CONI – Tribunale Nazionale di Arbitrato – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it Lodo Arbitrale del 15 dicembre 2009 promosso da: Alessandro Rosi contro Federazione Italiana Pallacanestro

CONI – Tribunale Nazionale di Arbitrato – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it Lodo Arbitrale del 15 dicembre 2009 promosso da: Alessandro Rosicontro Federazione Italiana Pallacanestro I L C O L L E G I O A R B I T R A L E Prof. Avv. Luigi Fumagalli Presidente Prof. Avv. Guido Calvi Arbitro Prof. Avv. Massimo Zaccheo Arbitro nominato ai sensi dell’art. 6 comma 3 del Codice dei giudizi innanzi al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport riunito in conferenza personale in Roma, presso la sede dell’arbitrato, in data 15 dicembre 2009 ha deliberato all’unanimità il seguente L O D O A R B I T R A L E nel procedimento di arbitrato prot. n. 1624 del 31 agosto 2009 promosso da: Alessandro Rosi, residente in Chiavari (GE), viale Tappani n. 29, rappresentato e difeso dall’avv. Angelo Paone, presso lo studio di questo in Chiavari (GE), Corso Garibaldi n. 58/12 è elettivamente domiciliato, giusta delega a margine dell’istanza di arbitrato ricorrente contro Federazione Italiana Pallacanestro (F.I.P.), con sede in Roma, via Vitorchiano n. 113, in persona del sig. Dino Meneghin, suo Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Guido Valori e Paola M.A. Vaccaro ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, viale delle Milizie n. 106, giusta delega a margine della memoria di costituzione resistente FATTO E SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO ARBITRALE A. Le parti 1. Il sig. Alessandro Rosi (il “sig. Rosi” o il “Ricorrente”) è tesserato presso la Federazione Italiana Pallacanestro in qualità di arbitro nazionale. Come tale, il sig. Rosi, nella stagione sportiva 2008/2009, ha diretto diversi incontri di Serie B/dilettanti. 2. La Federazione Italiana Pallacanestro (F.I.P.) (la “FIP” o la “Resistente”), associazione riconosciuta con personalità giuridica di diritto privato, è l’ente di governo dello sport della pallacanestro in Italia, avente lo scopo di promuovere, regolare e sviluppare l’attività cestistica italiana. Essa è l’associazione delle società e delle associazioni sportive che praticano, promuovono o organizzano lo sport della pallacanestro, agonistico e amatoriale, in Italia. B. La controversia tra le parti 3. Con atto in data 30 giugno 2009 il Procuratore Federale presso la FIP deferiva alla Commissione Giudicante Nazionale della FIP (la “Commissione Giudicante”) il sig. Rosi per vederlo rispondere della violazione dell’art. 43 lett. a [“Atti di frode sportiva”] del Regolamento di giustizia della FIP (il “RG”), “perché in concorso con altri, ricevute specifiche indicazioni in tal senso, compiva atti diretti ad alterare lo svolgimento e/o il risultato della gara Cecina Basket – Arezzo del 2-11-08, consentendo alla squadra del Cecina Basket di ottenere una sicura vittoria, che gli assicurava uno specifico vantaggio in classifica”. 4. A sostegno di tale richiesta il Procuratore Federale illustrava • che dagli atti trasmessi alla FIP dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria (e in particolare da alcune intercettazioni telefoniche) era emerso “in modo inequivocabile come l’arbitro Rosi Alessandro in occasione della gara del 2-11-08 tra le squadre del Cecina e dell’Arezzo, campionato di serie B dil. maschile, riceveva una telefonata precedente alla gara stessa con la quale il Garibotti Giovanni, supercommissario nazionale, lo informava che il Cecina avrebbe dovuto vincere l’incontro e conseguentemente egli avrebbe dovuto attivarsi in tal senso”; • che “il Rosi … ben si è guardato dal denunciare la gravissima iniziativa assunta dal Garibotti con una telefonata che non lascia dubbio alcuno in ordine alla illiceità della stessa”; • che il sig. Rosi non si era “opposto in alcun modo alle richieste del Garibotti, preoccupandosi addirittura degli accordi che andavano confermati anche con l’altro arbitro dell’incontro”; • che “la gara in questione terminava effettivamente con il punteggio di 72 a 64 in favore del Cecina Basket, a conferma delle indicazioni ricevute dal Rosi”; • che il sig. Rosi non aveva fornito “giustificazioni di alcuna rilevanza giuridica e/o regolamentare”. 5. La Commissione Giudicante, con decisione in data 20 luglio 2009, pubblicata nel C.U. n. 68 di pari data (la “Decisione della Commissione Giudicante”), ritenuta la violazione dell’art. 43 lett. a RG, infliggeva al sig. Rosi la sanzione della inibizione allo svolgimento di attività federali e sociali per quattro anni, fino al 3 giugno 2013. 6. A sostegno di siffatta decisione la Commissione Giudicante illustrava quanto segue: • che era “opportuno e necessario, per comprendere le problematiche sottese alle singole fattispecie oggetto di giudizio e per collocare e valutare le singole posizioni dei soggetti deferiti, un breve excursus storico sul contesto fattuale e temporale della vicenda nel suo complesso, rinviando per relationem a quanto emerso in sede di indagini presso il Tribunale di Reggio Calabria”; • che in tale quadro risultava che “negli anni sportivi 2007/2008 e 2008/2009 i Sigg.ri Garibotti Giovanni, Presidente del C.I.A. fino al mese di settembre 2008 e successivamente Supervisore dei Commissari Speciali Arbitri, Giovanni Battista Montella, Responsabile del Settore Commissari Speciali e Alessandro Campera, Designatore dei Commissari Speciali, «si associavano tra loro attraverso uno stabile vincolo associativo, realizzato e costantemente alimentato da molteplici contatti telefonici tra i componenti del sodalizio ovvero tra costoro e soggetti estranei all’organizzazione, allo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti di abuso di ufficio e di frode in competizioni sportive, ponendo in essere altresì strumentali condotte delittuose finalizzate al conseguimento di una consolidata egemonia all’interno del settore arbitrale, e al condizionamento del campionato di Basket per le stagioni 2007/2008 e 2008/2009; non solo, quindi, operando sul piano sportivo, ma determinando anche l’alterazione degli equilibri di natura economico-finanziaria relativi a talune società sportive. In particolare, realizzavano il programma criminoso mediante sistematici interventi che si realizzavano con la predeterminazione dei voti da dare agli arbitri, concordati prima della gara sportiva e comunicati ai commissari speciali, sia attraverso la consumazione di delitti di frode in competizioni sportive, anche abusando o comunque avvantaggiandosi dei ruoli rispettivamente ricoperti adoperandosi perché, anche attraverso l’opera dei commissari speciali nominati, venissero agevolati gli arbitri compiacenti e, contrariamente, venissero penalizzati gli arbitri che non avevano favorito le squadre indicate»”; • che “priva di pregio” appariva l’eccezione preliminare sollevata dal sig. Rosi, “relativa alla contestazione sulla inutilizzabilità del verbale di trascrizione dell’unica telefonata contestatagli sul presupposto della illegittimità dell’intercettazione”, dovendosi ritenere che “l’intercettazione che rileva è legittima. Infatti, «… la Corte di legittimità sul punto ha specificato che se la prova è stata legittimamente acquisita in relazione al reato per cui i limiti edittali di pena lo consentivano, tale prova potrà, poi, essere utilizzata anche in relazione agli altri reati di quel procedimento che in quei limiti edittali non rientrano». Quindi, le intercettazioni di conversazioni raccolte sono assolutamente utilizzabili non solo per il delitto associativo, ma anche per i delitti fine, nel caso di specie anche per la frode sportiva”; • le condotte del sig. Rosi, risultanti dal verbale di trascrizione della telefonata intercorsa, in data 2 novembre 2008, tra lo stesso e il sig. Garibotti, evidenziano a carico del sig. Rosi “profili di responsabilità disciplinare rilevanti ai sensi dell’art. 43, lett. a) R.G., che prevede come ipotesi di frode sportiva: «qualsiasi atto diretto ad alterare lo svolgimento o il risultato di gara ovvero ad assicurare ad una società un vantaggio in classifica»”. Infatti: 􀀹 nel corso della telefonata fatta dal sig. Garibotti al sig. Rosi, avvenuta prima della disputa della gara tra le società Cecina Basket e la società Arezzo del 2 novembre 2008, il sig. Rosi aveva ricevuto dal sig. Garibotti “precise indicazioni sul comportamento da tenere in sede di gara, al fine di favorire la squadra del Cecina «il Cecina deve vincere e avrete il Commissario», disinteressandosi del proprio arbitraggio, considerato come per la partita fosse già stato incaricato e contattato il commissario speciale, a piena conoscenza della situazione”; 􀀹 “le condotte accertate devono essere riportate al paradigma della fattispecie di cui all’art. 43 lettera a) del Regolamento di Giustizia, secondo cui rientra nella fattispecie de qua «qualsiasi atto diretto ad alterare lo svolgimento o il risultato di gara ovvero ad assicurare ad una società un vantaggio in classifica»”; 􀀹 “le condotte … di frode sportiva di cui alla norma in esame sono tutte strutturate quali ipotesi di illecito a consumazione anticipata, cosicché l’evento antisportivo dedotto non deve, perché si abbia frode, necessariamente realizzarsi, essendo sufficiente, ai fini della consumazione dell’illecito, il mero compimento di un atto diretto al raggiungimento di uno scopo fraudolento”. Dunque, “le condotte poste in essere”, ossia l’accettazione delle indicazioni ricevute circa l’arbitraggio da tenere nella partita Cecina Basket – Arezzo del 2 novembre 2008, “risultano … punibili già al momento della realizzazione delle azioni criminose, a prescindere dal fatto che se ne consegua il fine”: e “la verificazione o meno … dell’evento di danno voluto dall’agente (vittoria del Cecina Basket, poi effettivamente avvenuta) è irrilevante rispetto alla configurazione della frode consumata, potendo costituire nel caso fattispecie aggravata (art. 43, 3° comma R.G.)”; • che era dunque “congrua l’applicazione della sanzione dell’inibizione per anni 4 (quattro) a svolgere l’attività federale e sociale … per le responsabilità provate in ordine ai fatti contestati, in considerazione della gravità delle condotte tenute e del nocumento all’immagine del movimento cestistico causato, ai sensi ed agli effetti dell’art. 43), lett. a) R.G.”, con la conseguente “decadenza del sig. Alessandro Rosi della qualifica di arbitro e la sua … esclusione dalle liste, ex art. 99 Regolamento C.I.A.”; e che ai fini dell’individuazione del termine iniziale di decorrenza della sanzione irrogata si doveva tener conto del provvedimento del 4 giugno 2009 recante la sospensione cautelare del sig. Rosi dall’attività sportiva. 7. Con atto d’appello in data 20 luglio 2009 il sig. Rosi proponeva ricorso alla Corte di giustizia federale della FIP (la “Corte Federale”) avverso la Decisione della Commissione Giudicante, chiedendo, in integrale riforma della stessa, di “prosciogliere il Sig. Alessandro Rosi, considerando sia l’inutilizzabilità delle trascrizioni, sia l’oggettiva infondatezza dell’ipotesi accusatoria”, previe, occorrendo, alcune acquisizioni documentali. Il sig. Rosi formulava poi, in via gradata, alcune domande subordinate. 8. Il 29 luglio 2009 la Corte Federale, con decisione pubblicata nel C.U. n. 129 di pari data e comunicata al sig. Rosi il 24 settembre 2009 (la “Decisione della Corte Federale”), respingeva il ricorso proposto dal sig. Rosi, confermando la sanzione irrogata dalla Commissione Giudicante. 9. Nella Decisione della Corte Federale si osserva preliminarmente quanto segue: “Va premesso che il ricorso in esame e la singola vicenda che esso affronta si inseriscono in un ben più vasto contesto di comportamenti illeciti (per il diritto sportivo, per i Regolamenti della FIP e – più in generale – per i valori di lealtà, correttezza e rispetto delle regole che costituiscono i principi basilari del mondo dello sport), attraverso i quali taluni commissari valutavano gli arbitri secondo indicazioni ricevute da soggetti loro sovraordinati, in modo che quelle valutazioni consentissero di addivenire alla promozione a categoria superiore o alla non retrocessione a categoria inferiore di arbitri «prescelti» non necessariamente per meriti sportivi ovvero anche al condizionamento degli arbitri al fine di renderli «sensibili» a segnalazioni di favore verso una squadra partecipante ad una gara da loro arbitrata. […] Il diffuso sistema di previa concentrazione ed imposizione dei voti da attribuire agli arbitri, solitamente contenuti tra un minimo di 64 e un massimo di 67 (con una media quindi del 65-66), era finalizzato ad uniformare, nel corso di tutto il campionato, la classifica degli arbitri, in modo da tenerli «sotto scacco» fino alla fine e poter decidere all’ultimo momento, anche con la valutazione di una sola partita, con l’attribuzione di un voto molto alto o, rispettivamente, di un voto molto basso, chi promuovere o chi far retrocedere. In tale quadro, la richiesta rivolta da un commissario ad un arbitro di dirigere una gara in modo tale da far risultare vittoriosa una determinata squadra, a prescindere dal reale merito sportivo, rientra nel complessivo disegno illecito di condizionare gli arbitri e, attraverso di loro, l’esito delle singole partite e, conseguentemente, dell’intero campionato. […] la vicenda in esame va guardata anche alla luce di tale più vasto contesto, pur rimanendo ben ferma l’autonomia dei singoli giudizi, delle singole ipotetiche responsabilità, delle singole considerazioni e decisioni di questa Corte”. 10. Ciò premesso, la Corte Federale afferma quanto segue: “[…] è infondato il motivo di ricorso concernente l’asserita inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche per il reato di frode sportiva previsto dall’art. 1 della legge n. 401/1989 e punito con una pena che va da un mese ad un anno e, come tale, non rientrante nelle ipotesi contemplate dall’art. 266 c.p.p. che, oltre ad un elenco tassativo di reati, al comma 1 lettera a), limita l’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ai delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni. Indipendentemente dal giusto rilievo della Commissione Giudicante Nazionale, secondo il quale la giurisprudenza della Corte di cassazione ha chiaramente affermato che, nel caso in cui le intercettazioni telefoniche siano state disposte nell’ambito di indagini relative a reato rientrante nell’elenco di cui all’art. 266 c.p.p., le stesse possono essere utilizzate nella loro interezza nel procedimento in cui sono state legittimamente disposte, a prescindere dalla posizione processuale delle varie persone imputate, che ben potrebbero anche essere indagate sulla base degli elementi raccolti attraverso le intercettazioni medesime (Cass. pen., sez. III, 27.1.1996, n. 794, Russo) – nel caso di specie, le intercettazioni telefoniche sono state autorizzate per il reato di associazione per delinquere ex art. 416 c.p.p. contestato ad alcuni dei coindagati, rientranti nei predetti limiti edittali e sono state utilizzate anche per la contestazione dei reati-fine – appare assorbente il principio della totale autonomia dell’ordinamento sportivo rispetto a quello processuale penale, che soggiace a regole e garanzie ben più stringenti in ragione della pena comminabile e cioè la restrizione della libertà personale. Le sanzioni irrogabili all’esito del procedimento sportivo si sostanziano invece esclusivamente nella limitazione o, nei casi più gravi, nell’esclusione dell’esercizio dei diritti discendenti dalla qualifica di tesserato o dalla diversa qualifica rivestita all’interno della Federazione sportiva e pertanto non richiedono quel rigore e quelle limitazioni processuali proporzionati alla misura dell’incidenza della sanzione penale sulla persona. In proposito, necessita chiarire che i principi, di natura sostanziale o processuale, derivanti dal codice penale o dal codice di procedura penale o da leggi penali, sono applicabili in ambito sportivo solo se e nella misura in cui siano espressamente contenuti nei Regolamenti della Federazione interessata ovvero in norme direttamente applicabili ovvero ancora siano espressione di principi fondamentali in materia di procedimento disciplinare. Al riguardo, sia l’art. 70 bis del R.G., sia l’art. 2 della legge n. 401 del 1989 – in base ai quali gli organi della giustizia sportiva, ai fini esclusivi della propria competenza funzionale, possono chiedere copia degli atti del procedimento penale ai sensi dell’art. 116 c.p.p. fermo restando il divieto di pubblicazione di cui all’art. 114 dello stesso codice – consentono l’utilizzabilità degli atti in questione e comunque non la vietano espressamente in un procedimento connotato dalla celerità e dal principio di libertà delle forme e dell’acquisizione della prova, che costituiscono i cardini della giustizia non statuale (art. 816 bis c.p.c.) ed in particolare della giustizia sportiva. Né possono ritenersi in alcun modo lesi il principio del contraddittorio e il diritto di difesa, garantiti dall’art. 4 del R.G., atteso che il Rosi ha avuto ampiamente modo di chiarire ogni circostanza nei tre interrogatori della Procura federale del 28.4.2009, del 12.5.2009 e del 25.6.2009”. 11. Nel merito, poi, la Corte Federale ha rilevato che: “[…] il contenuto della telefonata intercettata è così chiaro da non necessitare di alcun ulteriore approfondimento circa il profilo dell’elemento psicologico ed il contesto in cui le parole sono state espresse. In particolare, il Garibotti si raccomanda: «il Cecina deve vincere e avrete il commissario» e il Rosi risponde: «ah, va bene»; il Garibotti insiste «va bene? Glielo dici anche a quel cretino che guida, comunque ve lo dirà anche il commissario, vi dirà, vi ha chiamato Gianni? Così almeno» e il Rosi conferma: «ok perfetto»; «va bene?» incalza il Garibotti, «va bene, ok Gianni» ribadisce il Rosi. Appare davvero difficile sostenere che il Garibotti avrebbe espresso un mero auspicio, «senza ottenere alcuna esplicita risposta dal Rosi». Anzi, la naturalezza con la quale il Rosi risponde al super commissario, senza stupirsi, senza meravigliarsi della sorprendente richiesta, lascia chiaramente intuire che fosse del tutto normale per lo stesso ricevere telefonate di quel tenore. L’unica telefonata intercettata è quindi sintomatica di un’abitualità di comportamenti illeciti che va ben al di là del caso specifico. Quanto al rilievo che nel corso della competizione non vi sarebbero state proteste da parte dei giocatori della squadra ospite e che nessuno avrebbe sollevato dubbi di irregolarità circa l’arbitraggio, basti osservare, al contrario, che dal rapporto arbitrale, nello spazio riservato ai comportamenti non regolamentari, risulta che «al termine della gara il giocatore Radaelli L. del Basket Arezzo si rivolgeva al 1° arbitro (il Rosi) in maniera minacciosa esclamando: «sarà il caso che ti mandino ad arbitrare all’U20». Inoltre, nello spazio riservato ad ulteriori chiarimenti, si legge «al rientro negli spogliatoi, un giocatore non identificato del Basket Arezzo esclamava: “Ragazzi, state tranquilli, almeno non saremo 7 contro 5” e dava un pugno forte alla porta degli spogliatori». Quanto al maggior numero di riti liberi riconosciuti all’Arezzo rispetto al Cecina, va sottolineato che, a fronte di una partita conclusasi 72 a 64 per il Cecina, dal referto di gare si evince che la prima metà della partita segnava un tale vantaggio del Cecina sull’Arezzo (37 a 18) che i tiri liberi concessi a quest’ultima squadra erano probabilmente finalizzati a rendere meno smaccato un arbitraggio sino a quel momento palesemente favorevole al Cecina”. 12. Venendo alla qualificazione del fatto contestato, la Corte Federale ha rilevato che “esso risponde in pieno alla condotta di frode sportiva prevista dall’art. 43, comma 1 lett. a), del R.G., che vieta «qualsiasi atto diretto ad alterare lo svolgimento o il risultato di gara ovvero ad assicurare ad una società un vantaggio in classifica». Sul punto è totalmente irrilevante verificare se, in concreto, l’arbitraggio abbia effettivamente comportato detti effetti, trattandosi di un’ipotesi di illecito disciplinare a consumazione anticipata, nel senso che, come rilevato anche da attenta dottrina, non è necessario che la frode si consumi (ad es., che lo svolgimento o il risultato di una gara venga concretamente alterato), risultando sufficiente che il soggetto agente ponga in essere un atto, di qualunque genere, finalizzato al raggiungimento di uno qualunque degli obiettivi illeciti elencati nell’articolo 43 R.G. E, nella specie, è pacifico che il comportamento del Rosi fosse finalizzato al raggiungimento dello scopo di cui alla lettera a) dell’articolo citato”. Dunque la Corte Federale ha ritenuto che non potesse “essere accolta l’istanza di derubricazione dell’infrazione di omessa denunzia ex art. 45 del R.G. in quanto l’adesione alla richiesta del Garibotti risulta inequivocabilmente da un assenso manifestato per ben tre volte, senza alcuna resistenza e senza alcuna sorpresa: «Va bene; ok perfetto; va bene, ok Gianni»”. 13. Confermata la responsabilità del sig. Rosi, la Corte Federale ha dunque ritenuto che anche l’entità della sanzione irrogata in primo grado fosse meritevole di conferma: “la gravità dei fatti e il rilevante danno all’immagine del movimento cestistico nazionale che ne è derivato, in uno al comportamento procedurale dell’interessato, ancora in questa sede fermo nel negare l’evidenza del fatto, non consentono di considerare sproporzionata la sanzione irrogata rispetto agli illeciti perpetrati”. La gravità della sanzione, anzi, sarebbe resa necessaria dalla gravità dell’illecito, potendosi supporre che l’asservimento del sig. Rosi a indicazioni del commissario si sia manifestato anche in altre occasioni. C. Il procedimento arbitrale C.1 Lo svolgimento dell’arbitrato 14. Con istanza di arbitrato in data 25 agosto 2009, rivolta al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport (il “TNAS”) ai sensi degli art. 9 ss. del Codice dei giudizi innanzi al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport (il “Codice TNAS”), il Ricorrente dava avvio al presente arbitrato per ottenere la riforma della Decisione della Corte Federale, nominando quale proprio arbitro il prof. avv. Guido Calvi. 15. Con memoria di costituzione depositata in data 22 settembre 2009 la FIP si costituiva nel procedimento arbitrale così avviato, chiedendo, in sostanza, la conferma della Decisione della Corte Federale, e nominando quale proprio arbitro il prof. avv. Massimo Zaccheo. 16. Gli arbitri designati dalle parti nominavano quale Presidente del Collegio Arbitrale il prof. avv. Luigi Fumagalli, che in data 2 ottobre 2009 accettava l’incarico. 17. Il 9 ottobre 2009 il Collegio Arbitrale emetteva ordinanza del seguente tenore: “considerato che, tra gli atti depositati in giudizio, non è stata prodotta la trascrizione dell’intercettazione telefonica che l’istante avrebbe ricevuto prima della gara Cecina Basket Arezzo del 2 novembre 2008 da un superiore nell’organizzazione arbitrale; considerato, altresì, che tra gli atti depositati in giudizio non sono stati prodotti i documenti considerati dalle istanze disciplinari della Federazione Italiana Pallacanestro posti a fondamento della sanzione irrogata all’istante considerato, infine, che la Corte Federale non ha, allo stato, ancora depositato la motivazione della decisione impugnata o che, comunque, detta motivazione non risulta depositata agli atti del procedimento arbitrale; ritenuto, quindi, opportuno acquisire, preliminarmente, dette documentazioni IL COLLEGIO ARBITRALE Ordina alla Federazione Italiana Pallacanestro di depositare presso la Segreteria del Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport – in n. 5 copie - entro sette giorni dal ricevimento della presente ordinanza l’intero fascicolo dei procedimenti disciplinari, nonché – se già emessa – la decisione della Corte Federale, con la motivazione della stessa. Con riserva di stabilire successivi termini per il deposito di memoria da parte della parte ricorrente e di replica da parte della Federazione Italiana Pallacanestro e fissare l’udienza di discussione sulle istanze istruttorie e di merito formulate dalle parti”. 18. In data 16 ottobre 2009 la FIP, in ottemperanza all’ordinanza del 9 ottobre 2009, depositava copia della Decisione della Corte Federale, completa di motivazione, nonché copia del’intero fascicolo dei procedimenti disciplinari. 19. Con ordinanza emessa il 26 ottobre 2009, il Collegio Arbitrale, dato atto del deposito degli atti di cui alla precedente ordinanza, concedeva un termine al Ricorrente per il deposito di memoria illustrativa del ricorso, alla luce della pubblicazione della motivazione della Decisione della Corte Federale, nonché successivo termine per il deposito di memoria di replica da parte della Resistente; fissava infine l’udienza per la discussione della controversia. 20. Sulla base dell’ordinanza emessa dal Collegio Arbitrale: • il sig. Rosi depositava una memoria autorizzata datata 3 novembre 2009; • la FIP depositava in data 11 novembre 2009 una memoria di replica. 21. In data 20 novembre 2009 si teneva in Roma l’udienza di discussione della controversia, in cui, rivelatosi infruttuoso l’esperito tentativo di conciliazione, le parti illustravano le rispettive posizioni. All’esito della stessa, le parti si dichiaravano soddisfatte dello svolgimento dell’arbitrato e davano atto della piena osservanza del principio del contraddittorio. Il Collegio Arbitrale si riservava quindi ogni decisione sulle domande delle parti. C.2 Le domande delle parti a. Le domande del sig. Rosi 22. Nella propria istanza di arbitrato il sig. Rosi ha chiesto l’accoglimento delle seguenti conclusioni: “Piaccia all’Ecc.mo Tribunale Arbitrale adito, contrariis reiectis in via principale: dichiarare nulla, illegittima e comunque annullare o revocare la sanzione disciplinare inflitta al Sig. Alessandro Rosi a norma dell’art. 43 lett. a) Regolamento di Giustizia FIP, con ogni conseguente provvedimento; in subordine: nell’ipotesi in cui si ravvisi un comportamento disciplinarmente rilevante del Sig. Alessandro Rosi, rinviare gli atti alla Procura Federale FIP per la contestazione dell’ipotesi di omessa denuncia ai sensi dell’art. 45 Regolamento di Giustizia FIP; ovvero, in ulteriore subordine, applicare direttamente la sanzione prevista da detta norma nel minimo edittale. In ogni caso: addebitare alla FIP i compensi degli Arbitri e delle spese di lite”. 23. In via istruttoria, poi, il Ricorrente ha domandato che il Collegio Arbitrale, “occorrendo”, voglia: “- chiedere alla Procura della Repubblica di Reggio Calabria, a norma dell’art. 116 c.p.p., copia del decreto di autorizzazione all’intercettazione a carico di Alessandro Rosi; - sentire a testimone il Sig. Antonio Castagnino, arbitro FIP che ha diretto l’incontro Cecina/Arezzo insieme all’esponente, affinché riferisca lo svolgimento della gara, le iniziative assunte dall’arbitro Rosi, il suo assenso e/o dissenso verso le iniziative del collega; - disporre la visione del filmato dell’incontro Cecina/Arezzo, eventualmente avvalendosi dell’ausilio di esperti nominati dalle parti per l’esame delle decisioni arbitrali”. b. Le domande della FIP 24. Nella propria memoria di costituzione la FIP ha chiesto al Collegio Arbitrale di “respingere comunque e in ogni caso il ricorso e ogni avversa domanda istanza e conclusione perché destituite di fondamento in fatto e in diritto e non ammissibili con conferma delle decisioni emesse dalla CGN e dalla Corte Federale impugnate e comunque dalla sanzione così come comminata dagli Organi di Giustizia sportiva della FIP. Con vittoria di spese, competenze, onorari di difesa e, vinte le spese, i diritti e gli onorari della procedura, con refusione delle somme versate e versande dalla FIP a tali titoli”. C.3 La posizione delle parti a. La posizione del sig. Rosi 25. A parere del Ricorrente la sanzione disciplinare inflittagli è illegittima sotto più profili: i. in primo luogo, nella prospettazione del Ricorrente, “la misura punitiva è stata adottata in forza di intercettazione telefonica inutilizzabile, anche da parte della Giustizia Sportiva, in quanto assunta al di fuori dei limiti di legge e quindi in violazione dei diritti alla difesa, al contraddittorio e al giusto processo, garantiti dalle convenzioni internazionali, dalla Costituzione e dai principi statutari del CONI”. Secondo il Ricorrente, infatti, la sua responsabilità disciplinare sarebbe stata ritenuta provata esclusivamente in forza di una conversazione telefonica, intercorsa fra lo stesso Rosi e il supercommissario Garibotti, riportata su un brogliaccio della Polizia Postale del 5 novembre 2008. A parere del Ricorrente, tuttavia, l’art. 266 c.p.p. consentirebbe l’intercettazione di conversazioni soltanto per i delitti non colposi, per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni. Ne conseguirebbe, dunque, che tale mezzo d’indagine non sarebbe consentito per il reato di frode sportiva, che prevede la pena della reclusione fino ad un anno: l’intercettazione sulla cui base è stata ritenuta la sua responsabilità dagli organi disciplinari della FIP è stata dunque “raccolta al di fuori dei limiti di legge” ed è “quindi illegittima ed inutilizzabile, a norma dell’art. 271 c.p.p.”. Essendo l’intercettazione inutilizzabile secondo i principi dell’ordinamento statuale, essa lo sarebbe anche nell’ambito del processo sportivo, che deve “rispettare i principi generali dell’ordinamento e la disciplina legislativa richiamata dagli statuti sportivi” e “deve essere sempre improntato ai principi di rispetto del contraddittorio e garanzia del diritto di difesa, secondo quanto stabilito dalla nostra Costituzione e dalle Convenzioni Internazionali a tutela dei Diritti dell’Uomo”, oltre che dai Principi di Giustizia Sportiva approvati dal CONI con delibera del 28 febbraio 2007. Né varrebbe a rendere ammissibile l’utilizzo dell’intercettazione de qua l’argomentazione della Commissione Giudicante – confermata dalla Corte Federale – secondo la quale le intercettazioni disposte per il reato associativo sono utilizzabili anche per i reati-fine, in quanto l’utilizzabilità delle intercettazioni è prevista solo nei confronti di coloro che siano indagati per il reato associativo: poiché il sig. Rosi non è stato indagato per associazione a delinquere, non vi sarebbe alcuna ipotesi di reato che avrebbe giustificato il ricorso e/o l’utilizzo delle intercettazioni; ii. in secondo luogo, anche a considerare utilizzabile l’intercettazione, “non è possibile ritenere provata l’ipotesi della frode sportiva, anche perché non è stato accertato alcun comportamento concreto dell’arbitro, volto a favorire la vittoria del Cecina”. Da un lato, infatti, la conversazione telefonica in esame, di cui il brogliaccio redatto dalla Polizia Postale riporta unicamente uno stralcio, non sarebbe sufficiente a provare, in modo certo e univoco, un accordo per commettere una frode sportiva. Pertanto, gli organi di giustizia della FIP avrebbero dovuto estendere la propria indagine anche al comportamento tenuto dal sig. Rosi nel corso della gara, non limitandosi al solo esame dell’intercettazione. Secondo il Ricorrente, infatti, l’esame della competizione sportiva avrebbe consentito di escludere la sussistenza della pretesa frode, non essendovi stato nel corso della gara alcun episodio contestato, né essendo mai stato sollevato alcun dubbio (ad esempio dalla stampa locale) circa pretesi errori arbitrali. Pertanto, non vi sarebbe alcuna prova (al di là dell’aver ricevuto l’invito telefonico a favorire la squadra del Cecina) del compimento da parte del sig. Rosi di un comportamento materiale che sia stato inequivocabilmente rivolto ad influire sullo svolgimento della gara, secondo la definizione di frode sportiva delineata dall’art. 43 lett. a RG. Né tale assenza di prova può essere supplita dalle annotazioni riportate nel referto di gara, le quali dimostrano semmai la buona fede del sig. Rosi; iii. in terzo luogo, il Ricorrente illustra come, a suo avviso, non vi possa essere una frode sportiva senza atti materiali idonei ad alterare la competizione: “se anche fosse provato il tentativo del commissario di influire sulla competizione, la sola passiva ricezione di indicazioni fraudolente, non seguita da alcun tentativo di darvi esecuzione, non può configurare una frode sportiva”. Affinché questo sussista, “occorre che taluno abbia compiuto un qualche atto materiale, obiettivamente rivolto a fornire un vantaggio illecito ad uno dei due contendenti”; iv. a parere del Ricorrente, dunque, in caso di recezione meramente passiva dell’invito del Supercommissario a favorire la squadra del Cecina, “non avremmo un’ipotesi di frode sportiva, ma di omessa denuncia, a norma dell’art. 45 del Regolamento di Giustizia FIP”. A parere del Ricorrente, tale conclusione sarebbe evidente anche alla luce delle affermazioni contenute nell’atto di deferimento della Procura Federale del 30 giugno 2009, secondo la quale “il Rosi Alessandro ben si è guardato dal denunciare la gravissima iniziativa assunta dal Garibotti”. Pertanto, lo stesso atto di deferimento descriverebbe il contegno del sig. Rosi in termini non di frode sportiva, bensì di omessa denuncia e come tale avrebbe dovuto essere, se del caso, sanzionato; v. infine, il Ricorrente contesta la misura della sanzione inflitta “semplicemente per aver ricevuto una telefonata”. 26. Il Ricorrente critica inoltre la Corte Federale sotto ulteriori profili. In primo luogo, il Ricorrente lamenta come la motivazione della Decisione della Corte Federale non sia stata depositata nel termine previsto dal RG (all’art. 47 comma 5). Inoltre, il Ricorrente deduce l’irrilevanza del richiamo, operato dalla Corte Federale, ad un presunto contesto illecito nel quale si collocherebbero le pressioni esercitate sugli arbitri: a parere del Ricorrente, le circostanze in cui si sostanzierebbe siffatto contesto non ergerebbero dagli atti del procedimento e non sono mai state discusse in esso; inoltre, esse sarebbero del tutto irrilevanti. b. La posizione della FIP 27. La posizione della Resistente, quale formulata in atti a sostegno delle proprie difese, può essere riassunta come segue: i. in merito alla presunta inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, in quanto asseritamene acquisite fuori dai limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 c.p.p., la Resistente afferma che il divieto di utilizzazione concerne unicamente il procedimento penale e comunque richiede un accertamento che è di competenza esclusiva del giudice penale: le questioni sollevate dal Ricorrente circa i limiti imposti dalla legge in relazione all’utilizzazione delle intercettazioni quale mezzo di prova nel procedimento penale, “non entrano in sede sportiva, atteso che il procedimento disciplinare appartiene non ad un «diverso procedimento» ma ad un «diverso ordinamento»”: la valutazione circa la legittimità della raccolta dell’intercettazione non spetta al giudice sportivo che accede agli atti del procedimento penale. È pertanto da escludere che l’eventuale inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche possa spiegare effetti oltre gli ambiti processuali penali e pertanto “non può impedire l’apprezzamento delle stesse in sede disciplinare”; ii. il sistema sanzionatorio disciplinare, peraltro, non conosce il principio di tipicità dei mezzi di prova proprio del processo penale e pertanto “ogni dato idoneo a formare il convincimento del giudicante è apprezzabile”; iii. quanto al contenuto delle intercettazioni, la Resistente afferma che dal tenore della conversazione emerge la “chiara manifestazione di assenso data dal Rosi” alla richiesta di Garibotti di dare partita vinta al Cecina; iv in merito alla mancata prova della commissione di atti diretti ad alterare la gara, la Resistente afferma che la frode sportiva di cui all’art. 43 RG è un illecito tipico a consumazione anticipata, ove quindi anche la soglia di punibilità della condotta è anticipata. Pertanto, non sarebbe “rilevante che l’arbitro abbia posto in essere un arbitraggio compiacente … ma è rilevante che l’arbitro abbia prestato il proprio assenso a farlo”; v. la richiesta, avanzata dal Ricorrente in via subordinata, di rinviare gli atti agli organi disciplinari della FIP per la contestazione dell’ipotesi di omessa denuncia ai sensi dell’art. 45 RG, non potrebbe essere accolta, poiché il TNAS non avrebbe i poteri per rinviare gli atti al giudice federale, essendo “tenuto ad emettere il lodo sulle decisioni impugnate in ricorso”; pertanto la richiesta non sarebbe ammissibile oltre ad essere, comunque, infondata in quanto “il Rosi non ha … avuto conoscenza di atti altrui, ma è partecipe della frode, ossia ha tenuto una condotta atta a determinare il patto illecito”; vi. le istanze istruttorie formulate dal Ricorrente devono essere respinte in quanto “inammissibili e irrilevanti”. MOTIVI DELLA DECISIONE A. Sul merito della controversia 1. Il Ricorrente contesta sotto più profili le decisioni con le quali gli organi disciplinari della FIP (la Commissione Giudicante e la Corte Federale) gli hanno inflitto una sanzione per il compimento di “atti di frode sportiva”, ossia dell’illecito previsto dall’art. 43 comma 1 lett. a RG. In buona sostanza, il Ricorrente sostiene che la sanzione è stata inflitta utilizzando prove inammissibili; e comunque che tali prove (anche se ammesse) non consentirebbero di ritenere sussistente l’illecito ascrittogli. In ogni caso, poi, la sanzione inflitta sarebbe eccessiva. 2. Preliminarmente, al Collegio Arbitrale appare peraltro opportuno considerare un’osservazione formulata in atti dal Ricorrente, pur non tradotta in autonomo motivo di censura della decisione impugnata. Rileva infatti il sig. Rosi che il testo integrale della Decisione della Corte Federale non è stato depositato nel termine di sette giorni dalla sua adozione, come invece previsto dall’art. 47 comma 5 RG. 3. Sul punto il Collegio Arbitrale concorda con il Ricorrente sull’opportunità del costante rispetto da parte degli organi di giustizia della FIP del termine stabilito dall’art. 47 comma 5 RG: l’osservanza di esso (da parte degli organi chiamati a garantire che gli associati nella FIP rispettino le disposizioni federali) corrisponde all’aspettativa delle parti coinvolte nei procedimenti disciplinari, che legittimamente aspirano a conoscere le ragioni delle decisioni che le riguardano, e soprattutto delle sanzioni loro inflitte; e inoltre appare idoneo a produrre un effetto deflattivo sul contenzioso arbitrale, in quanto tempestive – e accurate – motivazioni potrebbero dissuadere il sanzionato dall’avviare giudizi impugnatori. 4. Il Collegio Arbitrale sottolinea comunque che il deposito della motivazione oltre il termine stabilito dall’art. 47 comma 5 RG non priva la decisione disciplinare della propria forza vincolante, in difetto di sanzione puntuale di inefficacia, né realizza un vizio della decisione, che ciò solo ne giustifichi l’annullamento in sede di arbitrato ai sensi del Codice TNAS. E invero l’impugnazione di fronte all’organo arbitrale ha natura ed effetto pienamente devolutivi: il potere di cognizione dell’organo adito si esercita direttamente sulla violazione disciplinare attribuita al soggetto ritenuto responsabile e non è limitato alla verifica della legittimità formale della decisione impugnata. Dunque, questo Collegio Arbitrale può conoscere dei fatti sui quali è intervenuta la pronuncia contestata e giudicare sulla sussistenza della responsabilità disciplinare del sig. Rosi, ancorché il deposito della motivazione della Decisione della Corte Federale sia avvenuto oltre il termine stabilito dal RG. E ciò anche in considerazione del fatto che comunque il Ricorrente ha potuto, in corso di arbitrato, prendere conoscenza delle motivazioni offerte dalla Corte Federale a sostegno della propria decisione e argomentare, anche in apposita memoria, su di esse. Anche sotto tale profilo, pertanto, nessun pregiudizio è derivato al Ricorrente dal tardivo deposito delle citate motivazioni. 5. Il primo profilo di censura, svolto dal Ricorrente avverso le decisioni assunte dagli organi disciplinari della FIP, che questo Collegio deve esaminare, attiene alla utilizzabilità nel procedimento disciplinare sportivo, e quale fondamento della sanzione irrogata, dell’intercettazione della conversazione telefonica avvenuta in data 2 novembre 2008 tra il sig. Rosi e il sig. Giovanni Garibotti. Siffatta utilizzabilità viene negata dal Ricorrente (cfr. § 25 (i) che precede), anche in relazione a principi di natura sovra-ordinata, in quanto l’intercettazione sarebbe stata raccolta in violazione dei limiti di legge (e in particolare dell’art. 266 c.p.p.), cui l’ordinamento sportivo deve sottostare. La piena utilizzabilità dell’intercettazione viene invece difesa dalla Resistente (cfr. § 27 (i) che precede), che, confermando le motivazioni della Decisione della Corte Federale, sottolinea a tal proposito la distinzione tra l’ordinamento sportivo e il sistema penalistico dello Stato e i differenti compiti spettanti al giudice dello Stato e agli organi disciplinari delle federazioni sportive. 6. Il Collegio Arbitrale non condivide la dedotta censura di illegittimità, anche alla stregua degli invocati parametri costituzionali e internazionali, della Decisione della Corte Federale, impugnata per l’utilizzazione di una intercettazione telefonica asseritamente illegittima. A tal riguardo, il Collegio sottolinea come non spetti ad esso, ancorché ai limitati fini del giudizio sulla responsabilità disciplinare del sig. Rosi, ogni valutazione circa la legittimità o meno della contestata intercettazione ai fini e nell’ambito del procedimento penale in cui si è realizzata: come sottolineato dalla Resistente, tale valutazione, finalizzata al giudizio (ai sensi dell’art. 271 c.p.p.) sulla utilizzabilità dell’intercettazione nei confronti del sig. Rosi per far valere una eventuale responsabilità penale di questi, spetta unicamente al giudice penale. L’ordinamento sportivo, al cui ambito si riferiscono le funzioni degli organi disciplinari della FIP, nonché il potere di giudizio e gli effetti della decisione del presente Collegio Arbitrale, è infatti improntato a finalità diverse rispetto al sistema del processo penale e basato su principi peculiari: ferma restando la necessità di garantire ad ognuno un equo processo, il giudizio disciplinare sportivo si atteggia a principi di libertà di forme che non risentono di restrizioni “tecniche” deducibili dal codice di procedura penale; come ritenuto anche in precedenti pronunce rese nel sistema della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport (lodi del 27 ottobre 2006, nei casi Juventus, Fiorentina, Milan e Lazio), i limiti all’utilizzabilità delle intercettazione posti da principi applicabili nell’ambito del processo penale non sono estensibili ad altri procedimenti, e in particolare a quelli disciplinari sportivi. Preso atto dell’intercettazione telefonica realizzata da organi dello Stato nell’ambito di un procedimento penale, l’organo disciplinare sportivo ben può utilizzarne le risultanze, sulla base di principi (anche procedurali) propri dell’ordinamento sportivo, ai fini delle valutazioni ad esso spettanti. Ciò poteva (e può) avvenire anche nei confronti del sig. Rosi, nel rispetto (come accaduto nel caso concreto) delle garanzie proprie anche dell’ordinamento sportivo: dell’equo processo, del principio del contraddittorio e dei diritti della difesa. 7. Il Collegio ritiene dunque che l’intercettazione della conversazione telefonica avvenuta in data 2 novembre 2008 tra il sig. Rosi e il sig. Giovanni Garibotti ben poteva essere utilizzata dagli organi disciplinari della FIP, e può essere presa in considerazione nell’ambito del presente arbitrato. 8. Il problema che si pone dunque – e che deve essere analizzato dal Collegio Arbitrale – riguarda il contenuto di tale conversazione, ossia se essa attraverso di essa si sia realizzato l’illecito per il quale il sig. Rosi è stato punito dagli organi disciplinari della FIP, ossia la frode sportiva prevista dall’art. 43 par. 1 lett. a RG. 9. Ai sensi dell’art. 43 del RG: “[1] Costituiscono atti di frode sportiva: a) qualsiasi atto diretto ad alterare lo svolgimento o il risultato di gara ovvero ad assicurare ad una società un vantaggio in classifica; […] [2] Gli atti di frode sportiva sono sanzionati con l’inibizione per un periodo da tre a cinque anni. Nel caso di tentativo la sanzione è diminuita in misura non superiore a due terzi. [3] Nei casi di frode sportiva consumata di particolare gravità ovvero che rechi nocumento all’immagine del movimento cestistico nazionale può essere applicata la radiazione”. 10. In relazione a siffatte disposizioni gli organi disciplinari della FIP hanno ritenuto che il Rosi, come risulterebbe dalla conversazione telefonica intercettata, abbia commesso un “atto diretto ad alterare lo svolgimento o il risultato di gara ovvero ad assicurare ad una società un vantaggio in classifica”, con l’applicazione della conseguente sanzione. 11. Il Collegio Arbitrale concorda con siffatta valutazione. 12. In via preliminare, il Collegio sottolinea come per ritenere la responsabilità da parte del soggetto incolpato per una violazione disciplinare sportiva non sia necessaria la certezza assoluta della commissione dell’illecito – certezza che, peraltro, nella maggior parte dei casi sarebbe una mera astrazione – né il superamento del ragionevole dubbio, come nel diritto penale. Tale definizione dello standard probatorio ha ricevuto, nell’ordinamento sportivo, una codificazione espressa in materia di violazione delle norme anti-doping, laddove si prevede che il grado di prova richiesto, per poter ritenere sussistente una violazione, deve essere comunque superiore alla semplice valutazione delle probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio (cfr. ad es. l’art. 4 delle Norme Sportive Antidoping del CONI, in vigore dal 1° gennaio 2009). Il Collegio ritiene peraltro, che il principio così espresso abbia portata generale. È dunque sufficiente un grado inferiore di certezza, ottenuta sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, in modo tale da acquisire una ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito. 13. Ebbene, il tenore della conversazione telefonica intercettata non lascia spazio ad incertezze. Ad essa partecipano il sig. Giovanni Garibotti, già Presidente del Comitato Italiano Arbitri (il “CIA”), ossia dell’organismo federale di settore della FIP avente lo scopo di reclutare, formare, addestrare, organizzare, istruire e valutare, tra gli altri, gli arbitri e gli ufficiali di campo della pallacanestro, e il sig. Rosi, arbitro di pallacanestro, soggetto valutato da commissari CIA anche ai fini di una eventuale progressione di carriera. In essa il sig. Garibotti dà istruzioni precise e insistite («il Cecina deve vincere …», «va bene?», «… ve lo dirà anche il commissario …») e prospetta il quadro in cui la richiesta deve essere esaudita («… avrete il commissario»); il Rosi accetta («ah, va bene», «ok perfetto», «va bene, ok Gianni»). 14. Come rilevato in altre pronunce, rese nel quadro della Camera di conciliazione e arbitrato per lo sporti (lodi del 18 maggio 2007, Cirelli c. FIP, e Pallacanestro Treviso c. FIP), le condotte di frode sportiva di cui all’art. 43 RG sono strutturate quali ipotesi di illecito a consumazione anticipata, giacché l’evento antisportivo dedotto (alterazione del risultato di gara, tesseramento illecito dell’atleta in virtù di sue dichiarazioni mendaci sull’età, falsificazione delle condizioni di partecipazione ecc.) non deve, perché si abbia frode, necessariamente realizzarsi, essendo sufficiente, ai fini della consumazione dell’illecito, il mero compimento di un atto diretto al raggiungimento di uno dei predetti scopi fraudolenti. La norma mira infatti a tutelare l’integrità del sistema federale, e dei valori di lealtà e correttezza sui quali esso si basa, nel suo complesso, e non quella del singolo partecipante alla competizione. Dunque, la frode consistente nella messa in opera di “qualsiasi atto diretto ad alterare lo svolgimento o il risultato di gara” (art. 43 par. 1 lett. a RG) prescinde dalla circostanza che la gara o il suo risultato siano stati concretamente alterati. 15. Ebbene, l’adesione del sig. Rosi alle indicazioni del sig. Garibotti, ossia del soggetto già al vertice di quel settore della FIP dal quale in ultima analisi dipendevano le “fortune” della carriera arbitrale del sig. Rosi, costituisce un atto diretto al raggiungimento di uno dei predetti scopi fraudolenti contemplati dall’art. 43 par. 1 lett. a RG. E per la consumazione dell’illecito non rileva il comportamento poi tenuto dall’arbitro in occasione della gara, ossia l’effettiva alterazione del risultato di questa. Dunque, l’indicazione del Ricorrente, che sottolinea come il proprio comportamento in occasione della gara sia stato improntato alla massima correttezza, non appare rilevante allo scopo di escluderne la responsabilità disciplinare. 16. Avverso tale qualificazione, il Ricorrente deduce il tono scherzoso (o frettoloso) della conversazione, o comunque l’impossibilità di coglierne toni e spirito sulla base della mera lettura della trascrizione, nonché l’inammissibilità di attribuire ad essa un significato sulla base di elementi (quale il contesto generale) diversi da quelli raccolti in atti. 17. Il Collegio Arbitrale non condivide tale osservazione: la brevità della conversazione non esclude il suo carattere illecito; i termini utilizzati per dare direttive (Garibotti) ed accoglierle (Rosi) sono inequivoci. Il riferimento del sig. Garibotti poi alla necessità di coinvolgere anche l’altro arbitro («… glielo dici anche a quel cretino che guida, comunque ve lo dirà anche il commissario, vi dirà, vi ha chiamato Gianni? così almeno …») nell’esecuzione del disegno illecito conferma “serietà” ed “effettività” dell’accordo fraudolento. E tale conclusione prescinde, si noti, da qualunque considerazione circa il complessivo contesto, che sia emerso in diversi procedimenti disciplinari o nell’indagine penale nel cui ambito la conversazione tra il sig. Garibotti e il sig. Rosi è stata intercettata. 18. Dalla menzionata configurazione degli atti di frode come illecito la cui consumazione prescinde dalla messa in opera di una concreta attività esecutiva dell’accordo vietato, risultano in ogni caso non accoglibili le istanze istruttorie formulate dal Ricorrente, in quanto vertenti su circostanze irrilevanti. 19. Allo stesso modo, alla luce di quanto precede, resta assorbita la questione della sussistenza di una eventuale responsabilità in capo al sig. Rosi per violazione dell’obbligo di denuncia degli atti di frode prevista dall’art. 45 RG. 20. Il Ricorrente contesta altresì la misura della sanzione, ritenuta eccessiva. 21. Il Collegio Arbitrale ritiene che sotto questo profilo la domanda del Ricorrente possa essere parzialmente accolta e dunque la misura della sanzione rideterminata. Gli organi disciplinari della FIP, tenuto conto della misura della sanzione prevista dall’art. 43 par. 2 RG per gli atti di frode sportiva (“l’inibizione per un periodo da tre a cinque anni”), la ha determinata, nel caso concreto, in una misura intermedia (quattro anni). La circostanza che il fatto (per quanto gravissimo) attribuito al sig. Rosi, e posto a fondamento della sanzione irrogata, sia uno solo e la oggettiva soggezione del sig. Rosi al sig. Garibotti inducono peraltro il Collegio Arbitrale a ritenere che l’applicazione di una sanzione nella misura più bassa tra quelle contemplate (ovvero l’inibizione per un periodo di tre anni) sia la più appropriata. 22. In conclusione, dunque, il ricorso va parzialmente accolto e la decisione impugnata parzialmente modificata: al sig. Rosi va inflitta la sanzione della inibizione allo svolgimento di attività federali e sociali per tre anni, fino al 3 giugno 2012. B. Sulle spese 23. Sussistono, a parere del Collegio, giusti motivi per disporre la parziale compensazione delle spese di lite e di quelle arbitrali, come liquidate in dispositivo (considerato il numero delle ore impiegate) e ivi specificato. Il Collegio Arbitrale, infatti, nota come la principale domanda del Ricorrente sia stata sostanzialmente respinta, e la sanzione inflitta al sig. Rosi solo parzialmente ridotta. Dunque, appare equo al Collegio Arbitrale che il sig. Rosi si faccia carico della parte prevalente delle spese. P.Q.M. Il Collegio Arbitrale definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria domanda, istanza ed eccezione: 1. accoglie parzialmente l’istanza di arbitrato del sig. Alessandro Rosi e, in parziale riforma dell’impugnata decisione della Corte Federale della Federazione Italiana Pallacanestro, meglio indicata in motivazione, infligge al sig. Alessandro Rosi la sanzione della inibizione allo svolgimento di attività federali e sociali per tre anni, fino al 3 giugno 2012; 2. condanna il sig. Alessandro Rosi al pagamento delle spese di lite in favore della Federazione Italiana Pallacanestro, nella misura complessiva di € 750 (settecentocinquanta/00), oltre IVA e CPA come per legge; 3. liquida in € 2.000 (duemila/00) gli onorari del Collegio Arbitrale e condanna il sig. Alessandro Rosi, nella misura di tre quarti, e la Federazione Italiana Pallacanestro per il rimanente quarto, al pagamento degli stessi e, nella stessa proporzione, al rimborso delle spese documentate sostenute dal Collegio Arbitrale, oltre IVA e CPA come per legge, fermo restando il vincolo di solidarietà tra le parti; 4. condanna, altresì, il sig. Alessandro Rosi al pagamento dei diritti amministrativi per il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport; 5. dichiara incamerati dal Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport i diritti amministrativi versati dalle parti. Così deciso all’unanimità nella conferenza personale degli arbitri in Roma, in data 15 dicembre 2009, e sottoscritto in numero di tre originali nel luogo e nella data di seguito indicata. F.to Luigi Fumagalli F.to Guido Calvi F.to Massimo Zaccheo
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