TRIBUNALE DI ROMA – SENTENZA N. 11666/2025 DEL 05/08/2025

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA

 

SEZIONE XVI CIVILE

Il Giudice, in persona della dott.ssa Enrica Ciocca, ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nel procedimento civile di I grado iscritto al n. 68318/2022 del Ruolo Generale degli Affari Civili, promosso da: Parte_1 … 5, rappresentato e difeso dall’Avv. Gaetano Aita, elettivamente domiciliato presso il suo studio professionale in Eboli alla via Leonardo da Vinci n. 27, come da procura depositata in via telematica unitamente all’atto di citazione in opposizione

                                                                                                                               OPPONENTE

contro

Controparte_1 con sede in Roma alla via Gregorio Allegri n. 14, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Giancarlo Gentile elettivamente domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica certificata Email_1 , come da procura depositata in via telematica unitamente al ricorso per decreto ingiuntivo

                                                                                                                                                                                                                                                        OPPOSTA

OGGETTO: sanzione disciplinare FIGC (opposizione al decreto ingiuntivo n. 18047/2022 emesso dal Tribunale Ordinario di Roma in data 17.10.2022 nel giudizio N.R.G. 57384/2022)

CONCLUSIONI DELLE PARTI

PARTE OPPONENTE: “Voglia Ill.mo Giudice adito, ogni contraria istanza disattesa o reietta, accogliere la presente opposizione e previa revoca del decreto ingiuntivo per i motivi innanzi esposti:

In via preliminare e pregiudiziale

-           dichiarare il difetto assoluto di giurisdizione ovvero la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo;

 -          dichiarare l’incompetenza per materia e territoriale del Tribunale adito essendo competente il Tribunale di Napoli, foro esclusivo del consumatore (art. 66bis Codice Consumo), quale foro della persona fisica/ingiunta (art. 18 cpc) e foro ove deve essere eseguita l’obbligazione (residenza/domicilio del convenuto) (art. 20 cpc), indicando il Tribunale di Roma quale foro della persona giuridica (art. 19 cpc) e del luogo in cui è sorta l’obbligazione e residualmente ove va eseguita l’obbligazione (art.20 cpc);

-           dichiarare il decreto ingiuntivo inammissibile ed improcedibile sia per mancanza dei presupposti di fatto e di diritto;

In via principale e nel merito:

-           dichiarare la prescrizione ovvero estinzione del diritto fatto valere;

 -          rigettare la domanda della CP_1

 perché, inammissibile, nonché infondata in fatto ed in diritto in quanto priva dei presupposti legittimanti il credito fatto valere;

Con vittoria di spese e competenze legali nei confronti del sottoscritto procuratore antistatario”.

PARTE OPPOSTA: “Voglia il Tribunale adito, ogni contraria istanza eccezione e difesa reietta, in via principale: rigettare le eccezioni di difetto di giurisdizione e incompetenza, nonché di prescrizione formulate da controparte e, in ogni caso, rigettare l’opposizione di parte avversa in quanto inammissibile ed infondata e, per l’effetto, confermare il decreto ingiuntivo n. 18047/2022 emesso dal Tribunale di Roma e/o comunque condannare il Sig. Parte_ [...] al pagamento in favore della CP_1 dell’importo di Euro 70.466,86, oltre interessi dal dovuto sino al saldo o della maggiore o minore somma che sarà ritenuta di giustizia; Con vittoria di spese e compensi di legge”.

MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1.         - In data 17.10.2022 il Tribunale Ordinario di Roma, su ricorso della [...] Controparte_1 , in persona del legale rappresentante pro tempore, emetteva il decreto ingiuntivo telematico n. 18047/2022 - N.R.G. 57384/2022 - con cui intimava a Parte_1 [...] il pagamento della somma di € 70.466,86, oltre ad interessi e spese processuali, quali ammende irrogate all’esito di procedimenti innanzi alla giustizia sportiva, oltre interessi.

2.- Con atto di citazione in opposizione notificato in data 10.11.2022, Parte_1 conveniva in giudizio avanti all’intestato Tribunale la Controparte_1 [...] , in persona del legale rappresentante pro tempore, proponendo opposizione al suindicato decreto ingiuntivo - notificato in data 2.11.2022 - deducendo:

-           che l’opponente, nell’allora qualità di calciatore, aveva aderito al vincolo di giustizia di cui alla clausola compromissoria contenuta nell’art. 30 comma 3 Statuto FIGC;

-           che lo stesso veniva quindi sottoposto ai seguenti procedimenti disciplinari sportivi:

a)         deferimento n. 859-bis conclusosi con la pronuncia n. 63 resa in data 24.11.2015 dal Collegio di Garanzia dello Sport del CONI, passata in giudicato, all’esito del quale veniva comminata la sanzione della squalifica di anni 2 e mesi 3 con ammenda di € 25.000,00 nonché la condanna alla rifusione delle spese di giudizio pari ad € 1.000,00;

b)         deferimento n. 859 conclusosi con la pronuncia n. n. 74-CFA resa in data 1.12.2016 dalla Corte di Appello Federale, passata in giudicato, all’esito della quale veniva comminata la sanzione della squalifica di anni 4 e mesi 7 con ammenda di € 44.000,00;

-           che  la CP_1 trattandosi di esecuzione di una sanzione disciplinare a contenuto economico e non di pagamento di un credito, come confermato sia dalla giurisprudenza amministrativa che da quella costituzionale, non poteva esigere il pagamento delle ammende in oggetto rivolgendosi ad altro organo ad essa estraneo, con conseguente sussistenza della competenza esclusiva della CP_1 stessa, o, in subordine del Giudice amministrativo, e, pertanto, eccepiva il difetto di giurisdizione-competenza del Tribunale adito;

-           che, in ogni caso, non era competente il Tribunale Ordinario di Roma bensì quello di Napoli, quale foro del convenuto-ingiunto nonché luogo di esecuzione dell’obbligazione;

-           che anche in caso di giurisdizione del Giudice ordinario, nonché di qualificazione dell’ammenda quale sanzione pecuniaria, la pretesa creditoria era comunque prescritta, in quanto dalla decisione definitiva (1.12.2016) alla messa in mora (6.6.2022), ovvero alla notifica del decreto ingiuntivo opposto (2.11.2022), era comunque trascorso il termine di prescrizione previsto alternativamente dalla normativa civilistica, da quella penalistica nonché da quella sportiva.

Parte opponente concludeva quindi come in epigrafe riportato.

3.- Con comparsa depositata in data 24.5.2023 si costituiva in giudizio la [...] Controparte_1 , in persona del legale rappresentante pro tempore, che sosteneva:

-           la sussistenza in capo alla Federazione del diritto di credito derivante dalle decisioni adottate dalla giustizia sportiva, stante l’adesione dell’opponente all’ordinamento sportivo, anche ai fini del vincolo di giustizia previsto dall’art. 30 dello statuto federale nonché dall’art. 2 comma secondo della L. 280/2003, con conseguente sussistenza della giurisdizione del Giudice ordinario;

-           la inapplicabilità al caso di specie della sentenza n. 160/2019 della Corte Costituzionale;

-           la insussistenza della giurisdizione del Tar Lazio, atteso che il giudice amministrativo, esauriti i gradi della giustizia sportiva, ex art. 3 della L. 280/2003 aveva giurisdizione esclusiva solamente in ordine alle controversie aventi ad oggetto atti del CONI e delle Federazioni sportive non riservate agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’art. 2 della medesima legge;

-           la infondatezza dell’eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Roma, attesa la sussistenza, in materia di obbligazioni, anche dei fori alternativamente previsti dall’art. 20 c.p.c., come quello c.d. “forum obligationis” o il c.d. “forum destinatae solutionis”;

 -          la infondatezza dell’eccezione di prescrizione, atteso che non si trattava di sanzioni amministrative, né penali, non essendo applicabile alla FIGC la prescrizione breve societaria e non risultando conferente l’art. 40 comma 3 del codice di giustizia sportiva, essendo già stato accertato il credito derivante dalla sanzione.

Parte opposta concludeva quindi chiedendo, previo rigetto delle eccezioni ex adverso e concessione della provvisoria esecuzione, il rigetto dell’opposizione nonché la conferma del decreto ingiuntivo opposto.

3.- Parte opponente, con note di trattazione scritta del 10.6.2023, eccepiva altresì l’incompetenza del Tribunale di Roma anche alla luce della normativa consumeristica, ritenendo quindi competente il Tribunale di Napoli.

Con ordinanza del 9.8.2023 veniva concessa la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto.

La causa veniva istruita in via meramente documentale per poi essere trattenuta in decisione in data 7.5.2025 con assegnazione alle parti dei termini di legge ex art. 190 c.p.c. per il deposito di conclusionali e repliche.

4.- Alla luce della istruttoria svolta, la presente opposizione è infondata e non può trovare accoglimento.

La CP_1 ha chiesto l’emissione del decreto ingiuntivo opposto al fine di ottenere il pagamento di due sanzioni pecuniarie, irrogate in via definitiva in sede di giustizia sportiva al calciatore non professionista Parte_1 per aver posto in essere illeciti disciplinari.

Giova premettere che, per costante giurisprudenza, l’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, teso ad accertare il fondamento della pretesa fatta valere e non se l’ingiunzione sia stata legittimamente emessa in relazione alle condizioni previste dalla legge. Pertanto, l’eventuale carenza dei requisiti probatori per la concessione del provvedimento monitorio può rilevare solo ai fini del regolamento delle spese processuali e la sentenza non può essere impugnata solo per accertare la sussistenza o meno delle originarie condizioni di emissione del decreto, se non sia accompagnata da una censura in tema di spese processuali (Cass. civ. sez. 3 sentenza 23.7.2014 n. 16767). Ne consegue che, ai fini dell’accertamento della pretesa creditoria dell’opposto, deve aversi riguardo all’intero materiale probatorio offerto anche nella presente sede di opposizione, non potendosi il giudicante arrestare la propria analisi alle sole prove allegate al ricorso monitorio.

In tema di prova dell’adempimento di un’obbligazione, inoltre, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte  (negoziale o  legale)  del  suo  diritto  ed il  relativo  termine di  scadenza,

limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (Cass. civ. S.U. sentenza 30.10.2001 n. 13533).

La CP_1 ha precisato che, essendo stati esperiti infruttuosamente i rimedi impugnatori previsti dall’ordinamento di giustizia sportiva, le sanzioni sono divenute definitive.

Parte  opponente  ha  innanzitutto  eccepito  il  difetto  di  giurisdizione  nonché  il  difetto  di competenza del Tribunale adito.

In conformità ad indirizzo già assunto dall’Ufficio e che si richiama, sussiste la giurisdizione del Giudice ordinario.

È pacifico che la CP_1 è un’associazione riconosciuta con personalità giuridica di diritto privato federata al C.O.N.I. (art. 1 dello Statuto) e i calciatori e i dirigenti delle squadre di calcio, in quanto tesserati, sono tenuti all’osservanza delle norme statutarie della CP_1

In particolare, l’art. 30 dello Statuto della CP_1 stabilisce che tutti i soggetti indicati hanno l’obbligo di osservare lo Statuto. Poi prevede, al secondo comma, che i predetti soggetti accettano la piena e definitiva efficacia di qualsiasi provvedimento adottato dalla CP_1 dalla CP_2 dalla CP_3 dai  suoi  organi  o  soggetti  delegati,  nelle  materie  comunque riconducibili allo svolgimento dell’attività federale nonché nelle relative vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico. Le controversie tra i soggetti di cui al comma I o tra gli stessi e la CP_1 per le quali non siano previsti o siano esauriti i gradi interni di giustizia federale secondo quanto previsto dallo statuto del CONI, sono devolute su istanza della parte interessata, unicamente alla cognizione dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva o del Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport presso il CONI.

Lo Statuto della Federazione opposta contiene, dunque, una clausola, in base alla quale, tra l’altro, le controversie di carattere disciplinare sono devolute alla cognizione degli organi giustizia sportiva, interni alla Federazione.

Al fine di razionalizzare i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento giuridico dello Stato, è stato emanato il Decreto Legge n. 220/2003, convertito con modificazioni nella Legge n. 280/2003. In particolare, l’art. 2 detta disposizioni in ordine all’autonomia dell’ordinamento sportivo, stabilendo che è riservata all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive.

Con la sentenza n. 5775/2004 le Sezioni Unite della Cassazione, richiamando i precedenti giurisprudenziali in materia, hanno compiutamente ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale relativo all’argomento in esame.

In particolare, le Sezioni Unite hanno osservato che la legge 16.2.1942 n. 426, istitutiva del C.O.N.I., configurava le federazioni sportive nazionali come organi dell’Ente, che partecipavano della natura pubblica di questo. La successiva legge 23.3.1981 n. 91 (contenente norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti), all’art. 14 aveva ribadito questo inquadramento, riconoscendo alle federazioni funzioni di natura pubblicistica, riconducibile all’esercizio in senso lato delle funzioni proprie del C.O.N.I., e funzioni di natura privatistica per le specifiche attività da esse svolte. Questa funzione, in quanto autonoma, era separata da quella di natura pubblica e faceva capo soltanto alle federazioni (cfr. Cass. SU n. 14530/2002).

L’art. 6 della legge del 1981, come novellato dall’art. 1 del Decreto Legge n. 485 del 20.9.1996 settembre 1996, convertito nella legge n. 586 del 18.9.1996, riconoscendo alle federazioni sportive il potere di stabilire un premio di addestramento e formazione tecnica in favore delle società sportive presso le quali l’atleta si fosse formato, ha confermato la natura privatistica dell’attività svolta dalle medesime federazioni in questo settore.

La legge n. 91/1981 è stata sostituita con il decreto legislativo n. 242 del 23.7.1999, contenente disposizioni sul riordino del C.O.N.I. In particolare, l’art. 15 del decreto legislativo ha recepito l’inquadramento attribuito dalla giurisprudenza alle federazioni sportive nazionali. La norma, infatti, dopo avere disposto che le federazioni sportive nazionali svolgono l’attività sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del C.I.O. e del C.O.N.I. (comma I), così consentendo l’esercizio di attività a valenza pubblicistica sulla base di poteri pubblicistici e mediante l’adozione di atti amministrativi, attribuisce loro natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato e dichiara che non perseguono fini di lucro e sono disciplinate, per quanto non espressamente previsto dal decreto, dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo (comma II).

È sopravvenuto il Decreto Legge n. 220 del 19.8.2003, contenente disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva, convertito nella legge n. 280 del 17.10.2003. Il decreto, prendendo implicitamente atto della complessità organizzativa e strutturale dell’ordinamento sportivo, stabilisce che i rapporti tra questo e l’ordinamento dello Stato sono regolati in base al principio di autonomia, “salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo” (art. 1 comma I). La “giustizia sportiva” si riferisce, così, alle ipotesi in cui si discute dell’applicazione delle regole sportive, mentre quella “statale” è chiamata a risolvere le controversie che presentano una rilevanza per l’ordinamento generale, concernendo la violazione di diritti soggettivi o interessi legittimi.

Per individuare i casi in cui si applicano le sole regole tecnico-sportive, con conseguente riserva agli organi della giustizia sportiva della risoluzione delle corrispondenti controversie, è stabilito che all’ordinamento sportivo nazionale è riservata la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie di quell’ordinamento e delle sue articolazioni, al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle sanzioni disciplinari sportive (art. 2 comma I).

I casi di rilevanza per l’ordinamento dello Stato delle situazioni giuridiche soggettive, connesse con l’ordinamento sportivo, sono attribuiti alla giurisdizione del giudice ordinario ed a quella esclusiva del giudice amministrativo.

Il primo comma dell’art. 3 del decreto legge, in particolare, devolve al giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto i rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti. Alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, invece, è devoluta “ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o dalle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’art. 2”.

Il sistema, per quanto riguarda le questioni per le quali è stabilita autonomia dell’ordinamento sportivo,   continua   ad   essere   imperniato   sull’onere   di   adire   gli   organi   di   giustizia dell’ordinamento sportivo (art. 2 comma II) e sulla salvezza incondizionata delle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del C.O.N.I., delle Federazioni sportive e di quelle inserite nei contratti di cui alla legge istitutiva del C.O.N.I. (art. 3 ultima parte). Come osservato dalle Sezioni Unite, dalla lettura delle enunciate disposizioni è possibile ricavare che, secondo il decreto legge n. 220 del 2003, la tutela fa riferimento alle seguenti quattro situazioni: “Nella prima stanno le questioni che hanno per oggetto l'osservanza di norme regolamentari, organizzative e statutarie da parte di associazioni che, per dirla con l'art. 15 del decreto legislativo n. 242 del 1999, hanno personalità giuridica di diritto privato. Le regole che sono emanate in questo ambito sono espressione dell'autonomia normativa interna delle federazioni, non hanno rilevanza nell'ordinamento giuridico generale e le decisioni adottate in base ad esse sono collocate in un'area di non rilevanza (o d'indifferenza) per l'ordinamento statale, senza che possano essere considerate come espressione di potestà pubbliche  ed  essere  considerate  alla  stregua  di  decisioni  amministrative.  La  generale irrilevanza per l'ordinamento statale di tali norme e della loro violazione conduce all'assenza di una tutela giurisdizionale statale; ciò non significa assenza totale di tutela, ma garanzia di una giustizia di tipo associativo che funziona secondo gli schemi del diritto privato, come questa Corte ha avuto già modo di rilevare (sent. n. 4399 del 1989). Nella seconda situazione stanno le questioni che nascono da comportamenti rilevanti sul piano disciplinare, derivanti dalla violazione da parte degli associati di norme anch'esse interne all'ordinamento sportivo. Pure per queste situazioni v'è la stessa condizione di non rilevanza per l'ordinamento statale, prima indicata. Queste prime due situazioni, in definitiva, restano all'interno del sistema dell'ordinamento sportivo propriamente detto e le possibili controversie che in esso sorgono non       possono       formare       mai        oggetto        della        giurisdizione        statale. La terza situazione comprende l'attività che le federazioni sportive nazionali debbono svolgere in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del Coni e del Cio, come dispone la prima parte del già citato art. 15.

Nel testo del decreto legge n. 220 del 2003 anteriore alla legge di conversione, in essa figuravano l'ammissione e l'affiliazione alle federazioni di società di associazioni sportive e di singoli tesserati e l'organizzazione e lo svolgimento delle attività agonistiche non programmate ed a programma limitato e l'ammissione alle stesse delle squadre e degli atleti. Indipendentemente dalla soppressione delle due categorie, l'indicazione vale ancora come esemplificazione delle corrispondenti controversie, l'oggetto delle quali è costituito dall'attività provvedimentale delle federazioni, la quale, esaurito l'obbligo del rispetto di eventuali clausole compromissorie,    è    sottoposta    alla     giurisdizione     amministrativa     esclusiva. Infine, stanno le questioni concernenti i rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti. Esaurito, anche in questo caso, l'obbligo del rispetto di eventuali clausole compromissorie, le relative controversie sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario.”

Alla luce di quanto sopra riportato, le Sezioni Unite hanno ritenuto che il problema relativo ai rapporti tra l’ordinamento sportivo e quello statale non ponga una questione di giurisdizione, costituendo invece questione di merito, che deve essere giudicata dal giudice del merito, al pari di quella dell’esistenza in concreto di essa (cfr. Cass. SU 5256/1987). Il principio è stato sviluppato con riferimento alle federazioni sportive ed è stato dichiarato che la censura diretta ad escludere ogni forma di tutela giurisdizionale, nei confronti di provvedimenti della costituisce questione di merito (cfr. Cass. SU 9550/1997).

CP_1 Ad analoga conclusione è giunta la Cassazione nella successiva pronuncia n. 18919 del 28.9.2005, nella quale ha affermato che il vincolo di giustizia sportiva previsto dallo Statuto della CP_1 integra una clausola compromissoria per arbitrato irrituale, fondata sul consenso delle parti che accettano la soggezione agli organi interni di giustizia.

In particolare, poi, la suindicata pronuncia stabilisce un altro importante principio, ritenendo che il c.d. vincolo di giustizia sportiva (già contenuto negli statuti delle federazioni sportive prima dell’entrata in vigore del Decreto Legge n.  220 del 2003, convertito dalla Legge n. 280 n. 2003), dal 2003 in poi trovi la sua legittimazione anche in una fonte legislativa. Tuttavia, tale legittimazione ex lege non ne ha modificato la natura, che va pur sempre ricondotta alla figura dell’arbitrato irrituale, sostanzialmente consistente in un mandato conferito congiuntamente dalle parti compromittenti agli arbitri affinché questi, in virtù di un potere negoziale, definiscano la controversia (cfr. Cass. 11270/2012).

Tale orientamento, peraltro, risulta confermato da altre pronunce delle Sezioni Unite che, in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, hanno dichiarato inammissibile il ricorso, ritenendo che la questione relativa alle materie rientranti nella competenza degli organi della giustizia sportiva non è questione di giurisdizione, in quanto tali organi non svolgono una funzione giurisdizionale, ma intervengono in virtù di una clausola compromissoria e svolgono un’attività negoziale sostitutiva di quella degli stipulanti (cfr. Cass. SU ordinanza 6423/2008). Ciò premesso, nel caso in esame, la controversia trae origine da comportamenti posti in essere dall’odierno opponente, rilevanti sul piano disciplinare sportivo.

Ne consegue che - in virtù dell’art. 2 comma primo del D.L. 220/2003 convertito nella L. 280/2003 - per l’irrogazione ed applicazione delle sanzioni disciplinari sportive vige il sistema del c.d. “vincolo sportivo”, ciò in virtù della c.d. “clausola del vincolo di giustizia” prevista dall’art. 30 dello Statuto della FIGC.

Tale clausola, secondo il consolidato orientamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte, ha natura di clausola compromissoria di arbitrato irrituale, in base alla quale il potere di irrogare ed applicare le sanzioni disciplinari è attribuito - in forza di un atto negoziale di natura privatistica - dalle stesse parti a degli arbitri irrituali, che nel caso di specie sono costituiti dagli organi della giustizia sportiva.

Ne consegue, innanzitutto, che la questione in esame non integra una vera e propria questione di giurisdizione e, pertanto, non è corretto parlare di difetto di giurisdizione del giudice adito, ovvero di difetto “assoluto” di giurisdizione, non controvertendosi in ordine al riparto della cognizione tra organi entrambi aventi un potere giurisdizionale statale.

Così riqualificata la questione (non di giurisdizione ma afferente al merito), occorre altresì osservare che - in base a quanto previsto dalla clausola del vincolo di giustizia e dal citato art. 2 comma primo del D.L. 220/2003 convertito nella L. 280/2003 - rientrano nella competenza degli organi di giustizia sportiva solo le questioni attinenti alla irrogazione ed applicazione delle sanzioni disciplinari sportive, e cioè le questioni attinenti alla fase relativa all’accertamento della sussistenza dell’illecito disciplinare ed alla comminatoria della relativa sanzione, sempre disciplinata dall’ordinamento sportivo.

Nel  caso  concreto,  invece,  la  questione  non  attiene  prettamente  alla  irrogazione  ed all’applicazione della sanzione disciplinare, bensì alla fase della sua esecuzione.  Infatti, è pacifico che la fase dinanzi agli organi della giustizia sportiva si sia già esaurita, atteso che le sanzioni disciplinari oggetto del presente giudizio (consistenti nella squalifica nonché in sanzioni pecuniarie) sono state già irrogate e sono stati esperiti i vari mezzi di impugnazione di natura negoziale, previsti dallo Statuto, essendo divenute definitive.

Ciò che residua è un credito di natura pecuniaria della Federazione, relativo alla sanzione pecuniaria che è stata irrogata in via definitiva dagli organi di giustizia sportiva.

Infatti, gli organi della giustizia sportiva possono irrogare sia sanzioni che esplicano i loro effetti esclusivamente nell’ambito dell’ordinamento sportivo (ad esempio, nel caso in esame è stata irrogata anche la sanzione della squalifica), sia sanzioni che esulano dall’ordinamento sportivo ed incidono su posizioni giuridiche soggettive generalmente tutelate dall’ordinamento statale (ad esempio, nel caso in esame è stata altresì irrogata la sanzione pecuniaria dell’ammenda).

Orbene, mentre nel primo caso l’esecuzione della sanzione potrà ben trovare esplicazione e coattiva esecuzione (in caso di mancata spontanea osservanza) all’interno del medesimo ordinamento sportivo, nell’ambito del quale produce ed esaurisce tutti i suoi effetti, altrettanto non può sostenersi per le sanzioni del secondo tipo. Infatti, l’ordinamento sportivo non possiede gli strumenti per ottenere l’esecuzione coattiva di un credito di natura pecuniaria: strumenti, del resto, che sono riservati all’autorità giurisdizionale ordinaria. Non a caso, il citato art. 2 comma primo del D.L. 220/2003, convertito nella Legge 280/2003, limita la cognizione degli organi della giustizia sportiva alle sole questioni relative la irrogazione ed applicazione della sanzione, non estendendola invece all’esecuzione della stessa.

Tale impostazione non appare contraddetta dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 49 del 2011, con la quale la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 comma primo del D.L. 220/2003, convertito nella L. 280/2003. In particolare, la questione era stata sollevata dal giudice amministrativo, dubitando della legittimità costituzionale della norma in questione nella parte in cui riservava al solo giudice sportivo la competenza a decidere le controversie aventi ad oggetto sanzioni disciplinari, anche quando i relativi effetti superino l’ambito dell’ordinamento sportivo, incidendo su interessi legittimi e diritti soggettivi,  tutelati dall’ordinamento statale. Il caso concreto sottoposto  alla Corte Costituzionale era diverso da quello oggetto del presente giudizio, in quanto si controverteva in ordine al risarcimento del danno derivante dalla illegittima irrogazione della sanzione disciplinare della inibizione allo svolgimento di attività federale.

Ciò nonostante, la Corte - con la suddetta pronuncia - ha sancito importanti principi dando una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, da tener presente anche nel caso in esame. In particolare, nel ribadire l’autonomia tra l’ordinamento sportivo e quello statale (autonomia peraltro favorita dal legislatore), la Corte ha evidenziato che le sanzioni disciplinari irrogate dalla Federazione possono esaurire i loro effetti nell’ambito dell’ordinamento sportivo, oppure manifestare effetti anche nell’ambito dell’ordinamento statale. Orbene, con riferimento al primo gruppo di ipotesi, la Corte afferma che queste sono collocate in un’area di non rilevanza per l’ordinamento statale e di conseguente assenza di tutela da parte di quest’ultimo ordinamento. Tuttavia, la Corte afferma altresì che ad un’interpretazione costituzionalmente orientata del D.L. 220/2003 consegue che, qualora il provvedimento adottato dalle Federazioni sportive o dal CONI abbia incidenza su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale, non possa escludersi la possibilità di agire in giudizio dinanzi agli organi giurisdizionali statali.

Ne consegue che, non controvertendosi nella presente sede in ordine alla fase della irrogazione ed applicazione della sanzione (perché questa è già stata irrogata ed applicata dagli organi di giustizia sportiva, con decisione divenuta definitiva), ma controvertendosi in ordine alle conseguenze che tale sanzione esplica su posizioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento statale ed afferenti a rapporti patrimoniali, non appare sussistente la competenza degli organi suddetti.

Sotto altro profilo, non è fondata l’eccezione, sollevata da parte opponente, di difetto di giurisdizione del giudice ordinario adito, essendo, secondo la prospettazione della parte, la controversia devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in virtù di quanto statuito dall’art. 3 della legge n. 280/2003.

In particolare, la citata disposizione devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o dalle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’art. 2”.

Orbene, con riferimento alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, giova ricordare che - con l’importante pronuncia n. 204 del 2004 - la Corte Costituzionale, nel dichiarare la illegittimità costituzionale dell’art. art. 33 commi primo e secondo del d.lgs. 31.3.1998 n. 80, come sostituito dall’art. 7 lettera a) della L. 21.7.2000, n. 205, ha affermato il seguente principio: “l’art. 103, primo comma, della Costituzione non ha conferito al legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata discrezionalità nell’attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare “particolari materie” nelle quali la tutela nei confronti della pubblica amministrazione investe “anche” diritti soggettivi. Tali materie, tuttavia, devono essere “particolari” rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità, nel senso che devono partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata dalla circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo; con la conseguenza che va escluso che sia la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia siano sufficienti a radicare la giurisdizione del giudice amministrativo”.

Ne consegue che un’interpretazione costituzionalmente orientata delle ipotesi di giurisdizione esclusiva porta a ritenere che questa sia sussistente solo ogniqualvolta si sia in presenza di un concreto esercizio del potere, riconoscibile per tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano.

Per converso, non potrà ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo, neanche quella in via esclusiva, qualora sia del tutto assente ogni profilo riconducibile alla pubblica amministrazione-autorità.

Orbene, nel caso in esame, alla luce di tutto quanto sopra esposto, deve escludersi che - nell’attività di irrogazione di sanzioni disciplinari - la FIGC eserciti un potere autoritativo di natura pubblicistica.

Infatti, è vero che le Federazioni sportive - pur avendo personalità di diritto privato - esercitano anche funzioni pubblicistiche. Il d.lgs. 242/1999, contenente norme di riordino del CONI, all’art. 15 prevede che le Federazioni possano adottare atti amministrativi in armonia con le deliberazioni del CONI, ad es. in tema di ammissione ed affiliazione delle società sportive alle Federazioni nazionali.

Sicché, le questioni concernenti l’attività che le Federazioni svolgono in armonia con le deliberazioni del CONI rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, qualora sia espressione di un potere provvedimentale ed autoritativo.

Tuttavia, come già sopra evidenziato, il potere di decidere in materia disciplinare attribuito agli organi della giustizia sportiva trova la fonte nella autonomia negoziale delle parti. Gli organi della giustizia sportiva, del resto, decidono in virtù di una clausola negoziale avente natura di clausola di arbitrato irrituale ed osservando le regole del diritto privato. Del resto, sia le norme violate che la decisione da eseguire trova la sua fonte in atti di natura negoziale, che sono espressione dell’autonomia privata e non di poteri pubblicistici. A maggior ragione, poi, deve escludersi l’esercizio di poteri pubblicistici nell’attività di recupero del credito derivante dalla irrogazione di una sanzione pecuniaria.

Non essendovi esercizio di poteri pubblicistici, deve escludersi che la controversia rientri nella giurisdizione del giudice amministrativo, neanche in via esclusiva.

È privo di fondamento anche il lamentato difetto di competenza territoriale del Tribunale di Roma, in quanto parte opponente non ha tenuto in debita considerazione i fori alternativi di cui all’art. 20 c.p.c., tra cui il forum destinatae solutionis.

Orbene, come ricordato dalla costante giurisprudenza della Suprema Corte, “Il foro indicato dall’art. 20 c.p.c. per le cause relative ai diritti di obbligazione è un foro facoltativo, non esclusivo, e prevede la possibilità di scegliere tra il luogo in cui il convenuto ha la dimora, il luogo in cui è sorta l’obbligazione o il luogo nel quale l’obbligazione deve essere eseguita (forum destinatae solutionis). La scelta del foro spetta a chi inizia la causa” (Cass. civ. sez. II ordinanza 2.9.2024 n. 23457).

Orbene, nel caso di specie si controverte circa il pagamento di una somma di denaro certa, liquida ed esigibile da eseguirsi, ai sensi dell’art. 1182 coma terzo c.c., presso il domicilio del creditore, pacificamente individuato in Roma.

Risulta altresì infondato anche il richiamo, effettuato da parte opponente, alla disciplina consumeristica di cui al d.lgs. 206/2005 vertendosi in materia di esecuzione di sanzione disciplinare pecuniaria irrogata nei confronti di un calciatore tesserato.

Quanto al merito, nel caso di specie il Tribunale di Roma, con decreto ingiuntivo n. 18047/2022, su istanza della Controparte_1 , ha ingiunto a Parte_1 il pagamento della somma di € 70.466,86 oltre interessi dalla domanda e spese del procedimento monitorio, oltre accessori, in ragione di due sanzioni disciplinari, divenute definitive, consistenti nell’ammenda, allo stesso comminate dal Collegio di Garanzia dello Sport e dal Collegio di Garanzia della Corte Federale d’Appello (cfr. doc. n. 6, n. 7, n. 8, n. 9, n. 10, n. 11 e n. 12 contenuti nella cartella fascicolo_monitorio.zip allegata alla comparsa di costituzione). Il credito risulta pertanto adeguatamente comprovato dai provvedimenti sanzionatori depositati in atti e non è contestato nel quantum.

In particolare, le decisioni degli organi della giustizia sportiva costituiscono certamente prova scritta del credito vantato dalla CP_1 : d’altra parte, appare solo il caso di ribadire quanto già sopra evidenziato e cioè che l’odierno opponente ha espressamente aderito alla convenzione negoziale con la CP_1 accettandone lo Statuto ed i regolamenti e, quindi, di sottoporsi al giudizio degli organi della giustizia sportiva e di rispettare le decisioni.

Conseguentemente, non potendo autonomamente porre in esecuzione la decisione adottata in caso di mancato spontaneo adempimento del debitore, la CP_1 oggi opposta deve necessariamente rivolgersi al giudice ordinario e, in tale ambito, può certamente proporre ricorso per decreto ingiuntivo essendo stato cristallizzato nel provvedimento sanzionatorio irrogato il credito al cui pagamento è tenuto Parte_1

Parte opponente ha, inoltre, lamentato la prescrizione del credito azionato dalla CP_1 È bene premettere che trattasi di eccezione suscettibile di essere decisa nel merito dal giudice ordinario, in quanto non afferente al merito della condotta, quanto piuttosto al non tempestivo esercizio del diritto di credito scaturente dall’emissione e dal successivo consolidamento del provvedimento con il quale la sanzione è stata irrogata.

Come anticipato, il diritto azionato dalla CP_1 è un diritto di credito di natura pecuniaria il cui termine di prescrizione è fissato in dieci anni a norma dell’art. 2946 c.c. Trattasi, infatti, di diritto derivante da obbligazione e relativo a due distinte sanzioni pecuniarie irrogata in via definitiva dagli organi di giustizia sportiva.

L’art. 40 del codice di giustizia sportiva, il quale prevede che “I diritti di natura economica si prescrivono al termine della stagione sportiva successiva a quella in cui sono maturati” non è conferente al caso di specie.

Sulla scorta di tale dettato normativo, la parte opponente ha eccepito che le sanzioni disciplinare inflitte a Parte_1 , in quanto divenute definitiva con la rispettiva pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite del Collegio di Garanzia dello Sport in data 3.12.2015 nonché della sentenza della Corte Federale di Appello in data 1.12.2016, avrebbe dato luogo ad un credito suscettibile di essere azionato, in assenza di atti interruttivi, non oltre la fine della stagione calcistica 2017/2018, conclusasi in data 30.6.2018.

Pertanto, risalendo il primo atto interruttivo di controparte al 6.6.2022 (trattasi nel caso di specie di una lettera di messa in mora), si imporrebbe la dichiarazione di prescrizione del credito azionato dalla CP_1 .

La tesi di parte opponente non può essere condivisa, in quanto tesa a far valere un termine di prescrizione breve al quale va data una interpretazione restrittiva e rigorosa e, per le ragioni di seguito esposte, non può ritenersi riferibile al credito scaturente da sanzioni disciplinari.

In primo luogo, la tesi di parte opponente è sconfessata dal tenore letterale della norma statuaria che, nel derogare al principio generale della durata decennale del termine di prescrizione, fa esclusivamente riferimento ai “diritti di natura economica”, per tali dovendosi intendere quei diritti a carattere patrimoniale che sorgono nel corso del rapporto associativo.

In secondo luogo, l’impossibilità di estendere l’operatività di tale disposizione statutaria anche ai crediti derivanti dall’applicazione di sanzioni economiche può indirettamente essere ricavata da un più accurato esame dell’art. 40, a norma del quale è previsto che l’illecito sportivo si prescrive al termine dell’ottava stagione successiva a quella in cui è stato commesso l’ultimo atto diretto a realizzarlo. Al contempo, a norma del comma secondo è previsto che “l’apertura di una inchiesta, formalizzata dalla Procura federale o da altro organismo federale, interrompe la prescrizione. La prescrizione decorre nuovamente dal momento della interruzione. I termini di cui al comma 1 non possono in alcun caso essere prolungati oltre la metà”. Inoltre, all’art. 19 è previsto che “le sanzioni irrogate dagli organi di giustizia sportiva sono immediatamente esecutive anche sa contro di esse è presentato ricorso”.

Pertanto, ove si intendesse estendere l’ambito di operatività dell’art. 40 comma terzo del codice di giustizia sportiva ai diritti scaturenti dall’irrogazione delle sanzioni dovrebbe ipotizzarsi che, a fronte di un termine per il definitivo accertamento dell’illecito sportivo di oltre otto anni, in astratto suscettibile di essere prorogato della metà, graverebbe sull’associazione l’onere di attivarsi per il recupero del credito entro un anno dall’irrogazione della sanzione, anche in pendenza del giudizio teso ad accertarne l’illegittimità.

Né può ipotizzarsi un’interpretazione coordinata delle norme secondo il quale il termine breve di prescrizione ex art. 40 comma terzo del Codice di giustizia sportiva, in tema di sanzioni pecuniarie, decorrerebbe soltanto a partire dal momento in cui il provvedimento sanzionatorio diverrebbe definitivo per rigetto del ricorso ad opera della Corte Federale di Appello.

Trattasi di integrazione ermeneutica che va ben oltre il dato letterale della norma - la quale individua come dies a quo la stagione sportiva nel corso della quale il credito è maturato (e non divenuto definitivo) - peraltro in aperta violazione del principio di carattere generale secondo il quale “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere” (art. 2935 c.c.).

Alla luce delle considerazioni che precedono, deve dunque ritenersi che, come correttamente rilevato dalla parte opposta, l’art. 40 comma terzo del Codice di giustizia sportiva si riferisce ai diritti di natura economica che, nelle liti tra tesserati e società o tra società e società, necessitano di accertamento giudiziario e “non alle sanzioni pecuniarie che, una volta definite e comminate a seguito del procedimento disciplinare, non prevedono una fase di accertamento ma soltanto di riscossione e, pertanto, il termine di prescrizione è quello ordinario decennale”. D’altronde  il  termine  “maturare”  non  è  confacente  alla  irrogazione  di  sanzioni,  ma  a corrispettivi pattuiti o prestazioni previste ex lege da accertare oppure alle infrazioni relative ad emolumenti (art. 33 codice giustizia sportiva)

Risultano infine del tutto inconferenti i richiami effettuati all’art. 173 c.p. (il caso di specie attiene all’applicazione di una sanzione disciplinare pecuniaria e non di una condanna irrogata all’esito di un procedimento penale), all’art. 2949 c.c. (la Federazione opposta non rappresenta una società iscritta presso il registro delle imprese) nonché all’art. 28 della L. n. 689/1981 (la Federazione opposta non costituisce una pubblica amministrazione).

Pertanto,  l’eccezione  di  prescrizione  del  credito  va  respinta  e  va  respinta  l’opposizione proposta.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate, come da dispositivo, facendo applicazione del D.M. 147/2022, valori tra minimi e medi stante la natura documentale della controversia.

Le questioni esaminate e la non univocità delle interpretazioni fanno escludere la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 96 c.p.c.

P.Q.M.

 

Il Tribunale Ordinario di Roma,

in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel giudizio N.R.G. 68318/2022 tra Parte_1 e la Controparte_1 [...] , in persona del legale rappresentante pro tempore, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così provvede:

1)         RIGETTA l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 18047/2022, N.R.G. 57384/2022, emesso il 17.10.2022 dal Tribunale Ordinario di Roma;

2)         CONDANNA Parte_1 alla rifusione delle spese processuali nei confronti della controparte, che si liquidano in € 8.000,00 per compenso professionale, oltre IVA e CPA nella misura di legge ed al 15% per spese generali.

Così deciso in Roma in data 5.8.2025.

Il Giudice Enrica Ciocca

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