CONI – Tribunale Nazionale di Arbitrato – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it Lodo Arbitrale del 15 dicembre 2009 promosso da: Alessandro Rosi contro Federazione Italiana Pallacanestro
CONI – Tribunale Nazionale di Arbitrato – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it Lodo Arbitrale del 15 dicembre 2009 promosso da: Alessandro Rosicontro Federazione Italiana Pallacanestro
I L C O L L E G I O A R B I T R A L E
Prof. Avv. Luigi Fumagalli Presidente
Prof. Avv. Guido Calvi Arbitro
Prof. Avv. Massimo Zaccheo Arbitro
nominato ai sensi dell’art. 6 comma 3 del Codice dei giudizi innanzi al Tribunale Nazionale
di Arbitrato per lo Sport
riunito in conferenza personale in Roma, presso la sede dell’arbitrato, in data 15 dicembre
2009 ha deliberato all’unanimità il seguente
L O D O A R B I T R A L E
nel procedimento di arbitrato prot. n. 1624 del 31 agosto 2009 promosso da:
Alessandro Rosi, residente in Chiavari (GE), viale Tappani n. 29, rappresentato e difeso
dall’avv. Angelo Paone, presso lo studio di questo in Chiavari (GE), Corso Garibaldi n.
58/12 è elettivamente domiciliato, giusta delega a margine dell’istanza di arbitrato
ricorrente
contro
Federazione Italiana Pallacanestro (F.I.P.), con sede in Roma, via Vitorchiano n. 113, in
persona del sig. Dino Meneghin, suo Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli
avv.ti Guido Valori e Paola M.A. Vaccaro ed elettivamente domiciliata presso il loro studio
in Roma, viale delle Milizie n. 106, giusta delega a margine della memoria di costituzione
resistente
FATTO E SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO ARBITRALE
A. Le parti
1. Il sig. Alessandro Rosi (il “sig. Rosi” o il “Ricorrente”) è tesserato presso la
Federazione Italiana Pallacanestro in qualità di arbitro nazionale. Come tale, il sig. Rosi,
nella stagione sportiva 2008/2009, ha diretto diversi incontri di Serie B/dilettanti.
2. La Federazione Italiana Pallacanestro (F.I.P.) (la “FIP” o la “Resistente”),
associazione riconosciuta con personalità giuridica di diritto privato, è l’ente di governo
dello sport della pallacanestro in Italia, avente lo scopo di promuovere, regolare e
sviluppare l’attività cestistica italiana. Essa è l’associazione delle società e delle
associazioni sportive che praticano, promuovono o organizzano lo sport della
pallacanestro, agonistico e amatoriale, in Italia.
B. La controversia tra le parti
3. Con atto in data 30 giugno 2009 il Procuratore Federale presso la FIP deferiva alla
Commissione Giudicante Nazionale della FIP (la “Commissione Giudicante”) il sig. Rosi
per vederlo rispondere della violazione dell’art. 43 lett. a [“Atti di frode sportiva”] del
Regolamento di giustizia della FIP (il “RG”), “perché in concorso con altri, ricevute
specifiche indicazioni in tal senso, compiva atti diretti ad alterare lo svolgimento e/o il
risultato della gara Cecina Basket – Arezzo del 2-11-08, consentendo alla squadra del
Cecina Basket di ottenere una sicura vittoria, che gli assicurava uno specifico vantaggio in
classifica”.
4. A sostegno di tale richiesta il Procuratore Federale illustrava
• che dagli atti trasmessi alla FIP dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria
(e in particolare da alcune intercettazioni telefoniche) era emerso “in modo inequivocabile
come l’arbitro Rosi Alessandro in occasione della gara del 2-11-08 tra le squadre del
Cecina e dell’Arezzo, campionato di serie B dil. maschile, riceveva una telefonata
precedente alla gara stessa con la quale il Garibotti Giovanni, supercommissario
nazionale, lo informava che il Cecina avrebbe dovuto vincere l’incontro e
conseguentemente egli avrebbe dovuto attivarsi in tal senso”;
• che “il Rosi … ben si è guardato dal denunciare la gravissima iniziativa assunta dal
Garibotti con una telefonata che non lascia dubbio alcuno in ordine alla illiceità della
stessa”;
• che il sig. Rosi non si era “opposto in alcun modo alle richieste del Garibotti,
preoccupandosi addirittura degli accordi che andavano confermati anche con l’altro arbitro
dell’incontro”;
• che “la gara in questione terminava effettivamente con il punteggio di 72 a 64 in
favore del Cecina Basket, a conferma delle indicazioni ricevute dal Rosi”;
• che il sig. Rosi non aveva fornito “giustificazioni di alcuna rilevanza giuridica e/o
regolamentare”.
5. La Commissione Giudicante, con decisione in data 20 luglio 2009, pubblicata nel
C.U. n. 68 di pari data (la “Decisione della Commissione Giudicante”), ritenuta la
violazione dell’art. 43 lett. a RG, infliggeva al sig. Rosi la sanzione della inibizione allo
svolgimento di attività federali e sociali per quattro anni, fino al 3 giugno 2013.
6. A sostegno di siffatta decisione la Commissione Giudicante illustrava quanto segue:
• che era “opportuno e necessario, per comprendere le problematiche sottese alle
singole fattispecie oggetto di giudizio e per collocare e valutare le singole posizioni dei
soggetti deferiti, un breve excursus storico sul contesto fattuale e temporale della vicenda
nel suo complesso, rinviando per relationem a quanto emerso in sede di indagini presso il
Tribunale di Reggio Calabria”;
• che in tale quadro risultava che “negli anni sportivi 2007/2008 e 2008/2009 i Sigg.ri
Garibotti Giovanni, Presidente del C.I.A. fino al mese di settembre 2008 e
successivamente Supervisore dei Commissari Speciali Arbitri, Giovanni Battista Montella,
Responsabile del Settore Commissari Speciali e Alessandro Campera, Designatore dei
Commissari Speciali, «si associavano tra loro attraverso uno stabile vincolo associativo,
realizzato e costantemente alimentato da molteplici contatti telefonici tra i componenti del
sodalizio ovvero tra costoro e soggetti estranei all’organizzazione, allo scopo di
commettere una serie indeterminata di delitti di abuso di ufficio e di frode in competizioni
sportive, ponendo in essere altresì strumentali condotte delittuose finalizzate al
conseguimento di una consolidata egemonia all’interno del settore arbitrale, e al
condizionamento del campionato di Basket per le stagioni 2007/2008 e 2008/2009; non
solo, quindi, operando sul piano sportivo, ma determinando anche l’alterazione degli
equilibri di natura economico-finanziaria relativi a talune società sportive. In particolare,
realizzavano il programma criminoso mediante sistematici interventi che si realizzavano
con la predeterminazione dei voti da dare agli arbitri, concordati prima della gara sportiva
e comunicati ai commissari speciali, sia attraverso la consumazione di delitti di frode in
competizioni sportive, anche abusando o comunque avvantaggiandosi dei ruoli
rispettivamente ricoperti adoperandosi perché, anche attraverso l’opera dei commissari
speciali nominati, venissero agevolati gli arbitri compiacenti e, contrariamente, venissero
penalizzati gli arbitri che non avevano favorito le squadre indicate»”;
• che “priva di pregio” appariva l’eccezione preliminare sollevata dal sig. Rosi,
“relativa alla contestazione sulla inutilizzabilità del verbale di trascrizione dell’unica
telefonata contestatagli sul presupposto della illegittimità dell’intercettazione”, dovendosi
ritenere che “l’intercettazione che rileva è legittima. Infatti, «… la Corte di legittimità sul
punto ha specificato che se la prova è stata legittimamente acquisita in relazione al reato
per cui i limiti edittali di pena lo consentivano, tale prova potrà, poi, essere utilizzata anche
in relazione agli altri reati di quel procedimento che in quei limiti edittali non rientrano».
Quindi, le intercettazioni di conversazioni raccolte sono assolutamente utilizzabili non solo
per il delitto associativo, ma anche per i delitti fine, nel caso di specie anche per la frode
sportiva”;
• le condotte del sig. Rosi, risultanti dal verbale di trascrizione della telefonata
intercorsa, in data 2 novembre 2008, tra lo stesso e il sig. Garibotti, evidenziano a carico
del sig. Rosi “profili di responsabilità disciplinare rilevanti ai sensi dell’art. 43, lett. a) R.G.,
che prevede come ipotesi di frode sportiva: «qualsiasi atto diretto ad alterare lo
svolgimento o il risultato di gara ovvero ad assicurare ad una società un vantaggio in
classifica»”. Infatti:
nel corso della telefonata fatta dal sig. Garibotti al sig. Rosi, avvenuta prima
della disputa della gara tra le società Cecina Basket e la società Arezzo del 2 novembre
2008, il sig. Rosi aveva ricevuto dal sig. Garibotti “precise indicazioni sul comportamento
da tenere in sede di gara, al fine di favorire la squadra del Cecina «il Cecina deve vincere
e avrete il Commissario», disinteressandosi del proprio arbitraggio, considerato come per
la partita fosse già stato incaricato e contattato il commissario speciale, a piena
conoscenza della situazione”;
“le condotte accertate devono essere riportate al paradigma della fattispecie
di cui all’art. 43 lettera a) del Regolamento di Giustizia, secondo cui rientra nella fattispecie
de qua «qualsiasi atto diretto ad alterare lo svolgimento o il risultato di gara ovvero ad
assicurare ad una società un vantaggio in classifica»”;
“le condotte … di frode sportiva di cui alla norma in esame sono tutte
strutturate quali ipotesi di illecito a consumazione anticipata, cosicché l’evento antisportivo
dedotto non deve, perché si abbia frode, necessariamente realizzarsi, essendo sufficiente,
ai fini della consumazione dell’illecito, il mero compimento di un atto diretto al
raggiungimento di uno scopo fraudolento”. Dunque, “le condotte poste in essere”, ossia
l’accettazione delle indicazioni ricevute circa l’arbitraggio da tenere nella partita Cecina
Basket – Arezzo del 2 novembre 2008, “risultano … punibili già al momento della
realizzazione delle azioni criminose, a prescindere dal fatto che se ne consegua il fine”: e
“la verificazione o meno … dell’evento di danno voluto dall’agente (vittoria del Cecina
Basket, poi effettivamente avvenuta) è irrilevante rispetto alla configurazione della frode
consumata, potendo costituire nel caso fattispecie aggravata (art. 43, 3° comma R.G.)”;
• che era dunque “congrua l’applicazione della sanzione dell’inibizione per anni 4
(quattro) a svolgere l’attività federale e sociale … per le responsabilità provate in ordine ai
fatti contestati, in considerazione della gravità delle condotte tenute e del nocumento
all’immagine del movimento cestistico causato, ai sensi ed agli effetti dell’art. 43), lett. a)
R.G.”, con la conseguente “decadenza del sig. Alessandro Rosi della qualifica di arbitro e
la sua … esclusione dalle liste, ex art. 99 Regolamento C.I.A.”; e che ai fini
dell’individuazione del termine iniziale di decorrenza della sanzione irrogata si doveva
tener conto del provvedimento del 4 giugno 2009 recante la sospensione cautelare del sig.
Rosi dall’attività sportiva.
7. Con atto d’appello in data 20 luglio 2009 il sig. Rosi proponeva ricorso alla Corte di
giustizia federale della FIP (la “Corte Federale”) avverso la Decisione della Commissione
Giudicante, chiedendo, in integrale riforma della stessa, di “prosciogliere il Sig. Alessandro
Rosi, considerando sia l’inutilizzabilità delle trascrizioni, sia l’oggettiva infondatezza
dell’ipotesi accusatoria”, previe, occorrendo, alcune acquisizioni documentali. Il sig. Rosi
formulava poi, in via gradata, alcune domande subordinate.
8. Il 29 luglio 2009 la Corte Federale, con decisione pubblicata nel C.U. n. 129 di pari
data e comunicata al sig. Rosi il 24 settembre 2009 (la “Decisione della Corte
Federale”), respingeva il ricorso proposto dal sig. Rosi, confermando la sanzione irrogata
dalla Commissione Giudicante.
9. Nella Decisione della Corte Federale si osserva preliminarmente quanto segue:
“Va premesso che il ricorso in esame e la singola vicenda che esso affronta si inseriscono
in un ben più vasto contesto di comportamenti illeciti (per il diritto sportivo, per i
Regolamenti della FIP e – più in generale – per i valori di lealtà, correttezza e rispetto delle
regole che costituiscono i principi basilari del mondo dello sport), attraverso i quali taluni
commissari valutavano gli arbitri secondo indicazioni ricevute da soggetti loro
sovraordinati, in modo che quelle valutazioni consentissero di addivenire alla promozione
a categoria superiore o alla non retrocessione a categoria inferiore di arbitri «prescelti»
non necessariamente per meriti sportivi ovvero anche al condizionamento degli arbitri al
fine di renderli «sensibili» a segnalazioni di favore verso una squadra partecipante ad una
gara da loro arbitrata.
[…] Il diffuso sistema di previa concentrazione ed imposizione dei voti da attribuire agli
arbitri, solitamente contenuti tra un minimo di 64 e un massimo di 67 (con una media
quindi del 65-66), era finalizzato ad uniformare, nel corso di tutto il campionato, la
classifica degli arbitri, in modo da tenerli «sotto scacco» fino alla fine e poter decidere
all’ultimo momento, anche con la valutazione di una sola partita, con l’attribuzione di un
voto molto alto o, rispettivamente, di un voto molto basso, chi promuovere o chi far
retrocedere.
In tale quadro, la richiesta rivolta da un commissario ad un arbitro di dirigere una gara in
modo tale da far risultare vittoriosa una determinata squadra, a prescindere dal reale
merito sportivo, rientra nel complessivo disegno illecito di condizionare gli arbitri e,
attraverso di loro, l’esito delle singole partite e, conseguentemente, dell’intero campionato.
[…] la vicenda in esame va guardata anche alla luce di tale più vasto contesto, pur
rimanendo ben ferma l’autonomia dei singoli giudizi, delle singole ipotetiche responsabilità,
delle singole considerazioni e decisioni di questa Corte”.
10. Ciò premesso, la Corte Federale afferma quanto segue:
“[…] è infondato il motivo di ricorso concernente l’asserita inutilizzabilità delle
intercettazioni telefoniche per il reato di frode sportiva previsto dall’art. 1 della legge n.
401/1989 e punito con una pena che va da un mese ad un anno e, come tale, non
rientrante nelle ipotesi contemplate dall’art. 266 c.p.p. che, oltre ad un elenco tassativo di
reati, al comma 1 lettera a), limita l’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ai delitti
non colposi per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel
massimo a cinque anni.
Indipendentemente dal giusto rilievo della Commissione Giudicante Nazionale, secondo il
quale la giurisprudenza della Corte di cassazione ha chiaramente affermato che, nel caso
in cui le intercettazioni telefoniche siano state disposte nell’ambito di indagini relative a
reato rientrante nell’elenco di cui all’art. 266 c.p.p., le stesse possono essere utilizzate
nella loro interezza nel procedimento in cui sono state legittimamente disposte, a
prescindere dalla posizione processuale delle varie persone imputate, che ben potrebbero
anche essere indagate sulla base degli elementi raccolti attraverso le intercettazioni
medesime (Cass. pen., sez. III, 27.1.1996, n. 794, Russo) – nel caso di specie, le
intercettazioni telefoniche sono state autorizzate per il reato di associazione per delinquere
ex art. 416 c.p.p. contestato ad alcuni dei coindagati, rientranti nei predetti limiti edittali e
sono state utilizzate anche per la contestazione dei reati-fine – appare assorbente il
principio della totale autonomia dell’ordinamento sportivo rispetto a quello processuale
penale, che soggiace a regole e garanzie ben più stringenti in ragione della pena
comminabile e cioè la restrizione della libertà personale.
Le sanzioni irrogabili all’esito del procedimento sportivo si sostanziano invece
esclusivamente nella limitazione o, nei casi più gravi, nell’esclusione dell’esercizio dei
diritti discendenti dalla qualifica di tesserato o dalla diversa qualifica rivestita all’interno
della Federazione sportiva e pertanto non richiedono quel rigore e quelle limitazioni
processuali proporzionati alla misura dell’incidenza della sanzione penale sulla persona.
In proposito, necessita chiarire che i principi, di natura sostanziale o processuale, derivanti
dal codice penale o dal codice di procedura penale o da leggi penali, sono applicabili in
ambito sportivo solo se e nella misura in cui siano espressamente contenuti nei
Regolamenti della Federazione interessata ovvero in norme direttamente applicabili
ovvero ancora siano espressione di principi fondamentali in materia di procedimento
disciplinare.
Al riguardo, sia l’art. 70 bis del R.G., sia l’art. 2 della legge n. 401 del 1989 – in base ai
quali gli organi della giustizia sportiva, ai fini esclusivi della propria competenza funzionale,
possono chiedere copia degli atti del procedimento penale ai sensi dell’art. 116 c.p.p.
fermo restando il divieto di pubblicazione di cui all’art. 114 dello stesso codice –
consentono l’utilizzabilità degli atti in questione e comunque non la vietano espressamente
in un procedimento connotato dalla celerità e dal principio di libertà delle forme e
dell’acquisizione della prova, che costituiscono i cardini della giustizia non statuale (art.
816 bis c.p.c.) ed in particolare della giustizia sportiva.
Né possono ritenersi in alcun modo lesi il principio del contraddittorio e il diritto di difesa,
garantiti dall’art. 4 del R.G., atteso che il Rosi ha avuto ampiamente modo di chiarire ogni
circostanza nei tre interrogatori della Procura federale del 28.4.2009, del 12.5.2009 e del
25.6.2009”.
11. Nel merito, poi, la Corte Federale ha rilevato che:
“[…] il contenuto della telefonata intercettata è così chiaro da non necessitare di alcun
ulteriore approfondimento circa il profilo dell’elemento psicologico ed il contesto in cui le
parole sono state espresse.
In particolare, il Garibotti si raccomanda: «il Cecina deve vincere e avrete il commissario»
e il Rosi risponde: «ah, va bene»; il Garibotti insiste «va bene? Glielo dici anche a quel
cretino che guida, comunque ve lo dirà anche il commissario, vi dirà, vi ha chiamato
Gianni? Così almeno» e il Rosi conferma: «ok perfetto»; «va bene?» incalza il Garibotti,
«va bene, ok Gianni» ribadisce il Rosi.
Appare davvero difficile sostenere che il Garibotti avrebbe espresso un mero auspicio,
«senza ottenere alcuna esplicita risposta dal Rosi». Anzi, la naturalezza con la quale il
Rosi risponde al super commissario, senza stupirsi, senza meravigliarsi della
sorprendente richiesta, lascia chiaramente intuire che fosse del tutto normale per lo stesso
ricevere telefonate di quel tenore. L’unica telefonata intercettata è quindi sintomatica di
un’abitualità di comportamenti illeciti che va ben al di là del caso specifico.
Quanto al rilievo che nel corso della competizione non vi sarebbero state proteste da parte
dei giocatori della squadra ospite e che nessuno avrebbe sollevato dubbi di irregolarità
circa l’arbitraggio, basti osservare, al contrario, che dal rapporto arbitrale, nello spazio
riservato ai comportamenti non regolamentari, risulta che «al termine della gara il
giocatore Radaelli L. del Basket Arezzo si rivolgeva al 1° arbitro (il Rosi) in maniera
minacciosa esclamando: «sarà il caso che ti mandino ad arbitrare all’U20».
Inoltre, nello spazio riservato ad ulteriori chiarimenti, si legge «al rientro negli spogliatoi, un
giocatore non identificato del Basket Arezzo esclamava: “Ragazzi, state tranquilli, almeno
non saremo 7 contro 5” e dava un pugno forte alla porta degli spogliatori».
Quanto al maggior numero di riti liberi riconosciuti all’Arezzo rispetto al Cecina, va
sottolineato che, a fronte di una partita conclusasi 72 a 64 per il Cecina, dal referto di gare
si evince che la prima metà della partita segnava un tale vantaggio del Cecina sull’Arezzo
(37 a 18) che i tiri liberi concessi a quest’ultima squadra erano probabilmente finalizzati a
rendere meno smaccato un arbitraggio sino a quel momento palesemente favorevole al
Cecina”.
12. Venendo alla qualificazione del fatto contestato, la Corte Federale ha rilevato che
“esso risponde in pieno alla condotta di frode sportiva prevista dall’art. 43, comma 1 lett.
a), del R.G., che vieta «qualsiasi atto diretto ad alterare lo svolgimento o il risultato di gara
ovvero ad assicurare ad una società un vantaggio in classifica». Sul punto è totalmente
irrilevante verificare se, in concreto, l’arbitraggio abbia effettivamente comportato detti
effetti, trattandosi di un’ipotesi di illecito disciplinare a consumazione anticipata, nel senso
che, come rilevato anche da attenta dottrina, non è necessario che la frode si consumi (ad
es., che lo svolgimento o il risultato di una gara venga concretamente alterato), risultando
sufficiente che il soggetto agente ponga in essere un atto, di qualunque genere, finalizzato
al raggiungimento di uno qualunque degli obiettivi illeciti elencati nell’articolo 43 R.G. E,
nella specie, è pacifico che il comportamento del Rosi fosse finalizzato al raggiungimento
dello scopo di cui alla lettera a) dell’articolo citato”. Dunque la Corte Federale ha ritenuto
che non potesse “essere accolta l’istanza di derubricazione dell’infrazione di omessa
denunzia ex art. 45 del R.G. in quanto l’adesione alla richiesta del Garibotti risulta
inequivocabilmente da un assenso manifestato per ben tre volte, senza alcuna resistenza
e senza alcuna sorpresa: «Va bene; ok perfetto; va bene, ok Gianni»”.
13. Confermata la responsabilità del sig. Rosi, la Corte Federale ha dunque ritenuto
che anche l’entità della sanzione irrogata in primo grado fosse meritevole di conferma: “la
gravità dei fatti e il rilevante danno all’immagine del movimento cestistico nazionale che ne
è derivato, in uno al comportamento procedurale dell’interessato, ancora in questa sede
fermo nel negare l’evidenza del fatto, non consentono di considerare sproporzionata la
sanzione irrogata rispetto agli illeciti perpetrati”. La gravità della sanzione, anzi, sarebbe
resa necessaria dalla gravità dell’illecito, potendosi supporre che l’asservimento del sig.
Rosi a indicazioni del commissario si sia manifestato anche in altre occasioni.
C. Il procedimento arbitrale
C.1 Lo svolgimento dell’arbitrato
14. Con istanza di arbitrato in data 25 agosto 2009, rivolta al Tribunale Nazionale di
Arbitrato per lo Sport (il “TNAS”) ai sensi degli art. 9 ss. del Codice dei giudizi innanzi al
Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport (il “Codice TNAS”), il Ricorrente dava avvio al
presente arbitrato per ottenere la riforma della Decisione della Corte Federale, nominando
quale proprio arbitro il prof. avv. Guido Calvi.
15. Con memoria di costituzione depositata in data 22 settembre 2009 la FIP si
costituiva nel procedimento arbitrale così avviato, chiedendo, in sostanza, la conferma
della Decisione della Corte Federale, e nominando quale proprio arbitro il prof. avv.
Massimo Zaccheo.
16. Gli arbitri designati dalle parti nominavano quale Presidente del Collegio Arbitrale il
prof. avv. Luigi Fumagalli, che in data 2 ottobre 2009 accettava l’incarico.
17. Il 9 ottobre 2009 il Collegio Arbitrale emetteva ordinanza del seguente tenore:
“considerato che, tra gli atti depositati in giudizio, non è stata prodotta la trascrizione
dell’intercettazione telefonica che l’istante avrebbe ricevuto prima della gara Cecina
Basket Arezzo del 2 novembre 2008 da un superiore nell’organizzazione arbitrale;
considerato, altresì, che tra gli atti depositati in giudizio non sono stati prodotti i documenti
considerati dalle istanze disciplinari della Federazione Italiana Pallacanestro posti a
fondamento della sanzione irrogata all’istante
considerato, infine, che la Corte Federale non ha, allo stato, ancora depositato la
motivazione della decisione impugnata o che, comunque, detta motivazione non risulta
depositata agli atti del procedimento arbitrale;
ritenuto, quindi, opportuno acquisire, preliminarmente, dette documentazioni
IL COLLEGIO ARBITRALE
Ordina alla Federazione Italiana Pallacanestro di depositare presso la Segreteria del
Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport – in n. 5 copie - entro sette giorni dal
ricevimento della presente ordinanza l’intero fascicolo dei procedimenti disciplinari, nonché
– se già emessa – la decisione della Corte Federale, con la motivazione della stessa.
Con riserva di stabilire successivi termini per il deposito di memoria da parte della parte
ricorrente e di replica da parte della Federazione Italiana Pallacanestro e fissare l’udienza
di discussione sulle istanze istruttorie e di merito formulate dalle parti”.
18. In data 16 ottobre 2009 la FIP, in ottemperanza all’ordinanza del 9 ottobre 2009,
depositava copia della Decisione della Corte Federale, completa di motivazione, nonché
copia del’intero fascicolo dei procedimenti disciplinari.
19. Con ordinanza emessa il 26 ottobre 2009, il Collegio Arbitrale, dato atto del
deposito degli atti di cui alla precedente ordinanza, concedeva un termine al Ricorrente
per il deposito di memoria illustrativa del ricorso, alla luce della pubblicazione della
motivazione della Decisione della Corte Federale, nonché successivo termine per il
deposito di memoria di replica da parte della Resistente; fissava infine l’udienza per la
discussione della controversia.
20. Sulla base dell’ordinanza emessa dal Collegio Arbitrale:
• il sig. Rosi depositava una memoria autorizzata datata 3 novembre 2009;
• la FIP depositava in data 11 novembre 2009 una memoria di replica.
21. In data 20 novembre 2009 si teneva in Roma l’udienza di discussione della
controversia, in cui, rivelatosi infruttuoso l’esperito tentativo di conciliazione, le parti
illustravano le rispettive posizioni. All’esito della stessa, le parti si dichiaravano soddisfatte
dello svolgimento dell’arbitrato e davano atto della piena osservanza del principio del
contraddittorio. Il Collegio Arbitrale si riservava quindi ogni decisione sulle domande delle
parti.
C.2 Le domande delle parti
a. Le domande del sig. Rosi
22. Nella propria istanza di arbitrato il sig. Rosi ha chiesto l’accoglimento delle seguenti
conclusioni:
“Piaccia all’Ecc.mo Tribunale Arbitrale adito, contrariis reiectis
in via principale: dichiarare nulla, illegittima e comunque annullare o revocare la sanzione
disciplinare inflitta al Sig. Alessandro Rosi a norma dell’art. 43 lett. a) Regolamento di
Giustizia FIP, con ogni conseguente provvedimento;
in subordine: nell’ipotesi in cui si ravvisi un comportamento disciplinarmente rilevante del
Sig. Alessandro Rosi, rinviare gli atti alla Procura Federale FIP per la contestazione
dell’ipotesi di omessa denuncia ai sensi dell’art. 45 Regolamento di Giustizia FIP; ovvero,
in ulteriore subordine, applicare direttamente la sanzione prevista da detta norma nel
minimo edittale.
In ogni caso: addebitare alla FIP i compensi degli Arbitri e delle spese di lite”.
23. In via istruttoria, poi, il Ricorrente ha domandato che il Collegio Arbitrale,
“occorrendo”, voglia:
“- chiedere alla Procura della Repubblica di Reggio Calabria, a norma dell’art. 116 c.p.p.,
copia del decreto di autorizzazione all’intercettazione a carico di Alessandro Rosi;
- sentire a testimone il Sig. Antonio Castagnino, arbitro FIP che ha diretto l’incontro
Cecina/Arezzo insieme all’esponente, affinché riferisca lo svolgimento della gara, le
iniziative assunte dall’arbitro Rosi, il suo assenso e/o dissenso verso le iniziative del
collega;
- disporre la visione del filmato dell’incontro Cecina/Arezzo, eventualmente avvalendosi
dell’ausilio di esperti nominati dalle parti per l’esame delle decisioni arbitrali”.
b. Le domande della FIP
24. Nella propria memoria di costituzione la FIP ha chiesto al Collegio Arbitrale di
“respingere comunque e in ogni caso il ricorso e ogni avversa domanda istanza e
conclusione perché destituite di fondamento in fatto e in diritto e non ammissibili con
conferma delle decisioni emesse dalla CGN e dalla Corte Federale impugnate e
comunque dalla sanzione così come comminata dagli Organi di Giustizia sportiva della
FIP.
Con vittoria di spese, competenze, onorari di difesa e, vinte le spese, i diritti e gli onorari
della procedura, con refusione delle somme versate e versande dalla FIP a tali titoli”.
C.3 La posizione delle parti
a. La posizione del sig. Rosi
25. A parere del Ricorrente la sanzione disciplinare inflittagli è illegittima sotto più profili:
i. in primo luogo, nella prospettazione del Ricorrente, “la misura punitiva è stata
adottata in forza di intercettazione telefonica inutilizzabile, anche da parte della Giustizia
Sportiva, in quanto assunta al di fuori dei limiti di legge e quindi in violazione dei diritti alla
difesa, al contraddittorio e al giusto processo, garantiti dalle convenzioni internazionali,
dalla Costituzione e dai principi statutari del CONI”. Secondo il Ricorrente, infatti, la sua
responsabilità disciplinare sarebbe stata ritenuta provata esclusivamente in forza di una
conversazione telefonica, intercorsa fra lo stesso Rosi e il supercommissario Garibotti,
riportata su un brogliaccio della Polizia Postale del 5 novembre 2008. A parere del
Ricorrente, tuttavia, l’art. 266 c.p.p. consentirebbe l’intercettazione di conversazioni
soltanto per i delitti non colposi, per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della
reclusione superiore nel massimo a cinque anni. Ne conseguirebbe, dunque, che tale
mezzo d’indagine non sarebbe consentito per il reato di frode sportiva, che prevede la
pena della reclusione fino ad un anno: l’intercettazione sulla cui base è stata ritenuta la
sua responsabilità dagli organi disciplinari della FIP è stata dunque “raccolta al di fuori dei
limiti di legge” ed è “quindi illegittima ed inutilizzabile, a norma dell’art. 271 c.p.p.”.
Essendo l’intercettazione inutilizzabile secondo i principi dell’ordinamento statuale, essa lo
sarebbe anche nell’ambito del processo sportivo, che deve “rispettare i principi generali
dell’ordinamento e la disciplina legislativa richiamata dagli statuti sportivi” e “deve essere
sempre improntato ai principi di rispetto del contraddittorio e garanzia del diritto di difesa,
secondo quanto stabilito dalla nostra Costituzione e dalle Convenzioni Internazionali a
tutela dei Diritti dell’Uomo”, oltre che dai Principi di Giustizia Sportiva approvati dal CONI
con delibera del 28 febbraio 2007. Né varrebbe a rendere ammissibile l’utilizzo
dell’intercettazione de qua l’argomentazione della Commissione Giudicante – confermata
dalla Corte Federale – secondo la quale le intercettazioni disposte per il reato associativo
sono utilizzabili anche per i reati-fine, in quanto l’utilizzabilità delle intercettazioni è prevista
solo nei confronti di coloro che siano indagati per il reato associativo: poiché il sig. Rosi
non è stato indagato per associazione a delinquere, non vi sarebbe alcuna ipotesi di reato
che avrebbe giustificato il ricorso e/o l’utilizzo delle intercettazioni;
ii. in secondo luogo, anche a considerare utilizzabile l’intercettazione, “non è
possibile ritenere provata l’ipotesi della frode sportiva, anche perché non è stato accertato
alcun comportamento concreto dell’arbitro, volto a favorire la vittoria del Cecina”. Da un
lato, infatti, la conversazione telefonica in esame, di cui il brogliaccio redatto dalla Polizia
Postale riporta unicamente uno stralcio, non sarebbe sufficiente a provare, in modo certo e
univoco, un accordo per commettere una frode sportiva. Pertanto, gli organi di giustizia
della FIP avrebbero dovuto estendere la propria indagine anche al comportamento tenuto
dal sig. Rosi nel corso della gara, non limitandosi al solo esame dell’intercettazione.
Secondo il Ricorrente, infatti, l’esame della competizione sportiva avrebbe consentito di
escludere la sussistenza della pretesa frode, non essendovi stato nel corso della gara
alcun episodio contestato, né essendo mai stato sollevato alcun dubbio (ad esempio dalla
stampa locale) circa pretesi errori arbitrali. Pertanto, non vi sarebbe alcuna prova (al di là
dell’aver ricevuto l’invito telefonico a favorire la squadra del Cecina) del compimento da
parte del sig. Rosi di un comportamento materiale che sia stato inequivocabilmente rivolto
ad influire sullo svolgimento della gara, secondo la definizione di frode sportiva delineata
dall’art. 43 lett. a RG. Né tale assenza di prova può essere supplita dalle annotazioni
riportate nel referto di gara, le quali dimostrano semmai la buona fede del sig. Rosi;
iii. in terzo luogo, il Ricorrente illustra come, a suo avviso, non vi possa essere
una frode sportiva senza atti materiali idonei ad alterare la competizione: “se anche fosse
provato il tentativo del commissario di influire sulla competizione, la sola passiva ricezione
di indicazioni fraudolente, non seguita da alcun tentativo di darvi esecuzione, non può
configurare una frode sportiva”. Affinché questo sussista, “occorre che taluno abbia
compiuto un qualche atto materiale, obiettivamente rivolto a fornire un vantaggio illecito ad
uno dei due contendenti”;
iv. a parere del Ricorrente, dunque, in caso di recezione meramente passiva
dell’invito del Supercommissario a favorire la squadra del Cecina, “non avremmo
un’ipotesi di frode sportiva, ma di omessa denuncia, a norma dell’art. 45 del Regolamento
di Giustizia FIP”. A parere del Ricorrente, tale conclusione sarebbe evidente anche alla
luce delle affermazioni contenute nell’atto di deferimento della Procura Federale del 30
giugno 2009, secondo la quale “il Rosi Alessandro ben si è guardato dal denunciare la
gravissima iniziativa assunta dal Garibotti”. Pertanto, lo stesso atto di deferimento
descriverebbe il contegno del sig. Rosi in termini non di frode sportiva, bensì di omessa
denuncia e come tale avrebbe dovuto essere, se del caso, sanzionato;
v. infine, il Ricorrente contesta la misura della sanzione inflitta “semplicemente
per aver ricevuto una telefonata”.
26. Il Ricorrente critica inoltre la Corte Federale sotto ulteriori profili. In primo luogo, il
Ricorrente lamenta come la motivazione della Decisione della Corte Federale non sia
stata depositata nel termine previsto dal RG (all’art. 47 comma 5). Inoltre, il Ricorrente
deduce l’irrilevanza del richiamo, operato dalla Corte Federale, ad un presunto contesto
illecito nel quale si collocherebbero le pressioni esercitate sugli arbitri: a parere del
Ricorrente, le circostanze in cui si sostanzierebbe siffatto contesto non ergerebbero dagli
atti del procedimento e non sono mai state discusse in esso; inoltre, esse sarebbero del
tutto irrilevanti.
b. La posizione della FIP
27. La posizione della Resistente, quale formulata in atti a sostegno delle proprie
difese, può essere riassunta come segue:
i. in merito alla presunta inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, in quanto
asseritamene acquisite fuori dai limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 c.p.p., la
Resistente afferma che il divieto di utilizzazione concerne unicamente il procedimento
penale e comunque richiede un accertamento che è di competenza esclusiva del giudice
penale: le questioni sollevate dal Ricorrente circa i limiti imposti dalla legge in relazione
all’utilizzazione delle intercettazioni quale mezzo di prova nel procedimento penale, “non
entrano in sede sportiva, atteso che il procedimento disciplinare appartiene non ad un
«diverso procedimento» ma ad un «diverso ordinamento»”: la valutazione circa la
legittimità della raccolta dell’intercettazione non spetta al giudice sportivo che accede agli
atti del procedimento penale. È pertanto da escludere che l’eventuale inutilizzabilità delle
intercettazioni telefoniche possa spiegare effetti oltre gli ambiti processuali penali e
pertanto “non può impedire l’apprezzamento delle stesse in sede disciplinare”;
ii. il sistema sanzionatorio disciplinare, peraltro, non conosce il principio di
tipicità dei mezzi di prova proprio del processo penale e pertanto “ogni dato idoneo a
formare il convincimento del giudicante è apprezzabile”;
iii. quanto al contenuto delle intercettazioni, la Resistente afferma che dal tenore
della conversazione emerge la “chiara manifestazione di assenso data dal Rosi” alla
richiesta di Garibotti di dare partita vinta al Cecina;
iv in merito alla mancata prova della commissione di atti diretti ad alterare la
gara, la Resistente afferma che la frode sportiva di cui all’art. 43 RG è un illecito tipico a
consumazione anticipata, ove quindi anche la soglia di punibilità della condotta è
anticipata. Pertanto, non sarebbe “rilevante che l’arbitro abbia posto in essere un
arbitraggio compiacente … ma è rilevante che l’arbitro abbia prestato il proprio assenso a
farlo”;
v. la richiesta, avanzata dal Ricorrente in via subordinata, di rinviare gli atti agli
organi disciplinari della FIP per la contestazione dell’ipotesi di omessa denuncia ai sensi
dell’art. 45 RG, non potrebbe essere accolta, poiché il TNAS non avrebbe i poteri per
rinviare gli atti al giudice federale, essendo “tenuto ad emettere il lodo sulle decisioni
impugnate in ricorso”; pertanto la richiesta non sarebbe ammissibile oltre ad essere,
comunque, infondata in quanto “il Rosi non ha … avuto conoscenza di atti altrui, ma è
partecipe della frode, ossia ha tenuto una condotta atta a determinare il patto illecito”;
vi. le istanze istruttorie formulate dal Ricorrente devono essere respinte in
quanto “inammissibili e irrilevanti”.
MOTIVI DELLA DECISIONE
A. Sul merito della controversia
1. Il Ricorrente contesta sotto più profili le decisioni con le quali gli organi disciplinari
della FIP (la Commissione Giudicante e la Corte Federale) gli hanno inflitto una sanzione
per il compimento di “atti di frode sportiva”, ossia dell’illecito previsto dall’art. 43 comma 1
lett. a RG. In buona sostanza, il Ricorrente sostiene che la sanzione è stata inflitta
utilizzando prove inammissibili; e comunque che tali prove (anche se ammesse) non
consentirebbero di ritenere sussistente l’illecito ascrittogli. In ogni caso, poi, la sanzione
inflitta sarebbe eccessiva.
2. Preliminarmente, al Collegio Arbitrale appare peraltro opportuno considerare
un’osservazione formulata in atti dal Ricorrente, pur non tradotta in autonomo motivo di
censura della decisione impugnata. Rileva infatti il sig. Rosi che il testo integrale della
Decisione della Corte Federale non è stato depositato nel termine di sette giorni dalla sua
adozione, come invece previsto dall’art. 47 comma 5 RG.
3. Sul punto il Collegio Arbitrale concorda con il Ricorrente sull’opportunità del
costante rispetto da parte degli organi di giustizia della FIP del termine stabilito dall’art. 47
comma 5 RG: l’osservanza di esso (da parte degli organi chiamati a garantire che gli
associati nella FIP rispettino le disposizioni federali) corrisponde all’aspettativa delle parti
coinvolte nei procedimenti disciplinari, che legittimamente aspirano a conoscere le ragioni
delle decisioni che le riguardano, e soprattutto delle sanzioni loro inflitte; e inoltre appare
idoneo a produrre un effetto deflattivo sul contenzioso arbitrale, in quanto tempestive – e
accurate – motivazioni potrebbero dissuadere il sanzionato dall’avviare giudizi
impugnatori.
4. Il Collegio Arbitrale sottolinea comunque che il deposito della motivazione oltre il
termine stabilito dall’art. 47 comma 5 RG non priva la decisione disciplinare della propria
forza vincolante, in difetto di sanzione puntuale di inefficacia, né realizza un vizio della
decisione, che ciò solo ne giustifichi l’annullamento in sede di arbitrato ai sensi del Codice
TNAS. E invero l’impugnazione di fronte all’organo arbitrale ha natura ed effetto
pienamente devolutivi: il potere di cognizione dell’organo adito si esercita direttamente
sulla violazione disciplinare attribuita al soggetto ritenuto responsabile e non è limitato alla
verifica della legittimità formale della decisione impugnata. Dunque, questo Collegio
Arbitrale può conoscere dei fatti sui quali è intervenuta la pronuncia contestata e giudicare
sulla sussistenza della responsabilità disciplinare del sig. Rosi, ancorché il deposito della
motivazione della Decisione della Corte Federale sia avvenuto oltre il termine stabilito dal
RG. E ciò anche in considerazione del fatto che comunque il Ricorrente ha potuto, in
corso di arbitrato, prendere conoscenza delle motivazioni offerte dalla Corte Federale a
sostegno della propria decisione e argomentare, anche in apposita memoria, su di esse.
Anche sotto tale profilo, pertanto, nessun pregiudizio è derivato al Ricorrente dal tardivo
deposito delle citate motivazioni.
5. Il primo profilo di censura, svolto dal Ricorrente avverso le decisioni assunte dagli
organi disciplinari della FIP, che questo Collegio deve esaminare, attiene alla utilizzabilità
nel procedimento disciplinare sportivo, e quale fondamento della sanzione irrogata,
dell’intercettazione della conversazione telefonica avvenuta in data 2 novembre 2008 tra il
sig. Rosi e il sig. Giovanni Garibotti. Siffatta utilizzabilità viene negata dal Ricorrente (cfr.
§ 25 (i) che precede), anche in relazione a principi di natura sovra-ordinata, in quanto
l’intercettazione sarebbe stata raccolta in violazione dei limiti di legge (e in particolare
dell’art. 266 c.p.p.), cui l’ordinamento sportivo deve sottostare. La piena utilizzabilità
dell’intercettazione viene invece difesa dalla Resistente (cfr. § 27 (i) che precede), che,
confermando le motivazioni della Decisione della Corte Federale, sottolinea a tal proposito
la distinzione tra l’ordinamento sportivo e il sistema penalistico dello Stato e i differenti
compiti spettanti al giudice dello Stato e agli organi disciplinari delle federazioni sportive.
6. Il Collegio Arbitrale non condivide la dedotta censura di illegittimità, anche alla
stregua degli invocati parametri costituzionali e internazionali, della Decisione della Corte
Federale, impugnata per l’utilizzazione di una intercettazione telefonica asseritamente
illegittima. A tal riguardo, il Collegio sottolinea come non spetti ad esso, ancorché ai
limitati fini del giudizio sulla responsabilità disciplinare del sig. Rosi, ogni valutazione circa
la legittimità o meno della contestata intercettazione ai fini e nell’ambito del procedimento
penale in cui si è realizzata: come sottolineato dalla Resistente, tale valutazione,
finalizzata al giudizio (ai sensi dell’art. 271 c.p.p.) sulla utilizzabilità dell’intercettazione nei
confronti del sig. Rosi per far valere una eventuale responsabilità penale di questi, spetta
unicamente al giudice penale. L’ordinamento sportivo, al cui ambito si riferiscono le
funzioni degli organi disciplinari della FIP, nonché il potere di giudizio e gli effetti della
decisione del presente Collegio Arbitrale, è infatti improntato a finalità diverse rispetto al
sistema del processo penale e basato su principi peculiari: ferma restando la necessità di
garantire ad ognuno un equo processo, il giudizio disciplinare sportivo si atteggia a principi
di libertà di forme che non risentono di restrizioni “tecniche” deducibili dal codice di
procedura penale; come ritenuto anche in precedenti pronunce rese nel sistema della
Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport (lodi del 27 ottobre 2006, nei casi
Juventus, Fiorentina, Milan e Lazio), i limiti all’utilizzabilità delle intercettazione posti da
principi applicabili nell’ambito del processo penale non sono estensibili ad altri
procedimenti, e in particolare a quelli disciplinari sportivi. Preso atto dell’intercettazione
telefonica realizzata da organi dello Stato nell’ambito di un procedimento penale, l’organo
disciplinare sportivo ben può utilizzarne le risultanze, sulla base di principi (anche
procedurali) propri dell’ordinamento sportivo, ai fini delle valutazioni ad esso spettanti. Ciò
poteva (e può) avvenire anche nei confronti del sig. Rosi, nel rispetto (come accaduto nel
caso concreto) delle garanzie proprie anche dell’ordinamento sportivo: dell’equo processo,
del principio del contraddittorio e dei diritti della difesa.
7. Il Collegio ritiene dunque che l’intercettazione della conversazione telefonica
avvenuta in data 2 novembre 2008 tra il sig. Rosi e il sig. Giovanni Garibotti ben poteva
essere utilizzata dagli organi disciplinari della FIP, e può essere presa in considerazione
nell’ambito del presente arbitrato.
8. Il problema che si pone dunque – e che deve essere analizzato dal Collegio
Arbitrale – riguarda il contenuto di tale conversazione, ossia se essa attraverso di essa si
sia realizzato l’illecito per il quale il sig. Rosi è stato punito dagli organi disciplinari della
FIP, ossia la frode sportiva prevista dall’art. 43 par. 1 lett. a RG.
9. Ai sensi dell’art. 43 del RG:
“[1] Costituiscono atti di frode sportiva:
a) qualsiasi atto diretto ad alterare lo svolgimento o il risultato di gara ovvero ad
assicurare ad una società un vantaggio in classifica; […]
[2] Gli atti di frode sportiva sono sanzionati con l’inibizione per un periodo da tre a
cinque anni. Nel caso di tentativo la sanzione è diminuita in misura non superiore a
due terzi.
[3] Nei casi di frode sportiva consumata di particolare gravità ovvero che rechi
nocumento all’immagine del movimento cestistico nazionale può essere applicata la
radiazione”.
10. In relazione a siffatte disposizioni gli organi disciplinari della FIP hanno ritenuto che
il Rosi, come risulterebbe dalla conversazione telefonica intercettata, abbia commesso un
“atto diretto ad alterare lo svolgimento o il risultato di gara ovvero ad assicurare ad una
società un vantaggio in classifica”, con l’applicazione della conseguente sanzione.
11. Il Collegio Arbitrale concorda con siffatta valutazione.
12. In via preliminare, il Collegio sottolinea come per ritenere la responsabilità da parte
del soggetto incolpato per una violazione disciplinare sportiva non sia necessaria la
certezza assoluta della commissione dell’illecito – certezza che, peraltro, nella maggior
parte dei casi sarebbe una mera astrazione – né il superamento del ragionevole dubbio,
come nel diritto penale. Tale definizione dello standard probatorio ha ricevuto,
nell’ordinamento sportivo, una codificazione espressa in materia di violazione delle norme
anti-doping, laddove si prevede che il grado di prova richiesto, per poter ritenere
sussistente una violazione, deve essere comunque superiore alla semplice valutazione
delle probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio (cfr. ad es. l’art. 4
delle Norme Sportive Antidoping del CONI, in vigore dal 1° gennaio 2009). Il Collegio
ritiene peraltro, che il principio così espresso abbia portata generale. È dunque sufficiente
un grado inferiore di certezza, ottenuta sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, in
modo tale da acquisire una ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito.
13. Ebbene, il tenore della conversazione telefonica intercettata non lascia spazio ad
incertezze. Ad essa partecipano il sig. Giovanni Garibotti, già Presidente del Comitato
Italiano Arbitri (il “CIA”), ossia dell’organismo federale di settore della FIP avente lo scopo
di reclutare, formare, addestrare, organizzare, istruire e valutare, tra gli altri, gli arbitri e gli
ufficiali di campo della pallacanestro, e il sig. Rosi, arbitro di pallacanestro, soggetto
valutato da commissari CIA anche ai fini di una eventuale progressione di carriera. In
essa il sig. Garibotti dà istruzioni precise e insistite («il Cecina deve vincere …», «va
bene?», «… ve lo dirà anche il commissario …») e prospetta il quadro in cui la richiesta
deve essere esaudita («… avrete il commissario»); il Rosi accetta («ah, va bene», «ok
perfetto», «va bene, ok Gianni»).
14. Come rilevato in altre pronunce, rese nel quadro della Camera di conciliazione e
arbitrato per lo sporti (lodi del 18 maggio 2007, Cirelli c. FIP, e Pallacanestro Treviso c.
FIP), le condotte di frode sportiva di cui all’art. 43 RG sono strutturate quali ipotesi di
illecito a consumazione anticipata, giacché l’evento antisportivo dedotto (alterazione del
risultato di gara, tesseramento illecito dell’atleta in virtù di sue dichiarazioni mendaci
sull’età, falsificazione delle condizioni di partecipazione ecc.) non deve, perché si abbia
frode, necessariamente realizzarsi, essendo sufficiente, ai fini della consumazione
dell’illecito, il mero compimento di un atto diretto al raggiungimento di uno dei predetti
scopi fraudolenti. La norma mira infatti a tutelare l’integrità del sistema federale, e dei
valori di lealtà e correttezza sui quali esso si basa, nel suo complesso, e non quella del
singolo partecipante alla competizione. Dunque, la frode consistente nella messa in opera
di “qualsiasi atto diretto ad alterare lo svolgimento o il risultato di gara” (art. 43 par. 1 lett. a
RG) prescinde dalla circostanza che la gara o il suo risultato siano stati concretamente
alterati.
15. Ebbene, l’adesione del sig. Rosi alle indicazioni del sig. Garibotti, ossia del soggetto
già al vertice di quel settore della FIP dal quale in ultima analisi dipendevano le “fortune”
della carriera arbitrale del sig. Rosi, costituisce un atto diretto al raggiungimento di uno dei
predetti scopi fraudolenti contemplati dall’art. 43 par. 1 lett. a RG. E per la consumazione
dell’illecito non rileva il comportamento poi tenuto dall’arbitro in occasione della gara, ossia
l’effettiva alterazione del risultato di questa. Dunque, l’indicazione del Ricorrente, che
sottolinea come il proprio comportamento in occasione della gara sia stato improntato alla
massima correttezza, non appare rilevante allo scopo di escluderne la responsabilità
disciplinare.
16. Avverso tale qualificazione, il Ricorrente deduce il tono scherzoso (o frettoloso)
della conversazione, o comunque l’impossibilità di coglierne toni e spirito sulla base della
mera lettura della trascrizione, nonché l’inammissibilità di attribuire ad essa un significato
sulla base di elementi (quale il contesto generale) diversi da quelli raccolti in atti.
17. Il Collegio Arbitrale non condivide tale osservazione: la brevità della conversazione
non esclude il suo carattere illecito; i termini utilizzati per dare direttive (Garibotti) ed
accoglierle (Rosi) sono inequivoci. Il riferimento del sig. Garibotti poi alla necessità di
coinvolgere anche l’altro arbitro («… glielo dici anche a quel cretino che guida, comunque
ve lo dirà anche il commissario, vi dirà, vi ha chiamato Gianni? così almeno …»)
nell’esecuzione del disegno illecito conferma “serietà” ed “effettività” dell’accordo
fraudolento. E tale conclusione prescinde, si noti, da qualunque considerazione circa il
complessivo contesto, che sia emerso in diversi procedimenti disciplinari o nell’indagine
penale nel cui ambito la conversazione tra il sig. Garibotti e il sig. Rosi è stata intercettata.
18. Dalla menzionata configurazione degli atti di frode come illecito la cui
consumazione prescinde dalla messa in opera di una concreta attività esecutiva
dell’accordo vietato, risultano in ogni caso non accoglibili le istanze istruttorie formulate dal
Ricorrente, in quanto vertenti su circostanze irrilevanti.
19. Allo stesso modo, alla luce di quanto precede, resta assorbita la questione della
sussistenza di una eventuale responsabilità in capo al sig. Rosi per violazione dell’obbligo
di denuncia degli atti di frode prevista dall’art. 45 RG.
20. Il Ricorrente contesta altresì la misura della sanzione, ritenuta eccessiva.
21. Il Collegio Arbitrale ritiene che sotto questo profilo la domanda del Ricorrente possa
essere parzialmente accolta e dunque la misura della sanzione rideterminata. Gli organi
disciplinari della FIP, tenuto conto della misura della sanzione prevista dall’art. 43 par. 2
RG per gli atti di frode sportiva (“l’inibizione per un periodo da tre a cinque anni”), la ha
determinata, nel caso concreto, in una misura intermedia (quattro anni). La circostanza
che il fatto (per quanto gravissimo) attribuito al sig. Rosi, e posto a fondamento della
sanzione irrogata, sia uno solo e la oggettiva soggezione del sig. Rosi al sig. Garibotti
inducono peraltro il Collegio Arbitrale a ritenere che l’applicazione di una sanzione nella
misura più bassa tra quelle contemplate (ovvero l’inibizione per un periodo di tre anni) sia
la più appropriata.
22. In conclusione, dunque, il ricorso va parzialmente accolto e la decisione impugnata
parzialmente modificata: al sig. Rosi va inflitta la sanzione della inibizione allo svolgimento
di attività federali e sociali per tre anni, fino al 3 giugno 2012.
B. Sulle spese
23. Sussistono, a parere del Collegio, giusti motivi per disporre la parziale
compensazione delle spese di lite e di quelle arbitrali, come liquidate in dispositivo
(considerato il numero delle ore impiegate) e ivi specificato. Il Collegio Arbitrale, infatti,
nota come la principale domanda del Ricorrente sia stata sostanzialmente respinta, e la
sanzione inflitta al sig. Rosi solo parzialmente ridotta. Dunque, appare equo al Collegio
Arbitrale che il sig. Rosi si faccia carico della parte prevalente delle spese.
P.Q.M.
Il Collegio Arbitrale
definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria domanda, istanza ed eccezione:
1. accoglie parzialmente l’istanza di arbitrato del sig. Alessandro Rosi e, in parziale
riforma dell’impugnata decisione della Corte Federale della Federazione Italiana
Pallacanestro, meglio indicata in motivazione, infligge al sig. Alessandro Rosi la
sanzione della inibizione allo svolgimento di attività federali e sociali per tre anni, fino
al 3 giugno 2012;
2. condanna il sig. Alessandro Rosi al pagamento delle spese di lite in favore della
Federazione Italiana Pallacanestro, nella misura complessiva di € 750
(settecentocinquanta/00), oltre IVA e CPA come per legge;
3. liquida in € 2.000 (duemila/00) gli onorari del Collegio Arbitrale e condanna il sig.
Alessandro Rosi, nella misura di tre quarti, e la Federazione Italiana Pallacanestro
per il rimanente quarto, al pagamento degli stessi e, nella stessa proporzione, al
rimborso delle spese documentate sostenute dal Collegio Arbitrale, oltre IVA e CPA
come per legge, fermo restando il vincolo di solidarietà tra le parti;
4. condanna, altresì, il sig. Alessandro Rosi al pagamento dei diritti amministrativi per il
Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport;
5. dichiara incamerati dal Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport i diritti
amministrativi versati dalle parti.
Così deciso all’unanimità nella conferenza personale degli arbitri in Roma, in data 15
dicembre 2009, e sottoscritto in numero di tre originali nel luogo e nella data di seguito
indicata.
F.to Luigi Fumagalli
F.to Guido Calvi
F.to Massimo Zaccheo