F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – 2011/2012 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 002/CGF del 8 – 9 Luglio 2011 e con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 025/CGF del 02 Agosto 2011 2) RICORSO DEL SIG. MOGGI LUCIANO AVVERSO LA SANZIONE DELLA PRECLUSIONE ALLA PERMANENZA IN QUALSIASI RANGO O CATEGORIA DELLA F.I.G.C., INFLITTAGLI A SEGUITO DI DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 7408/1113PF10-11/SP/MG DELL’11.4.2011 – IN ORDINE ALLA DELIBERA C.A.F. CONFERMATA DALLA CORTE FEDERALE, DI CUI AI COMUNICATI UFFICIALI NN. 1/C DEL 14.7.2006 E 2/CF DEL 4.8.2006 (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. 96/CDN del 15.6.2011)

F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – 2011/2012 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 002/CGF del 8 – 9 Luglio 2011 e con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 025/CGF del 02 Agosto 2011 2) RICORSO DEL SIG. MOGGI LUCIANO AVVERSO LA SANZIONE DELLA PRECLUSIONE ALLA PERMANENZA IN QUALSIASI RANGO O CATEGORIA DELLA F.I.G.C., INFLITTAGLI A SEGUITO DI DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE - NOTA N. 7408/1113PF10-11/SP/MG DELL’11.4.2011 – IN ORDINE ALLA DELIBERA C.A.F. CONFERMATA DALLA CORTE FEDERALE, DI CUI AI COMUNICATI UFFICIALI NN. 1/C DEL 14.7.2006 E 2/CF DEL 4.8.2006 (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale - Com. Uff. 96/CDN del 15.6.2011) Con decisione resa pubblica mediante Com. Uff. n. 1/C del 14.7.2006, emessa dalla C.A.F. e confermata sul punto dalla Corte Federale (cfr. decisione pubblicata il 4.8.2006 mediante Com. Uff. n. 2/Cf), il signor Luciano Moggi veniva condannato alla sanzione dell’inibizione per anni 5 con proposta al Presidente Federale di applicazione della sanzione della preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C.. Il Consiglio Federale della F.I.G.C., con Com. Uff. n. 143 del 3.3.2011, preso atto del complessivo riassetto delle competenze disciplinari disposto dal nuovo C.G.S., ha introdotto una disciplina transitoria in riferimento alle fattispecie – come è quella in esame – ancora pendenti e, per l’effetto, in applicazione del principio di separazione tra gli organi di giustizia sportiva e gli organi di gestione sportiva, ha devoluto ai primi ogni cognizione in subiecta materia. Segnatamente, il regolamento ha previsto che, per le proposte di preclusione già formulate, e non definite alla data 30 giugno 2007, “…dalla C.A.F., anche se riproposte dal giudice di appello, il procedimento debba essere attivato su richiesta della Procura Federale innanzi alla Commissione Disciplinare Nazionale, sulla base delle sentenze rese, garantendo il rispetto dei termini e delle procedure previste dall’art. 30, commi 8 e 9 C.G.S.”. Analogamente, “per le proposte di preclusione formulate dalla Corte Federale, il procedimento deve essere attivato su richiesta della Procura Federale innanzi alla Commissione Disciplinare Nazionale, sulla base delle sentenze rese, garantendo il rispetto dei termini e delle procedure previste dall’art. 30, commi 8 e 9, C.G.S.”. In attuazione della suddetta normativa di settore, la Procura Federale ha, dunque, deferito (con atto n. 7408/1113pd10-11/SP/mg dell’11.4.2011) il signor Luciano Moggi innanzi alla Commissione Disciplinare Nazionale. All’esito del relativo giudizio, il predetto organo di giustizia, con decisione resa pubblica mediante il Com. Uff. n. 96/CDN, ha irrogato al prevenuto la sanzione della preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C.. Avverso tale decisione ha interposto reclamo il signor Luciano Moggi, all’uopo deducendo l’erroneità e l’ingiustizia del provvedimento di prime cure sulla scorta dei motivi di appello di seguito sintetizzati e che saranno in prosieguo analiticamente passati in rassegna: A) denunziato vizio di esaurimento del potere di preclusione: “carenza e/o manifesta illogicità della motivazione”, B) sul principio di successione delle norme nel tempo: omessa motivazione; C) sulla rilevata modifica sostanziale della norma sulla preclusione: contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione; D) sulla censura, sotto diversi profili, delle modalità di attivazione da parte della Procura Federale del presente procedimento: manifesta illogicità della motivazione; E) sulla denunziata violazione del ne bis in idem: manifesta illogicità della motivazione: F) sulla irricevibilità del deferimento per contrasto con l’art. 6 della CEDU; G) violazione e falsa applicazione della delibera contenuta nel Com. Uff. n. 143/A del 3 marzo 2011, anche in relazione agli art. 33 n. 2 dello Statuto federale, 41 n. 9 C.G.S., 4.1. principi di giustizia sportiva emanati dal C.O.N.I. , 11 Cost. connesso vizio di motivazione; H) eccesso di potere per carenza e comunque irragionevolezza della motivazione – grave difetto di istruttoria – contraddittorietà tra motivazione e dispositivo. I) eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti – sviamento del potere ed ingiustizia manifesta L) la disciplina della F.I.F.A.: omessa decisione su un punto decisivo della questione; All’udienza dell’8.7.2011 la difesa del signor Moggi ha illustrato i motivi di doglianza compendiati nell’atto di appello, eccependo, altresì, l’intervenuta prescrizione. Da parte sua, la Procura Federale ha controdedotto alle eccezioni ed alle censure di controparte, chiedendo la conferma della statuizione di condanna. La difesa, dopo una breve replica, ha, quindi, concluso per l’annullamento ovvero la riforma della decisione di primo grado. Dopo ampia ed esaustiva discussione, il ricorso veniva trattenuto in decisione. Diritto L’appello è infondato e, pertanto, va respinto. 1. In via preliminare, la Corte è chiamata a pronunciarsi sull’eccezione di prescrizione formulata nel corso dell’udienza di discussione. Nella suddetta prospettiva, la pretesa punitiva azionata nei confronti del signor Luciano Moggi dovrebbe ritenersi estinta a cagione del decorso del termine di prescrizione previsto dall’art. 18 comma 1 C.G.S., vigente all’epoca dei fatti, a mente del quale “le infrazioni di carattere disciplinare delle quali possono essere chiamati a rispondere i dirigenti, i soci di associazione e i tesserati si prescrivono al termine della quarta stagione sportiva successiva a quella in cui è stato posto in essere l'ultimo atto diretto a commettere le infrazioni stesse.”. Vale, inoltre, rammentare che il comma III° dell’articolo citato prevedeva che “L'apertura di una inchiesta, registrata con data certa da parte dell'Ufficio indagini o di altro organismo federale interrompe la prescrizione. La prescrizione decorrere nuovamente dal momento della interruzione, ma i termini di cui ai commi 1 e 2 non possono in alcun caso essere prolungati oltre la metà”. Segnatamente, nelle deduzioni dell’appellante, rilievo dirimente assumerebbe l’epoca di consumazione dei fatti in contestazione, risalenti alla Stagione Sportiva 2004/2005, di talchè, anche a voler considerare l’interruzione conseguente alla celebrazione del giudizio disciplinare principale, evenienza questa comunque contestata, i tempi di prescrizione previsti dalla citata disposizione, e contenuti nella misura massima di anni 6 (4 anni cui andrebbero aggiunti 2 anni per l’interruzione), sarebbero oramai decorsi. L’eccezione non ha pregio. 1.1 Ed, invero, il costrutto giuridico attoreo oblitera del tutto la peculiarità dell’accertamento in cui si risolve il giudizio in argomento, che non involge più – né rimette in discussione – la cognizione dei fatti e le connesse responsabilità del soggetto deferito, già definitivamente acclarate nelle decisioni rese dalla C.A.F. il 14.7.2006 e dalla Corte Federale il 4.8.2006. Tale giudizio si esaurisce – in un ambito del tutto particolare – nella sola verifica dei presupposti per l’applicazione, in via aggiuntiva, ed in ragione dei medesimi fatti già scrutinati, della sanzione accessoria della preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C.. A tal riguardo, giova rammentare che l’art. 14 (rubricato “sanzioni a carico dei dirigenti, soci di associazioni e tesserati”) del C.G.S., in vigore fino al 30 giugno 2007, dopo aver fissato nella misura massima di anni cinque la durata delle sanzioni di cui alle lettere e) e h), stabiliva che “qualora l’organo di giustizia sportiva valuti di particolare gravità l’infrazione, per la quale irroga una di tali sanzioni nella durata massima, può formulare, con la stessa delibera, motivata proposta al Presidente Federale perché venga dichiarata, nei confronti del dirigente, socio di associazione o tesserato, la preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C.”. L’art. 19, comma 3, del nuovo C.G.S., emanato il 21 giugno 2007, dopo aver ribadito la durata massima di 5 anni per la sanzione di cui alla lett. H, ha devoluto direttamente agli organi di giustizia sportiva (in luogo del Presidente Federale) il potere di disporre siffatta preclusione. Nell’economia delle fattispecie perfezionatesi in epoca antecedente alla suddetta modifica, l’applicazione della radiazione implicava, dunque, sul piano strutturale, una fase procedimentale ulteriore, del tutto eventuale, che si innestava, anche cronologicamente, a conclusione del giudizio disciplinare principale. Ed, infatti, nei soli casi di particolare gravità il Giudice disciplinare, con la stessa decisione (pluristrutturata) che definiva la vicenda disciplinare, poteva stimolare, attraverso la formalizzazione di una specifica proposta, l’attivazione della sanzione espulsiva, inizialmente rimessa al Presidente Federale e, oggi, riservata agli stessi organi di giustizia sportiva. 1.2 Ove si abbia riguardo alla peculiarità della vicenda procedimentale in esame appare di chiara evidenza l’estraneità di tale misura accessoria all’ambito operativo della disposizione che governa l’istituto della prescrizione. Ed, invero, mette conto evidenziare che lo stesso valore semantico del precetto contenuto nel primo comma dell’art. 18 C.G.S. correla la portata estintiva della prescrizione al presupposto del mancato accertamento delle infrazioni di carattere disciplinare entro un definito arco temporale (id est quarto anno successivo a quello in cui è stato posto in essere l’ultimo atto diretto a commettere le infrazioni stesse). Tanto in perfetta coerenza con la natura della prescrizione quale tipica causa di estinzione dell’illecito: il decorso del tempo, facendo venire meno l’interesse dell’ordinamento alla punizione, impedisce di accertare se sia stata posta in essere una condotta avente i requisiti dell’antigiuridicità. Di contro, nel caso di specie, la cura degli adempimenti rilevanti ai sensi e per gli effetti del citato articolo 18 risulta puntualmente onorata, essendosi provveduto ad accertare, nei tempi assegnati dalla disciplina di settore, tanto la sussistenza degli illeciti quanto le connesse responsabilità del signor Moggi. Appare allora di tutta evidenza come la tempestività dell’intervenuto accertamento (delle infrazioni in addebito) valga ad escludere, in radice, l’incidenza della prescrizione rispetto ad un illecito che, nella inscindibilità della sua dimensione fenomenologica e giuridica, risulta oramai definitivamente apprezzato, con decisione irrevocabile, sia nella materialità dei suoi profili costitutivi che per i profili giuridici di marcata offensività dei valori dell’ordinamento. La definitività delle pronunce di condanna ha, dunque, consolidato il rapporto sostanziale sottostante, lasciando residuare profili suscettivi di ulteriore apprezzamento che attengono però – questa volta – alla sola definizione della misura complessiva della reazione punitiva. In altri termini, nel presente procedimento muta radicalmente la prospettiva di indagine, che non guarda più all’illecito, già definitivamente accertato, ma al solo rapporto sanzionatorio, la cui definizione viene affidata – nell’ipotesi in esame – ad una fase distinta nell’ambito di un più ampio giudizio a formazione progressiva. La consapevolezza del diverso livello in cui ci si muove (non più l’accertamento dell’illecito ma la definizione della misura del trattamento sanzionatorio) consente di apprezzare agevolmente – sulla base cioè di un semplice raffronto con la fattispecie normativa di riferimento - l’estraneità della res iudicanda rispetto al perimetro operativo della prescrizione, quale desumibile dalla richiamata disciplina di settore. La stessa piana lettura della proposizione normativa compendiata all’art. 18 rende, infatti, di evidenza intuitiva come la causa estintiva della prescrizione prevista dal C.G.S. faccia riferimento esclusivamente all’accertamento dell’illecito e non alla diversa, speciale ipotesi di applicazione di un’ulteriore sanzione accessoria ad un illecito già ritualmente accertato. 1.3 Tanto sarebbe già sufficiente ai fini della reiezione dell’eccezione in esame. Ciò nondimeno, alle medesime conclusioni si addiviene anche a voler privilegiare una lettura sistemica delle disposizioni dell’ordinamento federale: non può, infatti, essere obliterata la peculiarità strutturale del giudizio in questione – nella versione desumibile dall’originaria formulazione dell’art. 14 C.G.S. - che vedeva la proposta di radiazione formulata dall’organo giudicante solo a conclusione del giudizio disciplinare. La fattispecie di prescrizione prevista dall’art. 18 C.G.S., oltre ad essere dichiaratamente calibrata sul giudizio di accertamento del fatto illecito, appare allora non concretamente riferibile, sul piano strutturale, all’aggiuntiva potestà sanzionatoria contemplata dalla previsione di cui all’art 14 C.G.S., oggi art. 19 del nuovo C.G.S.. Ed, invero, l’art. 18 sanziona con l’estinzione l’inutile decorso del tempo dalla data di commissione dei fatti costituenti illecito; il suddetto dies a quo assume, però, una valenza neutra nello speciale procedimento volto alla radiazione che, fino alla riforma del C.G.S., non poteva autonomamente svilupparsi dinanzi all’organo competente (id est Presidente Federale), ma necessitava della previa definizione del giudizio disciplinare principale. In conclusione, l’assenza dei presupposti che rendessero concretamente esigibile l’esercizio della potestà di irrogare la sanzione accessoria della radiazione, conferma, in ossequio al noto brocardo “contra non valentem agere non currit praescriptio”, la ritenuta inapplicabilità alla fattispecie in esame del disposto di cui all’art. 18 comma 1 del previgente C.G.S. nella parte in cui ancora la decorrenza del termine di prescrizione al tempus commissi delicti. 2. Quanto al merito, ai fini di una compiuta delibazione della res controversa, appare doveroso muovere da una preliminare ricostruzione, ancorchè in via di sintesi, della cornice normativa di riferimento. A tal riguardo, viene in rilievo il comunicato n. 143/A del 3.3.2011 con il quale è stata introdotta una disposizione normativa transitoria idonea a disciplinare i procedimenti di preclusione ancora pendenti alla data di entrata in vigore del nuovo C.G.S.. In altri termini, la fonte di diretta legittimazione, sul piano procedurale, delle competenze esercitate, in subiecta materia, tanto dalla Procura Federale che dagli organi di giustizia sportiva, di primo e di secondo grado, è data dalle mentovate disposizioni regolamentari. 2.1 A tal riguardo, è necessario anticipare che le censure attoree, ove investano direttamente i presupposti ed i contenuti dell’atto regolatorio assunto dal legislatore sportivo, trascendono i limiti strutturali e funzionali della cd. giustizia associativa, il cui esatto perimetro è delineato dallo statuto e dalle altre norme federali che non contemplano anche un giudizio sulla legittimità degli atti normativi. In altri termini, la cognizione degli eventuali profili di antinomia tra le fonti dell’ordinamento sportivo e gli altri ordinamenti, nazionale e sovranazionale, non rientra tra le attribuzioni, tipiche e nominate degli organi di giustizia sportiva, che restano piuttosto vincolati – senza nemmeno possibilità di far ricorso ad una disapplicazione in via incidentale, parimenti non contemplata – alle norme dell’ordinamento federale. E ciò in ragione dei principi di autonomia e di autosufficienza dell’ordinamento sportivo, segnatamente in ambito disciplinare, ancora di recente ribaditi dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 49 del 7.2.2011. 2.2. Di ciò vi è chiara conferma nelle disposizioni dello Statuto della F.I.G.C. che non prevedono un regime di controllo giurisdizionale interno sulle delibere adottate dal Consiglio Federale. Allo stesso modo il C.G.S., nel declinare le specifiche competenze dei singoli organi di giustizia federale, non include tra tali attribuzioni anche il sindacato, in via diretta o indiretta, d’ufficio o su impulso di parte, sugli atti normativi varati dal Consiglio. 3. Alla stregua di tale postulato vanno, anzitutto, disattese, siccome inammissibili, tutte le doglianze articolate dal reclamante (e rubricate sub A nell’atto di appello) nella parte in cui predicano l’intervenuta perenzione del potere disciplinare. 3.1. Segnatamente, rispetto al “denunziato vizio di esaurimento del potere di preclusione” , non rilevato dal giudice di prime cure, la cui decisione risulterebbe, dunque, affetta da “carenza e/o manifesta illogicità della motivazione”, il reclamante deduce che: a) il potere disciplinare di preclusione dovrebbe essere ritenuto estinto, da un lato, a cagione del lasso di tempo trascorso dalla proposta e, dall’altro, a seguito e per effetto della mancata previsione di una norma transitoria idonea a governare la successione nel tempo delle disposizioni codicistiche; b) il limite temporale per l’esercizio del potere disciplinare, in assenza di una norma transitoria, coincideva con l’entrata in vigore del nuovo Codice: qualunque situazione in itinere doveva, pertanto, ritenersi definita a quella data; c) l’intervento normativo attuato dal Consiglio Federale con il Com. Uff. del 3.3.2011, sovrapponendosi alla disciplina normativa esistente, avrebbe creato una norma ad personam con conseguente vulnus all’affidamento medio tempore maturato dal ricorrente; d) il nuovo giudizio, reso possibile dalle disposizioni compendiate nel Com. Uff. n. 143/A del 3.3.2011 altererebbe il rapporto di necessaria contestualità tra fatto e suo accertamento giudiziale, obliterando la circostanza che la sentenza costituisce la fotografia di un dato momento temporale. 3.2. E’ evidente che le affermazioni censoree, sopra riportate in via di sintesi, attraggono in via diretta nel fuoco della contestazione la stessa opzione normativa di dare ingresso ad una disciplina transitoria che, viceversa, nella prospettiva dell’appellante, resterebbe preclusa, in radice, dall’incidenza ostativa di principi generali dell’ordinamento. A tal riguardo, questa Corte non può che ribadire le proprie perplessità in ordine alla predicabilità, in questa sede, di siffatta pretesa che implicherebbe un nuovo livello di sindacato – sulle stesse norme federali – non rientrante nelle attribuzioni degli organi di giustizia sportiva, quali definite dalle relative norme d’investitura. 3.3. In disparte tale profilo, deve ritenersi che i profili di patologia dell’esercizio della funzione normativa denunciati nell’atto di appello non appaiono, comunque, condivisibili. Anzitutto, a differenza di quanto dedotto, il tempo decorso dalla formalizzazione della proposta di radiazione non vale di per se stesso ad elidere il potere sanzionatorio: tale effetto estintivo può, infatti, riconnettersi solo ad esplicite previsioni normative che ricolleghino il suddetto esito a scadenze temporali ben definite. Già sono state esposte in premessa le ragioni per cui deve escludersi, sul piano sostanziale, la configurabilità della prescrizione. Allo stesso modo, può rilevarsi, sul versante procedurale, che la perenzione del procedimento deve trovare diretto riconoscimento nel complesso delle disposizioni che lo governano: nel caso di specie, il codice di rito non fornisce alcun supporto alle pretese dell’appellante che, viceversa, e secondo quanto già sopra ampiamente evidenziato, si pongono in aperto ed insanabile contrasto con le specifiche norme transitorie introdotte con il Com. Uff. n. 143/A del 3.3.2011. In ragione di ciò – ed in mancanza di ulteriori previsioni - il termine di perenzione non può che ancorarsi al venir meno della posizione giuridica cui si riferisce il potere e cioè lo stato di sospensione dai ranghi della Federazione. 3.4. Né è possibile inferire tale effetto dalla circostanza – di per se stessa anodina – del mancato inserimento nel nuovo Codice di Giustizia Sportiva, emanato il 21.6.2007, di una norma transitoria volta a disciplinare l’eventuale completamento dei procedimenti di radiazione già pendenti. La successione delle previsioni normative contenute nel Codice di Giustizia Sportiva, mentre ha lasciati immutati i profili sostanziali della fattispecie di illecito in addebito ed il relativo trattamento sanzionatorio, ha comportato, infatti, semplicemente una modifica del regime procedurale, cui ha fatto seguito la revisione dell’assetto delle competenze decisorie. Tanto, però, non vale a giustificare l’invocata estinzione del procedimento sanzionatorio, dovendo tale effetto trovare fondamento in cause tipiche espressamente previste dall’ordinamento che, per la loro natura eccezionale, non sono suscettive di applicazione analogica. In assenza, invero, di una disposizione che ciò esplicitamente preveda, la regola generale desumibile dall’ordinamento non può che essere quella della perdurante punibilità della condotta. 3.5. Tutto quanto finora evidenziato induce, altresì, a giudicare inconferenti le ulteriori argomentazioni difensive che impingono nell’affidamento (in ordine alla non applicabilità della sanzione) medio tempore maturato in capo al signor Moggi. Ed, infatti, in senso ostativo a siffatta pretesa, viene in rilievo l’impossibilità di correlarla a specifiche previsioni normative che valessero a qualificare le divisate aspettative (di mero fatto) in termine di rilevanza giuridica sì da renderle tutelabili. 3.6. Infine, non può ritenersi perspicua la residua argomentazione svolta dal reclamante circa l’inettitudine delle “sentenze rese” a dar luogo ad una rinnovata valutazione discrezionale, in quanto risulterebbe alterato il rapporto di necessaria contestualità tra fatto e suo accertamento giudiziale. Sul punto, e salvo quanto verrà ancora detto in prosieguo, mette conto evidenziare che la precedente condanna disciplinare costituisce il presupposto per un nuovo, autonomo giudizio nell’ambito del quale la decisione consegue (non già ad un atto dovuto ma) ad un’ulteriore valutazione discrezionale. In altri termini, il procedimento attivato con l’atto (n. 7408/1113pd10-11/SP/mg dell’11.4.2011) di deferimento della Procura Federale, ancorchè promosso sulla scorta ed a seguito delle “sentenze rese”, mantiene le caratteristiche strutturali e funzionali di un giudizio pieno: la valenza documentale delle precedenti statuizioni giurisdizionali non è, infatti, in contraddizione con la caratteristiche tipiche di un giudizio di accertamento, atteso che l’ambito cognitivo dei due procedimenti non è coincidente. Mentre, infatti, il giudizio già definito ha riguardato il fatto e la colpa del reclamante, quello oggi in esame concerne la speciale gravità degli addebiti accertati e l’attitudine degli stessi a fondare un giudizio di così grave riprovazione da giustificare l’adozione di una misura espulsiva. E ciò in piena aderenza ad un principio generale dell’ordinamento secondo cui il giudice è libero di avvalersi, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche delle prove raccolte in un diverso processo svoltosi fra le stesse o altre parti, delle quali la sentenza pronunciata nel medesimo giudizio costituisce documentazione (cfr. Cassazione civile , sez. I, 27 aprile 2011, n. 384), principio consacrato anche nel disposto di cui all’art. 238 bis c.p.p.. 4. Anche le argomentazioni difensive compendiate al punto b) dell’atto di appello scontano, così come quelle già esaminate, il medesimo vizio genetico di impingere in un petitum (sindacato di una norma federale) che trascende i limiti delle attribuzioni di questa C.G.F.. Ed, invero, nella prospettazione del reclamante, il Com. Uff. n. 143/A del 3.3.2011, in quanto introdotto successivamente all’entrata in vigore del nuovo Codice di Giustizia Sportiva, piuttosto che costituire una norma transitoria rappresenterebbe una disposizione con chiara valenza retroattiva e, peraltro, riferita a ben individuate situazioni pregresse. Indipendentemente dalle considerazioni già sopra svolte sui limiti di sindacato degli organi di giustizia sportiva, e da intendersi qui integralmente richiamate, devono, comunque, ritenersi non condivisibili le osservazioni censoree in argomento. 4.1. A tal riguardo, è necessario prendere abbrivio dalla pendenza del rapporto sostanziale sottostante, come detto non estinto per prescrizione né definito per effetto della perenzione della relativa pretesa disciplinare. Parimenti, occorre considerare, in via aggiuntiva, che il procedimento di accertamento della particolare gravità dei fatti ai fini dell’applicazione della misura sanzionatoria della radiazione era già stato attivato alla data del 30.6.2007, epoca in cui è entrato in vigore il nuovo C.G.S. (sul punto si è diffuso il parere interpretativo assunto il 13 aprile 2010, prima dunque dell’ultima modifica regolamentare, dalla Sezione Consultiva di questa Corte, in base al quale essendovi stato già accertamento della particolare gravità, con tutte le garanzie del contraddittorio richieste dal principio del “giusto processo”, ed essendosi formato il giudicato su tale accertamento, l’effetto di preclusione discende automaticamente dalla norma, in quanto al mutare della previsione normativa nel 2007 si è prodotta una conversione ex lege dell’originaria proposta al Presidente federale in una diretta irrogazione della preclusione). In siffatte evenienze, la modifica della disciplina del modello legale di procedimento giammai potrebbe comportare l’estinzione dei procedimenti pendenti: lo ius superveniens incide infatti solo sul regime delle modalità di accertamento del rapporto che resta, invece, in mancanza di espresse disposizioni che ne decretino l’estinzione, ancora vitale. 4.2. Sul piano esegetico, tra le soluzioni ermeneutiche astrattamente ipotizzabili, la prima opzione possibile è quella di rimettere, in ossequio al principio “tempus regit actum”, la disciplina dei segmenti non ancora completati al nuovo regime normativo. Le nuove disposizioni procedurali, siccome immediatamente applicabili, verrebbero, dunque, a conformare gli atti del procedimento non ancora adottati. In via alternativa, il legislatore potrebbe differenziare la disciplina dei procedimenti pendenti, introducendo una norma transitoria, che, nelle sue possibili varianti, ben potrebbe contemplare anche l’ultrattività della disciplina preesistente. 4.3. Nel caso in esame, il legislatore sportivo, sebbene di certo non nell’immediatezza dell’entrata in vigore del C.G.S., emanato il 21.6.2007, bensì con provvedimento adottato solo a distanza di diversi anni, ma pur sempre nella pendenza della situazione soggettiva di riferimento, ha optato per la previsione di una disciplina transitoria, devolvendo la cognizione dei procedimenti de quibus, in ossequio al principio di separazione dei poteri, agli organi di giustizia sportiva. Segnatamente, la norma regolamentare introdotta con il Com. Uff. n. 143/A ha previsto che, per le proposte di preclusione già formulate, e non definite alla data 30 giugno 2007, “…dalla C.A.F., anche se riproposte dal Giudice di appello, il procedimento debba essere attivato su richiesta della Procura Federale innanzi alla Commissione Disciplinare Nazionale, sulla base delle sentenze rese, garantendo il rispetto dei termini e delle procedure previste dall’art. 30, commi 8 e 9 C.G.S.”. Analogamente, “per le proposte di preclusione formulate dalla Corte Federale, il procedimento deve essere attivato su richiesta della Procura Federale innanzi alla Commissione Disciplinare Nazionale, sulla base delle sentenze rese, garantendo il rispetto dei termini e delle procedure previste dall’art. 30, commi 8 e 9, C.G.S.”. 4.4. Tanto premesso, deve ritenersi che, contrariamente a quanto dedotto dall’appellante, le disposizioni appena richiamate non hanno una valenza retroattiva, in quanto dispiegano i propri effetti, non già verso il passato, intervenendo su fatti ed atti del procedimento già perfezionati, bensì regolano segmenti del procedimento non ancora completati, riferendosi a rapporti giuridici che, anche dal punto di vista sostanziale, sebbene sorti anteriormente, non avevano ancora esaurito i propri effetti. D’altro canto, in ciò – se si tiene in disparte la circostanza, di per se stessa anodina, dello sfalsamento temporale rispetto all’entrata in vigore del nuovo C.G.S. - non vi è alcuna differenza rispetto alle modalità operative che avrebbero contraddistinto il varo di siffatta disciplina transitoria contestualmente all’entrata in vigore del nuovo C.G.S: l’introduzione di una norma transitoria coevamente al nuovo C.G.S., piuttosto che qualche anno dopo, da un punto di vista strutturale, avrebbe, infatti, inciso sui rapporti pendenti nei medesimi termini in cui ha inciso il regolamento di cui al Com. Uff. n. 143/A. Anche in quel caso, vi sarebbe stato un procedimento incompleto che avrebbe visto le fasi non ancora definite conformate da una disposizione sorta dopo l’insorgenza del rapporto giuridico sostanziale. D’altro canto, finanche in ambito penale, dove il principio di retroattività trova un presidio costituzionale, si è sempre riconosciuta l’attitudine delle nuove norme processuali a regolare anche i processi penali già in corso, in qualunque tempo sia stato commesso il reato per cui si procede. E ciò in ragione del fatto che oggetto di disciplina non è la fattispecie di illecito, ma il procedimento, il quale non è un fatto passato, ma presente o futuro, di talchè la nuova disciplina non interferisce con il precetto della non retroattività della legge (cfr. Cass. Pen. Sez. Un. N. 3821 del 17.1.2006). 5. Né hanno pregio i motivi di appello rubricati sub c), con i quali il reclamante deduce la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione della decisione di primo grado che, a suo dire, non avrebbe colto la natura sostanziale della norma transitoria sulla preclusione. Segnatamente, la comparazione dei sistemi normativi succedutisi nel tempo evidenzierebbe, a giudizio del reclamante, una valenza tipicamente sostanziale delle modifiche introdotte con il Com. Uff. n. 143/A, fatta palese – tra l’altro - dall’eliminazione del sistema del doppio vaglio originariamente rimesso ad organi distinti (organi di giustizia sportiva in prima battuta e Presidente Federale poi). 5.1. Sul punto, ed in perfetta aderenza a quanto già evidenziato dall’Alta Corte di Giustizia Sportiva nella decisione n. 11/2011, resa proprio in riferimento al procedimento in questione, ancorchè nei confronti di altro coimputato, è agevole obiettare che la fattispecie sostanziale è rimasta immutata. Costituisce, invero, un dato incontestabile il fatto che il Com. Uff. n. 143/A non abbia inciso sulle norme incriminatrici di riferimento, sia per ciò che attiene al precetto sia per quel che concerne gli aspetti più direttamente concernenti la misura ed i contenuti della reazione punitiva. Una piana lettura dell’articolato consente, infatti, agevolmente di circoscrivere la portata innovativa del richiamato testo regolamentare a profili concernenti termini e modalità degli ulteriori sviluppi dell’iter procedimentale ovvero al regime delle competenze e, dunque, in un’orbita tipicamente propria dell’ambito procedurale. In particolare, si è provveduto ad attribuire alla Procura Federale il potere di iniziativa del procedimento, a individuare gli Organi della giustizia sportiva competenti a seconda delle diverse fattispecie, a definire i termini e le modalità del procedimento e a sancire il principio del doppio grado di giurisdizione. 5.2. E’ necessario poi aggiungere che l’intervento regolatorio in questione, contrariamente a quanto dedotto, non è volto a perseguire, individualmente, come norma ad personam, il solo reclamante, quanto piuttosto a definire tutte le situazioni pendenti, peraltro nemmeno così numericamente contenute (essendo emerso che sarebbero svariate decine, in disparte l’attivazione concreta del deferimento da parte della Procura Federale). 5.3. Il Com. Uff. n. 143/A, anche rispetto ai procedimenti pendenti, si limita a sottrarre al Presidente Federale, in ossequio al principio della separazione delle funzioni, la competenza a pronunciarsi sulle proposte di radiazione. L’effetto innovativo che si riconnette al Com. Uff. n. 143/A è stato, dunque, quello di ribadire la competenza degli organi di giustizia sportiva – riportando ogni decisione in subiecta materia nel naturale alveo di una valutazione necessariamente tecnica -assicurando lo svolgimento dinanzi ad essi di una (nuova) fase cognitoria a contraddittorio pieno, all’interno della quale possono trovare, dunque, massima espressione le garanzie difensive dell’incolpato. 6. Con un ulteriore gruppo di motivi di doglianza il reclamante censura, sotto diversi profili, la manifesta illogicità della decisione di primo grado in riferimento alle contestate modalità di attivazione, da parte della Procura federale, del procedimento in questione. Segnatamente, vengono denunciate ai fini del dedotto error in procedendo le seguenti anomalie: a) la Commissione avrebbe rilevato la distonia dell’atto di deferimento rispetto al suo modello ordinario, riconoscendogli, comunque, dignità nella sua funzione di contestazione poiché da considerarsi atto tipico introdotto ex novo dal Com. Uff. n. 143/A del C.F.; b) le nuove disposizioni normative avrebbero dovuto essere approvate dalla Giunta Nazionale del C.O.N.I. prima della notifica dell’atto di deferimento, non essendo all’epoca perfezionatosi il procedimento di efficacia della norma; c) sintomatiche della peculiarità del procedimento, da intendersi come congegnato ad hoc nei confronti di destinatari già individuati, sarebbero le stesse argomentazioni poste a fondamento della decisione di prime cure, in cui si riconosce al deferimento la semplice funzione di impulso processuale senza necessità di contestazioni ulteriori. Anche in questo caso la tesi del reclamante non appare condivisibile. 6.1. Le osservazioni censoree sopra richiamate, nella parte in cui lamentano la deficienza strutturale dell’atto di deferimento, obliterano, infatti, la peculiarità del procedimento in esame, inevitabilmente condizionato dalla sua collocazione a cavallo di regimi procedimentali succedutisi nel tempo. Occorre, infatti, rammentare che l’attuale fase procedimentale si innesta, come necessario complemento, su un giudizio disciplinare già svoltosi e nell’ambito del quale la dialettica tra le parti ha trovato piena attuazione. L’iniziativa della Procura Federale – peraltro aderente al contenuto precettivo delle disposizioni transitorie introdotte con Com. Uff. n. 143/A – recupera, dunque, e ripropone l’atto d’impulso (qualificato come proposta dall’art. 14 del previgente C.G.S.) già contenuto nella decisione (a contenuto complesso) che ha definito la precedente fase di giudizio, mutuandone presupposti e contenuti. All’interno del descritto contesto procedimentale, l’attivazione del sub procedimento volto all’irrogazione della sanzione accessoria della radiazione non necessita evidentemente di un ordinario atto di deferimento (e tale era l’opzione prevista dall’art. 14 del previgente C.G.S.), saldandosi il nuovo atto di impulso con la fase pregressa di cui recepisce i relativi arresti: i fatti in addebito restano, infatti, quelli originari ed, anzi, risultano arricchiti dalle emergenze istruttorie convalidate – nella loro valenza dimostrativa - dalle decisioni del giudice disciplinare. Coerentemente con la peculiare struttura del procedimento in argomento il legislatore sportivo ha, dunque, previsto, con il Com. Uff. n. 143/A, che l’atto della Procura Federale dovesse fondarsi “sulle sentenze rese, garantendo il rispetto dei termini e della procedura prevista dall’art. 30, commi 8 e 9 C.G.S.”. 6.2. Con riferimento, poi, all’ulteriore motivo di gravame con cui il reclamante lamenta la mancata approvazione della norma di cui al Com. Uff. n. 143/A del 3 marzo 2011 ad opera della Giunta Nazionale del C.O.N.I. in un momento precedente alla notifica dell’atto del Procuratore Federale, questa Corte, nel disattenderla, ritiene di condividere la traiettoria argomentativa seguita dalla C.D.N. nel giudizio di primo grado. Ai sensi dell’art. 13 N.O.I.F., infatti, l’efficacia (rectius, la decorrenza) delle deliberazionidegli Organi Federali ha inizio dalla data di pubblicazione del Comunicato Ufficiale, pubblicazione che, nella specie, risulta essere avvenuta in data 3 marzo 2011. Di contro, e contrariamente a quanto dedotto, l’approvazione “ai fini sportivi” da parte del C.O.N.I. delle norme regolamentari emanate in materia di giustizia sportiva dalle Federazioni non può essere considerata alla stregua di una condizione sospensiva dell’efficacia endoassociativa delle norme stesse, avendo siffatta approvazione semplice valore ai fini del mantenimento del riconoscimento ai fini sportivi delle Federazione stesse, così come, peraltro, confermato dalla sentenza del Consiglio di Stato opportunamente richiamata dal Giudice di prime cure (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 25.9.2009, n. 5764). Secondo questa Corte, tale impostazione risulta, peraltro, confermata dal valore semantico dell’espressione “ai fini sportivi” contenuta nella richiamata norma delle N.O.I.F., espressione che chiaramente riflette uno scopo ulteriore ed esterno al profilo dell’efficacia endoassociativa della norma. E ciò senza voler tener conto dell’intervenuta approvazione delle disposizioni regolamentari de quibus da parte della Giunta del C.O.N.I., circostanza questa che, come ritenuto dalla C.D.N., è destinata a far venir meno ogni interesse giuridico ad una pronuncia di inefficacia e/o illegittimità dell’atto della Procura Federale basata sulla presunta illegittimità “ratione temporis”. 6.3. Infine, e solo per completezza espositiva, ci si sofferma sull’argomentazione da ultimo spesa dal ricorrente che intravede nella motivazione del giudice di prime cure un’affermazione “confessoria” sulla natura speciale e preordinata del procedimento in argomento. A tal riguardo, questa Corte ha più volte evidenziato che la specialità del procedimento deriva unicamente dal fatto che era già stato attivato nella vigenza del precedente sistema normativo, collocandosi in tal modo a cavallo di due diversi regimi procedurali, di talchè il legislatore sportivo ha ritenuto opportuno superare ogni incertezza interpretativa (in astratto erano infatti ipotizzabili diverse soluzioni) dettando una disciplina temporale che resta evidentemente applicabile anche agli altri soggetti che versano nella medesima situazione. 7. Occorre ora passare in rassegna i motivi di reclamo che involgono la dedotta illogicità della decisione della C.D.N. nella parte in cui ha scrutinato, con esito negativo, l’eccezione di ne bis in idem. Sul punto, il reclamante ha riproposto i motivi di doglianza già formulati in primo grado, secondo cui: a) ci si troverebbe innanzi ad un nuovo procedimento disciplinare sui medesimi fatti; tanto si evincerebbe con chiarezza dalle stesse premesse da cui è partito l’accertamento, che è stato “…celebrato sulla scorta delle sentenze rese”, e risulterebbe, inoltre, confermato dall’oggettiva impossibilità di separare l’accertamento del fatto dall’accertamento della gravità del fatto medesimo; b) la violazione del suddetto principio conseguirebbe, inoltre, alla mancata “attualizzazione” delle posizioni soggettive cui, viceversa, gli organi di giustizia sportiva erano tenuti anche in attuazione del dictum dell’Alta Corte; in altri termini, ciò che per l’Alta Corte costituiva un mero presupposto procedimentale ( “le sentenze rese”) è divenuto nella decisione della C.D.N. la base sulla quale fondare il proprio convincimento. La tesi difensiva non può essere condivisa. 7.1. Ed, invero, l’approccio metodologico ai temi in discussione privilegiato nell’atto di gravame tradisce un’impostazione astratta e statica, non allineata al dato normativo di riferimento ed all’oggetto dei procedimenti in esame. La ricostruzione accreditata dal reclamante muove, infatti, dall’assunto – del tutto indimostrato – dell’attivazione, avallata sul piano normativo dal Com. Uff. n. 143/A, di una nuova procedura disciplinare concernente i medesimi fatti già accertati, giungendo in tal modo alla (scontata) conclusione dell’incompatibilità di siffatta opzione con il principio generale del ne bis in idem. Di contro, una piana lettura delle disposizioni di riferimento consente di escludere, in radice, la premessa in cui impinge il costrutto giuridico del reclamante, vale a dire quello della piena sovrapponibilità dei procedimenti de quibus. 7.2. Giova al riguardo rammentare che, nel previgente sistema normativo, la fattispecie in esame si caratterizzava per la strutturazione del complessivo giudizio in uno schema a formazione progressiva, che prevedeva una prima fase celebrata dinanzi agli organi di giustizia sportiva, a conclusione della quale la decisione, unitamente alla condanna, poteva recare anche una proposta di radiazione, la cui delibazione restava, però, riservata ad un organo distinto (il Presidente Federale) e veniva effettuata in un momento logicamente e cronologicamente successivo. Tale nuova fase, che, dunque, si innestava su quella precedente, già definita, e dalla quale prendeva necessariamente abbrivio, utilizzava come premessa storica i fatti accertati in sede disciplinare e vedeva il proprio ambito cognitivo delimitato ad un apprezzamento discrezionale sulla particolare gravità dei medesimi addebiti in vista della possibile applicazione di un’ulteriore sanzione (id est la preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C.), accessoria a quella già inflitta. Nel descritto costrutto normativo, con l’avvio della seconda fase, non aveva luogo la “riproposizione” della medesima azione disciplinare, bensì (solo) il suo completamento per effetto di una valutazione orientata verso aspetti non esplorati e non suscettivi di accertamento nel pregresso giudizio disciplinare. La peculiare articolazione del giudizio in argomento – oggi concentrato in un’unica fase – è stata riproposta dal Com. Uff. n. 143/A (in ciò vincolato dal fatto che la prima fase era stata già celebrata), anche se – come più volte evidenziato – la competenza è stata, comunque, devoluta agli organi di giustizia sportiva. Orbene, ove si abbia chiara consapevolezza del descritto quadro di riferimento, è agevole rendersi conto del fatto che alcuna sovrapposizione può determinarsi tra le due fasi del (complesso) procedimento sopra descritto che, già in premessa, presentano ambiti cognitivi sufficientemente distinti anche se legati tra loro da un vincolo di necessaria presupposizione. Come efficacemente evidenziato dal giudice di prime cure, non si tratta di dare due diverse sanzioni per gli stessi fatti, quanto piuttosto di completare un giudizio al quale mancava un ultimo segmento di valutazione, rimasto pendente. La prima fase del procedimento – quella nella specie già conclusa con l’applicazione della sanzione dell’inibizione per cinque anni – ha, infatti, riguardato la sussistenza degli illeciti in addebito, l’accertamento della colpevolezza e la definizione del trattamento sanzionatorio principale. In tale fase, per effetto di una chiara opzione del legislatore sportivo, restava interdetto l’apprezzamento, con le caratteristiche proprie di una plena cognitio, dei profili di particolare gravità delle condotte in addebito, essendo la relativa delibazione riservata allo sviluppo successivo del procedimento. Il primo segmento del giudizio riflette, dunque, una chiara inettitudine strutturale a coprire anche gli ulteriori profili della res iudicanda (id est accertamento della particolare gravità del fatto), impedendo ab imis la sovrapposizione degli oggetti. In altri termini, il procedimento già celebrato, lungi dall’esprimere un accertamento definitivo sull’intero thema decidendum, sì da consentire al relativo giudicato di coprire il dedotto ed il deducibile, è rimasto connotato – in linea con il modello legale di riferimento - da una riserva di ulteriori accertamenti in relazione a profili (accertamento della particolare gravità del fatto) rimasti ad esso estranei e, dunque, non ancora esplorati. Non vi è, dunque, alcuna riproposizione della medesima azione disciplinare: i rigorosi confini che segnano la prima fase dell’accertamento disciplinare hanno inevitabilmente perimetrato i contenuti del giudizio e della relativa decisione ad un livello che non comprende anche il tema oggi in discussione. In definitiva, il nuovo segmento procedurale, pur muovendo dai medesimi fatti per come già accertati nella precedente fase, si risolve - in un ambito del tutto nuovo - nella stima della loro speciale gravità mediante un apprezzamento mirato sulla intrinseca attitudine offensiva delle condotte in addebito onde verificare, ad oggi, l’effettiva sussistenza dei presupposti giustificativi per la definitiva rescissione del legame con l’ordinamento sportivo. 7.3. Ciò, peraltro, in perfetta aderenza – secondo quanto correttamente evidenziato in primo grado dalla C.D.N. - con le coordinate tracciate dall’Alta Corte che, lungi dall’escludere la predicabilità di una nuova fase di giudizio, ha giustappunto evidenziato la direzione in cui possono trovare piena esplicazione i nuovi accertamenti. Detta Corte ha, infatti, evidenziato che la “sanzione aggiuntiva non è stata innovata nella previsione strutturale: ne è stata variata la competenza dell’organo, che certamente non resta vincolato ad irrogare la sanzione stessa; la stessa sanzione non può pertanto configurarsi come atto dovuto e vincolato senz’altra valutazione rispetto alla precedente condanna disciplinare accompagnata da proposta. L’applicazione della ulteriore misura sanzionatoria ha come presupposto la precedente condanna disciplinare (ed i fatti rilevanti disciplinarmente ivi accertati), ma comporta necessariamente un’ulteriore valutazione discrezionale e perciò con maggiore obbligo di motivazione in relazione alla posizione attualizzata su cui incide”. In altri termini – in mancanza di una revisione delle decisioni già rese – i fatti nella loro materialità restano consacrati nei precedenti “dicta”, e muovendo dalle suddette risultanze fattuali occorrerà accertare se, ancora oggi, le responsabilità degli incolpati possano essere ritenute così gravi da giustificare la sanzione espulsiva comminata dal Giudice di primo grado. 8. Con ulteriori motivi di gravame, il reclamante censura la decisione assunta dalla C.D.N., deducendo: a) che la predetta statuizione sarebbe affetta da error in iudicando nella parte in cui non ha rilevato l’irricevibilità del deferimento per contrasto con il principio di cui all’art. 6 della CEDU sulla ragionevole durata del processo; b) analoga violazione (dell’art. 6 comma 3 lett. d) della CEDU) si sarebbe consumata anche a seguito e per effetto della decisione di non avvalersi delle nuove prove (id est. intercettazioni) fornite dalla difesa del ricorrente; c) parimenti, contrasterebbe con i principi compendiati nel citato art. 6 della CEDU il fatto che sull’istanza di ricusazione di alcuni componenti della C.D.N. abbia pronunciato un collegio più ristretto formato però nell’ambito di quello nel quale sedevano anche i componenti ricusati, con improprio cumulo del ruolo di giudici della ricusazione e di giudici del collegio. 8.1. Ancora una volta l’azione impugnatoria spiegata dall’appellante risulta direzionata avverso il Com. Uff. n. 143/A, la cui cognizione esula, però, per tutte le ragioni già sopra esposte, e da intendersi qui integralmente richiamate, dalle attribuzioni di questa Corte. 8.2. Peraltro, anche a voler prescindere dalla natura settoriale dell’ordinamento in cui ci si muove, vale aggiungere che le disposizioni della CEDU, pur costituendo un canone privilegiato di orientamento nell’applicazione del diritto interno, restano ad oggi, anche all’esito del trattato di Lisbona, sfornite di un presidio simile a quello previsto per le norme comunitarie, idoneo a garantirne l’immediata applicazione. La Corte Costituzionale, nelle more della definizione del processo di adesione dell’Unione europea (UE) alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), come scolpito nell’art. 6 del Trattato UE e nel relativo Protocollo n. 8, ed in forza di una conservativa valorizzazione della lettera dell’art. 6 del Trattato UE, sostiene la mancata “comunitarizzazione” della CEDU e la conseguente impossibilità per i giudici nazionali (e dunque viepiù per gli organi di giustizia sportiva) di disapplicare il diritto interno con essa contrastante. Così, anche nelle recenti sentenze n. 113 del 7.4.2011 e n. 80 dell’11.3.2011, la Corte Costituzionale ha ribadito il convincimento maturato a partire dalla sentenza 24.10.2007, n. 348 secondo cui “spetta al giudice comune interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti in cui ciò sia consentito dal dato testuale; mentre, qualora tale operazione non sia possibile – esclusa una diretta disapplicazione della norma interna da parte del giudice – quest’ultimo deve investire la Corte costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale“, in riferimento al “parametro interposto” espresso dall’art. 117, comma 1, Cost.. 8.3. Indipendentemente dai rilievi sopra svolti, ed anche a voler utilizzare come parametro di riferimento i principi costituzionali sul cd. giusto processo ex art. 111, le deduzioni del reclamante non appaiono, comunque, conferenti. Ed, invero, deve, anzitutto, rilevarsi come la durata del procedimento, in mancanza di una specifica norma che ne preveda espressamente l’estinzione al maturare di un predefinito lasso temporale, giammai può precluderne la definizione, di talchè l’Autorità procedente resta, comunque, tenuta ad assumere una decisione che valga a regolare i rapporti tra le parti. Né è possibile in questa sede soffermarsi sui rimedi compensativi che, a certe condizioni, l’ordinamento pur contempla per i casi in cui il procedimento (recte il processo) abbia avuto una durata non ragionevole. 8.4. Analogamente, rispetto alla pretesa violazione del cd. diritto alla prova, assume rilievo dirimente la circostanza – sulla quale in seguito si tornerà - della manifesta estraneità della pretesa del reclamante rispetto al thema decidendum. 8.5. Quanto, infine, alla dedotta violazione del principio di imparzialità a cagione della denunciata commistione di funzioni nel giudizio di primo grado, questa Corte ritiene che la C.D.N. abbia fatto buon governo dell’istituto della ricusazione. Ed, invero, l’opzione seguita ricalca un modello generale recepito nell’ordinamento processuale amministrativo (cfr. art. 18 c.p.a.) così come nel codice di procedura civile (cfr. art. 53 c.p.c.), in base al quale la decisione (non impugnabile) sulla domanda di ricusazione compete al medesimo ufficio giudiziario cui appartiene il giudice ricusato (cfr. C. Stato [ord.], sez. IV, 12-06- 2007, n. 3308). In ragione di quanto sopra osservato, può, dunque, concludersi nel senso che la semplice appartenenza del ricusato e dei giudici chiamati a decidere sulla ricusazione allo stesso collegio giudicante, e tanto meno allo stesso ufficio giudiziario o alla stessa sezione del medesimo, non costituisce causa di compromissione dell’imparzialità dei decidenti, atteso che i motivi di ricusazione concernono uno specifico processo ed uno o più giudici individualmente considerati, in relazione a situazioni specifiche che li riguardano, senza investire gli altri magistrati che pur facciano parte dello stesso ufficio e dello stesso collegio, i quali conservano una posizione di piena imparzialità (e il dovere corrispondente) allorquando sono chiamati a decidere sull’ammissibilità e sulla fondatezza della ricusazione medesima; né può dirsi che la consuetudine a giudicare a fianco di altri magistrati, nell’ambito dello stesso ufficio e dello stesso collegio, costituisce, di per sé sola, elemento tale da intaccare l’imparzialità di chi decide sulla ricusazione di uno dei componenti di questo, sul presupposto del costituirsi di una sorta di solidarietà di collegio (cfr. C. Stato [ord.], sez. IV, 28-05-2009, n. 3346). 9. Vengono a questo punto in rilievo i motivi di gravame che involgono l’interpretazione che la C.D.N. ha dato delle disposizioni compendiate nel Com. Uff. n. 143/A. A tal riguardo, il reclamante lamenta che: a) la C.D.N. si sarebbe appiattita sulle “sentenze rese” rinunciando a rivalutare i fatti già accertati. a cagione di tale riduttiva lettura della norma transitoria, la C.D.N. avrebbe erroneamente ritenuto di non poter dare ingresso a nuove prove con conseguente violazione dell’art. 33 n. 2 dello statuto federale (sulla garanzia del diritto di difesa), dell’art. 41 n. 9 C.G.S. (sul diritto alla prova), dell’art. 4.1. dei Principi di Giustizia Sportiva emanati dal C.O.N.I. (sul rispetto del contraddittorio). In ragione della suddetta erronea impostazione la decisione di primo grado contrasterebbe anche con la decisione n. 11 del 2011 dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva del C.O.N.I.; b) le prove offerte dalla difesa non miravano a confutare il contenuto delle sentenze rese né ad attenuare la posizione del ricorrente ma semplicemente a far emergere il venir meno dell’esclusività del rapporto di Moggi con i designatori arbitrali e di tutte le conseguenze relative alla disparità di trattamento a favore della Juventus, anche in termini di presunto vantaggio in classifica. 9.1. Contrariamente a quanto dedotto nell’atto di gravame, ritiene questa Corte che la decisione del Giudice di prime cure sia stata resa in perfetta coerenza con le coordinate normative che reggono il giudizio in argomento. Giova, infatti, ribadire che il procedimento in esame non involge più – né rimette in discussione - la cognizione dei fatti e le connesse responsabilità del soggetto deferito, già definitivamente acclarate nelle decisioni rese dalla C.A.F. il 14.7.2006 e dalla Corte Federale il 4.8.2006, bensì si esaurisce – in un ambito del tutto particolare – nella sola verifica dei presupposti per l’applicazione, in via aggiuntiva, ed in ragione dei medesimi fatti già scrutinati, della sanzione accessoria della preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C.. La soluzione esegetica suindicata – già di per se stessa agevolmente evincibile dalla ricostruzione degli snodi procedimentali in cui si articola il giudizio in argomento, originariamente descritto nell’art. 14 C.G.S. previgente e riproposto dalle disposizioni transitorie compendiate nel Com. Uff. n. 143/A – riceve definitivo conforto da una lettura sistemica delle norme federali. Ed, infatti, l’opzione ermeneutica proposta consente di mantenere inalterata la piena coerenza del sistema normativo, assicurando la compatibilità della disposizione in argomento con quelle che prevedono l’intangibilità del giudicato e che impongono per ribaltare il contenuto di un precedente accertamento definitivo la previa coltivazione dei procedimenti di revisione ovvero di revocazione (cfr. art. 39 C.G.S.). Opinando diversamente, si finirebbe, invece, con l’ammettere, nell’ambito peraltro della medesima, complessiva sequenza procedimentale (occorre, infatti, tener sempre ben presente che la radiazione è una sanzione accessoria comminata all’esito di una precedente fase disciplinare) due distinti accertamenti, pienamente sovrapponibili e concernenti i medesimi fatti, con il rischio di pronunce tra loro contrastanti. In perfetta coerenza con il suddetto schema – ed in assenza di un giudicato di revisione o di revocazione sulle decisioni già rese – la C.D.N. ha, dunque, correttamente ritenuto di non poter consentire al reclamante di sviluppare temi di prova dichiaratamente volti a porre in discussione – in modo del tutto irrituale – le risultanze fattuali su cui riposavano le precedenti decisioni, oramai rese intangibili dall’intervenuto consolidamento dei relativi provvedimenti. Ciò, peraltro, in perfetta aderenza con le stesse coordinate tracciate dall’Alta Corte che ha indicato la direzione in cui possono trovare piena esplicazione i nuovi accertamenti. Il massimo organo della giustizia sportiva ha, infatti, evidenziato che la “sanzione aggiuntiva non è stata innovata nella previsione strutturale: ne è stata variata la competenza dell’organo, che certamente non resta vincolato ad irrogare la sanzione stessa; la stessa sanzione non può pertanto configurarsi come atto dovuto e vincolato senz’altra valutazione rispetto alla precedente condanna disciplinare accompagnata da proposta. L’applicazione della ulteriore misura sanzionatoria ha come presupposto la precedente condanna disciplinare (ed i fatti rilevanti disciplinarmente ivi accertati), ma comporta necessariamente un’ulteriore valutazione discrezionale e perciò con maggiore obbligo di motivazione in relazione alla posizione attualizzata su cui incide”. 9.2. Né è possibile ritenere che le divisate preclusioni si risolvano, con la pretesa automaticità, nella lesione di principi generali dell’ordinamento sportivo posti a presidio del diritto di difesa. Appare, infatti, di tutta evidenza che il suddetto diritto debba essere esercitato in coerenza con il thema decidendum, che nella specie è rappresentato unicamente dalla verifica della particolare gravità degli illeciti consumati dal signor Moggi. Di contro, l’impropria latitudine che il reclamante intende assegnare alle proprie facoltà difensive, fino a favorire una rilettura degli stessi fatti già oggetto di accertamento, si risolverebbe in un irrituale giudizio di revisione e/o di revocazione. In definitiva, il nuovo segmento procedurale, pur muovendo dai medesimi fatti per come già accertati nella precedente fase, è funzionale all’accertamento della loro speciale gravità mediante un apprezzamento mirato sulla intrinseca attitudine offensiva delle condotte in addebito onde verificare, ad oggi, l’effettiva sussistenza dei presupposti giustificativi per la definitiva rescissione del legame con l’ordinamento sportivo. 9.3. I suddetti profili sono stati correttamente apprezzati dal giudice di primo grado, che ha efficacemente argomentato sulla sussistenza delle condizioni per l’applicazione della sanzione al signor Moggi della preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C.. Tanto in ragione della intrinseca gravità dei fatti già accertati, fatta palese anche dal “carattere altamente inquinante della sistematicità e della stabilità organizzativa”, e delle aberranti conseguenze che essi hanno determinato, elementi sintomatici che, nella decisione di prime cure, non risultano messi in discussione ovvero attenuati da elementi sopravvenuti di sicuro affidamento e che, pertanto, rendono tuttora proporzionata la comminata sanzione espulsiva. Sul punto, e proprio a voler ancor più attualizzare il giudizio di gravità, è sufficiente aggiungere che l’abnorme portata offensiva degli illeciti de quibus e la rilevanza dirompente degli effetti distorsivi che ad essi si riconnettono mantengono immutata la propria carica di disvalore tanto che tuttora sono avvertiti come fattore di profondo turbamento. Non può, infatti, essere trascurato che la tipologia di condotte accertate, il numero e la serialità dei comportamenti censurati, il massimo livello al quale essi si sono dispiegati coinvolgendo soggetti che occupavano una posizione di vertice nella gestione del settore arbitrale hanno finito per travolgere l’intero sistema calcistico, compromettendone la complessiva affidabilità e favorendo il venir meno della pubblica fiducia. Ad essi si correla, invero, ancora oggi, la permanenza di un’eco di discredito che offusca l’immagine dell’intero movimento calcistico italiano, non solo in ambito nazionale. 9.4. Rispetto al descritto quadro di riferimento – ed all’ambito cognitivo che caratterizza il presente giudizio - gli unici elementi addotti dal reclamante assumono una valenza tendenzialmente neutra. Essi, infatti, mirano a far emergere le responsabilità anche di altri tesserati, onde revocare in dubbio la pretesa esclusività del rapporto intessuto da Moggi con i designatori arbitrali. In disparte il fatto che l’esistenza di analoghe condotte illecite ascrivibili anche ad altri soggetti non determina, di per sé, alcuna attenuazione nel giudizio di gravità per i fatti in addebito, vale poi aggiungere che nelle stesse “sentenze rese” era già stata riconosciuta – in antitesi alla teoria dell’esclusività – la pluralità di focolai patologici potenzialmente in grado di inquinare i valori di lealtà e correttezza su cui poggia l’ordinamento sportivo, sicchè, anche sotto tale diverso profilo, ben modesto si rivela il contenuto di novità evincibile dalle suindicate deduzioni difensive. Ed, invero, la C.A.F., nella propria decisione del luglio 2006, ha chiaramente messo in risalto che “..non unico reticolo abbracciante tutti i rapporti denunciati dalla Procura Federale esisteva, bensì tanti reticoli quante erano le squadre del campionato attualmente deferite, le quali si attivavano, ciascuna nel proprio interesse, al fine appunto di alterare i principi di terzietà, imparzialità ed indipendenza del settore arbitrale. Sicchè in definitiva si potrebbe dire che, non già un sistema in cui siano inquadrabili tutti gli episodi in parola, ma piuttosto un’atmosfera inquinata, una insana temperie avvolgente il campionato di serie A, era venutasi a creare gradualmente.. ”. E nei medesimi termini si è espressa, nello stesso anno, la Corte federale, parimenti evidenziando l’esistenza di “…una serie di reticoli autonomamente attuati dalle varie società incolpate..”. In definitiva, già nelle sentenze rese vi era chiara consapevolezza di un contesto altamente inquinato e, pur tuttavia, tale elemento non è valso (e non vale) ad elidere il giudizio di grave antidoverosità espresso in relazione agli addebiti contestati, apprezzati nella loro intrinseca attitudine offensiva e non già per un’esclusività di relazione illecite, giammai affermata. 10. Proseguendo nello scrutinio dei motivi di appello, secondo lo stesso ordine espositivo seguito nel precitato mezzo di gravame, vengono in rilievo ulteriori doglianze articolate in riferimento a (presunti) vizi dell’atto di deferimento: a) il Procuratore Federale, a seguito della novella normativa di cui al Com. Uff. n. 143/A, avrebbe automaticamente, e senza alcuna attività istruttoria, esercitato l’azione disciplinare sulla base delle sole sentenze rese; in tal modo l’atto di deferimento risulterebbe viziato per difetto di motivazione; b) né varrebbe a giustificare la divisata anomalia il rilievo della C.D.N. in ordine all’atipicità del deferimento, non assimilabile a quello ordinario; c) le divisate lacune dell’atto di deferimento comporterebbero anche una violazione del diritto di difesa, non essendo il ricorrente a conoscenza dei fatti e delle circostanze su cui si fonda la richiesta di applicazione della preclusione; opinando diversamente il procedimento perderebbe la propria autonomia e si porrebbe come mero adempimento della decisione amministrativa contenuta nella modifica normativa. La tesi difensiva non ha pregio. 10 a) Sul punto, vanno, infatti, richiamate le osservazioni già sopra svolte in ordine alla completezza dell’atto di deferimento rispetto alla struttura ed alla funzione del procedimento in argomento. D’altro canto, non è dato comprendere quali sarebbero i gravi profili di distonia rispetto al modello legale di riferimento che, nella prospettazione del reclamante, dovrebbero condurre alla nullità del mentovato atto. E ciò vieppiù in considerazione della chiara riconoscibilità di tutti i requisiti essenziali cui si correla la rituale attivazione, da parte dell’organo requirente, del giudizio disciplinare: l’iniziativa della Procura federale reca, infatti, la chiara indicazione del petitum azionato (preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C.) e, sia pure per relationem, le ragioni fattuali e giuridiche, compendiate nelle “decisioni rese”, che ne costituiscono il relativo fondamento giustificativo. 10 b) D’altro canto, la chiara riprova della completezza dell’atto di deferimento è data dal fatto che la difesa del reclamante ha perfettamente inteso il contenuto della contestazione, tant’è che ha imbastito ampie, articolate e conferenti deduzioni, dimostrando in tal modo che – contrariamente a quanto dedotto - alcun vulnus è stato arrecato al diritto di difesa del deferito. In altri termini, l’atto di deferimento ha perfettamente raggiunto il suo scopo sicchè alcuna nullità può dirsi concretamente configurabile. 11. Le ulteriori doglianze del reclamante involgono direttamente gli arresti decisori del 2006: a) le “sentenze rese” non avrebbero superato il vaglio della corrispondenza alla verità processuale come sarebbe evincibile dalle risultanze dibattimentali del processo penale in corso di svolgimento presso il Tribunale di Napoli; b) l’applicazione di una grave sanzione, come quella della preclusione, presupporrebbe l’accertamento di illiceità gravi, supportate da prove inconfutabili ed attuali; di contro, la stessa Procura Federale avrebbe assunto iniziative correttive (procedimento in ordine alla legittimità del titolo di campione d’Italia 2005/2006 assegnato per via amministrativa all’Internazionale F.C.) che costituiscono una parziale revisione dei precedenti giudizi. Sul punto, è agevole obiettare – così come già opportunamente evidenziato nella decisione di primo grado – che, ad oggi non risulta essere intervenuta alcuna decisione a modifica della decisione della Corte Federale, non essendo stato nemmeno proposto l’avvio della procedura di revocazione o revisione delle statuizioni rese dagli organi della giustizia federale. Né – per le ragioni già sopra evidenziate, alla quali ci si riporta – è possibile valorizzare le recenti determinazioni assunte dalla Procura federale in riferimento alla posizione di altri soggetti, non contribuendo tali emergenze ad alterare le risultanze fattuali e giuridiche poste a premessa del presente giudizio. 12. Infine, il reclamante ha reiterato nell’atto di gravame il contenuto di una specifica eccezione già formulata in vista del giudizio di primo grado sulla quale la C.D.N. non si sarebbe pronunciata. Segnatamente, la decisione di condanna inflitta dal Giudice di prime cure si porrebbe in aperta distonia con il contenuto precettivo dell’art. 33, comma V°, dello Statuto Federale, secondo cui “Il Codice di Giustizia Sportiva stabilisce i comportamenti che sono preclusi ai dirigenti cui è irrogata la sanzione della inibizione, prevedendo in particolare le ipotesi di applicazione delle preclusioni previste per le persone fisiche dal Codice Disciplinare della F.I.F.A.”. Nell’interpretazione privilegiata dal reclamante, in materia di preclusione, il C.G.S. – per effetto del rinvio dinamico previsto dallo Statuto Federale - dovrebbe mutuare le ipotesi e le fattispecie disciplinari previste dal Codice disciplinare della F.I.F.A.. L’ordinamento internazionale, nella versione applicabile ratione temporis, prescriverebbe, all’art. 35, come limite di durata massima delle sanzioni previste per i dirigenti il termine di anni 5, riservando la sanzione della preclusione a vita (id est interdizione) per la sola ipotesi di corruzione, e laddove ricorrano casi molto gravi o via recidiva. In ragione di tale costrutto, la difesa del signor Moggi – non venendo in contestazione fattispecie di corruzione - ha concluso per l’inapplicabilità al prevenuto della suddetta sanzione espulsiva. La tesi difensiva non ha pregio. Ed, invero, l’esegesi da cui prende abbrivio il motivo di doglianza in esame è erronea e fuorviante. E’ sufficiente, invero, una piana lettura del sopra trascritto dato normativo, nel significato fatto palese dallo stesso valore semantico della proposizione utilizzata, per rendersi agevolmente conto del fatto che l’efficacia precettiva della regola iuris si esplica in una direzione del tutto diversa da quella (erroneamente) percepita dall’appellante. La disposizione in commento non è, infatti, funzionalmente diretta ad introdurre una tipizzazione dei casi di radiazione, bensì si preoccupa di perimetrare gli effetti preclusivi della (diversa) sanzione dell’inibizione all’uopo prescrivendo l’obbligo di esplicita individuazione delle facoltà del dirigente che restano temporaneamente interdette. La ratio legis cui la disposizione in commento ha inteso dare corpo è, in altri termini, quella di definire in dettaglio, in ossequio al principio di legalità, il ventaglio dei comportamenti che concretamente risultano vietati ai dirigenti colpiti dalla misura sanzionatoria della inibizione. Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, il ricorso va respinto e, per l’effetto, s’impone l’addebito della tassa reclamo. Per questi motivi la C.G.F. respinge il ricorso come sopra proposto dal signor Luciano Moggi e dispone incamerarsi la tassa reclamo.
DirittoCalcistico.it è il portale giuridico - normativo di riferimento per il diritto sportivo. E' diretto alla società, al calciatore, all'agente (procuratore), all'allenatore e contiene norme, regolamenti, decisioni, sentenze e una banca dati di giurisprudenza di giustizia sportiva. Contiene informazioni inerenti norme, decisioni, regolamenti, sentenze, ricorsi. - Copyright © 2024 Dirittocalcistico.it