CONI – Alta Corte di Giustizia Sportiva – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it – Decisione n. 4 del 26/03/2012 – Dott. Claudio Lotito / Federazione Italiana Giuoco Calcio
CONI – Alta Corte di Giustizia Sportiva - Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it – Decisione n. 4 del 26/03/2012 - Dott. Claudio Lotito / Federazione Italiana Giuoco Calcio
L’ALTA CORTE DI GIUSTIZIA SPORTIVA
composta da
dott. Alberto de Roberto, Presidente,
dott. Giovanni Francesco Lo Turco,
prof. Massimo Luciani, Relatore,
prof. Roberto Pardolesi,
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
nel giudizio
introdotto dal ricorso iscritto al R.G. Ric. n. 5/2012, proposto in data 23 febbraio 2012 dal dott. Claudio Lotito contro la Federazione Italiana Giuoco Calcio;
per l’annullamento
del provvedimento di cui alla lettera FIGC del 13 febbraio 2012, con la quale è stata comunicata la sospensione automatica del dott. Claudio Lotito in via cautelare dalle cariche di Consigliere Federale della FIGC e di componente del Comitato di Presidenza della stessa Federazione, in applicazione dell’art. 11 del nuovo Codice di Comportamento Sportivo del CONI, approvato dal Consiglio Nazionale del CONI nella seduta del 2 febbraio 2012,
Viste la memoria di costituzione in giudizio per la resistente Federazione Italiana Giuoco Calcio – FIGC e le memorie d’udienza depositate dalle parti costituite;
Uditi, nell’udienza pubblica del 5 marzo 2012, per il ricorrente dott. Claudio Lotito gli Avv.ti Romano Vaccarella e Gian Michele Gentile, per la resistente Federazione Italiana Giuoco Calcio gli Avv.ti Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli;
Udito il relatore, prof. Massimo Luciani;
Ritenuto in fatto
1.- Con ricorso proposto a questa Alta Corte in data 23 febbraio 2012 e rubricato al n. 5/2012 R.G. Ric., il dott. Claudio Lotito impugna il provvedimento di cui alla Nota FIGC del 13 febbraio 2012 n. l373.1/ADS/Segr., con la quale gli è stata comunicata la sospensione automatica in via cautelare dalle cariche di Consigliere Federale della FIGC e di componente del Comitato di Presidenza della stessa Federazione, in applicazione dell’art. 11 del nuovo Codice di Comportamento Sportivo del CONI, approvato nella seduta del 2 febbraio 2012, pubblicato il 13 febbraio 2012.
1.1.- Il ricorrente rappresenta di essere Presidente della S.S. Lazio s.p.a. dal 19 luglio 2004 e di essere stato nominato Consigliere Federale della FIGC in data 22 settembre 2009, successivamente confermato in data 10 luglio 2010. Il dott. Lotito è stato, poi, nominato componente del Comitato di Presidenza della Federazione Italiana Giuoco Calcio (di seguito, FIGC o Federazione) in data 17 settembre 2010. Rappresenta altresì il ricorrente di essere stato condannato dal Tribunale di Napoli, Sez. IX penale, con sentenza 8 novembre 2011, a un anno e tre mesi di reclusione per il reato di frode sportiva, commesso nel febbraio 2005, in occasione degli incontri sportivi validi per il campionato di calcio di serie A Chievo-Lazio e Lazio-Parma. Il ricorrente osserva di aver proposto appello avverso detta sentenza, conseguentemente non ancora passata in giudicato.
I medesimi fatti conosciuti dal giudice penale, aggiunge il ricorrente, sono stati oggetto di procedimento disciplinare sportivo conclusosi con il provvedimento della Camera di conciliazione e di arbitrato del CONI in data 5/9 dicembre 2006.
1.2.- Ricorda ancora il ricorrente che in data 2 febbraio 2012 il Consiglio Nazionale del CONI ha approvato il nuovo Codice di comportamento sportivo, pubblicato il 13 febbraio 2012. L’art. 11 del codice dispone che “Ferma restando la previsione di cui all’art. 5, comma 3, lett. b) e c) dello Statuto del CONI, al fine di tutelare l’onorabilità e l’autorevolezza degli organismi centrali e territoriali del CONI, nonché degli organismi delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate, degli Enti di promozione sportiva e delle Associazioni benemerite, ivi compresi anche gli organismi rappresentativi delle società, sono automaticamente sospesi in via cautelare i componenti che sono stati condannati, ancorché con sentenza non definitiva, per i delitti indicati nell’allegato A o che sono stati sottoposti a misura di prevenzione o di sicurezza personale. La sospensione permane sino alla successiva sentenza assolutoria o alla conclusione del procedimento penale o alla scadenza o revoca delle misure di prevenzione o di sicurezza personale”. Il menzionato allegato A contempla anche il reato di frode sportiva di cui alla l. n. 401 del 1989.
Il nuovo Codice è stato pubblicato il 13 febbraio 2012, con il Comunicato Ufficiale n. 114/A. In pari data, rappresenta il ricorrente, è stata inviata al dott. Lotito l’impugnata comunicazione.
1.3.- Quale premessa all’articolazione dei motivi, il ricorrente assume, in punto di ammissibilità del ricorso, che il provvedimento impugnato è stato adottato a seguito dell’introduzione nell’ordinamento sportivo del già menzionato art. 11 del Codice di comportamento sportivo del CONI, disposizione che sarebbe in palese contrasto con i principi sanciti dagli artt. 25, comma 2, e 27, comma 2, della Costituzione. Ricorda il ricorrente che il CONI, in data 6 febbraio 2012, ha diramato la Nota n. 37/12, con cui si afferma che il menzionato art. 11 del Codice di comportamento sportivo non necessiterebbe di alcun atto espresso di recepimento da parte degli enti interessati ai fini della sua entrata in vigore, dal momento che, nell’ambito dei relativi Statuti, vi sarebbe un “rinvio automatico alle norme del Codice stesso”. Il ricorrente contesta tale assunto, affermando che negli Statuti vi sarebbe, invece, un rinvio al diverso corpus di norme di cui al Codice di Giustizia Sportiva. Ricorda ancora il ricorrente che l’art. 29 dello Statuto della FIGC disciplina la carica di Consigliere Federale, prevedendo condizioni di ineleggibilità o di decadenza soltanto in presenza di condanna a pena detentiva con sentenza passata in giudicato.
Pertanto, ad avviso del ricorrente, il tema del presente giudizio investirebbe “questioni che assumono una notevole rilevanza per l’ordinamento sportivo nazionale, dal momento che si tratta di valutare se vi sia contrasto tra la norma codicistica ed i principi costituzionali sopra richiamati e tra la stessa norma codicistica e lo Statuto, da cui la necessità di un’espressa modifica statutaria e l’esclusione, quindi, della sua applicazione automatica (e retroattiva)”.
Aggiunge ancora il ricorrente che, data la natura cautelare e non disciplinare della misura della sospensione irrogata al dott. Lotito, così qualificata dall’art. 11 del Codice di comportamento sportivo, non vi sarebbe, all’interno dell’ordinamento giudiziario sportivo, un organo espressamente chiamato a pronunciarsi sulla questione, circostanza da cui risulterebbe la competenza di questa Alta Corte di Giustizia, adita senza aver prima esperito alcun rimedio endo-federale.
1.4.- Con un primo motivo il ricorrente lamenta il contrasto dell’art. 11 del Codice di Comportamento Sportivo con la Costituzione e lo Statuto della FIGC, almeno ove interpretato come fa la Nota impugnata.
In particolare, il ricorrente osserva che la disposizione del Codice di comportamento sportivo prevedendo, per i componenti degli organismi del CONI e degli altri enti indicati, la sospensione automatica dalla carica in caso di condanna penale anche con sentenza non definitiva, sino alla successiva sentenza assolutoria o alla conclusione del procedimento penale, riprodurrebbe il testo dell’art. 22-bis, delle NOIF, relativo al trattamento dei dirigenti delle società sportive, ma non applicabile ai dirigenti federali. Ad essi, invece, sarebbe applicabile “altra norma di quel corpo che prevede, nel rispetto dei principi costituzionali, la decadenza dell’eletto solo in presenza di sentenza di condanna definitiva” (p. 5).
Rappresenta il dott. Lotito che la disparità di trattamento tra le due categorie di soggetti dell’ordinamento sportivo era stata già denunciata dalla Lega Nazionale Professionisti - Serie A in data 28 novembre 2011, con la richiesta al Presidente della FIGC di convocare il Consiglio Federale al fine di abrogare l’art. 22-bis delle Norme Organizzative Interne Federali - NOIF della FIGC e ripristinare la parità di trattamento tra dirigenti federali e dirigenti di società, alcuni dei quali, come il dott. Lotito, rivestono entrambe le cariche sportive.
Osserva il ricorrente che il Presidente della FIGC non ha dato corso alla richiesta della Lega e ha richiesto alla Corte di Giustizia Federale un parere circa la possibilità che il dirigente di società sospeso dalla carica in ragione dell’art. 22-bis delle NOIF possa continuare a svolgere il proprio incarico quale componente del Consiglio Federale e del Comitato di Presidenza federale. Nelle more dell’adozione del suddetto parere, la Giunta Nazionale del CONI ha adottato la direttiva del 20 dicembre 2011, n. 450, il cui testo sarebbe stato assunto a modello per la stesura dell’art. 11 del Codice di Comportamento Sportivo.
La Corte di Giustizia Federale, con parere del 9 gennaio 2012, diramato con Comunicato Ufficiale n. 128/CGF, ha affermato che le disposizioni vigenti al momento del parere non consentirebbero di individuare un’ipotesi di sospensione dalla carica di Consigliere Federale nell’eventualità di condanna con sentenza penale non definitiva di primo grado, in quanto non prevedrebbero “né le conseguenze da essa derivanti né la procedura a tal fine utilizzabile”.
Quanto alla sopra citata deliberazione n. 450 della Giunta Nazionale del CONI, il ricorrente osserva che essa “non può che riguardare il futuro perché è comunque norma sopravvenuta e, in quanto tale, non applicabile a vicende anteriori, e perché non è autoesecutiva, richiedendo un adeguamento normativo degli Statuti Federali e delle Leghe” (p. 7).
Aggiunge ancora il dott. Lotito che il parere della Corte di Giustizia Federale avrebbe affermato che l’introduzione della misura della sospensione in presenza di una condanna con sentenza non definitiva “significherebbe in sostanza l’adozione automatica di una sorta di misura cautelare che in effetti anticipa la pena, che, anzi, per quanto concerne la carica di Consigliere Federale con essa sostanzialmente si identificherebbe”, in quanto “mentre i dirigenti di società possono, in caso di sospensione, riprendere la loro carica in caso di successiva assoluzione in sede penale, il Consigliere Federale che perde i requisiti verrebbe a decadere immediatamente, con la necessità di sua sostituzione mediante elezioni suppletive, con conseguenze non più rimediabili ed eliminabili; il che non appare, alla luce dei principi generali, coerente con il valore nel sistema di una sentenza non definitiva”. Tale ipotesi, secondo la Corte Federale, sarebbe dunque inconciliabile con il principio della presunzione di non colpevolezza sino a che non intervenga una sentenza di condanna definitiva.
Afferma il ricorrente che, in antitesi rispetto al parere della Corte di Giustizia Federale, il CONI, “vista l’impossibilità di utilizzare le norme in vigore per ottenere la cessazione del dott. Lotito dalle cariche ricoperte”, avrebbe varato una nuova regolamentazione della materia, introducendo l’art. 11 del Codice di Comportamento Sportivo, in cui si prevede, qualificandola come “misura cautelare”, la sospensione dalle cariche federali in ragione della sentenza di condanna non definitiva. Tale disciplina, però, sarebbe ancora violativa dei principi costituzionali, per le medesime ragioni già evidenziate nel parere della Corte di Giustizia Federale sopra citato, in quanto la temporaneità degli incarichi federali renderebbe non interlocutoria, ma definitiva (quanto agli effetti reali), la misura pretesamente cautelare.
Osserva ancora il ricorrente che la disposizione in esame striderebbe con quanto previsto dall’art. 5, comma 3, lett. b) e c), dello Statuto del CONI, che prevede, quale requisito per i componenti dei suoi organi, il non aver riportato condanne penali passate in giudicato, disposizione recata anche dall’art. 29 dello Statuto della FIGC e dall’art. 7.4 dei Principi fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali.
1.5.- Ad avviso del ricorrente, la disposizione che prevede la sospensione dalla carica di Consigliere federale per condanne non passate in giudicato si dovrebbe applicare solamente ai fatti successivi alla sua entrata in vigore, in ragione del “principio di civiltà per cui le norme giuridiche dispongono per il futuro (art. 11 preleggi) - inderogabile quando si tratti di misure comunque afflittive (art. 1 cod. pen.), ancorché qualificate (o mascherate) come cautelari” (p. 9). Anche per questa ragione, dunque, il ricorrente lamenta un insanabile conflitto tra l’applicazione dell’art. 11 del Codice di comportamento sportivo al dott. Lotito per le circostanze sopra riferite e l’interpretazione costituzionalmente orientata del medesimo articolo 11, in quanto “le misure cautelari (anche quelle che tali sono veramente) in genere non possono avere effetto ed applicazione retroattiva, in particolare quando queste, incidendo in maniera definitiva su cariche a termine, costituiscono sostanzialmente una sanzione mascherata” (p. 9). Aggiunge ancora il ricorrente che l’applicazione della misura cautelare alla propria persona costituirebbe una reiterazione della sanzione già inflitta per le medesime condotte oggetto della sentenza di condanna penale sopra menzionata. Questo perché la Corte di Giustizia Federale, con provvedimento del 25 luglio 2006, avrebbe già inflitto al ricorrente la sanzione dell’inibizione per trenta mesi dalle cariche sportive (oltre ad una pena pecuniaria di €30.000,00) poi ridotta a quattro mesi dalla Camera di Conciliazione e di arbitrato del CONI con provvedimento 5/9 dicembre 2006.
Anche per questo profilo, dunque, la sospensione dalla carica per cui è causa si porrebbe “al di fuori dello schema costituzionale dell’ordinamento giuridico sportivo, che, sebbene non abbia il rango di legge, costituisce pur sempre uno dei più significativi ordinamenti autonomi che vengono a contatto con quello statale” (p. 10).
1.6.- Con un secondo motivo di ricorso, il dott. Lotito lamenta la mancanza di “auto-esecutività dell’art. 11 del Codice di comportamento sportivo”.
A questo proposito il ricorrente osserva che il menzionato parere della Corte di Giustizia Federale avrebbe rilevato che la cit. deliberazione n. 450 della Giunta del CONI non era retroattiva né “autoesecutiva”, richiedendo la sua applicazione, invece, un adeguamento degli Statuti delle federazioni e delle leghe sportive. Il dott. Lotito aggiunge che, nonostante tale giudizio della Corte di Giustizia Federale, il CONI ha diffuso alle Federazioni la Nota del 6 febbraio 2012 nella quale ha affermato che la disposizione in esame non necessiterebbe di alcun atto espresso di recepimento da parte degli enti interessati, in quanto nell’ambito dei relativi statuti è già inserito un rinvio automatico alle norme del Codice stesso.
Ad avviso del ricorrente tale assunto sarebbe errato, in primo luogo perché l’art. 8 dei Principi fondamentali degli Statuti delle federazioni sportive prevedrebbe che essi devono contemplare espressamente tutti i casi di decadenza degli organi e le modalità per procedere al rinnovo delle cariche. Per tale ragione, “essendo inserito nello Statuto della FIGC l’art. 29”, sarebbe necessaria la modifica di questa norma per rendere applicabile la sospensione dalla carica di Consigliere Federale” (p. 11).
In secondo luogo, il ricorrente osserva che lo Statuto della FIGC richiamerebbe, “quale fonte dell’ordinamento federale, il Codice di Giustizia Sportiva, che è un corpo diverso dal Codice di Comportamento Sportivo previsto dall’art. 13-bis dello Statuto del CONI”. Se ne dovrebbe dedurre, pertanto, che la Nota del CONI sopra richiamata sarebbe in contraddizione con l’art. 16 dei Principi fondamentali degli Statuti delle Federazioni sportive, il quale prevede l’introduzione negli statuti delle Federazioni di una norma di rinvio automatico al Codice di comportamento etico-sportivo emanato dal CONI, nonché con l’art. 22 dello Statuto del CONI, che conferisce la facoltà di nomina di un Commissario ad acta nel caso in cui la Federazione non provveda a convocare l’assemblea per la modifica statutaria”.
In conclusione sul punto, il ricorrente afferma che lo Statuto della FIGC dovrebbe essere espressamente modificato per recepire la nuova disposizione di cui all’art. 11 del codice di comportamento sportivo, modifica che avrebbe comunque effetti solo pro futuro.
1.7.- In calce al ricorso il ricorrente formula istanza di sospensione cautelare del provvedimento impugnato, ravvisando il periculum in mora nell’impossibilità di partecipare alla riunione del Consiglio Federale della FIGC convocato per il 28 febbraio u.s.
2.- Con atto depositato presso questa Alta Corte in data 23 febbraio 2012 si costituiva in giudizio la Federazione Italiana Giuoco Calcio FIGC, chiedendo che il ricorso introduttivo del presente giudizio fosse dichiarato inammissibile e comunque infondato.
3.- Con ordinanza prot. n. 00037 del 28 febbraio 2012, il Presidente di questa Alta Corte disponeva adempimenti istruttori in capo al CONI.
4.- In data 1° marzo 2012 il CONI produceva la documentazione richiesta in adempimento a quanto disposto dall’ordinanza sopra menzionata.
5.- In data 2 marzo 2012 la FIGC depositava memorie difensive.
5.1.- La FIGC, preliminarmente, eccepisce l’inammissibilità del ricorso proposto dal dott. Lotito. L’inammissibilità deriverebbe dal fatto che la Nota impugnata avrebbe natura solamente dichiarativa della previsione di cui all’art. 11 del Codice di comportamento sportivo del CONI, che non è stato ritualmente impugnato dal ricorrente, il quale avrebbe anche omesso, come sarebbe stato doveroso, di convenire in giudizio il CONI medesimo. Sarebbero dunque inammissibili “le doglianze intese a contestare la legittimità delle previsioni normative produttive degli effetti automatici, di cui la Federazione si è limitata a prendere atto, senza apportare alcun contributo volitivo (e/o causale) alla realizzazione della fattispecie controversa” (p. 3).
Ad avviso della resistente, inoltre, l’inammissibilità del ricorso “resterebbe ferma anche se la nota federale fosse qualificabile come atto applicativo dotato di valenza provvedimentale esecutiva, in quanto in questa sede non viene messa in discussione la ricorrenza dei presupposti di fatto edittalmente previsti dalla norma (e, cioè, l’ avvenuta condanna penale del dott. Lotito per un reato che ne comporta la sospensione dalle cariche ricoperte), bensì vengono confutate la legittimità intrinseca della disposizione codicistica e la sua immediata operatività nei termini indicati dalle regole applicative diramate dal CONI” (p. 3). Ciò considerato “essendo rimaste inoppugnate sia la delibera del Consiglio Nazionale n. 1459 del 2 febbraio 2012 sia le disposizioni impartite alle Federazioni dallo stesso CONI con la circolare del 6 febbraio U.S. (atti dei quali il ricorrente dimostra, peraltro, di avere piena contezza)”, a questa Alta Corte sarebbe precluso “l’esercizio del sindacato demolitorio per saltum irritualmente sollecitato ex adverso”.
5.2.- Il ricorso, sostiene la resistente FIGC, sarebbe comunque infondato.
In primo luogo la FIGC afferma che il richiamato parere della Corte di Giustizia Federale del 9 gennaio 2012 sarebbe inconferente perché riferito “al differente quadro normativo vigente prima della introduzione delle modifiche integrative apportate dal Consiglio Nazionale del CONI al Codice di comportamento e, in particolare, prima che in esso fosse inserita la disposizione di cui all’art. 11 in materia di «tutela della onorabilità degli organismi sportivi»” (p. 4).
Il quadro normativo vigente, invece, sarebbe dominato dal menzionato art. 11 del Codice di comportamento sportivo, frutto di un intervento regolatorio “fortemente voluto dal CIO, il quale ha reiteratamente richiesto l’adozione di un codice etico rigoroso e rispettoso delle raccomandazioni deliberate nel XIII Congresso Olimpico di Copenaghen, ai punti 41 e 42” (p. 5). Tale intervento regolatorio, come affermato dalla cit. Circolare del 6 febbraio 2012, non necessiterebbe “di alcun atto espresso di recepimento da parte degli enti interessati ai fini della sua entrata in vigore dal momento che nell’ambito dei relativi Statuti è già inserito un rinvio automatico alle norme del Codice stesso”. In particolare, insiste la resistente, la questione risulterebbe “integralmente disciplinata da fonti normative e disposizioni attuative provenienti dal CONI, che non lasciano alcun margine di discrezionalità all’autonomia delibativa delle singole Federazioni, alle quali spetta soltanto il compito di registrare la ricorrenza dei presupposti di fatto comportanti l’applicazione della norma, per inferirne le relative conseguenze giuridiche”.
5.3.- Afferma ancora la FIGC che il ricorso del dott. Lotito censurerebbe, nella sostanza, l’art. 11 del Codice di comportamento sportivo, circostanza che avrebbe dovuto indurre il ricorrente a “rivolgere le proprie rimostranze all’Ente autore dell’intervento regolatorio qui contestato, instaurando con esso ogni contraddittorio sul punto”.
In ogni caso, la FIGC afferma la piena legittimità di tale disciplina. Essa, sostiene la resistente, “non modifica il regime dei requisiti di eleggibilità (che restano disciplinati dalla normativa previgente), ma risponde ad una finalità di più alto respiro, […] consistente nel garantire la tutela della onorabilità ed autorevolezza delle istituzioni sportive attraverso la previsione di requisiti di illibatezza (o - se si preferisce- di dirittura morale) al di sopra di ogni sospetto” (p. 10). In secondo luogo, l’art. 11 del Codice di comportamento sportivo istituirebbe una misura dichiaratamente cautelare e non disciplinare, lasciando impregiudicato il diritto al reintegro nelle funzioni al venir meno della circostanza che giustifica l’istanza cautelare. A questo proposito non rileverebbe il carattere temporaneo delle cariche federali, in quanto, altrimenti, coloro che le rivestono “risulterebbero sempre immuni dall’applicazione di misure cautelari, produttive di effetti inibitori destinati a protrarsi sino al definitivo (e successivo) accertamento, nella sede a ciò deputata, della vicenda che le ha originate” (p. 12). Tale circostanza non potrebbe essere smentita dal fatto che la giustizia penale ha tempi che sarebbero incompatibili con le esigenze cautelari, in quanto quest’ultimo sarebbe “un fattore patologico estraneo” alla previsione contestata (p. 13) e pertanto irrilevante.
A maggior conforto della legittimità dell’art. 11 del Codice di comportamento sportivo, la FIGC rammenta l’orientamento della Corte costituzionale (sent. n. 206 del 1999) in materia di sospensione dalla funzione o dall’ufficio nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche che abbiano riportato una condanna, anche non definitiva, per determinati delitti o che siano imputati dei medesimi delitti. In particolare, la resistente ricorda il principio di diritto, espresso dalla Corte, per cui, considerato che “le misure cautelari operano per definizione prima dell’accertamento definitivo della colpevolezza in ordine ai reati a cui esse pure si collegano”, la presunzione di non colpevolezza si oppone alla loro attuazione solo se presenta “connotati di assoluta irragionevolezza o di sproporzione rispetto alla misura cautelare, traducendosi in una sorta di sanzione anticipata, conseguente alla commissione del reato” (p. 13 sg.).
Tale circostanza non sarebbe rinvenibile nel caso di specie, in quanto l’art. 11 del Codice di disciplina sarebbe posto “a presidio del decoro e del prestigio delle istituzioni sportive e mira ad evitare che l’onorabilità e l’autorevolezza di chi è chiamato a rappresentarle possano essere inquinate (o anche soltanto offuscate) dall’ombra generata da una sentenza di condanna per reati connotati - secondo i valori etici informativi dell’ordinamento di appartenenza - da particolare disvalore sociale”, come sarebbe, per l’ordinamento sportivo, quello della frode in competizioni sportive (p. 15).
Quanto alla specificità dell’incarico del ricorrente, la FIGC afferma che “l’esigenza cautelare, cui è preordinato 1’art. 11, è dunque di intuitiva evidenza: costituisce situazione confliggente con l’interesse istituzionale, che si è inteso tutelare, lo svolgimento delle funzioni connesse alla carica rivestita da parte di quanti, per il solo fatto di avere riportato una condanna per determinate categorie di reato, recano nocumento alla credibilità ed all’immagine dell’organo di cui fanno parte” (p. 15).
Quanto alla proporzionalità della misura cautelare disposta dall’art. 11 del Codice di comportamento sportivo, la FIGC afferma che parametro di valutazione della misura cautelare è l’interesse istituzionale tutelato, in ragione del quale l’istanza cautelare deve essere commisurata. Aggiunge ancora la resistente che “Trattandosi della valutazione di interessi strettamente connessi all’attività istituzionale, non vi è dubbio che, in linea di principio, spetti al legislatore sportivo compiere il relativo apprezzamento” (p. 16).
Nel caso dell’art. 11 del Codice di comportamento sportivo, la disciplina avrebbe, ad avviso della Federazione resistente, “operato un equilibrato bilanciamento tra la finalità istituzionale perseguita e la portata afflittiva della misura cautelare: a) sia perché il presupposto di applicazione della sospensione viene elevato alla soglia di accertamento di responsabilità asseverato dalla sentenza di primo grado e viene, quindi, collegato ad un pregiudizio paventato in ragione del credito attribuibile ad una pronuncia giurisdizionale emessa all’esito del vaglio dibattimentale nel contraddittorio tra le parti; b) sia perché le figure di reato, cui la norma fa riferimento come delitti forieri di discredito per l’onorabilità e l’autorevolezza degli organismi sportivi, sono tutte oggettivamente idonee a determinare il rischio che si è inteso prevenire; c) sia, infine, perché la misura de qua, in piena coerenza con la sua natura, è destinata ad incidere soltanto sui diritti del singolo afferenti all’ esercizio del mandato nascente da un’investitura fiduciaria” (p. 17).
Ad avviso della resistente, infine, la fattispecie disciplinata dall’art. 11 del Codice di comportamento sportivo non potrebbe essere considerata un’ipotesi di decadenza dall’incarico, in relazione all’art. 26, comma 4, dello Statuto della FIGC, perché non contempla né la perdita dei requisiti funzionali per ricoprire una carica federale, né l’attuazione di una sanzione disciplinare interdittiva.
5.4.- La resistente afferma l’immediata applicabilità nell’ambito dell’ordinamento sportivo federale dell’art. 11 del codice di comportamento sportivo in ragione dell’art. 16, comma 4, dello Statuto della FIGC. Nella prima disposizione sarebbe contemplata, infatti, un’ipotesi di “rinvio c.d. mobile o dinamico che implica l’automatico inserimento in seno all’ordinamento federale di tutte le integrazioni e/o modifiche apportate in progresso di tempo dal C.O.N.I. al testo del Codice, senza che, di volta in volta, vi sia la necessità di uno specifico atto di recepimento da parte della Federazione”.
5.5.- La resistente, poi, afferma che la censura formulata dal ricorrente riferita alla natura retroattiva dell’art. 11 del Codice di Comportamento Sportivo deve essere disattesa in ragione della natura cautelare della misura e della sua ragionevolezza, dato che il principio di retroattività sarebbe “valevole soltanto in via di estensione analogica alla materia disciplinare delle regole vigenti in tema di sanzioni amministrative”, in quanto “poco importa che la condanna sia antecedente all’entrata in vigore della norma: perché ciò che deve essere valutato non è il comportamento dell’imputato (ai fini dell’affermazione di una sua personale responsabilità), ma gli effetti nocivi arrecati al decoro ed al prestigio della Istituzione dalla esistenza di una pronuncia di condanna di tal fatta.” (p. 22).
5.6.- La resistente nega infine che l’art. 11 del Codice di comportamento sportivo possa integrare la violazione del divieto di “ne bis in idem”, in quanto “l’applicazione della norma non presuppone alcun accertamento di responsabilità né una condivisione del giudizio di colpevolezza espresso dal Tribunale di prima istanza, bensì è diretta soltanto a prevenire (in attesa che la giustizia penale completi il suo corso) il periculum in mora derivante dall’esistenza obiettiva di un precedente di per se stesso generatore di discredito per l’immagine della Istituzione” (p. 23).
6.- I ricorsi venivano ritualmente discussi alla pubblica udienza del 5 marzo 2012, in occasione della quale, come da verbale, il ricorrente rinunciava alla domanda cautelare.
Considerato in diritto
1.- Preliminarmente, per la loro priorità logica, devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità del ricorso formulate dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio – FIGC.
La resistente, in particolare, prospetta: a) il difetto di autonoma impugnabilità della Nota FIGC del 13 febbraio 2012, che avrebbe natura di atto “puramente ricognitivo”, privo di “qualsiasi autonoma valenza provvedimentale”; b) il difetto di impugnazione della Delibera del Consiglio Nazionale del CONI, n. 1459 del 2 febbraio 2012 e della circolare del CONI del 6 febbraio 2012, aggravato dalla mancata evocazione in giudizio dello stesso CONI, che impedirebbe un “sindacato demolitorio per saltum”.
Le due eccezioni, ancorché astrattamente distinguibili, sono in realtà logicamente connesse e meritano congiunta trattazione.
Il ricorso introduttivo del presente giudizio esibisce una struttura complessa. Esso, da un lato, contesta la legittimità, in parte qua, delle previsioni del novellato Codice, della cui conformità ai princìpi ordinamentali e - in particolare - costituzionali dubita. Dall’altro, contesta la legittimità della Nota impugnata proprio per contrasto (oltre che con tali princìpi) con il novellato Codice, assunto - appunto - a parametro di giudizio, del quale si rivendica un’interpretazione costituzionalmente orientata, che avrebbe precluso le conseguenze lesive lamentate dal ricorrente.
Nella parte in cui, direttamente o indirettamente, il gravame si dirige al Codice novellato e agli atti di portata generale presupposti e connessi, esso deve dichiararsi inammissibile. Difettano, invero, sia la sua diretta e formale impugnazione che l’evocazione in giudizio dell’Autorità emanante. Nella parte in cui, invece, il novellato Codice è assunto quale parametro il gravame è pienamente ammissibile, non essendo il ricorrente onerato, a tale scopo, della sua impugnazione.
2.- Nel merito il ricorso non è fondato.
Il gravame, invero, investe problematiche della più delicata complessità, come quelle dell’interpretazione conforme a Costituzione, della successione delle fonti nel tempo, del rapporto fra misure cautelari, diritti dei singoli e pubblico interesse. Nondimeno, sebbene siano sorrette da attenta argomentazione, le censure nelle quali esso si articola non hanno fondamento.
2.1.- Si deve premettere che ben a ragione il ricorrente invoca il principio dell’interpretazione costituzionalmente orientata. Detto principio ha sicuro fondamento nella giurisprudenza costituzionale (tra le più recenti, proprio in tema di giustizia sportiva, si veda la sent. n. 49 del 2011: in cui si “richiama un costante insegnamento di questa Corte, per cui «le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali, ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali» (ex multis: sent. n. 403 del 2007, sent. n. 356 del 1996, ord. n. 85 del 2007)”), ma è stato pienamente accolto anche da quella ordinaria (ex plurimis: Cass. civ., Sez. Lav., 29 febbraio 2012, n. 3056) e amministrativa (da ultimo: Cons. Stato, sez. V, 23 febbraio 2012, n. 1058) e deve trovare necessaria applicazione anche nell’ordinamento sportivo, senza che la specialità di tale ordinamento possa invocarsi a sostegno di una non immaginabile sottrazione all’espansione dei princìpi costituzionali. Proprio l’esame di tali princìpi, però, dimostra l’infondatezza del gravame.
2.2.- Si deve osservare, in primo luogo, che la Corte costituzionale ha ripetutamente riconosciuto la legittimità di leggi che disponevano la sospensione o la decadenza dei titolari di cariche pubbliche elettive o di pubblici impieghi, ove questi fossero stati raggiunti da un rinvio a giudizio per talune fattispecie di reato o, più ancora, condannati, ancorché con sentenza non passata in giudicato.
Come si legge nella sent. n. 352 del 2008, “incandidabilità ad una serie di cariche elettive, decadenza di diritto dalle medesime a seguito di sentenza di condanna, passata in giudicato, per determinati reati, nonché sospensione automatica in caso di condanna non definitiva per gli stessi - sono dirette «ad assicurare la salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica, la tutela della libera determinazione degli organi elettivi, il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche [...]”. La Corte ha altresì ricordato,“con specifico riferimento alla misura della sospensione obbligatoria dalla carica, [...] che il bilanciamento dei valori coinvolti effettuato dal legislatore «non si appalesa irragionevole, essendo esso fondato essenzialmente sul sospetto di inquinamento o, quanto meno, di perdita dell’immagine degli apparati pubblici che può derivare dalla permanenza in carica del consigliere eletto che abbia riportato una condanna, anche se non definitiva, per i delitti indicati e sulla constatazione del venir meno di un requisito soggettivo essenziale per la permanenza dell’eletto nell’organo elettivo» (sentenza n. 25 del 2002; si veda pure la sentenza n. 288 del 1993)”. Le fattispecie di reato cui la Corte si riferiva non coincidevano con quella rilevante nel presente giudizio, ma è evidente che per l’ordinamento sportivo proprio la condanna per frode sportiva assume un rilievo affatto particolare e legittima la reazione dell’ordinamento stesso.
Il pubblico interesse fatto valere dal novellato Codice, pertanto, appare senz’altro meritevole di apprezzamento e ben può sorreggere una misura come quella della sospensione - rivolta ad assicurare, a salvaguardia del prestigio dell’ufficio pubblico, il temporaneo allontanamento del soggetto al quale risulta inflitta la condanna non definitiva - assai meno pregiudizievole di quella della destituzione e priva di contenuto sanzionatorio. Né, del resto, la previsione di tale misura potrebbe ritenersi illegittima in ragione della mancanza di un termine espresso di durata direttamente stabilito (al di là del rinvio ad eventi incerti quando, come la definitiva conclusione della vicenda penale). Come ha chiarito la Corte costituzionale, infatti, in ipotesi di questo tipo l’interprete può ben fare ricorso alla disciplina di fattispecie analoghe o ai princìpi generali dell’ordinamento. In particolare, nel caso delle ipotesi di “immediata sospensione dalla funzione o dall’ufficio nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche” disciplinato dall’art. 15, comma 4-septies, della l. n. 55 del 1990, come modificato dall’art. 1 della l. n. 16 del 1992, la Corte costituzionale ha fatto appello all’art. 9, comma 2, secondo e terzo periodo, della l. n. 19 del 1990, che, pur regolando la fattispecie della sospensione facoltativa dal servizio, pone una “clausola di garanzia” che deve “ritenersi applicabile anche all’ipotesi di sospensione obbligatoria di cui all’art. 15, comma 4-septies, della legge n. 55 del 1990” (sent. n. 206 del 1999). Non spetta a questa Alta Corte, in questa sede, determinare la durata della misura della sospensione inflitta al Dott. Lotito, che dovrà essere attentamente ricostruita dalla stessa Federazione. E’ tuttavia possibile richiamare l’attenzione sul fatto che l’ordinamento conosce altre fattispecie di sospensione (si veda l’art. 59, comma 3, del d. lgs. n. 267 del 2000, recante Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali: “La sospensione cessa di diritto di produrre effetti decorsi diciotto mesi”), nelle quali la durata della misura è fissata direttamente in modo esplicito. Si tratta di dati normativi che la Federazione, nell’esercizio dei suoi poteri, potrà utilmente valutare.
Nemmeno può dirsi che nel caso di specie il novellato Codice avrebbe determinato un’ipotesi di violazione del principio ne bis in idem, con una nuova valutazione di fatti già oggetto di precedente apprezzamento. La misura cautelare ora prevista, infatti, costituisce un quid novi e - come meglio emergerà più avanti - si risolve nell’ascrizione di conseguenze prima non previste ad un fatto (la condanna, pur non definitiva, penale) in essere.
2.3.- Fermo restando quanto sin qui osservato, è però evidente che a tanto non ci si potrebbe arrestare, atteso che il principio di irretroattività di cui all’art. 11 delle c.d. Preleggi, se può essere derogato dal legislatore, non può esserlo dall’autorità amministrativa nell’esercizio della sua potestà normativa. Come è stato affermato in giurisprudenza, infatti, detto principio “può ricevere deroga per effetto di una disposizione di legge pari ordinata e non in sede di esercizio del potere regolamentare che è fonte normativa gerarchicamente subordinata. Pertanto solo in presenza di una norma di legge che a ciò abiliti gli atti e regolamenti amministrativi possono avere efficacia retroattiva” (Cons. Stato, Sez. VI, 9 settembre 2008, n. 4301, ma v. anche, di recente, T.A.R. Sicilia, Sez. I, 29 ottobre 2011, n. 2586).
Ove, dunque, si dimostrasse la retroattività delle disposizioni del novellato Codice, per come interpretate dalla FIGC con la Nota impugnata, tale interpretazione dovrebbe senz’altro disattendersi e, se praticabile, dovrebbe abbracciarsi l’opposta ipotesi interpretativa, in quanto gli atti normativi della pubblica Amministrazione debbono essere interpretati secundum Constitutionem e secundum legem. E’ questa, appunto, la tesi del ricorrente. La tesi, però, non ha fondamento, perché l’interpretazione del novellato Codice accolta dalla Federazione non ne determina la retroattività.
2.3.1.- Un problema analogo, invero (sebbene attinente alla qualitativamente ben diversa e assai più grave misura della decadenza), si è posto in giurisprudenza specificamente quando è entrata in vigore la l. n. 16 del 1992. In particolare, l’art. 1 della l. n. 16 del 1992 sostituiva il comma 4 dell’art. 1 della l. n. 55 del 1990 e vi aggiungeva il comma 4-bis, nella formulazione che si riporta di seguito: “4. L’eventuale elezione o nomina di coloro che si trovano nelle condizioni di cui al comma 1 è nulla. L’organo che ha deliberato la nomina o la convalida dell’elezione è tenuto a revocarla non appena venuto a conoscenza dell’esistenza delle condizioni stesse. 4-bis. Se alcuna delle condizioni di cui al comma 1 sopravviene dopo l’elezione o la nomina, essa, fuori dei casi previsti dal comma 4-quinquies, comporta l’immediata sospensione delle cariche sopra indicate”.
Ora, a fronte di tali previsioni, la giurisprudenza ha concluso nel senso ch’esse dovessero considerarsi prive di carattere retroattivo.
Anzitutto, in sede consultiva, il Consiglio di Stato, Sez. I, parere 7 ottobre 1992, n. 2361, ha affermato che nel caso della l. n. 16 del 1992, quando vi è applicazione della misura della decadenza a condanne pronunciate prima della sua entrata in vigore, “non si tratta di vera e propria retroattività”, perché “le conseguenze giuridiche della legge si producono per il presente ed il futuro, ancorché il fatto che le determini risalga, storicamente, ad un momento anteriore all’entrata in vigore della legge”. Analoghe statuizioni in TAR Basilicata, 6 marzo 2003, n. 187, ove si afferma che, nel caso dell’art. 1, quarto comma septies, della l. n. 16 del 1992, non si configura “una questione di retroattività in senso proprio quanto, piuttosto, di immediata applicabilità della disciplina”.
Nemmeno per la Suprema Corte gli artt. 1 e 4-quinquies della l. n. 16 del 1992 hanno efficacia retroattiva. Infatti, è stato affermato, “si è in presenza nella materia qui trattata, della ordinaria operatività immediata di una legge, e non di retroattività in senso tecnico” (Cass., Sez. I civ., 24 novembre 1994, n. 9953).
Con più compiuta e distesa motivazione, la stessa Suprema Corte (Sez. I civ., 3 agosto 1994, n. 7205) ha osservato che lo stesso principio di irretroattività comporta che “la legge nuova possa essere applicata ai fatti, agli «status» ed alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore”, come accade - appunto - quando di tratta di situazioni relative a cariche pubbliche elettive.
2.3.2.- Come accennato in apertura, la questione della successione delle fonti nel tempo è fra le più complesse che si pongano all’interprete. A ben riflettere, infatti, tutte le norme coinvolgono fatalmente i fatti passati, sicché tutte le norme incidono, in qualche modo, in praeteritis, con la conseguente difficoltà di identificare con precisione il momento in cui si può propriamente parlare di effetti retroattivi. Nel caso che ne occupa, però, facendo opportuno riferimento ai sopra descritti indirizzi giurisprudenziali, la retroattività del novellato Codice può essere comunque esclusa, in quanto esso non ha riqualificato il comportamento tenuto dall’odierno ricorrente, ma ha assunto la sua condanna (ancorché non definitiva) in sede penale come un mero fatto, nella sua pura oggettività, ricollegando a tale fatto conseguenze nuove, certo, ma pur sempre rivolte al presente e al futuro, non al passato. E’ dallo status di condannato (sebbene in via non definitiva) in sede penale, dunque, che derivano le conseguenze lamentate dal ricorrente, ma tali conseguenze sono ascritte a detto status nel rispetto dell’art. 11 delle c.d. Preleggi.
Così dimostrata l’erroneità della premessa interpretativa da cui muove il ricorrente ne derivano l’infondatezza delle censure formulate nel gravame e la correttezza dell’interpretazione abbracciata dalla resistente Federazione nella Nota oggetto di impugnazione.
3.- Il ricorrente, peraltro, censura la Nota impugnata anche perché avrebbe applicato il novellato Codice senza la previa intermediazione di un atto federale di recepimento. A sostegno di tale affermazione, come riferito in narrativa, il ricorrente invoca l’art. 8 dei Principi fondamentali degli Statuti delle federazioni sportive. Poiché ivi si prevede che gli statuti delle federazioni sportive devono contemplare espressamente tutti i casi di decadenza degli organi e le modalità per procedere al rinnovo delle cariche, e atteso che nello Statuto della FIGC può rinvenirsi un art. 29 che disciplina tali fattispecie, l’applicazione della norma CONI sulla sospensione dalla carica di Consigliere Federale sarebbe possibile solo a seguito di recepimento da parte di un apposito atto normativo federale. La tesi non convince.
Anzitutto, è agevole constatare che l’art. 29 dello statuto FIGC (ove, in particolare, al comma 4, si stabilisce che “In caso di incompatibilità l’interessato è tenuto a esercitare l’opzione entro sette giorni. In difetto, se entrambe le cariche sono federali, decade dalla ultima. Nelle altre ipotesi decade dalla carica federale”) si limita a disciplinare fattispecie diverse da quella della sospensione, sicché esso non può considerarsi fonte di una disciplina esaustiva della materia.
Quel che più conta, l’art. 16, comma 4, dello stesso statuto FIGC stabilisce espressamente che “I soggetti dell’ordinamento della FIGC sono obbligati al rispetto del Codice di comportamento sportivo adottato dal Consiglio Nazionale del CONI”. Ora, il raggio applicativo di tale disposizione, sia pel profilo soggettivo che per quello oggettivo, è amplissimo. Per quanto qui interessa, basterà osservare che essa comporta l’assoggettamento alle norme del Codice di Comportamento Sportivo, anche se di volta in volta novellate, di tutti gli appartenenti all’ordinamento sportivo. Va da sé che soggetti dell’ordinamento sportivo sono anche gli organi delle federazioni, sicché la FIGC non solo poteva, ma doveva applicare il novellato Codice, anche nella parte in cui introduceva la nuova misura della sospensione dalla carica dei dirigenti federali. E tanto poteva e doveva fare anche in assenza di un formale adattamento delle norme federali.
4.- Sussistono giusti motivi, in considerazione della particolarità delle questioni sollevate e del corretto comportamento processuale delle parti, per dichiarare interamente compensate le spese di lite.
P.Q.M.
L’ALTA CORTE DI GIUSTIZIA SPORTIVA
NEL GIUDIZIO iscritto al R.G. ricorsi n. 5/2012, presentato in data 23 febbraio 2012 da parte del dott. Claudio Lotito, Presidente della S.S. Lazio s.p.a. contro la Federazione Italiana Giuoco Calcio per l’annullamento del provvedimento di cui alla lettera FIGC del 13 febbraio 2012 con la quale è stata comunicata la sospensione automatica del dott. Claudio Lotito in via cautelare dalle cariche di Consigliere Federale della FIGC e di componente del Comitato di Presidenza della stessa Federazione, in applicazione dell’art. 11 del nuovo Codice di Comportamento Sportivo del CONI, approvato dal Consiglio Nazionale del CONI nella seduta del 2 febbraio 2012,
DICHIARA il ricorso in parte inammissibile e in parte infondato;
SPESE interamente compensate;
DISPONE la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro difensori anche con il mezzo della posta elettronica;
Così deciso in Roma, nella sede del CONI, il 5-7 marzo 2012.
Il Presidente Il Relatore
F.to Alberto de Roberto F.to Massimo Luciani
Il Segretario
F.to Alvio La Face
Depositato in Roma il 26 marzo 2012.
Il Segretario
F.to Alvio La Face