F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – 2011/2012 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 02/CGF del 8-9 Luglio 2011 e con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 028/CGF del 03 agosto 2011 1) RICORSO DEL SIG. GIRAUDO ANTONIO AVVERSO LA SANZIONE DELLA PRECLUSIONE ALLA PERMANENZA IN QUALSIASI RANGO O CATEGORIA DELLA F.I.G.C., INFLITTAGLI A SEGUITO DI DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 7405/1111PF10-11/SP/MG DELL’11.4.2011 – IN ORDINE ALLA DELIBERA C.A.F. CONFERMATA DALLA CORTE FEDERALE, DI CUI AI COMUNICATI UFFICIALI NN. 1/C DEL 14.7.2006 E 2/CF DEL 4.8.2006 (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. 96/CDN del 15.6.2011)
F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – 2011/2012 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 02/CGF del 8-9 Luglio 2011 e con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 028/CGF del 03 agosto 2011
1) RICORSO DEL SIG. GIRAUDO ANTONIO AVVERSO LA SANZIONE DELLA PRECLUSIONE ALLA PERMANENZA IN QUALSIASI RANGO O CATEGORIA DELLA F.I.G.C., INFLITTAGLI A SEGUITO DI DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE - NOTA N. 7405/1111PF10-11/SP/MG DELL’11.4.2011 – IN ORDINE ALLA DELIBERA C.A.F. CONFERMATA DALLA CORTE FEDERALE, DI CUI AI COMUNICATI UFFICIALI NN. 1/C DEL 14.7.2006 E 2/CF DEL 4.8.2006 (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale - Com. Uff. 96/CDN del 15.6.2011)
PREMESSO CHE:
il Procuratore Federale, con provvedimento dell’11 aprile 2011, ebbe a deferire innanzi alla Commissione Disciplinare Nazionale il signor Antonio Giraudo perché disponesse nei confronti di quest’ultimo la sanzione della preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C. sulla base della decisione pubblicata sul Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006, emessa dalla CAF e confermata dalla Corte federale con decisione pubblicata il 4 agosto 2006 sul Com. Uff. n. 2/Cf, decisioni queste due ultime con le quali si affermò la responsabilità del signor Antonio Giraudo per i fatti a lui ascritti irrogandosi nei suoi confronti la sanzione di anni cinque di inibizione con proposta al Presidente Federale di preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C.;
la Commissione Disciplinare Nazionale, con decisione pubblicata in data 15 giugno 2011, emessa a seguito dell’udienza celebratasi in data 19 maggio 2011, ha accolto la richiesta formulata dal Procuratore Federale e ha, quindi, inflitto al signor Antonio Giraudo la sanzione della preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C.;
il signor Antonio Giraudo ha proposto appello nei confronti della suindicata decisione di prime cure dinanzi a questa Corte di Giustizia Federale proponendo alcuni motivi di doglianza (peraltro espressamente rifacendosi ai motivi di ricorso già evidenziati dinanzi al giudice di prime cure) che qui di seguito si sintetizzano:
A) la gravissima sanzione inflitta dalla Commissione Disciplinare Nazionale al signor Antonio Giraudo della preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C., adottata nel 2011 dopo che all’appellante era stata inflitta nel 2006 la sanzione della inibizione per 5 anni e senza che fosse stata a suo tempo proposta ed effettivamente procedimentalizzata la radiazione, costituisce una inaccettabile violazione del principio del ne bis in idem, immanente in qualsiasi ordinamento giuridico, finanche in quello sportivo. Peraltro particolarmente grave è la circostanza che la radiazione sia stata inflitta al termine del periodo quinquennale di inibizione senza che sia stato valutato in alcuna forma il comportamento mantenuto in tale periodo dal Giraudo il quale, non solo ha accettato senza alcuna manifestazione di contrasto la pena e l’ha scontata, ma si è del tutto estraniato dal mondo del calcio e dello sport in genere, svolgendo altre attività e neppure sul territorio italiano, essendosi trasferito con la famiglia in Inghilterra. Ciò comporta che la pena della radiazione è stata inflitta senza tener conto del principio di proporzionalità che sempre deve sorreggere la decisione dell’Autorità che infligge la punizione;
B) l’irrogazione della pena della radiazione a 5 anni di distanza dalle decisioni che hanno concluso per il Giraudo la vicenda disciplinare sportiva nota come “calciopoli” costituisce, altresì, un evento posto in violazione dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo non solo per il ritardo con il quale è stata inflitta ma anche per le modalità ed il contenuto motivazionale, tenuto conto che al Giraudo non è stata garantita una effettiva tutela difensiva se solo si pensi che, nella motivazione della decisione della Commissione Disciplinare Nazionale qui gravata, quest’ultima svela di essersi limitata a prendere atto della gravità dei fatti a suo tempo (cinque anni orsono) contestati all’odierno appellante adottando la decisione che ha portato alla irrogazione della radiazione sulla scorta dell’esclusivo apprezzamento della “gravità dei fatti decisi 5 anni addietro in base alle “sentenze rese”; gravità confermata per gli irreparabili effetti provocati dal comportamento asseritamente tenuto dal Giraudo al tempo dei fatti” (così, testualmente, alla quinta pagina dell’atto di appello);
C) la decisione assunta dalla Commissione Disciplinare Nazionale si manifesta carente di adeguata motivazione in quanto non ha identificato con la necessaria puntualità gli elementi in base ai quali viene inflitta la sanzione della radiazione ad soggetto che è stato già giudicato per i noti fatti di “calciopoli” con l’inflizione di una pena bene determinata – cinque anni di inibizione – di talché la decisione qui appellata si presenta anche viziata sotto il profilo della carenza di proporzionalità della (nuova) sanzione inflitta;
in vista della discussione dell’8 luglio 2011, i difensori del signor Giraudo hanno presentato alcune note scritte, precisandole meglio oralmente nel corso della discussione stessa, in virtù delle quali hanno segnalato ulteriori profili di censura rispetto alla decisione qui appellata, ed in particolare:
A) la norma transitoria contenuta nel Codice di Giustizia Sportiva all’art. 54 costituisce una disposizione “di difficile comprensione” (così, testualmente, a pag. 3 delle note di discussione) e testimonia della circostanza come, nella realtà, la novella del C.G.S., per come interpretata dalla Corte di Giustizia Federale prima e dall’Alta Corte di Giustizia del CONI poi, disvelano un meccanismo di inflizione della sanzione della radiazione decisamente disattento rispetto al principio di legalità che deve sempre informare l’intervento legislativo accompagnato da misure sanzionatorie, e ciò anche nell’ordinamento sportivo;
B) va poi eccepita la prescrizione dell’azione disciplinare, intervenuta sin dal luglio 2010. Ciò in quanto: a) i fatti di “calciopoli” rimontano alla stagione calcistica 2004/2005; b) il termine di prescrizione da applicarsi corrisponde al periodo intercorrente tra la stagione calcistica cui si riferiscono i fatti ascritti agli incolpati ed il termine della quarta stagione successiva; c) non si è realizzata alcuna interruzione della prescrizione, conseguentemente il termine corrispondente alla conclusione della quarta stagione successiva ai fatti ascritti cadeva il 30 luglio 2009; d) tenendo conto che il procedimento sportivo a carico dell’odierno appellante (e degli altri incolpati) si è avviato a maggio del 2006 e che, dunque, può farsi partire da quella data il periodo di prescrizione, il ridetto termine prescrizionale veniva a cadere il 30 luglio 2010, data che corrisponde al termine della quarta stagione successiva a quella 2005/2006.
CONSIDERATO CHE:
nella riunione dell’8 luglio 2011 è comparso il Procuratore Federale, con i suoi collaboratori, che ha illustrato le ragioni di conferma della decisione della Commissione Disciplinare Nazionale appellata in questa sede, ripercorrendo le vicende che hanno dato luogo al deferimento e, condividendo i passaggi motivazionali della decisione di prime cure qui gravata, ne ha chiesto la conferma nei confronti del Signor Antonio Giraudo mantenendosi nei confronti di quest’ultimo la sanzione della preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C.;
sono comparsi altresì entrambi i difensori del signor Giraudo che hanno svolto deduzioni orali con le quali hanno ampiamente ribadito il contenuto dell’atto di appello e delle note di discussione confermando le già rassegnate conclusioni;
i difensori dell’appellante hanno manifestato, con dichiarazione resa a verbale, l’intenzione di voler rinunciare all’eccezione di prescrizione sollevata, pur affrontando comunque la questione e confermando la correttezza dell’assunto sul quale detta eccezione di fonda;
nella camera di consiglio dei giorni 8 e 9 luglio 2011 l’appello è stato trattenuto per la decisione.
TENUTO CONTO CHE:
il Consiglio Federale della F.I.G.C., con Com. Uff. n. 143/A del 3 marzo 2011, preso atto del complessivo riassetto delle competenze disciplinari disposto dal nuovo Codice della Giustizia Sportiva, ha introdotto una disciplina transitoria in riferimento alle fattispecie – come è quella in esame – ancora pendenti e, per l’effetto, in applicazione del principio di separazione tra gli organi di giustizia sportiva e gli organi di gestione sportiva, ha devoluto ai primi ogni cognizione in subiecta materia;
segnatamente, la nuova disciplina normativa ha previsto che, per le proposte di preclusione già formulate, e non definite alla data 30 giugno 2007, “(…) dalla C.A.F., anche se riproposte dal giudice di appello, il procedimento debba essere attivato su richiesta della Procura Federale innanzi alla Commissione Disciplinare Nazionale, sulla base delle sentenze rese, garantendo il rispetto dei termini e delle procedure previste dall’art. 30, commi 8 e 9 C.G.S.”;
inoltre si è previsto che, “per le proposte di preclusione formulate dalla Corte Federale, il procedimento deve essere attivato su richiesta della Procura Federale innanzi alla Commissione Disciplinare Nazionale, sulla base delle sentenze rese, garantendo il rispetto dei termini e delle procedure previste dall’art. 30, commi 8 e 9, C.G.S.”.
in attuazione della suddetta normativa di settore, la Procura federale ha, dunque, deferito il signor Antonio Giraudo innanzi alla Commissione Disciplinare Nazionale che, a propria volta, con decisione pubblicata in data 15 giugno 2011, emessa a seguito dell’udienza celebratasi in data 19 maggio 2011, ha accolto la richiesta formulata dal Procuratore Federale e ha, quindi, inflitto al signor Antonio Giraudo la sanzione della preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C.;.
RILEVATO CHE:
va anzitutto chiarito che l’utilizzo del mezzo di impugnazione della decisione di prime cure in sede di appello determina in capo al Collegio giudicante di secondo grado l’attribuzione del potere di esaminare se la decisione impugnata risulti o meno scevra da quei vizi che sono stati dedotti dall’appellante e non costituisce, invece, lo strumento per esercitare un novum judicium bensì una revisio prioris instantiae da parte del Giudice di appello, non potendo più quest’ultimo riesaminare l’intera vicenda, anche fattuale, come al contrario spetta ai Giudici di primo grado;
in secondo luogo va considerato che, a differenza dei plessi giurisdizionali ordinari e speciali (relativi all’ordinamento c.d. statale), al plesso della giustizia sportiva l’ordinamento non attribuisce il potere di rimettere ad altro organo dello stesso plesso ordina mentale ovvero di altro ordinamento la cognizione circa la legittimità (costituzionale ovvero con riguardo a disposizioni del diritto europeo) delle norme contenute nel Codice di Giustizia Sportiva, potendo le stesse essere esclusivamente interpretate dall’organo giudicante sportivo, che comunque dovrà farne applicazione. Ciò in quanto non si rinviene nell’ordinamento sportivo alcuna disposizione che consente ad un organo della giustizia sportiva di rimettere la questione di compatibilità costituzionale ovvero di compatibilità con il Trattato europeo delle disposizioni recate dal Codice di Giustizia Sportiva ad altro organo di giustizia né interna, né c.d. ordinaria né, ancora, europea [ad esempio la Corte Costituzionale ovvero la Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Cfr., in argomento, Corte Cost. 11 febbraio 2011 n. 49 che ha espressamente ribadito come “l’autonomia dell’ordinamento sportivo trova ampia tutela negli artt. 2 e 18 della Costituzione, dato che non può porsi in dubbio che le associazioni sportive siano tra le più diffuse «formazioni sociali dove [l’uomo] svolge la sua personalità» e che debba essere riconosciuto a tutti il diritto di associarsi liberamente per finalità sportive”, concludendo nel senso che “le decisioni adottate in base [alle regole promananti dall’associazionismo sportivo] sono collocate in un’area di non rilevanza per l’ordinamento statale, senza che possano essere considerate come espressione di potestà pubbliche ed essere considerate alla stregua di decisioni amministrative. La generale irrilevanza per l’ordinamento statuale di tali norme e della loro violazione conduce all’assenza della tutela giurisdizionale statale”. Su tale ultimo punto ed in genere sull’autonomia dell’ordinamento sportivo rispetto a quello statale si vedano anche le decisioni – entrambe richiamate dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 41 del 2011 – 26 ottobre 1989 n. 4399 e 23 marzo 2004 n. 5775 (quest’ultima di particolare rilievo perché successiva all’entrata in vigore del decreto legge 19 agosto 2003 n. 220, convertito nella legge 17 ottobre 2003 n. 280), delle Sezioni unite della Corte di cassazione.]. Nondimeno l’ordinamento sportivo non attribuisce agli organi della giustizia sportiva il potere di disapplicare le disposizioni normative contenute nel C.G.S.;
in terzo luogo, va tenuto presente che, nel corso della discussione dell’appello avvenuta in data 8 luglio 2011, i difensori dell’appellante hanno espressamente rinunciato a coltivare l’eccezione di prescrizione, pur sollevata nelle note di discussione depositate e sviluppata oralmente nel corso della discussione stessa. Di tal scelta della parte appellante la Corte di Giustizia Federale non può che prendere atto non esprimendosi sulla fondatezza dell’eccezione per quanto riguarda la posizione del signor Antonio Giraudo, tenuto comunque conto che sulla (in)fondatezza di detta eccezione la Corte si esprime nelle decisioni di appello rese nelle contemporanee impugnazioni proposte dai signori Moggi e Mazzini;
in quarto luogo ed in ragione di quanto si è detto sopra, risultano gravati specificamente nell’atto di appello i seguenti punti della motivazione resa dalla Commissione Disciplinare Nazionale nella decisione con la quale al signor Antonio Giraudo è stata inflitta la sanzione della preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C.:
A) la asserita erroneità dell’interpretazione fatta propria dalla Commissione circa la portata e le modalità di applicazione delle nuove disposizioni del C.G.S. ed in particolare dell’art. 19, n. 3, entrato in vigore il 1° luglio 2007, anche sotto il profilo legato alla considerazione applicativa della suindicata disposizione offerta nei pareri espressi dalla Corte di Giustizia Federale e dall’Alta corte del CONI, circostanze che hanno condotto alla violazione del principio, immanente in ogni ordinamento - ed anche in quello sportivo – del ne bis in idem;
B) la inespressa attualizzazione dei comportamenti del signor Giraudo al momento dell’inflizione della sanzione della radiazione, avendo tenuto in considerazione la Commissione esclusivamente le condotte ascritte all’odierno appellante all’epoca dei fatti con riferimento ai quali fu sanzionato dalla Commissione di disciplina con la pena della sospensione quinquennale e non avendo la ridetta Commissione operato alcun intervento valutativo circa l’effettiva gravità delle condotte considerate “ad oggi”, come anche il parere dell’Alta Corte del CONI aveva imposto di effettuare;
C) la mancata applicazione dei principi che derivano – per ogni ordinamento giustiziale – dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e che sono scolpiti nell’art. 6 della CEDU sotto il duplice profilo sia della irrealizzata garanzia del contraddittorio sia della lontananza nel tempo dei fatti imputati all’odierno appellato e per i quali solo ora egli vede inflitta nei suoi confronti una ulteriore sanzione, oltre a quella inflittagli all’epoca del giudizio originario;
RITENUTO CHE:
va anzitutto chiarito che il quadro normativo di riferimento, che la Corte di Giustizia Federale deve tenere presente per la decisione, poggia essenzialmente sulla disposizione contenuta nell’art. 19, comma 3, C.G.S., entrata in vigore il 1° luglio 2007, a mente del quale “la sanzione prevista dalla lettera h) non può superare la durata di cinque anni. Gli Organi della giustizia sportiva che applichino la predetta sanzione nel massimo edittale e valutino l’infrazione commessa di particolare gravità possono disporre altresì la preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C.”. La disposizione in questione supera la precedente, contenuta nell’art. 14, comma 2, C.G.S. ed in vigore fino al 1° luglio 2007, in base alla quale era stabilito che “le sanzioni previste alle lettere e) ed h) non possono superare la durata di 5 anni. Qualora l’organo di giustizia sportiva valuti di particolare gravità l’infrazione, per la quale irroga una di tali sanzioni nella durata massima, può formulare, con la stessa delibera, motivata proposta al Presidente federale perché venga dichiarata, nei confronti del dirigente, socio di associazione o tesserato, la preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C.”;
il Presidente Federale, con lettera del 31 marzo 2010, ebbe ad avanzare richiesta di parere interpretativo ex art. 31, comma 1 lett. d), C.G.S. alla Sezione Consultiva di questa Corte di Giustizia Federale che si espresse nella riunione del 13 aprile 2010, di cui al Com. Uff. n. 231/CGF del 28 aprile 2010. Con tale parere la Sezione, rispondendo alla richiesta di conoscere quale organo avrebbe dovuto “valutare e decidere le proposte di preclusione non ancora definite e formulate prima dell’entrata in vigore del nuovo Codice di Giustizia Sportiva”, concludeva che “il provvedimento di preclusione debba ritenersi implicito, quale effetto ex lege, nelle decisioni con cui gli organi della giustizia sportiva, dopo aver irrogato la sanzione della sospensione nella misura massima, si sono pronunciati nel senso della particolare gravità delle infrazioni”. Il parere osservava infine che “ove si condividano le conclusioni del presente parere, agli organi federali competenti non rimane che prendere atto dell’avvenuto prodursi dell’effetto in questione, provvedendo alle necessarie comunicazioni”
In un passaggio molto delicato del suddetto parere e particolarmente rilevante per la decisione dell’appello qui in esame, soprattutto per il profilo della contestata violazione del principio del ne bis in idem, si possono scorrere tre fondamentali indicazioni interpretative del citato art. 19, comma 3, C.G.S.:
A) il compito degli organi di giustizia sportiva cui spetta il potere di intervenire ai sensi del ridetto comma 3 dell’art. 19 non costituisce una mera duplicazione della valutazione delle condotte poste in essere dall’incolpato e già considerate tali da provocare la reazione dell’ordinamento sportivo comportando l’irrogazione di una sanzione disciplinare (nel nostro caso l’inibizione per anni cinque), ma una nuova operazione procedurale che si compendia nello sviluppo di un secondo necessario segmento del complesso procedimento plurifasico specificato dalla nuova norma. In altri termini “ se l’accertamento della particolare gravità vi è già stato, e con tutte le garanzie di contraddittorio richieste da un “giusto processo”; se su tale accertamento si è formato il giudicato, l’effetto che ne consegue – sia esso la proposta del vecchio Codice ovvero la “preclusione” del nuovo – discende automaticamente dalla norma. Insomma, al mutare della previsione normativa deve corrispondere una modifica dell’effetto collegato all’avvenuta dichiarazione di “particolare gravità dell’infrazione” e quindi prodursi una conversione ex lege della originaria proposta in una diretta irrogazione della preclusione” (così, testualmente, il parere di questa Corte di Giustizia Federale di cui al Com. Uff. n. 231/CGF del 28 aprile 2010);
B) la nuova disposizione codicistica non mostra alcun profilo di irrazionalità, proprio perché la gravità dei fatti ascritti all’incolpato e il disvelarsi processuale della loro dimostrazione per come posti effettivamente in essere dal tesserato merita che la prima fase del complesso procedimento che avvolge e caratterizza la fattispecie sanzionatoria in questione sia accompagnata da una seconda fase procedurale che abbia ad oggetto, fermi i comportamenti ormai scolpiti quanto all’individuazione dell’autore ed alla meritevolezza della sanzione per la violazione delle disposizioni dell’ordinamento sportivo, il giudizio – non più ora da parte del Presidente Federale bensì, molto più opportunamente con riferimento ai principi del giusto processo, della garanzia del contraddittorio e della terzietà dell’organo cui è rimesso il potere di irrogare la sanzione, da parte degli organi della giustizia sportiva – circa la particolarità gravità del comportamento tenuto dal tesserato e del significativo disvalore che la condotta ha manifestato e manifesta con riferimento ai principi fondamentali che costituiscono le fondamenta dell’ordinamento sportivo, che quella condotta è stata oggettivamente in grado di vilipendere nella loro intima essenza. In altri termini la interpretazione corretta della disposizioni contenuta nell’art. 19, comma 3, C.G.S. in vigore dal 1° luglio 2007, anche sotto il profilo della compatibilità con i principi di garanzia che accompagnano il meccanismo della successione delle norme nel tempo, va nel senso che non debbano essere lasciati privi della più severa sanzione della preclusione comportamenti qualificati a suo tempo come gravemente scorretti. Tale interpretazione trova “una conferma letterale in una norma del nuovo Codice”, vale a dire nella “disposizione transitoria dell’art. 55 C.G.S. secondo cui: “1. Fino al momento della modifica della normativa federale in vigore, i rinvii agli articoli 13 e 14 del Codice di Giustizia Sportiva contenuti nella stessa normativa si intendono riferiti, per quanto di ragione, rispettivamente, alle corrispondenti disposizioni contenute nei nuovi articoli 18 e 19 del presente Codice”. La disposizione non è particolarmente perspicua, ma ad essa non sembra potersi attribuire altro significato se non quello che, per i procedimenti ancora pendenti, la pronunzia a suo tempo adottata – e che evidentemente rinviava all’articolo 14 – trova la sua disciplina non più in questo articolo abrogato, bensì nel sopravvenuto articolo 19, e che è alla stregua di quest’ultimo che vanno individuati i suoi effetti” (così, testualmente, il parere di questa Corte federale di cui al Com. Uff. n. 231/CGF del 28 aprile 2010);
C) posto che deve escludersi che “il mancato esercizio del potere da parte del Presidente Federale prima della modifica normativa abbia determinato l’estinzione dello stesso con la formazione – implicita – di una sorta di silenzio-diniego”, in quanto “mancava nel Codice una disciplina temporale dell’istituto, cosicché il termine – che ovviamente non poteva non esserci – doveva farsi coincidere con il venir meno della posizione giuridica cui il potere si riferiva e cioè lo stato di sospensione dai ranghi della Federazione”, può concludersi che l’esercizio del potere sanzionatorio attribuito dall’art. 19, comma 3, C.G.S. agli organi della giustizia sportiva (nella specie alla Commissione Disciplinare Nazionale su iniziativa del Procuratore Federale) va indirizzato nel senso che “il provvedimento di preclusione debba ritenersi implicito, quale effetto ex lege, nelle decisioni con cui gli organi della giustizia sportiva, dopo aver irrogato la sanzione della sospensione nella misura massima, si sono pronunciati nel senso della particolare gravità delle infrazioni” (tutti i virgolettati sono ancora tratti, testualmente, dal parere di questa Corte di Giustizia Federale di cui al Com. Uff. n. 231/CGF del 28 aprile 2010).
le suesposte osservazioni interpretative, essenzialmente confermate nelle traiettorie ermeneutiche fondamentali riferite alla portata ed ai significati attuativi riconducibili alla - più volte qui citata - disposizione di cui all’art. 19, comma 3, C.G.S. in vigore dal 1° luglio 2007 dalla successiva decisione dell’Alta corte di giustizia sportiva del Coni nel parere n. 1 del 2011, sono state plasticamente riprodotte nella decisione della Commissione Disciplinare Nazionale e poste a fondamento della ridetta decisione qui fatta oggetto di appello. Da tali osservazioni questa Corte non ha ragione di disallinearsi dal momento che esse costituiscono l’unica interpretazione possibile della norma, tenuto conto della esegesi letterale degli esatti termini lessicali contenuti nella frase che compone la disposizione normativa;
in altri termini, ad avviso di questa Corte di Giustizia Federale:
A) costituisce un dato incontestabile il fatto che la normativa transitoria introdotta con il Com. Uff. n. 143/A del 3 marzo 2011 non abbia inciso sulle norme incriminatrici di riferimento, sia per ciò che attiene al precetto sia per quel che concerne gli aspetti più direttamente concernenti la misura ed i contenuti della reazione punitiva. Una piana lettura dell’articolato consente, infatti, agevolmente di circoscrivere la portata innovativa del richiamato testo regolamentare a profili concernenti termini e modalità degli ulteriori sviluppi dell’iter procedimentale ovvero al regime delle competenze e, dunque, in un’orbita tipicamente propria dell’ambito procedurale;
B) come si è già riferito in precedenza, con le disposizioni in argomento si è, in particolare, provveduto ad attribuire alla Procura federale il potere di iniziativa del procedimento, a individuare gli Organi della giustizia sportiva competenti a seconda delle diverse fattispecie, a definire i termini e le modalità del procedimento e a sancire il principio del doppio grado di giurisdizione. D’altronde, l’intervento regolatorio in questione, è volto a definire tutte le situazioni pendenti all’epoca della sua introduzione, di talché il procedimento attivato con l’atto di deferimento della Procura Federale, ancorchè promosso sulla scorta ed a seguito delle “sentenze rese”, mantiene le caratteristiche strutturali e funzionali di un giudizio pieno: la valenza documentale delle precedenti statuizioni giurisdizionali non è, infatti, in contraddizione con la caratteristiche tipiche di un giudizio di accertamento, atteso che l’ambito cognitivo dei due procedimenti non è coincidente. Mentre, infatti, il giudizio già definito ha riguardato il fatto e la colpa del reclamante, quello oggi inesame concerne la speciale gravità degli addebiti accertati e l’attitudine degli stessi a fondare un giudizio di così grave riprovazione da giustificare l’adozione di una misura espulsiva;C) deriva da quanto sopra che la disposizione transitoria introdotta con il Com. Uff. n. 143/A del 2011, anche rispetto ai procedimenti pendenti, si limita a sottrarre al Presidente Federale, in ossequio al principio della separazione delle funzioni, la competenza a pronunciarsi sulle proposte di radiazione; sicché ’effetto innovativo che si riconnette al ridetto Com. Uff. n. 143/A è, dunque, quello di ribadire la competenza degli organi di giustizia sportiva – riportando ogni decisione in subiecta materia nel naturale alveo di una valutazione necessariamente tecnica -assicurando lo svolgimento dinanzi ad essi di una (nuova) fase cognitoria a contraddittorio pieno, all’interno della quale possono trovare, dunque, massima espressione le garanzie difensive dell’incolpato;
D) ancor più puntualmente, in argomento, giova specificare che:
i. l’attuale fase procedimentale si innesta, come necessario complemento, su un giudizio disciplinare già svoltosi e nell’ambito del quale la dialettica tra le parti ha trovato piena attuazione. Da qui, ’iniziativa della Procura Federale – in piana adesione al contenuto precettivo delle disposizioni transitorie introdotte con il Com. Uff. n. 143/A del 2011 – recupera, dunque, e ripropone l’atto d’impulso (qualificato come proposta dall’art. 14 del previgente C.G.S.) già contenuto nella decisione (a contenuto complesso) che ha definito la precedente fase di giudizio, mutuandone presupposti e contenuti;
ii. all’interno del descritto contesto procedimentale, l’attivazione del sub procedimento volto all’irrogazione della sanzione accessoria della radiazione non necessita evidentemente di un ordinario atto di deferimento (e tale era l’opzione prevista dall’art. 14 del previgente C.G.S.), saldandosi il nuovo atto di impulso con la fase pregressa di cui recepisce i relativi arresti: i fatti in addebito restano, infatti, quelli originari ed, anzi, risultano arricchiti dalle emergenze istruttorie convalidate – nella loro valenza dimostrativa - dalle decisioni del Giudice disciplinare;
E) coerentemente con la peculiare struttura del procedimento in argomento il legislatore sportivo ha, dunque, previsto, con il Com. Uff. n. 143/A del 2011, che l’atto della Procura Federale dovesse fondarsi “sulle sentenze rese, garantendo il rispetto dei termini e della procedura prevista dall’art. 30, commi 8 e 9 C.G.S.”;
ciò posto non coglie, quindi, nel segno il mezzo di gravame attraverso il quale l’appellante contesta la decisione assunta dal giudice di prime cure secondo cui in essa si rinverrebbe una violazione del principio del ne bis in idem, posto che correttamente la Commissione Disciplinare Nazionale, in stretta aderenza con l’interpretazione normativa sopra rappresentata (ed in particolare con quanto osservato dall’Alta Corte del CONI nel parere n. 1 del 2011, laddove ha segnalato che la corretta lettura di quanto recato dal Com. Uff. n. 143/A del 2011 deve poter condurre alla possibilità, qualora gli organi di giustizia sportiva riscontrino la sussistenza dei relativi presupposti, di irrogare la sanzione espulsiva nei confronti di quei soggetti ritenuti autori dei gravi fatti sulla base di sentenze già rese quando, ancora oggi, le responsabilità degli incolpati possano essere ritenute così gravi da giustificare detta sanzione espulsiva) ha concluso affermando, con riferimento alla posizione del signor Antonio Giraudo, che “la condotta del deferito, così come accertata nelle sentenze rese, risulta palesemente incompatibile con i principi di lealtà, correttezza e probità ai quali l’ordinamento sportivo non può abdicare, pena la sua irrimediabile caduta nella credibilità e financo nella sua stessa sopravvivenza”. Dette conclusioni costituiscono il frutto di una valutazione operata sulla condotta dell’odierno appellato e non si apprezzano affatto, per come pretenderebbe di sostenere (al contrario) la difesa del Giraudo, quale mera riedizione della valutazione della condotta del tesserato già scrutinata nel giudizio che ha condotto alla inflizione della sanzione della inibizione quinquennale. Nel caso in esame, come già si è detto, la Commissione ha operato una nuova valutazione sulla gravità della condotta posta in essere, tenendo conto di quanto la sentenza con la quale il Giraudo era stato ritenuto responsabile della realizzazione dei fatti a lui addebitati e meritevole della punizione sportiva della inibizione quinquennale: in altri termini la sentenza con la quale è stata inflitta la sanzione della inibizione quinquennale costituisce solo il presupposto di fatto della nuova valutazione operata dalla Commissione, nel rispetto dei principi del contraddittorio (in quanto il Giraudo ha avuto ampiamente modo di difendere la propria posizione anche in tale secondo sub-procedimento della – nuova - fattispecie procedurale a formazione progressiva rispetto alla quale si sono sopra tracciate le traiettorie normative) e della parità delle parti (posto che il secondo tratto della complessa filiera procedurale è stato avviato dal Procuratore Federale). La Commissione infatti ha (per come sopra si è testualmente riportato) correttamente circoscritto la propria valutazione contenendola entro il perimetro della verifica relazionale tra i comportamenti incontestabilmente riferiti al Giraudo e il senso della nozione di “gravità” (anche con riferimento alla communis opinio circa il significato del lemma “gravità”) attribuibile a quei comportamenti, finendo quindi per attualizzare al momento della decisione l’indice di disvalore di detti comportamenti, rispetto ai quali le condotte successive (alla irrogazione della sanzione della inibizione quinquennale) non potevano assumere alcun rilievo, perché estranee all’ambito della valutazione che l’ordinamento (e l’iniziativa della Procura Federale) imponeva(no) al Giudice di prime cure;
VALUTATO CHE:
le suesposte considerazioni inducono ad escludere che le deduzione di cui agli atti di appello, riferiti alla posizione del signor Antonio Giraudo, possano ritenersi fondate – sotto tutti i profili di gravame più sopra elencati e tenuto conto che anche le deduzioni che hanno fatto riferimento all’art. 6 della CEDU non possono essere apprezzate da questa Corte di Giustizia Federale sia per l’autonomia (recentemente ribadita dalla sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2011) dell’ordinamento sportivo rispetto agli altri ordinamenti sia a cagione della c.d. mancata comunitarizzazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) e dell’ormai fermo principio espresso in materia dalla Corte costituzionale (a cominciare dalla nota sentenza 24 ottobre 2007 n. 348, recentemente confermata nei tratti salienti dalle sentenza 11 marzo 2011 n. 80 e 7 aprile 2011 n. 113) in conseguenza del quale è fatta palese la impossibilità per i Giudici nazionali (e, quindi, ancor più per gli organi di giustizia sportiva) di disapplicare il diritto interno con essa contrastante – manifestandosi, quindi, scevra dai vizi denunziati la qui gravata decisione del giudice di prime cure;
STIMATO CHE:
appare congrua la misura della sanzione inflitta, atteso che va condiviso il percorso valutativo espresso nelle decisione qui appellata circa la proporzione della sanzione della preclusione in ragione della gravità dei fatti commessi e delle (indubbie) “aberranti conseguenze che hanno determinato” (così, testualmente, a pag. 9 della decisione impugnata) quei
comportamenti assunti dal Signor Giraudo (seppur non adottati dal solo odierno appellante, ma accompagnati da analoghi comportamenti riferibili ad altri tesserati); Per questi motivi la C.G.F. sentita la Procura Federale, respinge il reclamo del Signor Antonio Giraudo, confermando la sanzione della preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C.. Dispone incamerarsi la tassa reclamo.
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