iscritta al numero 432 del ruolo generale dell’anno 2019 promossa
Parte_1
DA
, nato a Sora il 25/03/1968, elettivamente domiciliato in Perugia
– via Baldeschi n. 9, presso lo studio dell’Avv. Omissis che lo rappresenta e
difende, giusta procura alle liti rilasciata in calce al ricorso
CONTRO
RICORRENTE
Controparte_1
, in persona del Vicepresidente con poteri di legale
rappresentanza
Controparte_2
, con sede legale in Terni – Via della Bardesca n. 2 ed
elettivamente domiciliata in Terni – Largo E. Rossi Passavanti n. 4, presso lo studio
dell’Avv. Omissis che la rappresenta e difende, congiuntamente e disgiuntamente all’Avv. Omissis , giusta procura in atti
RESISTENTE
OGGETTO: recesso contratto di lavoro sportivo
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 28 giugno 2019, parte ricorrente premetteva: - di
aver stipulato, in data 10/07/2017, un contratto di prestazione sportiva con la
[...]
CP_1
, con mansioni di allenatore in seconda della Prima Squadra; - che tale
contratto prevedeva un periodo di durata di anni due, dal 10/07/2017 al 30/06/2019 ed
una retribuzione lorda di € 36.500,00 annui, elevabile ad € 84.000,00 per la sola stagione 2018 – 2019 in caso di promozione della squadra in serie A; - che in data 31/01/2018, il ricorrente era stato esonerato dalle mansioni di allenatore in seconda della
CP_1
; - che il successivo 06/03/2018, la società calcistica aveva esercitato il
recesso dal contratto di lavoro sportivo sottoscritto, avvalendosi della clausola inserita
nel modulo “Altre scritture” n. 0070/A, ad esso allegato; - di aver contestato il recesso
sostenendo l’irrisorietà ed illegittimità del corrispettivo di € 2.000,00 in esso contenuto;
- che, interposto ricorso innanzi al Collegio Arbitrale presso la Lega Nazionale di Serie B, con lodo del 12/02/2019 il Collegio declinava la propria competenza in favore del collegio arbitrale istituito presso la Lega Pro; - che ritenendo di aver esaurito i rimedi di giustizia endo federali, inoltrava al Consiglio di Presidenza della FIGC istanza autorizzatoria ad adire le vie legali; - che con provvedimento del 25/06/2019 la FIGC lo autorizzava ad adire il Giudice Ordinario, in deroga al vincolo di giustizia ex art. 30 Statuto FIGC.
Concludeva pertanto chiedendo al Tribunale intestato: - di accertare e dichiarare la nullità della clausola di recesso apposta al contratto di lavoro sportivo stipulato in data 10/07/2017; - di accertare e dichiarare la nullità del recesso dal contratto di lavoro
esercitato dalla
CP_1
in data 06/03/2018 e, per l’effetto, di condannare la
società calcistica al pagamento, in favore del ricorrente, degli emolumenti residui
pattuiti in contratto e quantificati nella somma di euro 34.500,00 oltre interessi e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo e con evasione di ogni obbligazione assicurativa, previdenziale e fiscale; - in via subordinata, di accertare e dichiarare l’irrisorietà della multa penitenziale di € 2.000,00 contenuta nel modulo Altre scritture allegato al contratto del 10/07/2017; - per l’effetto, di accertare e dichiarare il diritto di
ritenzione sulla somma di € 2.000,00 corrisposta dalla
CP_1
in data
09/03/2018 e la determinazione in via equitativa della somma dovuta a titolo di giusta
multa penitenziale, con condanna della resistente al pagamento dell’importo così determinato e con vittoria di spese.
Si costituiva in giudizio la
Controparte_1
contestando la domanda in
quanto infondata ed eccependo: - in via pregiudiziale, l’incompetenza del Tribunale di
Terni - Sezione Lavoro a decidere la controversia per essere la stessa devoluta alla
cognizione del Collegio Arbitrale presso la
Org_1
in forza della clausola
compromissoria vincolante tra le parti; - in via ulteriormente pregiudiziale il difetto di
giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla domanda di nullità della clausola di recesso, per essere la stessa riservata alla cognizione del giudice sportivo ai sensi dell’art. 4 L. n. 91/81 e dell’art. 2 L. n. 280/2003; - nel merito instando per il rigetto del ricorso in quanto infondato in fatto ed in diritto per le ragioni diffusamente illustrate in memoria, con vittoria delle spese di lite.
La causa veniva istruita con la sola produzione documentale offerta dalle parti, non essendo stati articolati mezzi istruttori.
A seguito del decesso di uno dei procuratori della
Controparte_1
Avv.to
Omissis avvenuto in data 2.12.2020, si costituiva nuovo procuratore l’Avv.to
Omissis con comparsa depositata in data 13.04.2021 in atti.
Quindi, sulle conclusioni indicate, la causa veniva discussa e decisa come sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 429, primo comma, c.p.c. come modificato dall’art. 53, secondo comma, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 convertito in legge 6 agosto 2008 n. 133, dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente vanno affrontate le due eccezioni di difetto di giurisdizione del giudice ordinario per essere la controversia, in forza della clausola compromissoria
contenuta all’art. 4 del contratto stipulato il 10/07/2017, devoluta alla cognizione del
Collegio Arbitrale presso la
Organizzazione_2
(di seguito
Org_1 )
ed, in alternativa, alla giurisdizione del Tribunale Federale – Sezione Tesseramenti ai
sensi dell’art. 4 L. 91/81 e dell’art. 2 L. n. 280/2003 e di incompetenza del Tribunale di Terni – Sezione Lavoro.
Parte resistente ha rilevato che la presenza nel contratto della clausola compromissoria, in uno con il fatto che al momento della proposizione della domanda,
la CP_1
era retrocessa in serie C (
Org_1
), basterebbero a radicare la
competenza a decidere in seno al Collegio Arbitrale presso la
Org_1
con
conseguente esclusione di qualsivoglia possibilità di adire l’autorità giudiziaria
ordinaria.
L’eccezione è infondata per quanto di seguito specificato.
Come noto, l’art. 4, comma 5, della L. 23 marzo 1981 n. 91, recante norme in materia di rapporti tra società e professionisti sportivi, consente che nel contratto di lavoro individuale sportivo possa essere inserita una clausola compromissoria con la quale le controversie concernenti l’attuazione del contratto stesso, insorte tra la società ed il professionista, sono deferite ad un collegio arbitrale.
Tale possibilità è stata ribadita dall’art. 3 comma 1 del DL n. 220/2003, convertito con modifiche nella L. n. 280/2003 che, nel provvedere alla regolamentazione e ripartizione delle competenze tra gli organi di giustizia sportiva ed il giudice amministrativo per la decisione delle controversie tra soggetti dell’ordinamento sportivo, ha fatto salvo quanto stabilito nelle clausole compromissorie inserite nei contratti di cui al citato articolo 4, chiarendo, altresì, che i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono sì regolati in base al principio di autonomia con l’eccezione di quelle situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo ritenute di particolare rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica.
In altre parole, seppure è indubbio che la suddetta legge abbia inteso determinare un notevole ampliamento dell'area di operatività della giustizia sportiva ed una corrispondente riduzione degli spazi di intervento del giudice ordinario e di quello amministrativo, detta legge ha però nello stesso tempo statuito che rimane ferma la giurisdizione del giudice ordinario «sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti». Espressione, quest'ultima, da interpretarsi nel senso costituzionalmente orientato di non sottrarre al giudice dei diritti tutte quelle controversie, che pur scaturenti da condotte sanzionabili a livello sportivo, finiscano per incidere sullo status degli atleti, degli allenatori, delle società o delle associazioni, o per produrre gravi lesioni, talvolta irreversibili, sulla posizione lavorativa del professionista e sull’ assetto patrimoniale delle società o associazioni sportive.
Riguardo ai rapporti tra clausola compromissoria e giurisdizione ordinaria, è stato in particolare affermato che la clausola inserita nello statuto e nel regolamento federale, che devolve al collegio arbitrale la cognizione del rapporto di lavoro tra società sportiva e professionista tesserato con la Federazione, pur vincolando i soggetti per il solo fatto dell’adesione all'organizzazione sportiva, costituisce strumento alternativo e non esclusivo per la risoluzione delle controversie di lavoro, ben potendo il G.O. sindacare la validità del lodo arbitrale, che ha natura irrituale, confermandone la legittimità o meno (cfr. Cass. Sez. Lavoro n. 11751/2003; Cass. Sez. Lavoro n. 4219/95 e in obiter anche da ultimo Cassazione civile sez. lav. del 19/08/2013 n.19182).
La Suprema Corte ha affermato che “….la collocazione degli atleti e della
società all'interno dell'assetto organizzativo delle Federazioni (a seguito del tesseramento e dell'affiliazione) e la contestuale loro soggezione agli organi della giustizia sportiva non importano per coloro che sono divenuti soggetti dell'ordinamento sportivo una rinuncia definitiva ed assoluta ad adire il giudice statale nei casi di lesione dei loro diritti (o interessi legittimi) connessi all'esercizio dell'attività agonistica. Corollario di un tale assunto, condiviso da autorevole dottrina ed incentrato sulla irrinunziabilità in via generalizzata e preventiva al diritto costituzionale alla giurisdizione statale, è l'invalidità di tutte quelle clausole, pur volontariamente accettate dall'atleta all'atto del tesseramento, che sanzionano con lo scioglimento - del vincolo associativo il ricorso agli organi della giustizia ordinaria o amministrativa. In presenza della tradizionale resistenza dell'ordinamento sportivo ad accettare l'intromissione del giudice ordinario in materie rivendicate di propria competenza, la concreta utilizzazione della tutela giurisdizionale statale è rimasta però relegata di fatto in spazi del tutto marginali in ragione della diffusa e radicale convinzione degli atleti che il mancato ossequio alle "regole dei gioco" conduce in concreto ad attuare ai loro danni il meccanismo "immunitario" della sanzione espulsiva, la cui sola minaccia costituisce - come è stato osservato - decisivo deterrente nei confronti di qualsiasi "tentazione deviante". Si è finito così per ricorrere alla giustizia statale solo allorquando l'avvenuto esaurimento del rapporto professionale ha reso inoperante nei riguardi dell'atleta ogni capacità reattiva dell'ordinamento sportivo” e che “è sufficiente richiamare il costante indirizzo giurisprudenziale secondo cui sia l'arbitrato rituale che quello irrituale - i quali nelle controversie di cui all'art. 409 c.p.c. sono ammessi solo se previsti da contratti collettivi e da norme di legge - costituiscono strumento alternativo, e non esclusivo, per la risoluzione delle controversie di lavoro (artt. 4 e 5 della legge 11 agosto 1973 n. 533), non rilevando in contrario il fatto che tale facoltatività non sia prevista, atteso che, avuto riguardo al precetto di cui all'art. 24 Cost., alla citata normativa sul processo del lavoro ed all'art. 6 della convenzione 4 novembre 1950 per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (resa esecutiva in Italia con la legge 4 agosto 1955
n. 848), essa deve intendersi automaticamente inserita nelle clausole compromissorie relative alle controversie di lavoro (cfr. Cass. 13 aprile 1995 n. 4219 cui "adde" tra le
altre Cass. 14 gennaio 1987 n. 214)(cfr. Cass. Sez. Lavoro n. 11751/2003).
Nello stesso senso si è espressa peraltro anche la giurisdizione sportiva, la quale in una recentissima pronuncia ha osservato che la designazione convenzionale di un “foro”, anche se coincidente con uno di quelli previsti dalla legge, non attribuisce a tale foro carattere di esclusività in difetto di pattuizione espressa in tal senso, dovendo per converso scaturire da una non equivoca e concorde manifestazione di volontà delle parti volta a escludere la competenza degli altri fori previsti dalla legge (cfr. in tal senso Tribunale Nazionale Federale, Sezione Vertenze economiche – decisione n. 6/TFN-SVE del 28 luglio 2022; Cass. ordinanza 18707/2014; Cass. 10376/2005).
Osserva il Tribunale come nel contratto sottoscritto il 10/07/2017, le parti avessero pattuito il ricorso all’arbitrato come rimedio generale per la soluzione delle controversie concernenti il rapporto di lavoro tra loro in essere e come, in virtù della
militanza della
CP_1
in Serie B nella stagione sportiva 2017/2018, il collegio
arbitrale competente fosse quello incardinato presso la Lega di Serie B, regolamentato
dalle disposizioni dell’Accordo Collettivo sottoscritto tra la
[...]
[...]
Controparte_3
e l’
Controparte_4
Tuttavia, la dicitura estremamente generica della clausola compromissoria di cui
al punto 4) non costituisce, ad avviso del Giudice, una espressa deroga delle parti alla giurisdizione statale in favore di quella del collegio arbitrale, vuoi perché, come già
detto, tale tutela è solo alternativa a quella ordinaria, vuoi perché l’oggetto della
controversia, riguardando aspetti come quello del diritto alla retribuzione, costituzionalmente tutelato, investe ambiti e situazioni rilevanti per l’ordinamento
giuridico statale.
L'art 4 di tale contratto, poi, ripropone in maniera generica la clausola dell'art
1.3 del Regolamento Collegio Arbitrale (all.to n.11 memoria di costituzione) ovverosia
quella secondo cui le controversie tra allenatori tesserati e società
Org_1
(come la
CP_1
al momento della risoluzione del rapporto con il
Pt_1
) sono risolte dal
collegio arbitrale previsto dai rispettivi accordi collettivi, senza indicazione alcuna in
merito alla costituzione e composizione degli organi giudicanti della giustizia sportiva.
Pertanto, il ricorso all'arbitrato va reputato facoltativo sì da essere lasciata alle parti una libertà nella scelta della tutela dei propri diritti.
Per altro aspetto, non coglie nel segno la difesa di parte resistente allorquando afferma che, in ottemperanza del lodo arbitrale del 12/02/2019 con cui il Collegio
Arbitrale presso la
Controparte_3
aveva declinato la propria competenza, sarebbe stato
onere dell’Allenatore Emilio Coraggio adire il Collegio Arbitrale presso la
Org_1 ,
lega a cui era associata la
CP_1
al momento della proposizione della domanda.
Nelle “Norme Transitorie e Finali” dell’Accordo
CP_5 CP_3
e CP_4 ,
si afferma che, nella ipotesi in cui la Società non partecipi più al campionato di Serie B
per effetto di retrocessione e promozione, “………..il rapporto di lavoro verrà regolamentato dal diverso accordo collettivo della categoria di appartenenza, qualora esistente, fatte salve le pattuizioni di natura economica, che avranno efficacia fino al loro esaurimento anche oltre i limiti sanciti dall’accordo anzidetto ed in deroga al medesimo……” (cfr. All. n. 7 al ricorso in atti). L’applicazione del diverso accordo
collettivo di riferimento (nel caso di specie l’Accordo
Controparte_6 ) e
conseguentemente la competenza del Collegio arbitrale presso la
Org_1
, non può
quindi essere invocata in relazione alle pattuizioni di natura economica, rispetto alle
quali la perdurante applicabilità dell’originario accordo collettivo e delle sue tutele è all’uopo funzionale ad evitare che la nuova normativa possa prevedere trattamenti
economicamente più svantaggiosi per il professionista sportivo.
Ad avviso del Tribunale, le doglianze mosse dal ricorrente circa la nullità della
clausola di recesso contenuta nel modulo
Org_3
ed in particolar modo circa
l’irrisorietà del corrispettivo di € 2.000,00 erogato, rientrano a pieno titolo tra le ipotesi
sopra descritte con la conseguenza che il ricorrente, in forza della clausola compromissoria prevista all’art. 4, non avrebbe potuto adire altro Collegio Arbitrale se
non quello di serie B, originariamente competente per la risoluzione delle controversie
al momento della sottoscrizione del contratto del 10/07/2017.
In quest’ottica quindi, la successiva declaratoria di incompetenza del Collegio Arbitrale presso la Lega di Serie B ha avuto l’effetto di determinare la irreversibile consumazione in capo al ricorrente, del diritto di avvalersi dei rimedi endofederali previsti dall’ordinamento sportivo, aprendo la strada, previa autorizzazione della FIGC ex art. 30 dello Statuto, alla tutela statuale ordinaria.
L’eccezione va pertanto rigettata e va dichiarata la competenza del Tribunale di Terni – Sez. Lavoro a decidere sulla questione.
Alla luce delle considerazioni che precedono, parimenti infondata è l’eccezione di difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario articolata da parte resistente, secondo cui la competenza a decidere in ordine alla domanda di nullità della clausola di recesso
contenuta nel contratto di lavoro inter partes si radicherebbe in capo agli organi della giustizia sportiva, in particolare innanzi al Tribunale Federale – Sezione Tesseramenti.
Sul punto la
CP_1
ha rilevato come, una volta conclusosi l’iter
amministrativo di approvazione del contratto di lavoro sportivo da parte della CP_3 , il
contratto entrerebbe a far parte a tutti gli effetti dell’ordinamento sportivo, con la
conseguenza che al Giudice Ordinario sarebbe di fatto preclusa qualsivoglia valutazione circa il contenuto dello stesso, potendo tutt’al più essere devoluto a tale Giudice il solo ed eventuale giudizio di impugnazione del provvedimento con il quale la Federazione approva o rigetta un contratto di lavoro.
Osserva il Tribunale che, secondo l’art. 88 del Codice di Giustizia Sportiva, “il Tribunale Federale a livello nazionale, Sezione tesseramenti, è giudice di primo grado
in ordine alle controversie riguardanti i tesseramenti, i trasferimenti e gli svincoli dei
calciatori”; il che equivale a dire che, come correttamente rilevato dal ricorrente, tale competenza riguarda materie aventi ad oggetto lo status del soggetto tesserato presso le società sportive e non aspetti legati alla esecuzione del contratto di lavoro.
Da una attenta lettura delle numerose pronunce della Sezione Tesseramenti richiamate e prodotte da parte resistente (cfr. all. n. 19 – 24 alla comparsa di
costituzione – in atti) si evince invero che il petitum sottoposto al vaglio degli organi di
giustizia sportiva attiene a vizi formali dell’affiliazione
CP_3
o della pratica
amministrativa alla stessa collegata; di contro, l’oggetto dell’odierno giudizio investe la
nullità di una clausola di recesso per violazione, quantomeno nell’ottica del ricorrente, di norme imperative.
A ciò si aggiunga che la stessa
CP_3
con nota del 27/06/2019,
corrispondendo all’istanza dell’allenatore
Pt_1
di autorizzazione ad adire le vie
legali e motivata sulla impossibilità per lo stesso di avvalersi di ulteriori rimedi
endofederali, ha ritenuto di poter concedere la deroga al vincolo di giustizia “esaminata la richiesta e la documentazione prodotta” (cfr. all. n. 10 al ricorso in atti). A riprova
che anche la
CP_3
non ha ravvisato profili di compatibilità della questione con le
controversie generalmente attribuite alla competenza del Tribunale Federale - Sezione
Tesseramenti.
L’eccezione va pertanto rigettata e va dichiarata la giurisdizione del Giudice Ordinario a decidere in ordine alla domanda di nullità della clausola di recesso.
Venendo al merito, si premette che in data 10/07/2017,
Parte_1
e la
Controparte_1
stipulavano un contratto di prestazione sportiva, in forza del quale
il ricorrente si impegnava a prestare la propria attività professionale in favore della
società calcistica quale allenatore in seconda della Prima Squadra e per un compenso lordo annuo di euro 36.500,00.
In aggiunta al contratto de quo, modellato sul contenuto del contratto tipo
previsto dall’Accordo Collettivo tra la
Organizzazione_4
, [...]
Controparte_3 e
Controparte_4
, le parti
negoziavano una integrazione, anch’essa redatta sul modulo tipo denominato “Altre
Scritture ai sensi dell’art. 4.1 dell’accordo collettivo”, con la quale stabilivano che “ad integrazione delle pattuizioni inserite nel contratto sopra indicato la Società o
l’Allenatore pattuiscono il diritto di recesso dal contratto di prestazione sportiva in
favore della Società nei termini di seguito esposti. 1. A partire dalla prima stagione sportiva di vigenza del contratto (2017/2018) e per tutta la durata dello stesso, la
Società potrà recedere liberamente dal contratto di lavoro mediante invio all’allenatore
di comunicazione scritta entro il 15 giugno di ciascuna stagione sportiva. Il recesso spiegherà effetti a partire dal 30 giugno della stagione sportiva in cui il diritto è stato esercitato” e che “In caso di esercizio del diritto di recesso, la società corrisponderà all’allenatore l’importo immodificabile di € 2.000,00 (euro DUEMILA/00) al lordo di qualsiasi imposta e contributo fiscale e previdenziale, a titolo di multa penitenziale/ corrispettivo per il recesso ex art. 1373 c.c. e null’altro sarà dovuto all’allenatore per il periodo successivo alla cessazione degli effetti del contratto di lavoro” (cfr. all. n. 3 al ricorso - in atti).
Parte ricorrente ha eccepito la nullità di tale clausola di recesso contenuta nel modulo Altre Scritture sotto diversi profili.
Con un primo motivo ne ha lamentato la natura di clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c., da cui scaturirebbe la non applicabilità ai contratti di lavoro di natura subordinata; con il secondo ed il terzo motivo ha eccepito l’illegittimità del recesso per
assenza di giusta causa ex art. 2119 c.c. e per la sua evidente vessatorietà, stante la mancanza della duplice sottoscrizione da parte del lavoratore. Infine, ha dedotto
l’invalidità della clausola, sia sotto il profilo dell’irrisorietà del corrispettivo erogato
dalla
CP_1
a titolo di multa penitenziale, sia in relazione alla omessa
protezione sindacale della posizione del lavoratore.
Ad avviso del Tribunale, tutte le doglianze sono infondate per le ragioni di seguito esposte.
Come noto, nell’ambito dell’ordinamento statale, il favor nei confronti del lavoratore che contraddistingue la normativa giuslavoristica emerge, con riguardo alla
cessazione del rapporto di lavoro, in una serie di limiti posti alla libera recedibilità da parte del datore di lavoro e nella presenza di strumenti giuridici idonei a tutelare la posizione del lavoratore illegittimamente licenziato. Da un lato, infatti, a partire dalla L.
n.604/1966 non è più concesso al datore di lavoro licenziare liberamente un proprio dipendente, venendo condizionata la legittimità del recesso da parte datoriale alla
sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo di licenziamento; dall’altro lato, la tutela apprestata in favore dei lavoratori dipendenti da datori che superino determinate soglie dimensionali, ovvero tutela reale del posto di lavoro, riconosce al
lavoratore, in caso di licenziamento dichiarato illegittimo in sede giudiziale, il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro con conseguente ricostruzione della posizione lavorativa.
Il lavoro sportivo, dunque rientra tra le pochissime ipotesi nelle quali, anche ove il rapporto di lavoro sia costituito a tempo indeterminato, opera il recesso ad nutum,
modalità di scioglimento che non richiede giustificazione e la cui disciplina risiede negli artt. 2118 e 2119 c.c..
Nell’ambito dei rapporti contrattuali maggiormente utilizzati nel mondo del calcio, ovvero nelle ipotesi usuali di contratti a tempo determinato, è tuttavia frequente il ricorso all’apposizione di clausole che consentano lo scioglimento del contratto, in corso di esecuzione, attraverso il pagamento di una somma di denaro. Dottrina e giurisprudenza si sono a lungo interrogate circa la natura di tale clausola, ovvero se la stessa possa essere classificata alla stregua di una clausola risolutiva espressa o se possa più propriamente parlarsi di recesso convenzionale a cui acceda una multa penitenziale.
Nella prima ipotesi, le parti convengono che il loro rapporto si risolva qualora una determinata obbligazione non venga adempiuta nelle modalità pattuite (art. 1456
c.c.). In tale caso, la risoluzione avviene di diritto se la parte non inadempiente dichiara all’altra di volersi avvalere della clausola. La risoluzione dunque, non è automatica, non
consegue cioè de iure al mancato adempimento dell’obbligazione secondo le modalità pattuite, perché, come detto, è necessario che la parte interessata dichiari all’altra che intende avvalersi della clausola risolutiva, incamerando poi la penale pattuita.
Nella ipotesi di recesso convenzionale, di converso, i contraenti convengono che uno di essi abbia facoltà di liberarsi unilateralmente dal vincolo contrattuale in deroga al principio generale della vincolatività del contratto, dietro pagamento di un corrispettivo.
L’art. 1373 c.c. prevede infatti la possibilità che il contratto sia sciolto ad iniziativa di una delle parti e dunque unilateralmente. Attesa la vincolatività dell’accordo, il recesso è quindi possibile solo se il relativo potere sia stato attribuito in sede di contratto. I contraenti possono, altresì, fissare la prestazione di un corrispettivo per il recesso che, secondo le regole generali, può essere versato anticipatamente (caparra penitenziale) o più comunemente al momento del recesso stesso (multa penitenziale).
Lo spartiacque tra le due ipotesi risiede nel quantum della prestazione di indennizzo: se infatti in entrambi i casi il soggetto inadempiente può essere obbligato ad
una prestazione sostitutiva di entità convenzionalmente prefissata, la clausola penale può essere diminuita dal giudice se manifestamente eccessiva o se l’obbligazione principale è stata parzialmente eseguita, mentre la multa penitenziale non può subire
modifiche, essendo la sua funzione quella di remunerare la soggezione alla scelta altrui.
Sulla scorta di tali osservazioni, emerge con solare evidenza come la clausola di recesso apposta sul contratto stipulato il 10/07/2017 non sia in alcun modo assimilabile
ad una clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c., come sostenuto dal ricorrente, essendo del tutto mancante, nella dicitura utilizzata, sia la previsione dell’inadempimento da cui far discendere la risoluzione del contratto, sia la funzione risarcitoria della somma stabilita a titolo di penale, in quanto, a fronte di un corrispettivo annuo di € 36.500,00 di cui avrebbe potuto godere l’allenatore
Parte_1
, è stata
convenuta la corresponsione di una somma significativamente inferiore, pari ad € 2.000,00.
Peraltro, osserva il Tribunale, non vi è alcuna prova agli atti che tale clausola,
contenuta nel modulo Altre Scritture, sia stata apposta in via unilaterale dalla
CP_1
[...]
e senza una effettiva cognizione da parte del ricorrente in ordine al suo
significato. E ciò in quanto tale clausola, oltre a recare la firma dell’allenatore in calce al contratto ed in ogni pagina, non risulta essere mai stata oggetto di contestazione tra le parti, neppure a seguito del deposito del contratto per l’approvazione presso la CP_3 .
Accertata quindi la natura di recesso convenzionale della clausola apposta sul modello Altre Scritture, vanno analizzati gli ulteriori motivi di nullità articolati da parte ricorrente ed incentrati sulla mancanza, nella fattispecie, della giusta causa ex art. 2119 c.c. quale condizione per l’esercizio del recesso e della vessatorietà per mancanza della
doppia sottoscrizione.
In ordine al primo aspetto, osserva questo Giudice che il regime di particolari tutele predisposto dal legislatore italiano per il recesso ante tempus del datore di lavoro,
tra cui rientra a pieno titolo la giusta causa ex art. 2119 c.c., non è applicabile, per espressa previsione dell’art. 4, comma 8, L. 23 marzo 1981 n. 91 ai contratti di lavoro
sportivo: rispetto ai quali l’interesse preminente è quello di conciliare più possibile la libertà contrattuale del professionista sportivo con gli interessi economici della società,
evitando che in difetto di un effettivo inadempimento, ci si trovi nell’impossibilità di svicolarsi dal contratto di prestazione sportiva.
Per ovviare a tale inconveniente, non certo infrequente nella prassi, la CP_3 ha
previsto l’inserimento nel contratto di lavoro di una clausola impropriamente chiamata
“rescissoria” laddove lo scioglimento ante tempus del contratto avviene attraverso il pagamento di una somma di denaro il cui ammontare può essere sia stabilito a priori nel
contratto o viceversa determinato ex post in sede giudiziale.
Ad avviso del Tribunale, da una attenta analisi della clausola contenuta nel modulo Altre Scritture emerge come le parti abbiano chiaramente escluso, quale condizione per l’esercizio del recesso, la sussistenza di una giusta causa, pattuendo piuttosto l’importo di € 2.000,00 quale corrispettivo che la
CP_1
avrebbe
dovuto corrispondere a fronte dello scioglimento anticipato del rapporto. Il che, come
correttamente evidenziato da parte resistente, rende del tutto inconferente il richiamo all’art. 2119 c.c. in quanto, nel caso in esame, non siamo di fronte ad un atto unilaterale
del datore di lavoro che si pone in contrasto con le previsioni contrattuali e che deve
essere quindi giustificato per essere considerato legittimo, bensì nella diversa ipotesi in cui quell’atto unilaterale è stato concordato, previsto e disciplinato nel contratto stesso ed esercitato nel rispetto delle condizioni pattuite.
Ritiene inoltre il Giudicante che, in aderenza al principio espresso da gran parte della giurisprudenza in ordine al fatto che, la determinazione in via convenzionale
anticipata della misura del ristoro economico dovuto da una parte all’altra in caso di recesso o di inadempimento non ha natura vessatoria, nessuna specifica approvazione ex
art. 1341 c.c. doveva essere apposta nel modulo
Org_
Scritture sottoscritto
dall’allenatore
Pt_1
(cfr. per tutti Cass. n. 18550/2021; Cass. n. 6558/2010;
Tribunale Milano 23/01/2020).
A norma dell’art. 4 L. n. 91/81, infatti, i contratti di lavoro devono essere
redatti, a pena di nullità, sui contratti tipo predisposti dalla
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con le associazioni
rappresentative di categoria e nella modulistica all’epoca utilizzata per le società
militanti nel campionato di Serie B, nessuna specifica sottoscrizione era prevista oltre alla firma in calce.
Non è peregrino aggiungere in questa sede che la ratio dell'art. 1341 cod. civ. va individuata nel carattere vessatorio della convenzione che ne importa la specifica
approvazione per iscritto.
Con tale norma il legislatore ha voluto impedire gli abusi cui in molti casi dava luogo la pratica commerciale nell'adesione a moduli di contratti a stampa ed in relazione
ai quali spesso era necessario fare ricorso al giudice per attuare giusti principi di equità e buona fede.
La finalità dell'approvazione per iscritto è, dunque, quella di ravvivare l'attenzione e la riflessione dell'aderente o dell'accettante su quelle condizioni pattizie, che rivestono un carattere particolarmente oneroso, limitando in tal modo quella
disparità di posizione e di forza contrattuale riscontrabile tra chi predispone moduli. o schemi di proposte di negozi di massa e chi, invece, deve sottoscriverli per conseguire
determinate prestazioni o servizi.
Nell'ipotesi dell'arbitrato nella materia sportiva non si rinvengono gli inconvenienti cui il legislatore ha inteso porre riparo con la già citata norma codicistica
perché l'efficacia della clausola compromissoria non discende dall'attuazione di condizioni generali di contratto predisposto da un contraente, ma dall'adesione delle
parti stesse all'organizzazione sportiva e dalla consequenziale applicazione dei vincoli che ne nascono.
Nella soluzione della problematica in esame percorre gli indicati passaggi
teorici la giurisprudenza dei giudici di legittimità che ha più volte ribadito l'inapplicabilità dell'art. 1341, comma 2, cod. civ. nell'ambito dei contratti societari o associativi ribadendo l'operatività della norma soltanto con riferimento ai contratti di scambio (cfr. tra le altre Cass. 18 febbraio 1985 n. 1367; Cass. 30 marzo 1981 n. 1826), e specificando che la norma codicistica ha per oggetto contratti con condizioni generali predisposte da un solo contraente ovvero conclusi mediante sottoscrizione di moduli o formulari e non invece clausole contenute nello statuto o nel regolamento di un organismo sociale del quale il soggetto entri a fare parte, come le clausole contenute nello statuto di una Federazione sportiva (cfr. Cass. 9 aprile 1993 n. 4351 con riferimento alla clausola compromissoria prevista dall'art. 26 dello statuto e dell'art. 49
del Regolamento della
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) e nei contratti stipulati a valle
tra le singole società sportive e i collaboratori.
Sotto altro aspetto mette conto evidenziare che l'elencazione di cui all'art. 1341
-
- c. ha natura tassativa e che la sua interpretazione estensiva è possibile solo quando l'ipotesi non prevista dalla norma sia accomunata a quelle espressamente previste dalla
medesima ratio, si rileva come la previsione, per l'ipotesi di recesso anticipato, di una
penale a titolo di risarcimento del danno non rivesta i caratteri della vessatorietà come chiarito dalla Suprema Corte secondo cui: “ … in materia contrattuale le caparre, le
clausole penali ed altre simili, con le quali le parti abbiano determinato in via
convenzionale anticipata la misura del ristoro economico dovuto all'altra in caso di
recesso o di inadempimento, non avendo natura vessatoria, non rientrano tra quelle di cui all'art. 1341 cod. civ. e non necessitano, pertanto, di specifica approvazione” (cfr. Cass. Civ. sent. n.6558/2010).
Né, non essendo nella specie applicabile la normativa a tutela del consumatore, la vessatorietà della clausola può essere determinata dall'importo del dovuto a titolo di
“penale” (irrisorietà asseritamente sostenuta dalla difesa attorea con sostanziale svuotamento di valenza giuridica del recesso stesso), dovendo sotto altro profilo
rilevarsi che in punto di quantificazione dell'importo previsto per l'ipotesi di recesso anticipato dal contratto alcuna eccezione non rilevabile d'ufficio, relativa ad eventuale annullabilità (per vizio del consenso) o altro, è stata tempestivamente e specificatamente
dedotta in ricorso.
Ne discende, in definitiva, che il ricorrente, avendo sottoscritto il modulo Altre Scritture sia in calce che alla fine degli accordi, ha fatto anche più di quanto era tenuto a
fare, evidenziando tale comportamento una effettiva conoscenza delle clausole
contenute nel contratto o comunque avrebbe dovuto verosimilmente rendersi conto di quanto accettava con le firme apposte al contratto ed allegati.
Sotto questo aspetto, quindi, le argomentazioni spese sono infondate.
Quanto, infine, alla eccepita nullità della clausola di recesso in relazione alla
irrisorietà del corrispettivo erogato all’allenatore
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sub specie di omessa
protezione sindacale offerta al lavoratore, va osservato che la qualificazione della
clausola di cui è giudizio come recesso convenzionale ex art. 1373 c.c. impedisce di attribuire al corrispettivo di € 2.000,00 erogato al ricorrente quel valore risarcitorio viceversa previsto per l’inadempimento di una parte (clausola penale). E impedisce anche al Giudice di rideterminarne d’ufficio l’importo, stante la sua funzione di remunerare la soggezione alla scelta altrui.
Come motivato più sopra, la clausola in questione rappresenta una sanzione/indennizzo per il recesso ed inquadrata quale multa penitenziale ex art. 1373 c.c., istituto rispetto al quale gli Ermellini si sono pronunciati in maniera ormai granitica nel modo seguente: “L'istituto della c.d. "multa penitenziale" previsto dall'art.1373, terzo comma, cod. civ., assolve - non diversamente dalla caparra penitenziale di cui all'art. 1386 cod. civ., nella quale il versamento avviene anticipatamente - alla sola finalità di indennizzare la controparte nell'ipotesi di esercizio del diritto di recesso da parte dell'altro contraente” (cfr. Cass. Civ. sent. n.6558/10).
La differenza tra i due istituti della clausola penale e multa penitenziale risiede nel fatto che, mentre con la pattuizione di una clausola penale le parti convengono di
predeterminare la misura del risarcimento del danno per il caso di inadempimento o di
ritardo nell'adempimento (cfr. art. 1382 c.c.), l'istituto della c.d. multa penitenziale persegue la diversa finalità di indennizzare un contraente in caso di esercizio del diritto
di recesso da parte dell'altro (cfr. art. 1373, terzo comma, c.c.).
A tale clausola non è applicabile l'art. 1384 c.c. che consente la riduzione ad opera del giudice della sola clausola penale ex art. 1382 c.c.
L'art. 1384 c.c. infatti, introducendo una deroga al principio generale di libertà
posto dall'art. 1322 c.c., non può essere oggetto di applicazione analogica a fattispecie diverse da quella contemplata dalla norma medesima, come il caso del diritto di recesso previsto ex art. 1373 c.c. e mutatis mutandis non consente un aumento nell’importo,
La giurisprudenza citata dalla difesa attorea in materia di riducibilità della penale contrattualmente prevista, non è pertinente al caso che ci occupa, poiché si
riferisce a clausole penali in senso stretto.
La domanda subordinata di rideterminazione in aumento della multa penitenziale contrattualmente prevista non può pertanto trovare accoglimento.
Del pari, non coglie nel segno la difesa del ricorrente nell’invocare la necessità
dell’assistenza sindacale per il recesso operato, giacchè come correttamente osservato da parte resistente, nè gli accordi collettivi, né tantomeno la normativa federale prevedono
l’assistenza del sindacalista in fase di stipula del contratto o la sua redazione in sede
protetta.
Appare, peraltro, superfluo segnalare che la fattispecie al vaglio non rientrando nella previsione di cui all’art.2113 c.c. non necessita di alcuna assistenza sindacale.
Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso non può trovare accoglimento.
La reciproca soccombenza delle parti sulle questioni dedotte in giudizio, in uno alla peculiarità della controversia, legittima la compensazione integrale delle spese di lite.
P.Q.M.
disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione, il Tribunale di Terni, in composizione monocratica, in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando:
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- Rigetta il ricorso in quanto infondato per le ragioni di cui alla parte motiva;
- Compensa integralmente tra le parti le spese di lite.
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Terni, il 19 ottobre 2022
Il Giudice Manuela Olivieri