CONI – Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it LODO ARBITRALE DEL22/5/2003 TRA Volley Calabria Srl e Federazione Italiana Pallavolo – F.I.P.A.V

CONI – Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it LODO ARBITRALE DEL22/5/2003 TRA Volley Calabria Srl e Federazione Italiana Pallavolo - F.I.P.A.V IL COLLEGIO ARBITRALE così composto: - Avv. Carlo Guglielmo IZZO Presidente - Avv. Mario SANINO Arbitro - Avv. Claudio ONOFRI Arbitro ha pronunciato il segunte LODO ARBITRALE nella controversia insorta TRA Volley Calabria Srl, con sede in Reggio Calabria, Via Sbarre Superiori diramazione La Boccetta n. 11/A, in persona del Presidente e legale rappresentante, Dott. Gaetano Intrieri, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Giuseppe Morbidelli e Nicola De Santis, ed elettivamente domiciliata nello studio del primo di essi in Roma, Via G. Carducci n. 4, come da mandato in calce all’istanza di arbitrato E Federazione Italiana Pallavolo - F.I.P.A.V., in persona del Vice Presidente pro-tempore, Avv. Domenico D’Alessio (nato ad Ancona il 2 agosto 1949) con sede in Ro-ma, Via Vitorchiano n. 107-109. I. I FATTI I.1. Nel mese di aprile 2001, la Volley Calabria tesserava per la stagione agonistica 2000/2001 l’atleta Cristina Lucretia Parv, nata a Turda, in Romania, il 29.6.1972. Avverso l’omologa di tale tesseramento la Soc. Volley Modena proponeva reclamo, so-stenendo che nella specie era sussistente la condizione ostativa prevista dall’art. 47, comma, 1, lett. a) del Regolamento Affiliazioni e Tesseramento della Fipav (R.A.T.), secondo cui l’omologa del tesseramento non può essere concessa nell’ipotesi in cui “l’atleta straniero abbia partecipato con la squadra di un sodalizio straniero ad un campionato ufficiale di altra federazione o ad una manifestazione ufficiale indetta dalla FIPAV o da una Confederazione internazionale cui aderisce la FIPAV che si svolga in corrispondenza del periodo di tempo nel quale si svolge, secondo il calendario ufficia-le, il campionato italiano cui deve partecipare il sodalizio con il quale l’atleta intenda vincolarsi”. Nella specie, l’atleta Parv, appartenente alla federazione rumena, prima di essere tesserata dalla Volley Calabria, aveva partecipato al campionato brasiliano, in forza alla squadra del “Minas tenis clube”. I.2. Il reclamo proposto dalla Soc. Volley Modena induceva il Consiglio Federale della Fipav a richiedere l’intervento della Corte Federale, competente a dirimere le questioni in ordine all’interpretazione delle norme statutarie e regolamentari ai sensi dell’art. 2, comma 3, lett. a) del Regolamento Giurisdizionale della medesima federazione. Tale organo, con parere del 2 maggio 2001 riteneva che l’art. 47 c. 1 lett. A) del R.A.T. fosse ancora in vigore e che la condizione ostativa all’omologa del tesseramento, prevista dal-la medesima disposizione, fosse stata costituita dalla circostanza che l’atleta straniero, nello stesso periodo di tempo in cui si svolgeva il campionato italiano, avesse “parteci-pato con un sodalizio straniero ad un campionato diverso da quello organizzato dalla federazione di appartenenza”. La Corte, peraltro, precisava che “in base all’art. 49 del RAT l’accertamento dell’esistenza di una condizione ostativa al tesseramento avvenuto dopo l’omologa e quindi della nullità dello stesso comporta conseguenze diverse a se-conda che la accertata illegittimità sia o no conseguenza di comportamento dolosi dell’atleta o del sodalizio; nel primo caso, infatti, il sodalizio viene sanzionato con la perdita delle gare in cui l’atleta è stato utilizzato (posto che la pronuncia di nullità ha efficacia ex tunc ex art. 49 c. 5 RAT); nel secondo caso, invece, l’accertata nullità ha efficacia ex nunc e comporta la sola revoca dell’omologazione, come si desume dalla considerazione che le sanzioni nei confronti dell’atleta (sospensione) e del sodalizio (perdita delle gare) sono previste solo in caso di “comportamenti dolosi” e non anche solo colposi o, a maggior ragione, incolpevoli”. La Corte Federale, quindi, espressa-mente affermava che, in assenza di dolo, il tesseramento di un’atleta straniero effettuato in violazione dell’art. 47, comma 1, lett. a) del R.A.T., non può dare luogo alla irroga-zione della sanzione della perdita dell’incontro sportivo, il quale dunque deve senz’altro ritenersi regolarmente svolto. I.3. Sulla base di tale parere, nella parte in cui aveva comunque ritenuto operante la condizione ostativa al tesseramento prevista dal suddetto art. 47 del R.A.T., in data 3.5.2001, veniva revocato il tesseramento della suddetta Cristina Lucretia Parv da parte della competente Commissione. I.4. Ciò nonostante, il Giudice Unico Federale ( G.U.F.), Avv. Massimo Pettinelli, con decisione del 3 maggio 2001, emessa sulla base di quanto affermato dalla Corte Federa-le nel parere del 2 maggio 2001 in ordine alle diverse conseguenze a seconda che l’irregolare tesseramento sia o meno derivato da un comportamento doloso, omologava le gare a cui aveva partecipato la predetta atleta. Il G.U.F., infatti, “facendo proprio il risultato dell’istruttoria svolta dalla commissione preposta, non essendo stata raggiun-ta la prova del comportamento doloso da parte del sodalizio, essenziale ai fini della applicabilità della prevista sanzione”, non ha ritenuto “di dover emettere il provvedi-mento disciplinare ai sensi dell’art. 49 RAT., 3° capoverso”. In base a tale disposizione, come ricordato dalla Corte Federale, solo se l’illegittimità del tesseramento è conse-guente a comportamenti dolosi “si verifica un’infrazione disciplinare punita:a) nei con-fronti dell’atleta con la sospensione sino ad un massimo di un anno;b) nei confronti del sodalizio che, pur consapevole dell’illegittimità lo abbia utilizzato in gare ufficiali, con la perdita delle gare medesime”. Il G.U.F., dunque, espressamente riconosceva che, in assenza di dolo, la irregolarità della posizione dell’atleta rumena non poteva avere alcun effetto sul regolare svolgimento delle partite a cui la stessa aveva partecipato. I.5. La decisione della Commissione tesseramento del 3 maggio 2001 impediva tuttavia all’atleta Parv di partecipare alle restanti gare del campionato. La medesima atleta, in data 7 maggio 2001, proponeva innanzi al Tribunale di Reggio Calabria un’azione ai sensi degli artt. 43 e 44 del D.lgs. 25.7.1998 n. 286, affermando di essere stata vittima di una palese discriminazione a causa della propria condizione di straniero. A tale azio-ne accompagnava un apposito ricorso ex art. 700 c.p.c. al fine di poter comunque con-cludere la stagione agonistica, partecipando alle finali scudetto. I.6. Il Tribunale di Reggio Calabria, con ordinanza del 12.5.2001, da una parte, rigetta-va l’azione proposta dall’atleta Parv ai sensi degli artt. 43 e 44 del D.lgs. n. 286/98, dall’altra, invece, accoglieva il ricorso proposto dalla stessa ai sensi dell’art. 700 c.p.c.. Tale ricorso, affermava il Tribunale, “è fondato, quanto al “fumus boni iuris”, sull’assunto che “la revoca del tesseramento, avvenuta esclusivamente sulla base di una discutibile ed erronea interpretazione di una norma del regolamento FIPAV, de-termina una evidente limitazione al diritto al lavoro” e, quanto al periculum in mora, sul rilievo che è imminente lo svolgimento delle gare della finale scudetto del campio-nato 2000/2001 - la prime delle quali è fissata per il 12 maggio - si che la mancata par-tecipazione alle stesse arrecherebbe alla ricorrente “un pregiudizio grave e irreparabi-le e non economicamente risarcibile”. Sulla base di quanto sopra, il Tribunale di Reggio Calabria ha ordinato “alla Federazione Italiana Pallavolo - FIPAV di omologare il tesseramento dell’atleta Parv Cristina Lucretia (...) immediatamente e, comunque, per consentirle la partecipazione alle gare della finale scudetto del campionato italiano in corso”. I.7. In data 16 maggio 2001, la Commissione Tesseramento, “preso atto dell’ordinanza del giudice designato del Tribunale di Reggio Calabria con la quale a seguito del ricor-so ex art. 700 c.p.c. proposto dall’Atleta Parv, si ordina alla FIPAV di omologare (...) il tesseramento immediatamente e comunque nel termine utile per consentire la parteci-pazione alle gare della finale scudetto del campionato italiano”, deliberava di “omolo-gare il tesseramento dell’atleta Parv Cristina Lucretia a favore della Società Volley Calabria a far data dal 12 maggio 2001, con riserva di procedere a revoca dello stesso con effetto dalla stessa data (12 maggio 2001) in caso di accoglimento delle impugnati-ve preannunciate dalla Segreteria Generale della Fipav”. I.8. Nel frattempo, sul piano prettamente sportivo, avevano regolare svolgimento le fi-nali scudetto fra la Volley Calabria e la Foppapedretti Bergamo. La Volley Calabria, sulla base della ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria del 12 maggio 2001 e di quanto deliberato dalla Commissione Tesseramento in data 16 maggio 2001, schierava l’atleta Parv nelle gare del 12.5.2001 e del 16.5.2001, conclusesi con la propria vittoria. Avverso tali risultati la Soc. Foppapedretti proponeva due distinti reclami al G.U.F., in-sistendo nel sostenere l’irregolarità della posizione tesserativa della predetta atleta. I.9. In data 23 maggio 2001 il G.U.F., rilevato di non aver “potere di esprimere osser-vazioni e valutazioni in merito alla posizione tesserativa dell’atleta Parv Cristina Lu-cretia (...), essendo a ciò preposta la specifica commissione”, osservato altresì di non “aver potere alcuno circa la formulazione di note critiche o censure, da riferirsi alla validità dei provvedimenti presi a riguardo da altri ordinamenti, anche se opinabili, sulla base di una interpretazione opinabile delle carte federali. (...)”, valutava “le iden-tiche difese contenute nei reclami in epigrafe (...) prive di pregio giuridico, avendo la C.T.A. deciso di omologare, anche se con riserva, il tesseramento dell’atleta Parv Cri-stina Lucretia (...). Tale riserva, che il G.U.F. fa propria, non può comunque essere o-stativa ai fini della omologazione delle gare. (...)”. Sulla base di quanto sopra, respin-geva i reclami proposti dalla Foppapedretti e deliberava di “omologare le gare con il ri-sultato conseguito sul campo”. I.10. Tale decisione veniva impugnata dalla Foppapedretti Bergamo innanzi alla Com-missione d’Appello Federale, la quale, con decisione del 22 giugno 2001, rilevato che “dagli atti risulta che l’atleta Parv nelle gare di riferimento era regolarmente tesserata Fipav, seppure con riserva; (...) che la posizione tesserativa dell’atleta Parv in tale ot-tica deve dichiararsi legittima al di là degli atti di conferma o di revoca di quel provve-dimento riservato, così che legittimamente la Parv ha partecipato alle gare del 12 e del 16 maggio u.s.”, rigettava l’appello proposto dalla squadra lombarda. I.11. Con ordinanza n. 10031 del 6 luglio 2001, il Tribunale di Reggio Calabria, acco-glieva il reclamo promosso dalla Fipav ai sensi dell’art. 669 terdecies avverso la propria ordinanza del 12 maggio 2001 che aveva imposto a tale federazione di omologare il tes-seramento dell’atleta Parv. Il Tribunale, tuttavia, non affrontava il merito della questio-ne, ma si limitava ad affermare la propria incompetenza “per essere competente il Tri-bunale di Roma”. I.12. A seguito della summenzionata ordinanza, la Commissione Tesseramento della Fipav, con delibera del 18 luglio 2001, “preso atto che l’ordinamento dello Stato non prevede ulteriori mezzi di impugnazione della pronuncia cautelare; preso atto inoltre che la Parv non ha avviato a seguito dell’ordinanza del 12 maggio il giudizio di merito come previsto dall’art. 669, octies, del codice di procedura civile, né presso il Tribuna-le di Reggio Calabria, né presso gli organi federali competenti con ciò realizzando an-che le condizioni della perdita dell’efficacia del provvedimento cautelare di cui all’art. 669 novies; ritenuto che la Commissione tesseramento debba doverosamente fare ap-plicazione degli effetti del provvedimento di accoglimento del reclamo FIPAV (...) scio-gliendo la riserva e revocando il provvedimento di omologa del tesseramento con iden-tica efficacia dal punto di vista temporale; ritenuto inoltre che l’accoglimento dell’impugnativa proposta dalla FIVAP fa rivivere le motivazioni (........), del provvedi-mento della Commissione Tesseramento del 3 maggio 2001, con il quale veniva revoca-to il tesseramento dell’atleta Parv ex art. 47, comma 1° lett. a) RAT”, decideva “di re-vocare l’omologa del tesseramento dell’atleta Parv (....) con effetto a far data dal 12 maggio 2001” disponendo altresì la trasmissione del medesimo provvedimento al G.U.F. per quanto di sua competenza. I.13. Conseguentemente, con decisione del 23 luglio 2001 il G.U.F. “esaminato il prov-vedimento affisso in data 18 luglio 2001 con la quale la C.T.A. (.....) ha revocato l’omologa del tesseramento dell’atleta Parv Cristina Lucrezia (Soc. Volley Calabria)”, riteneva che “tale ulteriore delibera impone al G.U.F. di adeguarsi e procedere ex art. 85 del Regolamento Gare all’annullamento degli incontri disputati con la partecipazio-ne dell’atleta Parv Cristina Lucrezia, quale sanzione disciplinare prevista dalla norma”.“Ribadito definitivamente che l’atleta Parv Cristina Lucrezia è quindi priva di re-golare tesseramento”, ed aggingeva il Giudice Federale di primo grado, “si tratta di stabilire quali gare debbano essere annullate, stante l’omologa, anche se con riserva adottata dalla C.T.A. in data 16 maggio 2001. Questo giudice ritiene che debba aversi riguardo alla posizione sostanziale ed effettiva dell’atleta, rispetto all’ordinamento Fi-pav, e non anche a quella deliberata, per esclusivi motivi di opportunità tecnica, non avendo la C.T.A. mai modificato il proprio orientamento, se non per adeguarsi, peral-tro con riserva al discutibile provvedimento interdittale emesso dal giudice ordinario. Ne consegue che una pronuncia di annullamento deve necessariamente colpire tutte le gare in cui ci sia stata la partecipazione dell’atleta dalla data del 3.5.2001. La fattispe-cie in esame comporta altresì l’applicazione delle ulteriori sanzioni disciplinari a cari-co dell’atleta per l’evidente dolo ravvisabile nel proprio comportamento, nonché al so-dalizio di appartenenza”. Sulla base di tali premesse, il G.U.F. così decideva di “inflig-gere al sodalizio Volley Calabria (ex art. 49 R.A.T.), la sanzione della perdita con il peggior punteggio delle gare disputate con la partecipazione della giocatrice Parv Cri-stina Lucrezia, priva di regolare tesseramento dal 3 maggio 2001, in epigrafe indicate e omologate in data 23 maggio 2001.- di infliggere alla Soc. Volley Calabria la multa di £. 10.000.000;- di sospendere da ogni attività federale l’atleta Parv Cristina Lucrezia per un anno;- di trasmettere gli atti ex art. 85 regolamento gare al Consiglio Federale per i provvedimenti di competenza”. I.14. Avverso tale decisione, nonché alla decisione della Commissione Tesseramento di revoca dell’omologa del tesseramento dell’atleta Cristina Parv, datata 18 luglio 2001, la Soc. Volley Calabria, il 2 agosto 2001 proponeva due distinte impugnazioni innanzi alla Commissione d’Appello Federale. I.15. Con decisione del 7 settembre 2001 la Commissione d’Appello Federale della Fi-pav respingeva i predetti gravami. In particolare, la Commissione osservava che “non si discute dell’eventuale illecito nel quale è incorso il Volley Reggio Calabria nel pro-muovere la procedura di tesseramento dell’atleta Parv o meglio dell’elemento psicolo-gico ad esso presupposto, bensì si controverte sulla condizionabilità del tesseramento così come adottata dal competente organo in relazione all’ordine del giudice ordinario. Premesso che il provvedimento reso in sede giurisdizionale è stato eseguito dall’Ufficio Tesseramento, avendo nel caso di specie la Federazione riconosciuto l’autorità del giu-dice ordinario, è fin troppo evidente che, decaduto quel provvedimento, deve necessa-riamente rivivere l’autorità dei regolamenti federali così come attuati per il tramite dell’Ufficio tesseramento. Orbene, il tesseramento dell’atleta Cristina Parv era stato adottato dalla FIPAV “con riserva” e della circostanza era ben consapevole sia l’atleta Parv che il Volley Calabria con la inevitabile conseguenza che, caducato il provvedi-mento giurisdizionale, inevitabilmente è venuto meno il presupposto di efficacia del tes-seramento dell’atleta a prescindere dalla legittimità o meno degli atti riferiti alla pro-cedura del tesseramento medesimo. In buona sostanza si intende sottolineare che le partite disputate dall’atleta Parv il 12 e 16 maggio erano legate alle vicende giudiziarie e di questo sia l’atleta che il sodalizio erano perfettamente consapevoli, così che in al-cun modo possono avvantaggiarsene e correttamente quel provvedimento è stato rimos-so dalla decisione del G.U.F., erroneamente impugnata perché deve ritenersi esente da errore, non nel senso di una seconda omologazione di una medesima partita, bensì di una omologa in relazione all’annullamento di un provvedimento preso “sub condicio-ne” I.16. La società Volley Calabria, con ricorso del 17 settembre 2001, impugnava tale de-cisione innanzi alla Corte Federale, rilevando, attraverso una serie di approfondite e ar-ticolate osservazioni, le plurime violazioni delle norme federali cui, nella specie, erano incorsi gli organi della Fipav. I.17. Pendente il predetto ricorso alla Corte Federale, in data 22 settembre 2001, inter-veniva la decisione del Consiglio Federale della Fipav con la quale, sul presupposto che la fase conclusiva del campionato era stata condizionata sia dall’intervento autoritativo del giudice ordinario che dai provvedimenti degli organi giurisdizionali della Fipav, fa-cendo così passare in secondo piano il principio del merito sportivo derivante dal risul-tato agonistico, deliberava di non assegnare il titolo di campione d’Italia per il Campio-nato di serie A1 femminile 2000/2001. Inoltre, recependo quanto affermato nei provve-dimenti sanzionatori sopra menzionati, attribuiva il primo posto della classifica del campionato alla Radio 105 Foppapedretti Bergamo ed il secondo posto alla Soc. Volley Calabria S.r.l.. II. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO ARBITRALE II.1. Prima di procedere ad instaurare l’arbitrato, la SOC. VOLLEY CALABRIA S.R.L. presentava il 21 novembre 2001 istanza di conciliazione alla Camera, chiedendo l’esperimento di un tentativo di conciliazione tra le parti, così come prescritto dall’art. 7.6 del Regolamento della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport (in seguito indicato per brevità come “Regolamento della Camera”, facendo riferimento al testo in vigore al momento della proposizione della istanza arbitrale). A sua volta la F.I.P.A.V., con nota del 28 gennaio 2002, contestava la posizione dell’attrice e chiedeva l’archiviazione dell’istanza. In data 5 marzo 2002, il Conciliatore nominato dalla Came-ra, Prof. Zaccheo, dichiarava inammissibile l’istanza di conciliazione proposta dalla Volley Calabria e chiudeva la procedura con apposito verbale. II.2. In data 29 marzo 2002, la SOC. VOLLEY CALABRIA S.R.L. proponeva ricorso per arbitrato a questa Camera, chiedendo al nominando organo arbitrale, “Essendo dunque pendente fra la VOLLEY CALABRIA S.R.L. e la FEDERAZIONE ITALIANA PALLAVOLO (FIPAV) la controversia i cui elementi di fatto e di diritto si sono sopra esposti, in consi-derazione degli artt. 12 dello Statuto del C.O.N.I., dell’art. 57 dello Statuto della F.I.P.A.V., nonchè degli artt. 7 e segg. della Regolamento di Conciliazione e Arbitrato del C.O.N.I., la VOLLEY CALABRIA S.R.L., come sopra rappresentata e difesa, fa istanza affinchè venga instaurato il procedimento arbitrale previsto dagli artt. 7 e segg. del Re-golamento della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport del C.O.N.I., con de-voluzione della controversia ad un Arbitro Unico ai sensi dell’art. 12 del medesimo Re-golamento, al fine di veder riconosciuto il proprio diritto a vedersi attribuito il titolo di Campione d’Italia per il campionato di serie A1 femminile 2000/2001”. II.3. In data 12 aprile 2002 la convenuta FIPAV replicava con memoria di costituzione, eccependo in via pregiudiziale e preliminare: A)l’inammissibilità dell’istanza e comun-que, l’incompetenza della Camera di Conciliazione ed Arbitrato a decidere della con-troversia e B) l’improponibilità o l’improcedibilità dell’arbitrato. Nel merito, chiedendo di respingere le domande perché infondate in fatto ed in diritto per essere il provvedi-mento consiliare censurato. II.4. Con successivi atti separati la Volley Calabria, a mezzo dei propri difensori nomi-nava quale arbitro l’Avv. Mario Sanino, del Foro di Roma, mentre la FIPAV nominava quale arbitro l’Avv. Giancarlo Guarino, del Foro di Roma, il quale accettava l’incarico con riserva. Ai sensi dell’art. 13 del Regolamento, il Presidente della Camera, sentite le parti, nominava quale Presidente del Collegio l’Avv. Carlo Guglielmo Izzo, del Foro di Roma. Successivamente l’avv. Giancarlo Guarino, ritenendo che potesse esistere una ipotesi di conflitto d’interessi tra la carica e la propria attività professionale a favore della FIPAV, rinunciava spontaneamente all’incarico. La FIPAV, pertanto, nominava quale nuovo arbitro l’Avv. Claudio Onofri del Foro di Ancona. II.5. In data 22 ottobre 2002, ai sensi dell’art. 17 del Regolamento, il Presidente del Collegio convocava gli arbitri presso la sede dell’arbitrato in Roma, V.le Bruno Buozzi, 47, i quali verbalizzavano la loro accettazione della nomina e la formale costituzione in Collegio arbitrale, procedendo subito dopo a nominare il Dott. Andrea Falzone quale Segretario del Collegio ai sensi dell’art. 16.2 del Regolamento della Camera, convoca-va, altresì, per la stessa data le parti per la prima udienza del procedimento arbitrale. Il Presidente, rilevato l’indisponibilità delle parti ad una soluzione transattiva della con-troversia, disponeva l’apertura del procedimento arbitrale. Poiché la convenuta FIPAV aveva eccepito l’incompetenza del Collegio arbitrale, il Collegio invitava le parti a de-positare memorie e documenti sul punto e a trattare la questione oralmente in occasione della prima udienza, onde consentire al Collegio di pronunciarsi preliminarmente sulla propria competenza ai sensi dell’art. 7.5 del Regolamento della Camera. A tal fine il Collegio concedeva alle parti termine per il deposito di note e documenti sino al 29/11/02 e sino al 30/12/02 per le repliche, fissando l’udienza della discussione orale per il 17/01/03, entrambe le parti depositavano nei termini assegnati. II.6. In data 17 gennaio 2003, presso la sede dell’arbitrato si svolgeva l’udienza di di-scussione sull’eccezione preliminare, nel corso della quale le parti depositavano altri documenti e discutevano le memorie depositate precedentemente. All’esito della discus-sione, il Collegio, su richiesta delle parti, assegnava termine fino al 27 gennaio 2003 per il deposito ulteriori note sulla questione della competenza, e fino al 6 febbraio 2003 per repliche riservandosi di decidere al riguardo con separato provvedimento. Entrambe le parti depositavano nei termini assegnati. II.7. In data 14 e 28 febbraio 2003 il Collegio arbitrale, riunitosi in Roma in conferenza personale, deliberava a maggioranza una ordinanza con la quale dichiarava la sussisten-za della propria competenza a giudicare della controversia e disponeva la prosecuzione del procedimento arbitrale, concedendo termine alle parti per nuove deduzioni e contro-deduzioni, anche istruttorie, sulle questioni di merito fino al 24 marzo 2003 per memo-rie e documenti, fino al 7 aprile 2003 per repliche e documenti. Fissava, inoltre, la data del 10 aprile 2003, l’udienza per la discussione orale. Il Collegio arbitrale, in conferen-za personale, disponeva, altresì, con ordinanza in data 28 febbraio 2003, che le parti versassero al Collegio un acconto e fondo spese; l’ordinanza non veniva successiva-mente eseguita dalle parti. II.8. In data 10 aprile 2003, presso la sede dell’arbitrato, si teneva la terza udienza in-nanzi al Collegio arbitrale, nel corso della quale le parti esponevano le proprie ragioni. Il Collegio Arbitrale, ascoltate le argomentazioni conclusive delle parti, si riservava la decisione in merito. II.9. Il Collegio arbitrale si riuniva in conferenza personale in Roma, presso la sede dell’arbitrato, in data 29 aprile, 7 maggio e 16 maggio 2003 e deliberava a maggioranza il presente lodo. III. MOTIVI DELLA DECISIONE SULLE QUESTIONI PRELIMINARI E PROCEDURALI. III.1. Nel presente giudizio la FIPAV ha sollevato una serie di eccezioni pregiudiziali, sulle quali il Collegio si è già pronunciato con ordinanza del 28.2.2003, le cui motiva-zioni vanno pienamente confermate. III.2. La prima e più rilevante eccezione pregiudiziale della convenuta FIPAV si so-stanzia nell’eccepire l’incompetenza del Collegio arbitrale – rectius, la carenza del re-quisito dell’arbitrabilità oggettiva, vale a dire la non compromettibilità in arbitri della controversia in quanto relativa a “diritti indisponibili” ai sensi del combinato disposto costituito dagli artt. 806 c.p.c. e 1966 c.c. – sulla base della qualificazione giuridica del provvedimento federale contestato del 22.9.2001 quale atto avente “valenza pubblicisti-ca”, lesivo non di diritti soggettivi bensì di interessi legittimi della società attrice. In altri termini, secondo la convenuta, la controversia avrebbe ad oggetto esclusivo la delibera del Consiglio federale del 22 settembre 2001, con cui fu deciso di non attribui-re il titolo di Campione d’Italia per il Campionato di serie A1 femminile 200/2001 e di assegnare comunque il primo posto della classifica alla Radio 105 Foppapedretti Ber-gamo ed il secondo posto alla società attrice. Secondo tale prospettazione, la controver-sia avrebbe ad oggetto l’esercizio di potestà pubbliche di natura discrezionale per le quali sarebbe competente il giudice amministrativo, con la conseguenza che non si ver-terebbe in tema di diritti disponibili e la controversia non sarebbe suscettibile di essere risolta mediante arbitrato. III.3. Assume, al contrario, la società attrice, che dal tenore della domanda arbitrale ri-sulta evidente che l’oggetto della controversia non attiene soltanto al cennato provve-dimento del Consiglio federale, ma investe “tutta le filiera di atti e decisioni”, che lo hanno preceduto, “tra loro legati in maniera indiscutibile e netta sia in senso logico, sia in senso letterale, sia in senso cronologico”. Specificamente la predetta società deduce che i vizi delle pregresse decisioni rese dagli organi di giustizia sportiva si riflettono sulla delibera federale, di per sé autonomamente viziata per aver deliberato in materia, sulla quale era in corso il relativo giudizio dinanzi alla Corte Federale. III.4. Così delimitato l’ambito delle contrapposte posizioni, il Collegio deve, ai fini di una corretta decisione delle questioni preliminari sollevate, decidere: a) quale sia l’oggetto della controversia deferita al suo esame; b) se tale controversia sia compro-mettibile in arbitrato. III.5. Prima di decidere le suesposte questioni, appare opportuna un breve premessa uti-le per la soluzione delle stesse. Occorre peraltro rilevare come anche l’eventuale qualificazione del provvedimento con-testato della FIPAV quale atto a valenza pubblicistica, e della correlata situazione giuri-dica soggettiva della società ricorrente quale interesse legittimo anziché diritto soggetti-vo, non risolverebbe di per sé la questione dell’arbitrabilità della controversia, in quanto parte della dottrina ha negato l’assunto della automatica non compromettibilità in arbitri delle controversie relative alla lesione di interessi legittimi (cfr. M.A. SANDULLI, Dopo la sentenza n. 500 del 1999 delle Sezioni Unite: appunti sulla tutela risarcitoria nei confronti della P.A. e suoi riflessi rispetto all’arbitrato, in Riv. arbitrato, 2000, 72; VILLA, Note sul rapporto tra arbitrato e giurisdizione amministrativa e sulla distinzio-ne tra arbitrato rituale e irrituale, id., 2001, 714; DE LISE, Commento all’art. 32, in Commento alla legge quadro sui lavori pubblici sino alla «Merloni-ter», a cura di Giampaolino, Sandulli e Stancanelli, Milano, 1999, 57 ss.). In ogni caso, le questioni sollevate investono delicati problemi interpretativi anche alla luce delle innovazioni legislative di recente introdotte nell’ambito dell’ordinamento sportivo. Invero, la riforma determinata dal d.lgs. 242/1999 (c.d. decreto Melandri) ha indotto la dottrina e la giurisprudenza a un riesame della vexata quaestio relativa alla natura giuri-dica delle federazioni sportive italiane e degli atti da esse adottati e alle conseguenze per la impugnabilità di tali atti in termini di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo. Come è noto, l’assetto precedente alla riforma era incentrato sul riconoscimento di una natura giuridica ambivalente o “mista” delle federazioni spor-tive nazionali, le quali agivano di volta in volta, a seconda del tipo di attività, in via pri-vatistica (e prevalente) quali associazioni private con l’autonomia tecnica, organizzativa e di gestione espressamente riconosciuta dall’ora abrogato art. 14 della l. 91/1981, ov-vero in via pubblicistica (e residuale) quali “organi” dell’ente pubblico CONI – secondo il dato letterale dell’ora abrogato art. 5 della l. 426/1942 – quando i fini perseguiti e gli interessi tutelati coincidevano con quelli istituzionali del CONI. La ovvia conseguenza ai fini dell’azione in giudizio contro le federazioni consisteva nella giurisdizione del giudice amministrativo per gli atti federali di tipo pubblicistico lesivi di interessi legit-timi e, di converso, nella giurisdizione del giudice ordinario per tutte le situazioni (qua-lunque fosse la natura dell’attività federale esplicata) in cui la posizione soggettiva fatta valere nei confronti della federazione avesse natura di diritto soggettivo (si vedano le fondamentali sentenze della Corte di Cassazione a sez. un.: 25 febbraio 2000 n. 46/SU, Foro it., 2000, I, 1478; 26 ottobre 1989 n. 4399, id., 1990, I, 899; 9 maggio 1986, nn. 3091 e 3092, id., 1986, I, 1251 e 1257). Il diritto positivo in materia è oggi mutato in quanto il d.lgs. 242/1999, “riordinando” l’assetto istituzionale dello sport italiano, ha abolito la qualifica delle federazioni spor-tive quali “organi” del CONI ed ha loro attribuito ex lege la natura di “associazioni con personalità giuridica di diritto privato [...] disciplinate, per quanto non espressamente previsto nel [...] decreto, dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del mede-simo” (art. 15.2 d.lgs. 242/1999), pur puntualizzando allo stesso tempo che le federa-zioni “svolgono l’attività sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO e del CONI, anche in considerazione della valenza pubblicistica di specifici aspetti di tale attività” (art. 15.1) e che il Consiglio Nazionale del CONI “stabilisce i criteri e le modalità per l’esercizio dei controlli sulle federazioni” (art. 5.2.e). La giurisprudenza successiva alla riforma – tuttora per lo più inedita – si è invero divisa tra i giudici che hanno valorizzato la sorta di “privatizzazione” operata dal d.lgs. 242/1999, così annul-lando o quasi gli spazi per una residua parte di giurisdizione del giudice amministrativo (si veda ad es. Trib. Reggio Calabria, 9 luglio 2001; Corte dei Conti, sez. giurisdiz. La-zio, 8 febbraio 2001), e coloro i quali hanno valorizzato la locuzione “valenza pubblici-stica” e il persistere dei controlli del CONI al fine di affermare la permanenza di una sfera di attività federale tuttora sindacabile dal giudice amministrativo (si veda ad es. TAR Puglia – Bari, 11 settembre 2001 n. 3477; Trib. Roma, ord. 16 aprile 2000). Nel valutare la questione, sembra al Collegio che non si possa revocare in dubbio che il legislatore abbia chiaramente manifestato la volontà di voler restringere notevolmente, se non addirittura annullare, la sfera di azione pubblicistica delle federazioni sportive nazionali. L’espressa abolizione della qualità di “organi” del CONI e l’espressa attribu-zione alle federazioni della personalità giuridica di diritto privato, con il correlato rinvio al codice civile, impongono una ricostruzione delle attività federali improntata ad un’espansione della sfera privatistica rispetto all’assetto previgente. Non si può cioè pensare di mantenere negli stessi termini di prima della riforma l’identificazione della natura pubblicistica o privatistica degli atti federali. D’altronde, già prima del d.lgs. 242/1999 era ampiamente riconosciuto che le “federa-zioni sportive nascono come soggetti privati (associazioni non riconosciute) e, in tale qualità, svolgono la gran parte dell’attività che è loro propria” (Cass., sez. un., 3091/1986, cit., 1259). Va d’altronde ricordato che il permanere dei controlli del CONI sulle federazioni- e-spressamente richiamato dalla FIPAV a sostegno della tesi sostenuta- non è di per sé particolarmente significativo, in quanto l’ordinamento statale conosce numerosi esempi di vigilanza o controllo pubblico sulle attività di soggetti privati senza che ciò, sotto il profilo ontologico, valga ad attrarre questi soggetti nell’orbita del “pubblico” e a rende-re “amministrativi” in senso stretto i loro atti. Va inoltre evidenziato che, a ben vedere, la formulazione contenuta nell’art. 15.1 del d.lgs. 242/1999 (“anche in considerazione della valenza pubblicistica di specifici aspet-ti [dell’attività sportiva]”) è posta in stretta correlazione al dovere delle federazioni di svolgere tale attività “in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO e del CONI”; la lettera della legge sembrerebbe cioè avere non tanto la funzione di attribuire natura pubblicistica ad una parte delle attività federali quanto, piuttosto, la funzione di spiegare la ratio legis delle notevoli (ed inconsuete) limitazioni alla autonomia negozia-le ed alla libertà di azione di associazioni private, da parte non solo di un ente pubblico nazionale ma anche di un ente privato internazionale. Anche l’art. 23 dello Statuto CONI, attuativo del citato art. 15 del d.lgs. 242/1999, sem-bra poter essere visto nell’ottica – tipica per uno statuto – della individuazione e delimi-tazione degli ambiti materiali in cui il CONI stesso è legittimato a emanare indirizzi ed esercitare controlli sulle federazioni, piuttosto che nell’ottica dell’attribuzione di una natura intrisecamente pubblicistica alle attività federali in tali materie. Sulla base di tale contesto normativo, e venendo alla materia dei campionati,-che se-condo la FIPAV sarebbe l’oggetto della presente controversia- ritiene il Collegio che la materia in esame, vale a dire l’organizzazione e la disciplina delle competizioni sportive anche ai fini dell’attribuzione dei relativi titoli, appare rientrare tra le funzioni primarie delle federazioni, che le svolgono in “armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del Coni”, cui compete curare e coordinare l’organizzazione delle attività sportive sul terri-torio nazionale (art. 2 n. 1 d.lgs n. 242/1999; artt. 2 e 20 Statuto CONI). Trattandosi, pertanto, di materia attinente alla organizzazione dello sport, non v’è dubbio che essa assuma evidenti connotazioni pubblicistiche, con le relative conseguenze sulla natura dei relativi atti e sul regime della loro impugnazione. III.6. Le considerazioni sopra esposte circa la natura delle federazioni e dei relativi atti vanno tenute presenti ai fini delle conseguenti statuizioni di questo Collegio, che deve ora portare l’esame sul petitum sottoposto alla sua decisione, al fine di stabilirne la sua compromettibilità in arbitri. A tal fine ritiene il Collegio che in ogni caso – vale a dire anche volendo in ipotesi qua-lificare gli atti federali contestati quali provvedimenti amministrativi e la correlata posi-zione soggettiva della società attrice quale interesse legittimo – la controversia in esame sia oggettivamente sottoponibile ad arbitrato. Infatti, se in ottemperanza ai dettami processualcivilistici del “principio dispositivo” si procede ad esaminare e a qualificare giuridicamente la domanda proposta dal Volley Reggio Calabria Srl (si veda il petitum attoreo riportato sia nella domanda di arbitrato sia nella istanza di conciliazione), si può agevolmente constatare come la domanda non sia affatto volta ad ottenere l’annullamento o la riforma del provvedimento federale, ma a valutare la legittimità di “tutta le filiera di atti e decisioni”, che lo hanno preceduto, vale a dire la legittimità di tutte le decisioni rese dagli organi della giustizia sportiva, analiticamente descritti nella domanda di arbitrato, con la specificazione dei vizi che le inficiano. L’oggetto del giudizio in sede di arbitrato presso la Camera non è affatto l’impugnazione in senso stretto di quel provvedimento federale, ma l’esame di una con-troversia relativa alla volontà compiutamente manifestata dalla federazione con riguar-do a una determinata fattispecie sviluppatasi in ambito endoassociativo. La lettera dell’art. 12 dello Statuto del CONI è d’altronde chiarissima: da un lato, alla Camera è attribuita non una mera competenza a riesaminare in appello uno specifico atto federale bensì la competenza a decidere con pronunzia definitiva sulle controversie che contrap-pongono una federazione a soggetti affiliati o tesserati; dall’altro, l’istante non impugna un atto federale bensì sottopone al giudizio arbitrale “la controversia” nel suo comples-so. Ne consegue che la controversia è compromettibile in arbitri e che il Collegio arbitrale è competente a giudicare sulla domanda proposta dal Volley Reggio Calabria. III.7. La convenuta FIPAV ha poi eccepito diversi altri profili di incompetenza del Col-legio arbitrale (o di inammissibilità della domanda o di improcedibilità dell’arbitrato). Il Collegio ritiene che anche questi ulteriori assunti della Federazione convenuta non siano condivisibili. In primo luogo, quanto all’argomento che la controversia si porrebbe al di fuori della clausola compromissoria poiché la vera controversia sussisterebbe non tra la FIPAV e la società Volley Calabria, bensì tra quest’ultima e la società Foppapedretti di Bergamo, il Collegio rileva come la controversia prospettata nel presente arbitrato sia insorta tra la prima società e la FIPAV , la quale, secondo tale prospettazione, non avrebbe corretta-mente applicato, anche attraverso le decisioni degli organi di giustizia sportiva, la nor-mativa federale. Come è noto, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., un giudice (e, analogamente, un arbitro) deve decidere sulla pretesa che è affermata nella domanda ma non oltre l’ambito di tale pretesa. Pertanto, proprio nel solco segnato dalla domanda attrice, il Collegio rileva che la Foppapedretti, che non è l’assegnataria dello scudetto, non po-trebbe subire alcuna conseguenza per effetto del presente lodo. In secondo luogo, quanto alla obiezione della convenuta circa la carenza di competenza della Camera nella materia de qua, al Collegio appare sufficiente segnalare che né nello Statuto del CONI né nel Regolamento della Camera si rinviene alcuna traccia di una e-sclusione di tale ambito materiale. Il generico riferimento alla “materia sportiva”, con-tenuto in varie parti del Regolamento della Camera (artt. 2.5, 3.1, 3.3 e 7.1.b) ma non – si badi bene – nell’art. 7.1.a applicabile a questa fattispecie, non è certo idoneo nella sua estrema indeterminatezza ad escludere dall’oggetto della clausola compromissoria una controversia quale la presente, che ha certamente attinenza con la pratica sportiva. Al riguardo, si può utilmente rammentare che già altro collegio arbitrale ha statuito che la competenza ratione materiae della Camera “non può essere interpretata in senso restrit-tivo” ed anzi comprende “ogni controversia che sorga tra tesserati [o affiliati] e Federa-zione e che abbia ad oggetto l’applicazione di una norma contenuta nello Statuto e/o Regolamento della Federazione” (Camera, lodo 11 luglio 2002, cit.). Il Collegio ritiene altresì infondata l’eccezione di inammissibilità della domanda basata dalla FIPAV sulla circostanza che il petitum proposto per la prima volta in sede di con-ciliazione, riguardi soltanto la contestata delibera consiliare, e sia, pertanto, diverso da quello poi prospettato con la domanda di arbitrato. Osserva, al riguardo, il Collegio che anche il confronto testuale dei due atti, vale a dire l’istanza di conciliazione e la domanda di arbitrato, porta agevolmente a concludere che il petitum è nella sostanza identico, in quanto anche nella istanza di conciliazione le censure della società attrice si indirizzano non solo nei riguardi delle decisioni degli or-gani di giustizia sportiva ma anche nei confronti del cennato provvedimento federale. L’unica osservazione al riguardo è che nella istanza di conciliazione non si parlava della decisione della Corte Federale, la quale si è pronunciata con decisione del 16 novembre 2001, che è stata prontamente messa a disposizione del Conciliatore prima che il mede-simo si pronunciasse, facendo così venir meno ogni contestazione sul mancato esauri-mento dei ricorsi in sede federale. III.8. Per le esposte considerazioni, il Collegio dichiara la propria competenza a giudi-care la controversia in esame e respinge le eccezioni al riguardo avanzate dalla FIPAV. IV. MOTIVI DELLA DECISIONE SUL MERITO a) Sulla legittimita’ dell’art.47 del R.A.T. della FIPAV. IV.1. La prima questione di merito che la società Volley Calabria solleva con l’istanza di arbitrato si incentra sulla censura di illegittimità dell’art. 47, lett.a) del RAT FIPAV, del quale denuncia sia la contrarietà al principio “di partecipazione all’attività sportiva da parte di chiunque in condizioni di parità e in armonia con l’ordinamento sportivo nazionale ed internazionale”, di cui all’art.16 del D. Lvo n.242/1999 ( principio ribadito dall’art.20, comma 3 dello Statuto del CONI e dall’art.1, comma 3 dello Statuto FIPAV) sia, in via più specifica, la contrarietà al divieto di discriminazione (rectius: di compor-tamento discriminatorio) nei confronti degli stranieri stabilito dall’art.43 del D. Lvo n.286/98 (secondo il quale, è vietata nei confronti dello straniero, purchè regolarmente soggiornante in Italia, ogni forma di discriminazione, intendendosi per tale ogni compor-tamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restri-zione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’appartenenza o l’origine nazionale o et-nica o le convinzioni religiose, e che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di com-promettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio in condizioni di parità dei diritti umani e delle libertà economico, sociali e culturali e in ogni altro settore della vita pub-blica – art.43 cit.). IV.2. Il primo profilo di censura, per come formulato nell’istanza di arbitrato e sviluppa-to nei successivi scritti difensivi, risulta ictu oculi privo di fondamento. Infatti, già nella sua formulazione letterale l’art.16 del D. Lvo n.242/99 richiamato, nel riaffermare il principio di parità, fa espresso riferimento all’ ”armonia” con l’ordinamento sportivo na-zionale ed internazionale e ciò significa, attribuendo alle parole il significato loro pro-prio, che il principio di parità va “calato” nelle regole sportive che, a livello nazionale ed internazionale, ne costituiscono l’ordinamento. Né potrebbe essere diversamente, del re-sto: nel caso che interessa esistono notoriamente condizioni stabilite dalla Federazioni Sportive Internazionali per il trasferimento di atleti stranieri da una Federazione Nazionale ad un’altra. Tali condizioni possono prevedere limitazioni alla libertà di stabilimen-to del singolo atleta, ma non v’è dubbio che le stesse rispondono ad interessi di carattere associativo giuridicamente rilevanti nella sfera (in senso lato “pattizia” se si vuole risali-re alla natura associativa anche delle Federazioni Internazionali) in cui hanno origine. Allo stesso modo, ulteriori condizioni possono essere poste dalle Federazioni nazionali, nell’ottica analoga di tutela degli interessi associativi che ne costituiscono il momento fondante. Ma nell’uno e nell’altro caso tali “regole” limitative sono poste con carattere generale e valgono per tutti (gli aderenti, ovviamente), senza che mai assumano il carat-tere di “discriminazione” nel senso preteso dalla società istante (ed indicato dalla norma richiamata). E’ per questo che l’art.16 D. Lvo n. 242/99 citato non si limita ad affermare apoditticamente il principio di parità, ma lo contempera, limitandone la portata, laddove stabilisce che deve essere attuato “in armonia con l’ordinamento sportivo nazionale ed internazionale”. L’art. 49 del RAT, quindi, avendo portata generale e non costituendo fonte di provvedimenti ad personam diversi nei presupposti, risponde perfettamente al principio di parità di cui trattasi, posto che a qualunque straniero – al verificarsi di de-terminate condizioni tipicamente previste dall’ordinamento sportivo – è concesso il tes-seramento e posto che per tutti valgono le ragioni ostative che hanno caratterizzato le vi-cende della situazione dell’atleta PARV. IV.3. Più complesso è invece l’esame del secondo profilo di doglianza, vale a dire quello che si riconduce alla violazione del divieto – sopra descritto – di cui all’art.43 del D. Lvo n.286/98. Va detto che tale norma risulta inapplicabile al caso di specie, non rinvenendosi i presupposti per la sua applicazione nell’assetto giuridico della FIPAV e dello sport della Pallavolo (infatti, i precedenti favorevoli ad oggi registrati hanno riguardato esclusiva-mente atleti di discipline sportive professionistiche). Nell’ordinamento italiano solo lo sport professionistico è considerato da legge dello stato (L.23 marzo 1981, n.91) attività di lavoro da svolgersi, in forma autonoma o subordinata, secondo i dettami della stessa legge. Di tal chè, ogni problema di applicabilità della normativa di cui al D.L.vo. n 286/1998 – che tutela con tutta evidenza lo straniero nel suo fondamentale diritto di in-gresso in Italia e di accesso all’occupazione – si pone, nell’ambito dell’ordinamento sportivo, con esclusivo riferimento a quelle aree dello sport ove sia prevista e disciplina-ta la “prestazione di lavoro sportivo”. Non è corretto individuare le aree di esplicazione del c.d. “Lavoro sportivo” prescindendo dalla Legge n.91/81 richiamata e dal complesso normativo che ne ha completato il “sistema”. Si abbia conto, infatti che “Sono sportivi professionisti gli atleti… che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipli-ne regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle Federazioni Spor-tive Nazionali, secondo le norme emanate dalle Federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica (art.2 L.91/81)”. La prestazione sportiva a titolo oneroso costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato (art3, c.1 legge cit.), potendo essere oggetto di contratto di lavoro autonomo solo quando ricorra uno dei requisiti tassativamente previ-sti (art. 3, 2° comma legge cit.) e che si realizza, in concreto in discipline quali il pugila-to o il ciclismo (mai nelle discipline di squadra, perché i requisiti previsti dalla legge lo escludono). La nozione di professionismo sportivo è collegata, dunque, alla presenza di alcuni presupposti oggettivi, tra i quali assume preminenza il riconoscimento quale pro-fessionista ad opera delle Federazioni Sportive Nazionali. La distinzione tra professioni-sti e dilettanti è rimessa alle singole federazioni sportive nazionali, secondo direttive del CONI, che in realtà, si limita a verificare una non contraddittorietà con le norme del CIO e dell’ordinamento sportivo internazionale. Allo stato attuale, non v’è alcun dubbio che la scelta del regime, professionistico o dilettantistico, ovvero la scelta della compresenza di entrambe le componenti (a seconda dei livelli e/o dei settori dell’attività) debba trova-re espressa menzione nei fini istituzionali della Federazione. (e’ notorio che ad oggi le Federazioni Sportive che attuano il professionismo sono: calcio, ciclismo, golf,motociclismo, pugilato, pallacanestro ). Lo Statuto della FIPAV, invece, prevede, all’art.2, comma 4 la sola pratica dell’attività sportiva dilettantistica . IV.4. L’ applicazione delle norme sul professionismo involge l’intero rapporto atleta – società – federazione dando origine ad un fascio di diritti ed obblighi nessuno dei quali risulta osservato nel caso di specie. In primo luogo, ai sensi dell’art. 4, c.1. della richia-mata legge, “Il rapporto di prestazione sportiva a titolo oneroso si costituisce mediante assunzione diretta e con la stipulazione di un contratto in forma scritta, a pena di nullità, tra lo sportivo e la società destinataria delle prestazioni sportive, secondo il contratto ti-po predisposto, conformemente all’accordo stipulato ogni tre anni dalla Federazione sportiva nazionale e dai rappresentanti delle categiorie interessate ( e, per giurisprudenza pacifica, la corrispondenza al contratto – tipo costituisce requisito formale ad substan-tiam del contratto ). In secondo luogo, il contratto deve essere depositato presso la Federazione Sportiva nazionale per l’approvazione (art.4, comma 2, è appena il caso di osservare che l’approvazione federale del contratto può concepirsi solo negli ordinamenti ove sia pre-visto statutariamente il professionismo, poiché è evidente che qualora anche la PARV avesse depositato un “contratto” presso la Federazione Pallavolo, questa non potrebbe mai approvarlo in violazione del proprio ordinamento). In terzo luogo, la predetta legge prevede gli istituti della “cessione del contratto” (art.5) e dell’ “abolizione del vincolo sportivo”. (art. 16), con una logica chiarissima. Infatti l’esistenza di rapporti di lavoro che hanno per oggetto la prestazione sportiva pretende che siano eliminate ( in applica-zione del diritto al lavoro costituzionalmente garantito ) le limitazioni alla libertà con-trattuale dell’atleta professionista. Il vincolo sportivo - che si definisce come una situa-zione di soggezione dell’atleta che consegue al tesseramento presso una società sportiva affiliata ad una Federazione sportiva nazionale, per effetto del quale, a tempo indetermi-nato, è impossibile il trasferimento dell’atleta ad altra società se non al verificarsi di de-terminate condizioni previste dai regolamenti federali – è stato esso sì, storicamente, d’ostacolo al diritto degli sportivi lavoratori di trasferirsi liberamente (vedi la famosa “Sentenza Bosman). La legge 91 ha abrogato il vincolo sportivo, a fronte della espressa previsione della cessione dei contratti degli sportivi professionisti e, con ciò, l’istituto resta in vigore esclusivamente nelle aree di sport dilettantistico che, si badi bene, sono la stragrande maggioranza in Italia. Se si pensa che lo sport è praticato da oltre 40 Federa-zioni sportive nazionali e si confronta questa cifra con il numero delle Federazioni sopra richiamate che hanno adottato lo statuto del professionismo si ha l’esatta dimensione d ei termini del problema. L’ordinamento dello Stato, su tale punto, non lascia adito a dubbi, tanto è vero che, il D.Lvo.n.286/98 prevedeva, all’epoca dei fatti di interesse del-la società calabrese e prima, quindi, della modifica recata dalla legge c.d. “Bossi – Fini” tra i casi di “ingresso per lavoro in casi particolari” gli stranieri che siano destinati “ a svolgere qualsiasi tipo di attività sportiva professionistica presso società sportive italiane ai sensi della legge 23 marzo 1981, n.91”( art.27, lett.p del D. Lvo n. 286/98 testo previ-gente). IV.5. Pertanto, il vaglio del Giudice statale (e, in questa sede, del Collegio Arbi-trale) sulle norme statutarie federali, in rapporto ai principi di tutela degli stranieri di cui al D.Lvo. n.286/98 trova pieno e legittimo fondamento, ma solo in quegli ambiti in cui si dia corretta attuazione alle norme di legge sul lavoro sportivo. In questo senso vanno let-ti – e positivamente – gli interventi del Giudice di Reggio Emilia sul c.d. “caso Ekong “ e quello del Giudice di Giulianova sul caso “Sheppard”, ma va anche compresa e condi-visa, l’ottica parzialmente diversa in cui si sono posti i giudici di Pescara e quello di Roma (precedenti rilevanti perché specifici in tema di sport qualificato dilettantistico e, in parrticolare il secondo, specifico per la pallavolo). Nei precedenti richiamati dall’attrice, ci si muove in un ordinamento “professionistico” dove alle norme della L.91/81 si aggiunge proprio il citato art. 27 del T.U. stranieri che estende le garanzie di legge a quella particolare categoria di lavoratori stranieri. Solo sulla base di questa com-pleta lettura delle norme si può comprendere il senso dell’intervento della Corte Federa-le della Federcalcio che, con la sentenza c.d “Manzella” (Corte Federale F.I.G.C, sent. del 3 maggio 2001) in applicazione di un meccanismo di auto – tutela, ha ritenuto e di-chiarato la illegittimità di talune norme regolamentari interne ostative al trasferimento degli calciatori stranieri (ma sono tutti professionisti!). IV.6. Ma, anche a voler ammettere (in via del tutto subordinata e tuzioristica) l’applicabilità dell’art.43 D. Lvo n.286/98 richiamato, non si ravvede nella portata dell’art.47, lett.a) del RAT alcuna violazione di tale norma di legge, né nel senso della discriminazione, né in altro senso riferibile a comportamenti comunque vietati. In proposito, la stessa ordinanza del Giudice designato di Reggio Calabria del 12 maggio 2001 – prodotta dalla società istante - testualmente recita (pag.2): “ A parere di questo Giudice, la norma anzidetta non importa discriminazione ai sensi dell’art.43 del d.lgv.n.286/98 ,vale a dire non determina una <>. Infatti, la norma regolamentare in discorso prevede che l’omologazione del tesseramen-to non possa esseere concessa, tra l’altro, quando “l’atleta straniero abbia partecipato con la squadra di un sodalizio straniero ad un campionato ufficiale di altra federazio-ne…che si svolge in corrispondenza del periodo di tempo nel quale si svolge, secondo il calendario ufficiale, il campionato italiano cui deve partecipare il sodalizio con il quale l’atleta intenda vincolarsi”, il coordinamento di tale norma con le precedenti dello stes-so capo III, paragrafo II, della sezione III del RAT, ed in particolare con gli artt. 43 e 44 importa che, ai fini dell’applicazione della normativa della sezione, gli atleti non si di-stinguono per nazionalità, ma solo per provenienza da federazione italiana o straniera, si che deve intendersi, per “atleta straniero”quello proveniente da federazione stranie-ra, indipendentemente dalla nazionalità, non potendosi peraltro escludere – alla luce delle previsioni dell’art.44 – che sia “staniero”, per le norme in discorso, anche il gio-catore di nazionalità italiana Ne consegue che l’ostacolo all’omologa del tesseramento non è basato esclusivamente sull’origine nazionale dell’atleta, bensì sul suo pregresso tesseramento con altra fede-razione. Peraltro, anche a voler interpretare le norme di cui sopra ….nel senso che , di fatto, es-se finiscono per impedire la partecipazione al campionato italiano di giocatori di nazio-nalità straniera, nemmeno perciò può dirsi violata la normativa di cui al d.lgv.n.286/98. Infatti, non si tratta di una preclusione radicale all’esercizio dell’attività sportiva in Ita-lia- quale, per esempio, deriva da norme regolamentari di federazioni sportive che limi-tano il numero degli stranieri tesserabili nei campionati italiani (cfr. Trib. Reggio Emi-lia, 2 novembre 2000) ovvero il loro impiego in gara (cfr. la decisione della Corte Fede-rale della F.I.G.C. del 3 maggio 2001) – ma, come osservato dalla Corte Federale e dalla FIPAV nel presente giudizio, dell’imposizione di un limite temporale che, ove cor-rettamente interpretata, risponde a finalità legittime dell’ordinamento sportivo, così come gli analoghi limiti imposti al tesseramento degli atleti della Federazione Italiana dagli artt.28 e seguenti del medesimo RAT della FIPAV”. Poste tali premesse, il Collegio non ravvede alcun elemento di contrarietà a norme impe-rative del più volte citato art.47, lett.a) del RAT della FIPAV. Il tenore letterale della norma è, infatti, univoco: l’atleta non deve aver giocato in un campionato straniero che si svolga in corrispondenza del periodo di tempo nel quale si svolge, secondo il calendario ufficiale, il campionato italiano cui deve partecipare il so-dalizio con il quale l’atleta deve vincolarsi. Il campionato italiano di serie A/F è iniziato il 22 ottobre 2000 e anche se il campionato brasiliano – dove incontestatamente aveva militato, nella stessa stagione, l’atleta PARV -, era già terminato all’atto della richiesta di tesseramento della stessa Parv per il Volley Calabria non v’è dubbio che i periodi di svolgimento dei due campionati si sono sovrapposti. Il fatto che il Campionato brasilia-no fosse concluso all’atto del tesseramento per il Volley Calabria non ha rilevanza, chè altrimenti la norma non avrebbe potuto non farne menzione. La “ratio” della norma, in-vece, è proprio quella di non tesserare atleti che comunque abbiano partecipato ad un campionato straniero che si svolga, o si sia svolto, contemporaneamente a quello italia-no. D’altra parte conforta nel senso che si sostiene anche il disposto della lettera b) dello stesso articolo: se un’atleta gioca in un campionato straniero dal primo gennaio (“… do-po l’ultimo giorno dell’anno solare in cui ha avuto inizio la stagione agonistica italia-na”), non può essere tesserato per la FIPAV, salvo i casi tassativamente indicati. Dal primo gennaio 2001 la Parv ha giocato in Brasile. L’osservazione che la norma non fa riferimento alla stagione agonistica non ha fondamento: è ovvio, infatti, che la concomi-tanza dei due campionati è riferita alla stessa stagione agonistica, cioè quella in corso. Altrimenti, argomentando nel senso che la norma si possa riferire anche ad altre annate agonistiche, si otterrebbe come risultato la totale impossibilità di tesserare atlete stranie-re. IV.7. In effetti, l’intento del legislatore sportivo di evitare indiscriminati trasferimenti in corso di campionato ha riguardo con tutta evidenza alla salvaguardia dei Campionati fe-derali sotto tutti gli aspetti tecnico – sportivo – organizzativi. Sotto tale più corretto pro-filo rilevano i risultati agonistici che maturano settimana dopo settimana, e, quindi, an-che la composizione iniziale delle squadre. Non va sottovaluta, in proposito, in regime di sport dilettantistico l’esatta portata del “Vincolo sportivo” che si determina con il tes-seramento e che realizza un vincolo esclusivo dell’atleta nei confronti della società. Tale vincolo è finalizzato non ad un asservimento sul piano personale e lavoristico, ma al conseguimento del risultato sportivo, di modo chè non può essere (tendenzialmente) modificato in corso di campionato. Questo è il principio tendenziale che regge l’intera materia e che si riscontra in tutti gli ordinamenti sportivi dilettantistici. In corso di anno agonistico è sì possibile il tesseramento, ma solo se non “interferisce” in qualche modo con un diverso “vincolo sportivo” che si sia esplicato in altri campionati nel medesimo anno agonistico e ciò perché la partecipazione dell’atleta ( in regime dilettantistico) deve contribuire alla formazione di un unico risultato agonistico in base al vincolo instaurato prioritariamente. Il principio vale, dunque, tanto per gli italiani quanto per gli stranieri e non trova ragione, anche per questo motivo, un sindacato del giudice improntato alla normativa di tutela dell’ingresso e/o del diritto al lavoro dello straniero. Alla luce delle esposte considerazioni, le censure di illegittimità dell’art. 47 del R.A.T., dedotte dalla società Volley, sono prive di fondamento e vanno respinte. b) Sulla legittimità delle decisioni degli organi di giustizia sportiva della FIPAV. IV.8. Con le ulteriori censure, dedotte nella istanza di arbitrato ed ampiamente svolte nei successivi scritti difensivi, la società Volley Calabria assume: a) che essa aveva legitti-mamente schierato l’atleta PARV nelle finali scudetto, in ottemperanza ad una serie di provvedimenti emessi sia dalla magistratura ordinaria sia dagli organi della FIPAV, con la conseguenza essa non aveva posto in essere alcun comportamento doloso: il che com-portava che la irrogazione delle sanzioni di cui all’art. 49 R.A.T. era avvenuta in totale assenza dei necessari presupposti; b) che non poteva accettarsi la tesi, fatta propria anche dalla Corte federale FIPAV, secondo la quale la società Volley Calabria e l’atleta Parv avevano consapevolmente “accettato il rischio” di subire le sanzioni di cui all’art. 49 R.A.T. in conseguenza della dichiarazione di nullità delle gare del 12 e 16 maggio 2001; c) che neanche poteva trovare applicazione, nel caso in esame, l’art. 85 Regolamento Gare della FIPAV; d) che, in ogni caso, non ricorrevano i presupposti per l’annullamento delle gare, per il principio della non modificabilità dei risultati acquisiti sul campo, valido anche per il Collegio Arbitrale. Osserva il Collegio che anche le esposte censure sono prive di fondamento. Non sembra potersi condividere l’ultima affermazione secondo la quale il Collegio Arbi-trale è sprovvisto del potere di modificare il risultato acquisito sul campo. Detta affer-mazione è innanzitutto inconferente rispetto al “thema decidendum” del presente giudi-zio. Non si tratta, infatti, di rideterminare il risultato delle gare sportive, poiché, se così inteso, il principio dell’intangibilità dei risultati non può che ricondurre il Collegio all’esame di una materia di “valenza pubblicistica” (ex art.15 D.Lvo n.242/99) preclusa alla sua competenza, al pari dei poteri deliberativi (in subjecta materia) del Consiglio Federale. Si tratta, invece, di seguire la strada tracciata con l’ordinanza resa dal Collegio in sede pregiudiziale, per esaminare quella “filiera” di atti e comportamenti che la socie-tà ricorrente ha inteso individuare come ”controversia” oggetto del presente lodo.Ed al-lora, in tale “filiera” devono rientrare necessariamente tanto i gradi di processo sportivo conclusi (nel merito), con la decisione della CAF FIPAV del 22 giugno 2001, quanto i successivi gradi di processo sportivo seguiti al provvedimento di revoca dell’omologa del tesseramento e conclusi (ancora nel merito) con la decisione della CAF FIPAV del 7 settembre 2001 (peraltro su impugnazione della stessa società reggina). Il risultato del campo, infatti, è stato modificato con provvedimento del Giudice dell’omologa del 23 Luglio 2001, rispetto al quale la società ricorrente ha spontaneamente scelto di percorre-re i gradi consentiti del processo sportivo culminati con la decisione d’appello ultima ci-tata e proseguiti, per le censure di legittimità, con l’impugnativa alla Corte Federale. Ciò posto, osserva il Collegio che il principio di “definitività” dei risultati conseguiti sul campo è principio tendenzialmente di carattere generale, soggetto però a taluni limiti tra i quali deve ritenersi, ad avviso di questo Collegio, anche la legittima costituzione del rapporto di tesseramento dell’atleta. Non va trascurato che il tesseramento è l’atto costi-tutivo di qualunque rapporto giuridico produttivo di effetti nell’ordinamento sportivo e che, in particolare negli sports di squadra, la Federazione, nel disciplinarne le modalità e le procedure, è tenuta all’applicazione di principi di “par condicio” rispetto a tutte le so-cietà affiliate, proprio per dare attuazione alla funzione pubblicistica di garanzia dell’ufficialità dei risultati. Ne consegue, che il vizio di tesseramento è certamente uno dei rari profili cui cede il citato principio dell’intangibilità del risultato del campo. Se così non fosse, e ragionando “a contrario”, si porrebbero le basi per consentire a chiun-que di legittimare successi sportivi conseguiti in plateale dispregio delle regole federali che regolano la corretta costituzione delle squadre (il tesseramento, appunto), rinviando alle sedi giurisdizionali interne od esterne ogni contesa sul punto, ma “incamerando”, per intanto, il successo sportivo.Un simile esito, profondamente ingiusto e contrario ai principi di lealtà e correttezza sportiva, sarebbe in pratica quanto conseguirebbe la socie-tà Volley Calabria, che, ove si ragionasse nel senso qui avversato, consoliderebbe sul piano sportivo gli effetti del provvedimento interinale (per principio provvisori) conse-guito presso il Tribunale di Reggio Calabria e successivamente revocato in sede di re-clamo. IV.9. Ma v’è di più. Il principio recato dall’art.85 del Regolamento Gare della FIPAV prevede, in astratto, sia la espressa “tangibilità” del risultato definitivo sul campo (in ca-so di revoca della vidimazione o dell’omologazione del tesseramento di cui ai precedenti articoli 21 e 22 dello stesso regolamento ovvero la irrogazione delle sanzioni disciplinari della perdita della gara, della penalizzazione o della retrocessione) sia la facoltà del Consiglio Federale di disciplinare in concreto gli effetti di tali provvedimenti incisivi di risultati sportivi. Prova troppo, per sostenere (come fa la società ricorrente) l’inapplicabilità di tale norma al caso di specie, rilevare che non ricorrono i caso di cui all’art.22 (falsi documenti o incapacità fisica). Invero deve ribadirsi che il caso in esame è stato pesantemente condizionato dall’intervento del Giudice statale, intervento che non poteva in nessun modo trovare previsione nelle regole tecniche federali, quale motivo di concessione (o, al contrario, di revoca) del tesseramento federale. Cosicchè, il vaglio dei provvedimenti degli organi di Giustizia della FIPAV non può, proprio nella fattispecie concreta, essere svolto avendo riguardo ai profili strettamente formali delineati dalle norme federali ( vedi, a tal proposito le pregnanti argomentazioni svolte nel Lodo H. C. Gherdeina/F.I.S.G presieduto dall’Avv. Coccia), ma, viceversa, deve tener conto della “ratio” di tali norme e dell’applicazione in via analogica di taluni istituti. In tal senso, la decisione del Giudice Unico del 23 luglio 2001, richiamando nelle premesse il provve-dimento della CTA di revoca dell’omologa del tesseramento della PARV (e, cioè, il pre-supposto di regolare costituzione della squadra), e disponendo espressamente che “l’annullamento deve necessariamente colpire tutte le gare in cui ci sia stata la parteci-pazione dell’atleta dalla data del 3-5-2001”, ha applicato norme e principi pienamente coerenti con l’ordinamento della FIPAV, adattandole – così come ha dovuto fare in pre-cedenza, la CTA - all’eccezionale sviluppo extrafederale della procedura cautelare svol-tasi presso il Tribunale di Reggio Calabria, la cui portata ed effetti non poteva essere a-prioristicamente prevista dai regolamenti federali. Tale lettura, risulta ulteriormente e definitivamente rafforzata dalle circostanze che, evidentemente non a caso, la Commis-sione Tesseramento, nel provvedimento attuativo dell’ordinanza del Giudice di Reggio Calabria, non solo aveva sottoposto l’omologa del tesseramento a “riserva di revoca”, ma si era premurata di precisare che l’eventuale revoca avrebbe prodotto effetto “ex tunc”. La società reggina doveva essere consapevole che il risultato conseguito interi-nalmente dall’atleta presso il Giudice statale era un risultato provvisorio e, forte di que-sta consapevolezza, doveva attentamente valutare il significato e la portata degli effetti del provvedimento di omologa “sub iudice” concesso dalla CTA FIPAV. Sotto tale, pur rilevante profilo, l’espressa avvertenza della revocabilità ex tunc svolgeva anche una funzione di garanzia della società, consentendo alla stessa una scelta pienamente consa-pevole circa la squadra da schierare nella partita successiva. La società, quindi, ha pre-stato acquiescenza a quel provvedimento condizionato, senza eccepirne, se non a cose fatte, la non totale sussumibilità nelle categorie ordinarie dei regolamenti federali, quand’anche, per le ragioni già dette, un simile eccezione sarebbe risultata priva di con-creta efficacia. In tal senso va letta la sentenza della Corte Federale FIPAV che richia-mandosi, in modo forse opinabile sotto il profilo tecnico giuridico, ma efficace e perti-nente sotto quello della lealtà e correttezza sportiva, alla figura del “dolo eventuale” ha voluto evidenziare nel comportamento della società reggina la piena conoscenza e con-sapevolezza della possibile perdita della gara in conseguenza della revoca del tessera-mento, in quanto espressamente preavvertita. Alla luce delle esposte considerazioni e della infondatezza delle ulteriori censure dedotte dalla società Volley Calabria, la domanda di arbitrato da quest’ultima proposta va re-spinta. V. SULLE SPESE V.1. In applicazione dell’art. 23 del Regolamento della Camera, il Collegio, tenendo conto del notevole tempo occorso (complessivamente oltre 110 ore), della complessità della controversia e della capacità finanziaria delle parti, delibera che gli onorari dell’organo arbitrale siano complessivamente pari ad €uro 18.000,00, oltre a €uro 700,00 per spese documentate di viaggio e postali dell’Avv. Claudio Onofri, €uro 500,00 per spese gestionali dell’arbitrato per l’Avv. Carlo G. Izzo, €uro 150,00 per spe-se postali dell’Avv. Mario Sanino; nonchè ad €uro 1.800,00 per spese generali, oltre al 2% per la Cassa di previdenza forense (CPA) e al 20% per l’IVA, dedotta dall’imponibile la ritenuta d’acconto del 20%. In conformità all’art. 23.2 del Regola-mento della Camera, gli onorari e le spese generali sono ripartiti nella misura del qua-ranta per cento per il presidente del collegio e del trenta per cento per gli altri arbitri, mentre le spese per i singoli arbitri devono essere a loro direttamente rimborsate. I totali da corrispondere a saldo ai singoli arbitri, tenuto conto di quanto sopra, sono liquidati nel dispositivo V.2. Quanto alla ripartizione tra le parti, il Collegio rileva che la FIPAV ha prevalso sul merito mentre la società attrice ha prevalso sulle diverse questioni procedurali sollevate dalla Federazione. Il Collegio ritiene pertanto equo ripartire gli onorari e le spese dell’arbitrato per due terzi a carico della società attrice e per un terzo a carico della con-venuta Federazione. V.3. Quanto alle spese di difesa, data anche la complessità e la novità di molte delle questioni trattate, il Collegio ritiene sussistano giusti motivi per compensarle integral-mente. P.Q.M. Il Collegio arbitrale, così statuisce: 1. La domanda proposta dalla Volley Calabria S.r.l., è respinta; 2. I diritti amministrativi versati dalle parti sono incamerati dal CONI; 3. Le parti, con vincolo di solidarietà, sono tenute a corrispondere i seguenti importi ai componenti il Collegio arbitrale a titolo di saldo degli onorari e delle spese per il procedimento arbitrale: a) La Volley Calabria S.r.l. deve corrispondere: – al presidente Avv. Carlo Guglielmo Izzo: €uro 4.799,52 oltre 10% spese generali (479,95) 2% CPA (105,60) e 20% IVA (1.077,01) meno 20% rit. acc. (1.055,00) più le spese esenti €uro 333,30, per un totale di €uro 5.740,38; – all’arbitro Avv. Mario Sanino: €uro 3.599,64 oltre 10% spese generali (359,96) 2% CPA (79,19) e 20% IVA (807,76) meno 20% rit. acc. (791,92), più le spese esenti €uro 100,00 per un totale di €uro 4.154,63; – all’arbitro Avv. Claudio Onofri: €uro 3.599,64 oltre 10% spese generali (359,96) 2% CPA (79,19) e 20% IVA (807,76) meno 20% rit. acc. (791,92) più le spese esenti €uro 462,00, per un totale di €uro 4.516,63; b) la FIPAV deve corrispondere: – al presidente Avv. Carlo Guglielmo Izzo: €uro 2.399,76 oltre 10% spese generali (239,98) 2% CPA (52,80) e 20% IVA (538,51) meno 20% rit. acc. (527,95) più le spese esenti €uro 166,65, per un totale di €uro 2.869,75 – all’arbitro Avv. Mario Sanino: €uro 1.799,82 oltre 10% spese generali (179,98) 2% CPA (39,60) e 20% IVA (403,88) meno 20% rit. acc. (395,96), più spese esenti €uro 50,00 per un totale di €uro 2.077,32; – all’arbitro Avv. Claudio Onofri: €uro 1.799,82 oltre 10% spese generali (179,98) 2% CPA (39,60) e 20% IVA (403,88) meno 20% rit. acc. (395,96), più spese esenti €uro 233,31, per un totale di €uro 2.260,63; Così deciso a maggioranza dal Collegio Arbitrale riunito in conferenza personale in Roma, presso la sede dell’arbitrato, nei giorni 29 aprile 2003, 7 e 16 maggio 2003. Avv. Carlo Guglielmo IZZO Avv. Mario SANINO Avv. Claudio ONOFRI1 IL SEGRETARIO 1 L’avv.Mario Sanino sottoscrive il presente lodo in dissenso, come da motivazione che si allega e che forma parte integrante della decisio-ne . Roma, 22 maggio 2003 OPINIONE DISSENZIENTE DELL’ARBITRATO MARIO SANINO Il sottoscritto Mario Sanino sottoscrive il presente lodo mani-festando opinione dissenziente per tutte le soluzioni riportate sub capitolo IV (motivi della decisione sul merito), in particolare sviluppate nei paragrafi IV.1, IV.2, IV.3, IV.4, IV.5, IV.6, IV.7, IV.8, IV.9, e sub capitolo V (sulle spese). In sintesi, l’Arbitro dissenziente ribadisce l’avviso che le Carte Federali consentono la modifica del risultato acquisito sul campo so-lo in casi eccezionali, che il lodo non ha individuato ( e che comun-que non sussistono nella specie), e con le soluzioni qui adottate si è anche preteso vanificare la decisione della Corte federale, che aveva confermato la validità del risultato acquisito sul campo, introducen-do una nuova forma di gravame avverso decisioni definitive, scono-sciuto dall’ordinamento sportivo. Roma, 22 maggio 2003
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