CONI – Tribunale Nazionale di Arbitrato – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it Lodo Arbitrale del 20 gennaio 2012 promosso da: U.S. Cremonese SpA / Federazione Italiana Giuoco Calcio IL COLLEGIO ARBITRALE Avv. Guido Cecinelli – Presidente Prof. Avv. Maurizio Benincasa – Arbitro Avv. Enrico De Giovanni – Arbitro nominato ai sensi del Codice dei Giudizi innanzi al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport e Disciplina per gli Arbitri (“Codice”), nel procedimento Prot. n.2442 del 18 Ottobre 2011 – 543 promosso da: U.S. CREMONESE CALCIO s.p.a. (p.IVA: 00402350193) con sede in Cremona, in persona del direttore generale dr. Sandro Turotti rappresentata e difesa dall’Avv. Luciano Ruggiero Malagnini presso lo studio del quale è elettivamente domiciliata in Nola, Via S.Felice n.16 giusta procura in atti – istante – Contro Federazione Italiana Giuoco Calcio, P.IVA 01357871001-cod.fisc.: 05114040586, con sede in Roma alla Via Gregorio Allegri n.14, in persona del Presidente Dott.Giancarlo Abete, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli, ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, Via Panama n.58

CONI – Tribunale Nazionale di Arbitrato – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it Lodo Arbitrale del 20 gennaio 2012 promosso da: U.S. Cremonese SpA / Federazione Italiana Giuoco Calcio IL COLLEGIO ARBITRALE Avv. Guido Cecinelli – Presidente Prof. Avv. Maurizio Benincasa – Arbitro Avv. Enrico De Giovanni - Arbitro nominato ai sensi del Codice dei Giudizi innanzi al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport e Disciplina per gli Arbitri ("Codice"), nel procedimento Prot. n.2442 del 18 Ottobre 2011 – 543 promosso da: U.S. CREMONESE CALCIO s.p.a. (p.IVA: 00402350193) con sede in Cremona, in persona del direttore generale dr. Sandro Turotti rappresentata e difesa dall'Avv. Luciano Ruggiero Malagnini presso lo studio del quale è elettivamente domiciliata in Nola, Via S.Felice n.16 giusta procura in atti - istante – Contro Federazione Italiana Giuoco Calcio, P.IVA 01357871001-cod.fisc.: 05114040586, con sede in Roma alla Via Gregorio Allegri n.14, in persona del Presidente Dott.Giancarlo Abete, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli, ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, Via Panama n.58 - convenuta - FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCEDIMENTO La vicenda de qua trae origine dal provvedimento prot.n.603/1615 PF 10 - 11/SP/BLP del 25.7.2011 con il quale il Procuratore Federale deferiva alla Commissione Disciplinare Nazionale la U.S. Cremonese s.p.a., per responsabilità oggettiva ex art.4 comma 2 C.G.S. in ordine agli addebiti contestati al proprio tesserato Paoloni Marco fino al 31.1.2011, con le aggravanti di cui all’art.7 c.6 C.G.S. La Commissione Disciplinare Nazionale, con decisione del 9.8.2011 (Com.Uff.13/CDD) irrogava a carico della U.S. Cremonese s.p.a. una penalizzazione di sei punti in classifica da scontare nel campionato 2011/12, ed un'ammenda di € 30.000,00. Contro tale decisione ricorreva la Cremonese s.p.a., con atto del 13.8.2011 avanti la Corte di Giustizia Federale. I Giudici Federali, con decisione pubblicata il 19.9.2011 (C.U. n.043/CGF) respingevano l'impugnativa e confermavano la decisione di Prime Cure. Con atto depositato in data 18.10.2011 prot. n.2442 la U.S. Cremonese s.p.a. proponeva istanza di arbitrato, ex artt.9 e ss. del Codice, dinanzi al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport; l'Avv. Guido Cecinelli veniva nominato quale terzo Arbitro con funzioni di Presidente, il Prof.Avv. Maurizio Benincasa veniva nominato quale Arbitro della parte istante e l’Avv. Enrico De Giovanni veniva nominato Arbitro dalla F.I.G.C. La U.S. Cremonese s.p.a. contestava l'applicabilità, della responsabilità oggettiva, delineata in base agli illeciti enucleati a carico del suo tesserato Marco Paoloni coinvolto nel procedimento penale avanti il Tribunale di Cremona, sostenendo che le condotte del tesserato erano da considerarsi extra-sportive e riguardavano la sua esclusiva responsabilità penale. L'istante lamentava, altresì, l'errata applicazione della responsabilità oggettiva, l'omessa valutazione della posizione della U.S. Cremonese s.p.a. quale soggetto passivo degli illeciti commessi dal suo calciatore, nonché l'incongruità della sanzione, con riguardo ad un difetto di graduazione della sanzione. La U.S. Cremonese s.p.a. rassegnava le seguenti conclusioni: “Voglia l’On.le Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport adito, in riforma della impugnata decisione, prosciogliere la deducente società dagli addebiti contestati e, per l’effetto, annullare la penalizzazione di sei punti in classifica”. Si costituiva ritualmente in giudizio la Federazione Italiana Giuoco Calcio chiedendo la declaratoria di inammissibilità dell’istanza e, in subordine, il rigetto nel merito. All’udienza di comparizione delle parti del 21.1.2011, veniva espletato il rituale tentativo di conciliazione, con esito negativo. Il Collegio concedeva termine alle parti per il deposito di note autorizzate e, all’udienza del 20.1.2012 (proveniente da rinvio d’ufficio dall’11.1.2012), dopo la discussione, si riservava la decisione. MOTIVI 1) In via preliminare, deve essere esaminata, per il suo indubbio carattere di pregiudizialità, l'eccezione della parte intimata (F.I.G.C.) circa la presunta inammissibilità dell'istanza di arbitrato in oggetto, in quanto proposta ben oltre il termine di trenta giorni previsto dall'art.10 del Codice T.N.A.S., termine che, a detta della Federazione, sarebbe da computarsi a partire già dalla emanazione e/o comunicazione del solo dispositivo e non dalla data di pubblicazione della delibera integrale, comprensiva delle motivazioni (come, invece, sostenuto dalla U.S. CREMONESE S.p.A.). La suddetta eccezione è infondata e deve essere, pertanto, respinta. Mentre, effettivamente, la giurisprudenza della pregressa Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport (C.C.A.S.) non aveva assunto una posizione univoca al riguardo, oscillando tra l'una e l'altra delle due tesi e privilegiando di volta in volta, quale dies a quo, la conoscenza del dispositivo ovvero delle motivazioni, il T.N.A.S., al contrario, è, ab origine, fermamente orientato nel computare dal secondo momento, quello, cioè, di pubblicazione della pronuncia in forma integrale, il termine di trenta giorni per la presentazione del ricorso per arbitrato. Sul punto, si considerino svariate e conformi decisioni del Tribunale medesimo, tutte favorevoli alla individuazione della "data nella quale alla parte istante è stata data comunicazione della decisione" (art. 10, comma 4, Codice T.N.A.S.) proprio in quella di notifica della delibera munita di motivazioni (cfr., ad esempio, lodo 21 Ottobre 2009, PASQUALIN e D'AMICO c. F.IG.C.; lodo 14 Maggio 2009, SETTEN e TREVISO c. F.I.G.C.). E ciò non tanto e non solo per la modifica lessicale della richiamata norma rispetto a quella, preesistente, di cui all'art. 5, comma 1, del Regolamento di conciliazione e arbitrato della C.C.A.S., nella quale si faceva un più ampio e generale riferimento alla "data di conoscenza del fatto o dell'atto da cui trae origine la controversia", fatto che ben poteva ricollegarsi alla emissione del mero dispositivo. Né semplicemente in relazione alla previsione, nel sistema procedurale della Camera, della doppia fase della conciliazione e dell'arbitrato (la prima quale condizione di procedibilità del secondo), che poteva giustificare, in sede conciliativa, l'avvio del procedimento sulla base del solo dispositivo (in attesa della pubblicazione delle motivazioni, su cui, poi, fondare l'eventuale successiva istanza di arbitrato): duplicità, invece, venuta meno nella nuova normativa del Codice T.N.A.S. Quel che deve maggiormente far propendere per la decorrenza del termine dei trenta giorni "dalla data di conoscenza" dei motivi medesimi è l'obiettiva ed insuperabile impossibilità di articolare un qualunque gravame avverso l'impugnanda delibera endofederale in totale assenza della benchè minima motivazione, neppure in forma breve e/o succinta. Imporre l'impugnativa della decisione dinanzi al T.N.A.S. in forza del semplice dispositivo equivarrebbe, in pratica, a costringere l'istante ad un vero e proprio ricorso "al buio", senza alcun plausibile punto di riferimento, con il serio ed immanente rischio di compromettere in maniera irreversibile il buon esito della propria domanda. Analogo discorso, naturalmente, varrebbe per la parte resistente, la quale si troverebbe a dover controdedurre ad argomentazioni completamente disancorate dalle ragioni (sconosciute) elaborate dall'Organo giudicante a supporto del proprio provvedimento. A simile inconcepibile situazione non si potrebbe certamente rimediare con la sola proposizione di motivi aggiunti (una volta appreso il preciso contenuto della pronuncia), appunto perché, come detto, la strategia processuale potrebbe essere ormai stata irrimediabilmente compromessa dalla diversa (ed, eventualmente, incompatibile) impostazione dell'istanza (e/o della comparsa di costituzione) già presentate: con una gravissima ed intollerabile lesione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio. Né, d'altro canto, la giurisprudenza amministrativa menzionata dalla F.I.G.C. nelle proprie memorie (T.A.R. Lazio, Sez. III, n. 2801/2005) si pone affatto in antitesi con il (qui ribadito) orientamento del T.N.A.S., allorquando ci si soffermi sul passaggio, citato dalla stessa resistente, in cui si parla espressamente di "ritardo nell'introduzione del giudizio rispetto al momento della esatta percezione dell'esistenza dello stesso provvedimento, del suo contenuto essenziale ...", e non solo, come sottolineato dall'intimata, "del conseguente effetto lesivo". Anche il giudice amministrativo, in buona sostanza, non può prescindere da un qualche contenuto, almeno in forma "essenziale", dell'atto da impugnare, contenuto che, in una delibera conosciuta esclusivamente nel dispositivo, manca invece del tutto. A tali considerazioni, già ex se assorbenti, può aggiungersi l’osservazione che solo la conoscenza delle motivazioni consente alla parte di svolgere in modo adeguato le proprie valutazioni sull’opportunità stessa di proporre l’istanza di arbitrato: siffatta conoscenza pertanto, condiziona l’istanza di arbitrato non solo nel quomodo (nel contenuto motivazionale), ma anche nell’an (nella stessa scelta di proporla); è infine appena il caso di ricordare che la scelta di proporre l’istanza espone al rischio di una condanna al pagamento delle spese di funzionamento del Collegio e della difesa avversaria, e non vi è dubbio anche la scelta di affrontare quest’ alea debba essere svolta in base alla conoscenza degli aspetti essenziali dell’atto da impugnare, assenti, come si diceva sopra, nel semplice dispositivo. Ferma restando, dunque, la decorrenza del termine per l'arbitrato ex art. 10 del Codice T.N.A.S. dalla data di pubblicazione delle motivazioni, è altrettanto pacifica la possibilità, per la parte interessata, di proporre, anche antecedentemente a tale momento, la propria istanza (sulla base, cioè, del semplice dispositivo): ma questa, evidentemente - come pure reiteratamente rimarcato dalla giurisprudenza di questo Tribunale (cfr. lodi citati) - è e rimane una mera facoltà e non già un obbligo. In definitiva, tornando al caso concreto, è giocoforza concludere per la indubitabile ammissibilità dell'istanza di arbitrato proposta dalla U.S. CREMONESE S.p.A., essendo stata la stessa presentata prima della scadenza del trentesimo giorno dalla pubblicazione (sul C.U. n. 043/CGF del 19 Settembre 2011) dell'impugnata decisione della Corte di Giustizia Federale. 2) Passando ora all'esame del merito, è doveroso precisare, sin dall'inizio, la non condivisibilità delle pur articolate e suggestive argomentazioni di parte istante tendenti a dimostrare la non configurabilità, nella fattispecie in discussione, della responsabilità oggettiva in capo alla U.S. CREMONESE S.p.A. per la condotta disciplinarmente rilevante ascritta al suo tesserato Marco PAOLONI. A tal proposito, va, anzitutto, affermata e ribadita la piena ed indiscutibile validità ed insuperabilità dell'istituto della responsabilità oggettiva delle Società, così come delineato e regolamentato, in termini generali, dall'art. 4 comma 2 del C.G.S. e, con precipuo riguardo alla fattispecie dell'illecito sportivo, dall'art. 7 comma 4 del C.G.S. 3) - Il problema dei rapporti tra ordinamento sportivo e quello statale si è posto all’attenzione della Giustizia arbitrale con specifico riferimento alle norme penali. Sul punto questo Tribunale ha, in più occasioni, chiarito che il principio di reciproca autonomia degli ordinamenti statale e sportivo – già affermata, seppure con specifico riferimento al reato speciale di frode in competizione sportiva, dalla legge 13.12.1989, n.401 – comporta la non vincolatività, per gli organi della Giustizia sportiva, delle regole di garanzia tipiche del processo penale e, quindi, ad esempio, la non applicabilità della disposizione di cui all’art.526 c.p.p., in materia di formazione ed uso delle prove, a tenore del quale “il giudice non può utilizzare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento” (cfr. lodo A. Moggi del 3.2.2010 prot.0865 del 5.5.2009). Come più volte affermato anche dalla giurisprudenza amministrativa, le regole della formazione e della rilevanza dei mezzi di prova tipiche del processo penale, ove entrano in gioco gli interessi fondamentali di rango costituzionale connessi alla persona umana, non trovano immediata e diretta applicazione ai procedimenti amministrativi in genere e sportivi in specie. A tale ultimo riguardo deve convenirsi con l’affermazione, di origine giurisprudenziale, secondo cui le decisioni degli organi di giustizia sportiva sono l'epilogo di procedimenti amministrativi (seppure in forma giustiziale), e non già giurisdizionali, sì che non possono ritenersi presidiati dalle medesime rigide garanzie del processo (T.A.R. Lazio - Roma, sez. III, 21 giugno 2007, n.5645; id., 8 giugno 2007, n. 5280). In particolare, alla "giustizia sportiva", oltre che le regole sue proprie, previste dalla normativa federale, si applicano, per analogia, quelle dell'istruttoria procedimentale amministrativa, ove vengono acquisiti fatti semplici e complessi, che possono anche investire la sfera giuridica di soggetti terzi, con conseguente inapplicabilità delle regole processuali di formazione in contraddittorio della prova, esclusive e tipiche specialmente del processo penale. 4) - Ancor più in dettaglio – e per quel che qui interessa - le intercettazioni telefoniche (come quelle che hanno riguardato il giocatore incriminato) raccolte nel processo penale sono utilizzabili in sede di procedimento disciplinare a carico di soggetti appartenenti all'ordinamento sportivo: l'eventuale inutilizzabilità di dette intercettazioni nell’ambito processuale penale non può spiegare effetti oltre tale ambito, in conformità al principio di libera utilizzazione degli elementi di prova acquisiti in procedimenti diversi, che opera in assenza di un principio di tipicità dei mezzi di prova (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 19 marzo 2008, n.2472, che a sua volta richiama T.A.R. Lazio, n. 5645/2007, cit., e T.A.R. Bari, sez. I, 19 aprile 2001 n.1199). Né, con ciò, possono ritenersi violati i principi di civiltà giuridica attinenti al diritto di difesa, tra i quali, anzitutto, quello del contraddittorio, per come configurato dall’ordinamento processuale. Al riguardo, vale ricordare che, pur valorizzando sempre più, sul piano teleologico ed applicativo, la disciplina contenuta nella legge generale sul procedimento amministrativo n.241/1990, la giurisprudenza costantemente afferma che contraddittorio e partecipazione sono soddisfatti allorché la parte interessata sia adeguatamente informata della natura e dell'effettivo avvio del procedimento, nonché del contenuto degli atti dello stesso e sia posta in condizione di fornire gli apporti ritenuti utili in chiave istruttoria e logicoargomentativa, senza necessità di assicurare quel contraddittorio continuo ed integrale tipico del processo penale (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 26 gennaio 2006, n. 220; id., 30/6/2003, n. 3925). Nella specie deve essere, quindi, condivisa l’autorevole opinione secondo cui i principi e le regole di formazione della prova penale sono volti a soddisfare finalità tutte interne all'attività di indagine sui comportamenti criminosi; finalità non comparabili con interessi esterni che possano in qualsiasi modo essere avvantaggiati o pregiudicati dalla inapplicabilità di quelle regole specifiche che non si prestino ad essere estese ad ipotesi del tutto estranee alla loro "ratio" (Corte cost., 29 maggio 2002, n.223, con riguardo alla inapplicabilità dell’art. 117 c.p.p. al processo amministrativo). 5) - D’altra parte ed ancor più in generale, deve essere rammentato, che nel nostro ordinamento non vige un principio di necessaria uniformità di regole processuali tra i diversi tipi di processo, sicché i diversi sistemi processuali ben possono differenziarsi sulla base di una scelta razionale del legislatore, derivante dal tipo di configurazione del processo e delle situazioni sostanziali dedotte in giudizio, anche in relazione all'epoca della disciplina ed alle tradizioni storiche di ciascun procedimento (fra le tante, Corte Cost., 21 gennaio 2000, n. 18). Le ipotesi di inutilizzabilità delle intercettazioni, a norma dell'art. 271 c.p.p., comma 1, in quanto correlate a regole poste a garanzia della segretezza e della libertà delle comunicazioni, costituzionalmente presidiata (v. Corte Costituzionale 19.7.2000, n. 304; Cass. Pen. n. 29688/2007), sono dunque di strettissima interpretazione e non rilevano nel procedimento innanzi agli organi della giustizia sportiva, i quali non posseggono i mezzi materiali e giuridici per approfonditi accertamenti istruttori di efficacia pari a quelli compiuti dagli organi di polizia giudiziaria e dalla giurisdizione requirente. 6) – Appare altresì necessario ricordare che il principio di autonomia è stato chiaramente affermato anche tra processi penali cautelari e processo di cognizione. La stessa Corte di Cassazione penale ribadisce, infatti, che “costituisce principio consolidato e pacifico quello per cui la prova nel procedimento di prevenzione è autonoma e non deve rispecchiare i principi e le regole probatorie propri del processo penale di cognizione, potendo trattarsi, stante la peculiarità di tale tipo di procedimento, sia sul piano sostanziale che su quello processuale (v. sentenza della Corte Costituzionale n. 321 del 2004), anche di elementi meramente investigativi. Il giudice della prevenzione può quindi ritenere fondata la prova anche sulla base degli elementi emersi nell'ambito di un procedimento penale poi definito, in ipotesi, con il proscioglimento dell'imputato, poichè la diversità della struttura dei due procedimenti, in punto di prova, può comportare una diversa valutazione degli stessi elementi in sede di giudizio di prevenzione, essendo in particolare il giudice della prevenzione autorizzato a servirsi di elementi di prova tratti da procedimenti penali, anche se non ancora definiti”. Conseguentemente, ad esempio, le intercettazioni disposte in altro procedimento penale in corso possono essere acquisite da altro giudice in distinto processo, salvo il caso – qui non sollevato e perciò inesistente – della inutilizzabilità delle intercettazioni, a norma dell’art.271 c.p.p. (Cassazione penale, sez.I, 15 giugno 2007, n.29688). Quindi, a maggior ragione la regola per i procedimenti e processi appartenenti ad ordinamenti separati ed autonomi, come quello sportivo. 7) - Il principio di autonomia è funzionale, per converso, a dare rilievo, a fini repressivi e sanzionatori, a fatti e comportamenti che, considerati nell’ambito dell’ordinamento generale, non solo non suscitano allarme sociale, ma addirittura sono espressamente consentiti e regolamentati. E’ questo il caso - qui all’esame - delle scommesse, che l’articolo 6 CGS vieta tassativamente a tutti gli appartenenti all’ordinamento sportivo in ogni possibile forma: diretta, indiretta, singola, associata, attiva, passiva. Ciò, all’evidente fine di assicurare la bontà, genuinità e veridicità dei risultati agonistici e, in definitiva, per garantire quei valori, tipici dell’ordinamento sportivo, quali la lealtà e la correttezza, ovvero ad esso addirittura esclusivamente peculiari, quale la probità, i quali, a loro volta, sono espressione di un’idea fondante dell’ordinamento sportivo, temporalmente e geograficamente universale, che è quella dell’onore, in cui si condensano i corollari del valore oggettivo e del rispetto reciproco, della fratellanza oltre ogni confine, in cui si ritrovano i cittadini dello sport. 8) – In questo quadro di assoluta peculiarità debbono leggersi le norme del Codice di Giustizia Sportiva sulla responsabilità oggettiva, con precipuo riguardo per l’art. 4, comma 2 (in termini generali) e per l’art. 7, comma 4 (in materia di illecito sportivo). Vale la pena qui riportare il contenuto, essenziale ma inequivocabile, delle citate disposizioni: “Le società rispondono oggettivamente, ai fini disciplinari, dell’operato dei dirigenti, dei tesserati e dei soggetti di cui all’art. 1, comma 5 [i soci e non soci cui è riconducibile, direttamente o indirettamente, il controllo delle società stesse, nonché coloro che svolgono qualsiasi attività all’interno o nell’interesse di una società o comunque rilevante per l’ordinamento federale, ndr]” (art. 4, comma 2 del C.G.S.); “Se viene accertata la responsabilità oggettiva o presunta della società ai sensi dell’art. 4, comma 5, il fatto è punito, a seconda della sua gravità, con le sanzioni di cui alle lettere g) [penalizzazione di uno o più punti in classifica, ndr], h) [retrocessione all’ultimo posto in classifica del campionato di competenza o di qualsiasi altra competizione agonistica obbligatoria, ndr], i) [esclusione dal campionato di competenza o da qualsiasi altra competizione agonistica obbligatoria, con assegnazione da parte del Consiglio federale ad uno dei campionati di categoria inferiore, ndr], l) [non assegnazione o revoca dell’assegnazione del titolo di campione d’Italia o di vincente del campionato, del girone di competenza o di competizione ufficiale, ndr], m) [non ammissione o esclusione dalla partecipazione a determinate manifestazioni, ndr] dell’art. 18, comma 1” (art. 7, comma 4 del C.G.S.). Trattasi di un sistema normativo consolidato e collaudatissimo che, ad eccezione di marginali e sporadici aggiustamenti (vedasi, ad esempio, l’introduzione di alcune specifiche circostanze esimenti ed attenuanti per comportamenti e/o per fatti violenti dei propri sostenitori ex artt. 13 e 14 del C.G.S.), ha subìto ben poche varianti rispetto al profilo, fermo e rigoroso, che lo ha da sempre contraddistinto. Ciò è ancor più evidente ed inconfutabile in materia di illecito sportivo, in cui spicca la tassativa e perentoria distinzione della responsabilità delle Società in tre tipologie: la diretta, quando la condotta vietata sia commessa da persona che abbia la legale rappresentanza del club coinvolto; l'oggettiva, quando il comportamento sia ascrivibile ad un dirigente privo di legale rappresentanza, ad un tesserato ovvero ad uno dei soggetti di cui all'art. 1 comma 5 del C.G.S. (vedi supra); la presunta, quando l'illecito sia posto in essere, a vantaggio della Società, da un estraneo alla stessa. Nella vicenda che oggi ci occupa, in cui le contestate violazioni attengono ad un calciatore (Marco PAOLONI) federalmente tesserato con la U.S. CREMONESE S.p.A., almeno fino al 31 Gennaio 2011 (data di trasferimento dello stesso alla Società BENEVENTO CALCIO S.p.A.), non può non sussistere, a carico del Sodalizio lombardo, il secondo genere di responsabilità, quella, appunto, oggettiva. In tale prospettiva, come si anticipava poc'anzi, non convincono minimamente gli sforzi del club ricorrente miranti a sottrarre lo stesso all'egida di detta responsabilità. Quale che sia, invero, la (più o meno r i levante) st igmat izzabi l i tà e/o censurabi l i tà dell'atteggiamento tenuto dalla compagine medesima nella gestione del suo rapporto con il PAOLONI (su cui ci si soffermerà tra breve), è chiarissimo come il mero vincolo di tesseramento tra calciatore e Società valga di per sé a configurare, a carico del Sodalizio stesso, la responsabilità oggettiva (art. 4 comma 2 del C.G.S.) e, precipuamente, quella in illecito sportivo (art. 7 comma 4 del C.G.S.). Da detto punto di vista non assumono significativa valenza né la materiale estraneità della U.S. CREMONESE S.p.A. alle malversazioni poste in essere dal PAOLONI (se la Società non fosse estranea, del resto, si prefigurerebbe nei suoi confronti un'ipotesi ben più grave, e cioè la responsabilità diretta) né il mancato conseguimento di un effettivo vantaggio per il club istante o, addirittura, il maturare di un vero e proprio danno per lo stesso. Parimenti, può e deve prescindersi dal carattere agonistico (in senso stretto) dell'attività svolta dal giocatore ed, a maggior ragione, dalla partecipazione diretta dello stesso all'evento agonistico (nello specifico, ad una delle tre gare "incriminate": SPAL - CREMONESE del 16 Gennaio 2011, in cui l'atleta in questione era assente). Non si dimentichi, infatti, come l'illecito sportivo, ai sensi dell'art. 7 comma 1 del C.G.S., rappresenti una violazione a consumazione anticipata, per la quale è sufficiente che l'agente tenti di alterare il risultato o lo svolgimento di una gara, anche senza che lo stesso scenda effettivamente in campo (cosa, peraltro, verificatasi, come detto, per il PAOLONI, solo per uno dei tre incontri in discorso), ben potendosi egli adoperare a tal fine (come in concreto accaduto) quale istigatore e/o, comunque, intermediario verso propri compagni di squadra e/od altri tesserati in genere. In tale ottica, dunque, è inevitabile ravvisare la responsabilità oggettiva della compagine lombarda per il comportamento del suo portiere, anche quando questi si sia "fatto goal da solo" (in MONZA - CREMONESE del 21 Novembre 2010) ovvero abbia somministrato del tranquillante (MINIAS) ai suoi compagni di squadra per comprometterne le prestazioni sul campo (in CREMONESE - PAGANESE del 14 Novembre 2011) od, ancora, neppure abbia preso parte alla gara perché messo "fuori rosa" dalla Società di appartenenza (in SPAL – CREMONESE del 16 Gennaio 2011). 9) Un particolare approfondimento meritano, poi, le aspre critiche mosse dall'odierna istante alle motivazioni formulate dalla Corte di Giustizia Federale nell'impugnata delibera, soprattutto con riferimento agli addebiti dell'Organo giudicante circa la mancata denuncia alla Procura Federale, ad opera del Sodalizio ricorrente, della vicenda del MINIAS e del coinvolgimento nella stessa del PAOLONI (specialmente dopo che il Direttore Sportivo Sandro TUROTTI ne era stato espressamente notiziato da Massimo ERODIANI) nonché a proposito della mancata informativa alla BENEVENTO CALCIO S.p.A. della posizione (disciplinarmente assai critica) del portiere al momento della sua cessione in prestito al club sannita, il quale, a causa di tale ingiustificabile reticenza, era costretto a subire, a sua volta e suo malgrado, le nefaste conseguenze dell'illecito comportamento del calciatore de quo. Questo Collegio ritiene che le osservazioni svolte dai Giudici di Seconde Cure, quale che sia il livello di severità e rigore raggiunto dagli stessi, siano sostanzialmente condivisibili. E' fuor di dubbio, infatti, che la U.S. CREMONESE S.p.A., una volta venuta a conoscenza dei gravissimi episodi in questione, si sia premurata di investire degli stessi la sola Autorità Giudiziaria, senza informarne minimamente – come, invece, sarebbe stato suo dovere – la Procura Federale (così come invece, rettamente operato, recentemente, dal tesserato del GUBBIO CALCIO Sig.Farina). La Società lombarda cerca di giustificare una simile scelta adducendo un presunto "segreto investigativo", che i Magistrati penali avrebbero imposto ai suoi Dirigenti (e, primo fra tutti, al Direttore Sportivo Sandro TUROTTI), i quali, ove avessero violato tale disposizione, avrebbero rischiato addirittura di incorrere in un'ipotesi di reato. Senonchè, la menzionata scusante, oltre che priva di riscontri probatori, non appare francamente rilevante ai fini di cui trattasi: non si dimentichi, al riguardo, come, in materia di illecito sportivo (corrispondente, in linea di massima, alla figura penalistica della frode sportiva), non solo esista uno specifico ed inderogabile obbligo di denunzia, sancito dall'art. 7 comma 7 del C.G.S. (ora esteso anche alle scommesse sportive, ai sensi del novellato art. 6 comma 5 del C.G.S.) – obbligo che, se fosse fondata la tesi di parte istante, diverrebbe praticamente inattuabile (paralizzato, nella stragrande maggioranza dei casi, da questo ipotetico "segreto" di indagine in ambito penale) – ma come, anzi, tra Procura Federale e Giudici penali esista, in detto campo, una ben definita e legittima attività di interscambio di informazioni e documenti, sancito dal legislatore ordinario nell'art. 2, comma 3, della Legge n. 401/1989. La U.S. CREMONESE S.p.A., quindi, non solo non avrebbe commesso alcun reato informando dei delicatissimi accadimenti in parola (somministrazione del MINIAS in CREMONESE–PAGANESE del 14 Novembre 2011 e successivo abboccamento del TUROTTI per iniziativa dell'ERODIANI) la Procura Federale (che, tra l'altro, avrebbe potuto certamente, se necessario, procedere a secretare gli atti della propria inchiesta) ma sarebbe stata persino tenuta a comportarsi in tal modo, nel rispetto di precisi doveri normativamente tutelati. Analoghe considerazioni possono e devono valere per l'atteggiamento avuto dalla compagine lombarda in occasione del trasferimento in prestito, in data 31 Gennaio 2011, del PAOLONI alla BENEVENTO CALCIO S.p.A. Anche in un simile frangente, il Sodalizio istante, che bene era a conoscenza dei molteplici e pesanti sospetti (divenuti, in molti casi, autentiche certezze) a carico del suindicato portiere, avrebbe dovuto, se non astenersi completamente dal cedere lo stesso giocatore ad altre consorelle, quanto meno usare l'accortezza di informare le medesime (e, più esattamente, la "ignara" Società beneventana) della difficile situazione venutasi a creare, affinché il club cessionario potesse regolarsi di conseguenza. E che la U.S. CREMONESE S.p.A. fosse, al momento del trasferimento, già ampiamente al corrente dello status di sospettato del PAOLONI nell'indagine penale sul calcio scommesse è comprovato non solo dal colloquio del TUROTTI con l'ERODIANI ma anche da altri elementi non meno incisivi ed eclatanti, quale, ad esempio, il fatto che, tra i tesserati ed i collaboratori della Società sottoposti ad intercettazione dopo la denuncia per il MINIAS, l'unico calciatore fosse proprio il portiere. E che dire della messa "fuori rosa" dello stesso, prima della sua cessione alla BENEVENTO CALCIO S.p.A. durante la sessione invernale del "calcio-mercato"? Circostanze, queste, che non sono evidentemente passate inosservate agli occhi attenti degli Organi di Giustizia Sportiva e che vanno immancabilmente rimarcate anche in questa sede. 10) Alla luce di quanto sopra, appaiono ineluttabili ed inconfutabili sia la co figurabilità, in senso assoluto, dell'istituto della responsabilità oggettiva in ambito sportivo sia la sua inevitabile applicabilità al caso concreto, ricorrendone tutti i requisiti previsti dal C.G.S. Sotto tale profilo, dunque, le pretese della compagine ricorrente non possono trovare condivisione né accoglimento. 11) Tanto ritenuto , vanno esaminati i profili concernenti la congruità della sanzione (limitatamente alla penalizzazione, vista la mancata impugnazione dell'ammenda, a causa della sua non arbitrabilità, perché inferiore ad Euro 50.000,00), comminata in sede endofederale alla U.S. CREMONESE S.p.A.. Fermo restando quanto dianzi esposto circa l'indiscussa irrinunciabilità per l'ordinamento sportivo, rebus sic stantibus, alla responsabilità oggettiva a carico delle Società, è, però, altrettanto ineludibile la necessità di una applicazione della stessa non in maniera acritica e meccanica, bensì all'insegna di criteri di equità e di gradualità, tali da evitare risultati e conseguenze abnormi e non conformi a giustizia. Va peraltro ritenuto che il TNAS possa operare sull’entità della sanzione inflitta solo se questa appaia incongrua, non ragionevole e non giustificata, determinando così le sopra ricordate conseguenze abnormi, non potendo invece svolgere ex novo una valutazione sulla dosimetria della pena del tutto svincolata dalle pregresse decisioni, In tal senso, considerati i principi e le riflessioni sviluppate sul punto dai Giudici endofederali (con precipuo riguardo per il contenuto del par. 6 della delibera di primo grado della Commissione Disciplinare Nazionale), il Collegio non ha motivo di discostarsi dalle decisioni dei Giudici medesimi sul quantum della sanzione principale (penalizzazione di sei punti) inflitta al club lombardo. E ciò sulla base degli stessi presupposti, materiali e giuridici, sopra ricordati a proposito della responsabilità oggettiva, i quali, sommati tra loro, possono e devono indurre questo Collegio a giudicare come ragionevole e sostanzialmente proporzionata la punizione patita dalla ricorrente; non ricorre pertanto nella sanzione inflitta alcuna abnormità o non conformità a giustizia. Le spiegate osservazioni, dunque, devono inevitabilmente indurre ad una conferma della sanzione a carico della compagine ricorrente; ciò fermo si osserva per mera completezza di esame che tale sanzione , inoltre, a differenza di quanto dalla istante auspicato, non può qualitativamente discostarsi dalla penalizzazione. A ciò, invero, ostano, in maniera preponderante e decisiva, tanto la vigente normativa in materia che, all'art. 7 comma 4 del C.G.S., prevede quale sanzione minima quella di cui all'art. 18 comma I lettera g) del C.G.S. (e cioè, appunto, la penalizzazione in classifica) quanto la comunque innegabile gravità dei comportamenti in discorso. Né la richiesta di parte attrice di limitazione della punizione medesima alla sola ammenda può essere validamente supportata dai precedenti giurisprudenziali dalla stessa richiamati, con precipuo riguardo per il deferimento della F.C. NEAPOLIS MUGNANO, in quanto afferenti a situazioni relative a gare cui non era minimamente interessata la Società di appartenenza del tesserato agente, situazioni per le quali la Corte di Giustizia Federale, in altra pronuncia concernente l'appello dell'ASCOLI CALCIO 1898 S.p.A. ex C.U. n. 47/CGF del 22 Settembre 2011, sempre in merito al calcio-scommesse, ha espressamente escluso la configurabilità della responsabilità oggettiva in illecito sportivo a carico della compagine deferita. Per le spese legali, alla luce della complessità della materia trattata e delle varie questioni, anche processuali, esaminate, si dispone l'integrale compensazione delle stesse tra le parti costituite. Per quanto attiene alle spese per il funzionamento del Collegio Arbitrale, in considerazione della soccombenza si pone a carico della Cremonese l’integrale pagamento delle medesime, quantificate in euro 6.000,00 ( seimila) in relazione all’impegno prestato. P.Q.M. Il Collegio arbitrale, definitivamente pronunciando all’unanimità: a) respinge l’eccezione di inammissibilità; b) rigetta l’istanza di arbitrato; c) dispone l'integrale compensazione tra le parti costituite delle spese legali; d) condanna la U.S. CREMONESE CALCIO s.p.a. all’integrale pagamento delle spese per il funzionamento del Collegio Arbitrale, quantificate in euro 6.000,00 (seimila). e) dichiara incamerati dal Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport, i diritti amministrativi versati dalle parti. Così deciso all’unanimità in Roma in data 20.1.2012 e sottoscritto in numero di 3 originali nei luoghi e nelle date di seguito indicate. F.to Guido Cecinelli – Presidente F.to Maurizio Benincasa – Arbitro F.to Enrico De Giovanni - Arbitro
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