CONI – Alta Corte di Giustizia Sportiva – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it – Decisione n. 7 del 11/05/2012 – Sig. A.G. / Federazione Italiana Giuoco Calcio
CONI – Alta Corte di Giustizia Sportiva - Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it – Decisione n. 7 del 11/05/2012 - Sig. A.G. / Federazione Italiana Giuoco Calcio
L’Alta Corte di Giustizia Sportiva,
composta da
dott. Riccardo Chieppa, Presidente e Relatore
dott. Alberto de Roberto,
dott. Giovanni Francesco Lo Turco
prof. Massimo Luciani
prof. Roberto Pardolesi, Componenti
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
nel giudizio introdotto dal ricorso iscritto al R.G. Ric. n. 22/2011, presentato il 28 luglio 2011 dal dott. A. G. contro la Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.) avverso
la decisione emessa dalla Corte di Giustizia Federale della F.I.G.C. di cui al C.U. 002/CGF del 9 luglio 2011, che ha confermato la decisione della Commissione Nazionale Disciplinare della F.I.G.C. resa con C.U. n. 96/CDN del 15 giugno 2011, vista la costituzione in giudizio della parte resistente – Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.) - rappresentata e difesa dagli avvocati Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli, udito nella udienza del 27 marzo 2012 il relatore, Presidente Riccardo Chieppa,
uditi per il ricorrente – dott. A.G. – l’avv. Massimo Krogh e l’avv. Andrea Galasso,
uditi per la parte resistente Federazione Italiana Giuoco Calcio – F.I.G.C.- l’avv. Luigi Medugno e l’avv. Letizia Mazzarelli,
visti il ricorso introduttivo 28 luglio 2011 e l’integrazione con motivi aggiunti in data 10 agosto 2011 e depositata il 22 agosto 2011, a seguito della conoscenza del testo integrale della decisione impugnata della Corte di Giustizia Federale, nonché le deduzioni della F.I.G.C. e le successive memorie delle parti; Ritenuto in fatto
Con atto 28 luglio 2011, depositato in pari data, A.G. ha ricorso a questa Alta Corte di Giustizia sportiva, nei confronti della F.I.G.C., per l’annullamento o la riforma della sentenza della Corte di Giustizia Federale (della F.I.G.C.) emessa a seguito della udienza 9 luglio 2011, il cui dispositivo pubblicato in data 9 luglio 2011 (C.U. n. 2/2 CGF 2011) contiene conferma della decisione della Commissione Disciplinare Nazionale (F.I.G.C.), pubblicata il 15 giugno 2011, con erogazione della sanzione a carico di A.G. della preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della FIGC.
Il ricorso, proposto con la conoscenza del solo dispositivo della decisione impugnata, conclude, con riserva di ulteriori deduzioni, per l’annullamento e la riforma della decisione della Corte di Giustizia Federale 9 luglio 2011, con rigetto delle richieste del Procuratore federale con pieno proscioglimento del ricorrente da ogni accusa. Il ricorso, dopo avere messo in evidenza che le questioni proposte attengono a diritti indisponibili e hanno notevole rilevanza per l’ordinamento sportivo, ed avere esposto le vicende che avevano portato alla preclusione-radiazione, deduce i seguenti motivi, ancorché con una esposizione unitaria e non distinta e specificata in singoli capi:
1) il mancato esercizio della difesa, in quanto l’audizione sarebbe stata interrotta dal Presidente e il giudizio sarebbe stato confuso in una ondata mediatica, di modo che una telefonata dopo la partita Udinese-Juventus sarebbe stata valutata come condizionamento della partita;
2) se alla inibizione quinquennale dovesse seguire automaticamente la radiazione, non vi sarebbe giustificazione perché non sia stata direttamente irrogata cinque anni prima; sarebbe logico che l’inibizione equivalga ad un periodo obbligato di prova;
3) l’attuale ricorrente, Amministratore delegato della società Juventus s.p.a. (all’epoca dei fatti), sarebbe stato condannato sulla base di una inscindibilità con la posizione di Luciano M., Direttore generale della stessa società, ritenuta solo sotto aspetti congetturali, essendo, invece, differenti le posizioni ed i fatti, come ad esempio i colloqui telefonici (contestati) non sarebbero stati effettuati mai dallo stesso dott. G., estraneo all’ambiente del calcio e dirigente di azienda prestato allo sport;
4) nel periodo di sospensione quinquennale il dott. G. avrebbe rispettato una totale assenza, sia visiva sia fattuale, da dibattiti e altro che riguardasse la Storia del calcio, osservando in modo ineccepibile il verdetto del giudice sportivo e il rispetto delle regole; allo stesso modo era rimasto estraneo alla rete di utenze e cellulari riservati e alle relative procedure instaurate dalla Federazione, così come al processo GEA celebratosi a Roma, nel quale non rimase coinvolto; non sarebbe stato tenuto in conto il comportamento ineccepibile del G. nei cinque anni;
5) si richiama al principio europeo della proporzionalità delle sanzioni, nella specie incidente su diritti primari della persona, e al principio del ragionevole limite di tempo in cui la sanzione deve essere irrogata, con riferimento al motivo sub 7.
6) la decisione della Corte Federale impugnata non avrebbe risposto alle censure prospettate dalla difesa avverso la decisione della Commissione di merito; il settore del diritto sportivo non potrebbe essere considerato “alieno rispetto ai principi generali del diritto europeo”; e la decisione in contraddittorio non potrebbe fondarsi come se tutto fosse già deciso sulla base delle “sentenze rese”; non si comprenderebbe il senso del contraddittorio dibattimentale dell’8 luglio 2011; di qui una decisione da emettersi in contraddittorio tra le parti non potrebbe, dopo anni, fondarsi su fatti già ritenuti in un precedente giudizio e conclusisi con un provvedimento, che avrebbe prodotto ed esaurito i propri effetti, con richiamo a decisione dell’Alta Corte di Giustizia sportiva su ricorso M. (n. 11 del 2011) e alla esigenza di una ulteriore valutazione discrezionale e perciò con obbligo di maggiore motivazione in relazione alla posizione attualizzata;
7) l’organo giurisdizionale, chiamato a giudicare sulla radiazione, avrebbe dovuto tenere conto dei nuovi elementi sopravvenuti ed in primis della condotta dell’incolpato dopo la condanna; invece non ha fatto altro che ribadire il verdetto della Commissione Disciplinare; bisognava spiegare, per quale motivo giuridicamente apprezzabile, la radiazione non era stata comminata direttamente dalla Corte cinque anni fa; detto periodo di cinque anni in cui fu procrastinata la sanzione non era un tempo ragionevole senza alcuna proporzionalità; a proposito della quale l’irrogazione della condanna avrebbe leso i principi di partecipazione sociale altamente tutelati dal diritto europeo, interno e costituzionale, aggredendo ed amputando l’idoneità di un cittadino in aspetti primari, privandolo di manifestarsi in un’area di estesa portata, sproporzionata sui fatti attribuiti al ricorrente, sui quali, tra l’altro, vi è un ricorso avanti al Tar Lazio; la radiazione conseguirebbe ad una espiazione della inibizione (temporanea), risolvendosi in una sola sanzione, non due, dove la seconda conseguirebbe automaticamente alla prima, ricollegandosi a quanto dedotto in precedenza.
La F.I.G.C., costituitasi in giudizio con memoria 27 luglio 2011, ha posto in evidenza che il ricorso fa leva sulle contestazioni (premature e ipotetiche) di pretese lacune motivazionali e incongruenze valutative della decisione, nonostante non fossero ancora note le motivazioni della stessa decisione, riservandosi di opporre le proprie repliche solo dopo la conoscenza del testo della decisione, presupposto necessario per un confronto in contraddittorio.
Dopo la pubblicazione (C.U. n. 028/CGF del 3 agosto 2011) del testo integrale della decisione impugnata della Corte di Giustizia Federale, il ricorrente, con motivi aggiunti 10 agosto 2011, depositati il 22 agosto 2011, richiamate le argomentazioni svolte nel ricorso, ha dedotto:
a) la parte motiva della decisione della Corte Federale richiamerebbe la aberrante disciplina transitoria dettata con riferimento alle procedure di radiazione ancora pendenti per “armonizzare” e “attuare” il principio della separazione tra gli organi di giustizia sportiva e gli organi di gestione sportiva, riproponendo il dubbio perché la Giustizia sportiva non abbia applicato subito la sanzione massimamente afflittiva; l’ordinamento sportivo, ancorché autonomo e indipendente, non potrebbe sottovalutare i principi di meritevolezza della pena e di necessità della pena;
b) l’art. 54 del Codice di Giustizia sportiva, di difficile comprensione, dovrebbe riferirsi, con i rinvii agli art. 13 e 14, ai nuovi articoli 18 e 19; la decisione impugnata errerebbe nell’affermare sia che “esula”, dai propri compiti, “la verifica di legittimità di una data disciplina”, sia che le norme del Codice di Giustizia sportiva potrebbero essere solo interpretate dall’organo giudicante sportivo, che ex necessitate deve farne applicazione:
c) 1.- il Presidente dalla FIGC avrebbe dovuto, in caso di accoglimento dell’istanza punitiva, disporre la radiazione entro il termine ampio, che sarebbe già decorso precedentemente alla entrata in vigore del Codice stesso; con la conseguenza della "consumabilità" del potere di sanzionare con la radiazione il dott. G.;
2.- la ragionevole durata della procedura anche disciplinare sarebbe posta a tutela di garanzia e certezza della sollecita definizione dei giudizi;
3.- il termine per l’attivazione della risalente proposta sanzionatoria sarebbe in ogni caso spirato; conseguentemente vi sarebbe la grave violazione del diritto a processo equo da svolgersi in termine ragionevole, ai sensi dell’art. 6 della C.E.D.U., nonché ai sensi dell'art. 4, comma 1, dei principi di Giustizia sportiva del CONI; con la conseguenza dell’obbligo di disapplicazione della norma da parte dell’Alta Corte nel senso sopra espresso incostituzionale ed inosservante del diritto comunitario;
d) la disciplina regolamentare sarebbe stata ad personam; la decisione doveva essere adottata sulla “base delle sentenze rese” (C.U. 143/A del 3 marzo 2011), con la conseguenza che la Commissione avrebbe dovuto procedere secondo quanto precisato dall’Alta Corte con decisione n. 11 del 2011 (su ricorso M.), con l’ulteriore conseguenza di obbligo di valutare positivamente il comportamento nel periodo successivo alla decisione CAF del 2006;
e) 1.- il secondo procedimento disciplinare, radicato sulle spoglie della disciplina abrogata, comporterebbe un bis in idem, con richiamo all’art. 14 del Codice di giustizia sportiva vigente fino al 30 giugno 2007 e all’art. 19/3 del nuovo Codice in vigore dopo la predetta data, che avrebbe nuovamente previsto la sospensione quinquennale, senza però contemplare ulteriormente il potere di proposta della radiazione da parte dell’organo di giustizia sportiva al Presidente federale;
2.- La proposta illo tempore avanzata dal Commissario Straordinario (?) non poteva essere accolta da organi diversi dal Presidente federale e soltanto successivamente investiti del potere sanzionatorio (principio di legalità ed imprescindibile precostituzione dell’organo giudicante); i principi dovrebbero essere ritenuti applicabili alle sanzioni disciplinari del settore sportivo, con richiamo anche all’art. 1 del d.lgs. n. 681 del 1989;
3.- di qui l’applicabilità della garanzia della ragionevole durata della procedura anche disciplinare;
4.- vi sarebbe un errore fondamentale nella decisione n. 11/2011 dell’Alta Corte nell’imporre alla Commissione di disciplina di verificare le condizioni per l’applicazione della preclusione-radiazione e di procedere “sulla base delle sentenze rese” e “dei fatti rilevanti disciplinarmente ivi accertati”, ”in quanto si richiederebbe la valutazione di provvedimenti originati da premesse e svolgimenti procedurali diversi”;
5.- la riproposizione di una valutazione già espressa (eppure senza l’indicazione di una precisa e puntuale contestazione), convergerebbe verso un secondo giudizio “sur le meme fait”, riproponendo così il vizio di violazione del principio ne bis in idem;
6.- Sarebbe criticabile l’automatismo, indicato dal parere della Corte di Giustizia federale del 28 aprile 2010 con automatica trasformazione della proposta in radiazione, ponendosi l’alternativa della non esperibilità di una seconda valutazione, perché sarebbe in violazione del bis in idem; mentre, ove ammissibile la seconda valutazione, il potere di disporre la radiazione sarebbe venuto meno per facta concludentia a seguito di mutazione della procedura, della competenza ad accogliere la proposta, della legittimazione all’impulso; comunque il termine per l’attivazione della risalente proposta sanzionatoria sarebbe spirato;
vi sarebbe una grave violazione dell’art. 6 C.E.D.U., come dell’art. 4, comma 1, dei Principi di Giustizia sportiva del Coni e del principio audiatur et altera pars, in quanto il dovere di “attualizzazione” sarebbe stato disatteso, per non avere “tenuto in degna considerazione quanto accaduto tra il 2006 e la data del dispositivo”; di conseguenza la norma deve essere disapplicata, nel senso sopra espresso, essendo incostituzionale ed inosservante del diritto comunitario ai sensi dell’art. 2 e dell’art. 4 r.d. 2248/1965 (rectius 1865);
f) il cuore del problema giuridico da risolvere sarebbe la applicabilità della disciplina vigente al tempo della asserita commessa violazione e la applicabilità retroattiva della lex superveniens;
Per il resto il ricorrente nei motivi aggiunti ripropone, talvolta in modo contraddittorio, e confuso, argomenti già esposti nei motivi principali, criticando ancora (v. motivo aggiunto e -6) la conversione automatica proposta dalla Corte Federale (peraltro non accolta dalla Federazione), sostenendo la mancanza di motivazione sul bis in idem, la omissione di considerazione del principio di necessità della pena insieme alla mancata applicazione dei diritti fondamentali dell’individuo secondo i principi costituzionali ed europei. La F.I.G.C., con memoria in replica ai motivi aggiunti, ha ampiamente confutato le censure proposte, rimettendosi ad una valutazione dell’Alta Corte sulla ammissibilità in relazione alle modalità di esposizione dei mezzi di gravame, non articolati in specifiche e separate censure enuncianti puntualmente e distintamente ripartite, ma esposte in un discorso critico a tutto campo. In particolare la F.I.G.C si richiama alla ricostruzione della disciplina transitoria contenuta nella decisione di questa Alta Corte n. 11/2011 (su ricorso M.); al dovuto rispetto da parte dello jus superveniens del principio di separatezza di funzioni (art. 3 Principi Fondamentali dettati dal C.O.N.I.); alle vicende succedutesi nella interpretazione della normativa; alla natura della normativa transitoria esclusivamente di regola sulla competenza e non di natura sostanziale; al sistema innovativo della competenza, che offrirebbe le più ampie e maggiori garanzie all’incolpato; a ragioni giustificative della divaricazione temporale tra proposta di applicare la sanzione aggiuntiva e la sua concreta irrogazione; alla esclusione di causa estintiva del potere sanzionatorio; alla “inconferenza” della invocazione del principio di legalità; alla non condivisibilità della tesi dell’automatismo tra proposta e sanzione, tale da vincolare inesorabilmente gli esiti della fase cognitiva a ciò deputata; alla mancanza di duplicazione e sovrapposizione di giudizi con diverso thema decidendi, con conseguente esclusione di bis in idem; alla non configurabilità come normativa ad personam; al difetto di motivi di doglianza sul mancato esercizio di potere di disapplicazione da parte degli organi di giustizia endoassociativi, anche in quanto la questione sarebbe assorbita dalla insussistenza dei vizi denunciati, sotto tutti i profili di contrasto con i principi e regole dell’ordinamento generale nazionale o comunitario; alla mancanza di specifiche censure sui passaggi motivazionali sull’anzidetto tema, idonee a identificare i pretesi vizi: alla natura prettamente impugnatoria del giudizio in esame; al discorso critico del ricorrente nella contestazione delle regole procedimentali (C.U. n. 143/A) senza tuttavia investire il contenuto intrinseco delle decisioni di 1° e 2° grado; alla mancata invocazione come vizio autonomo della omessa valutazione della condotta del ricorrente nel periodo di interdizione quinquennale, dedotto, invece, come conseguenza ineluttabile dei limiti di valutazioni fissati nell’atto normativo presupposto; alla ”attualizzazione” non sul contegno dell’incolpato in costanza di interdizione, ma unicamente sulla soglia di gravità attinta, in termine di disvalore deontologico e nella prospettiva di un rientro ipotetico nei ranghi federali, al fine anche di una verifica se i fatti, ritenuti illo tempore meritevoli di proposta di esclusione-radiazione, conservino oggi, per l’allarme sociale suscitato dalle condotte accertate, una persistente attitudine ostativa a ricoprire ranghi federali. La F.I.G.C conclude per la inammissibilità o comunque per il rigetto del ricorso. Con ordinanza collegiale n. 28 del 27 ottobre 2011 nel presente giudizio, questa Alta Corte, richiamata la decisione n. 11 del 23-27 maggio 2011, ritenuta l’esigenza di integrare la documentazione esistente agli atti, ha disposto l’acquisizione di:
1) verbali dei procedimenti di primo e secondo grado federale (relativi alla irrogazione della preclusione);
2) copia del ricorso con i motivi di impugnazione avverso la decisione, che ha definito l’anzidetto primo grado, ed eventuali istanze istruttorie avanzate dall’attuale ricorrente in primo e secondo grado;
3) curriculum documentato relativo all’attività comunque svolta dal ricorrente dopo l’irrogazione della inibizione quinquennale;
4) chiarimenti documentati sui rimedi esperiti, anche in sede arbitrale, dal ricorrente avverso la decisione di secondo grado federale con la quale è stata irrogata l’inibizione temporanea con proposta di preclusione;
5) chiarimenti relativi allo stato del procedimento avanti al Tar con certificazione delle istanze presentate e di eventuale esito di istanze cautelari;
6) ogni eventuale altro elemento comunque utile, ai fini della valutazione della gravità e dell’attualizzazione della posizione del ricorrente, contenuto in decisioni o sentenze o altri accertamenti, successivi alla decisione definitiva della giustizia sportiva (con irrogazione dell’inibizione quinquennale e proposta di preclusione);
7) prospetto delle proposte di preclusione che sono rientrate nell’applicazione della disciplina regolamentare transitoria di cui al CU n. 143/A del 3 marzo 2011, con il relativo esito o con lo stato di pendenza di eventuali procedimenti disciplinari e relative impugnazioni;
8) eventuale relazione ed atti preparatori sia della novella del 2007, relativa all’attribuzione agli organi della giustizia sportiva federale del potere di disporre la preclusione, sia della anzidetta disciplina transitoria del 2011; assegnando il termine di: a) trenta giorni per gli adempimenti a cura della parte che ha la principale disponibilità degli anzidetti elementi (n. 1, 2, 7, 8: FIGC; n. 3, 4, 5 e 6: ricorrente); b) quindici giorni (termine successivo alla scadenza dei trenta giorni) per eventuali integrazioni a cura dell’altra parte; c) dieci giorni per eventuali memorie in ordine alle nuove produzioni.
A seguito degli adempimenti predetti e delle memorie previste è stata fissata la nuova udienza di discussione del ricorso per il 27 marzo 2012, nella quale i difensori delle parti hanno ampiamente illustrato le rispettive tesi difensive.
In apertura di udienza, su espressa domanda del Presidente le parti hanno aderito a considerare la sentenza del Tribunale di Napoli ( depositata il 3 febbraio 2012) emessa nel giudizio separato per gli altri coimputati M. e M., acquisita al presente procedimento. Ritenuto in diritto
1.- Preliminarmente, anche ai fini della individuazione esatta dell’ambito del presente giudizio e dei poteri di sindacato di questa Alta Corte di Giustizia sportiva, deve essere posto in rilievo quanto segue:
a) i profili attinenti alla prescrizione nel presente giudizio (ricorrente dott. G.) risultano espressamente rinunciati con dichiarazioni rese a verbale all’udienza di discussione avanti alla Corte di Giustizia Federale, dichiarazione di cui si dà atto nella decisione impugnata in questa sede (che pur fa un richiamo al rigetto affermato nell’esame dei ricorsi concomitanti), rispetto alla quale, in mancanza di contestazione in motivi di ricorso non può sorgere ulteriore questione; ciò vale anche al fine di delimitare le censure legittimamente proposte attinenti al tempo decorso tra il primo giudizio di condanna e proposta ed il secondo giudizio con irrogazione della esclusione-radiazione:
b) il presente giudizio di ultimo grado avanti all’Alta Corte ha natura impugnatoria, nell’ambito di procedimento disciplinare con le garanzie processuali, avente la delimitazione nelle questioni legittimamente introdotte nel precedente grado di appello o che dovevano essere oggetto di esame dal giudice di appello e riproposte con i motivi e i motivi aggiunti di ricorso, naturalmente con le preclusioni endoprocessuali verificatesi nei precedenti gradi. Da tale carattere deriva che in questa sede (così come nel precedente grado appello) si instaura non un nuovo giudizio, ma solo un sindacato con effetto devolutivo sulla decisione impugnata nei limiti dei motivi dedotti. Naturalmente questo sindacato non è circoscritto a profili di sola legittimità, ma può, senz’altro, estendersi anche ai profili attinenti al merito, quantomeno in quanto inserito in un procedimento disciplinare, che non è originato da impugnazione di atto o provvedimento di organo di amministrazione o di gestione. Egualmente può estendersi alle valutazioni dei fatti contenute nella decisione impugnata e con interventi suscettibili di condurre anche a rettifiche, correzioni ed integrazioni delle valutazioni e motivazioni anche di fatto, sempre nell’ambito dei motivi e deduzioni ritualmente introdotti in questo grado, ferme ovviamente le preclusioni verificatesi all’interno della stessa procedura caratterizzata da una pluralità di gradi;
c) l’Ordinamento della giustizia sportiva, per quanto autonomo ed indipendente, non può sottrarsi ai principi fondamentali irrinunciabili contenuti nella Costituzione Italiana e negli atti anche essi fondamentali della Comunità europea, dovendo, invece, interpretare ed applicare le norme dello stesso Ordinamento sportivo alla luce degli anzidetti principi fondamentali, soprattutto quelli attinenti alla persona umana e alla sua tutela (cfr., al riguardo, la decisione di questa Alta Corte n. 15/2011, su ricorso relativo alle elezioni F.I.S.I., sul punto che riguarda i principi del giusto processo);
d) i principi di diritto, posti alla base delle decisioni dell’Alta Corte, come ultimo grado della Giustizia sportiva, devono essere tenuti in massimo conto da tutti gli organi di giustizia sportiva, di modo che, ancorché affermati tra parti diverse e non assolutamente vincolanti, non possono essere ignorati o semplicemente resi privi di valore senza esauriente ed adeguata motivazione sul dissenso applicativo, soprattutto quando siano espressamente invocate in giudizio;
e) il ricorso introduttivo (peraltro proposto sulla base del solo dispositivo della decisione impugnata e quasi completamente ripetitivo delle difese avanti alla Corte Federale, senza ovviamente nessun riferimento specifico alla motivazione non conosciuta) e i motivi aggiunti – come eccepito dalla difesa della Federazione, che si è rimessa sul punto ad una valutazione del Collegio - non sono articolati sulla deduzione di enucleati mezzi di gravame, ma si sviluppano in un discorso critico a tutto campo, con una serie di enunciazioni in ordine sparso e non sempre lineare di dissenso, senza una enunciazione puntuale di vizi denunciati. Questo rende meno agevole sia la difesa della controparte, sia soprattutto la individuazione e ricostruzione delle censure da esaminare e che possono, ovviamente, riguardare solo i vizi della decisione impugnata in questa sede. Devono quindi essere considerati inammissibili quelle vaghe enunciazioni prive di specifico riferimento alla stessa decisione e non ricostruibili come motivo specifico di gravame; invece devono essere esaminati tutti i profili di gravame che sono stati suscettibili di ricostruzione puntuale e esaminati in questa parte di motivazione in diritto.
2.- Il ricorrente lamenta, sia pure in maniera non sempre ordinata e disomogenea, la violazione di norme C.E.D.U., art. 6, con un riferimento, tra l’altro, alla durata e al termine del procedimento con una non consentita ripetizione, nonché ai principi del giusto processo e alla mancata disapplicazione di norme nazionali, in asserito contrasto.
In proposito, giova ricordare come allo stato (in attesa, cioè, che abbia a completarsi l’iter di adesione della UE alla Convenzione), secondo un inequivoco insegnamento della Corte Costituzionale, la normativa C.E.D.U. debba riguardarsi, in forza dell’art. 117, comma 1, Cost., alla stregua di parametro costituzionale in qualità di fonte interposta, sicché spetta certamente al giudice, anche a quello sportivo di interpretare le norme domestiche in modo conforme alla disposizione internazionale. Qualora, poi, tale operazione ermeneutica sia impedita dai limiti imposti dal dato testuale, il contrasto risultante legittima il giudice statale (non già a operare la diretta disapplicazione della norma, ma) a investire, ove ne ricorrano gli estremi in relazione al valore legislativo, la Corte Costituzionale del relativo giudizio di legittimità costituzionale: traiettoria, quest’ultima, evidentemente preclusa al giudice sportivo, il che pone un interrogativo, neppure banale, su come procedere quando si riscontri, per l’appunto, l’assoluta incompatibilità dell’atto sportivo con i principi della Convenzione. Utili spunti, al riguardo, possono derivarsi da una recente decisione del TAS nel caso Amos Adamu v. FIFA (CAS 2011/A/2426), relativo a un provvedimento disciplinare assunto nei confronti di un membro del Comitato esecutivo della FIFA sulla base di registrazioni operate in asserita violazione dei diritti tutelati dalla C.E.D.U.. Il tribunale rileva che “i trattati internazionali sui diritti dell’uomo [...], intesi a proteggere i diritti fondamentali degli individui nei confronti delle autorità governative […], sono di per sé inapplicabili con riguardo a vicende disciplinari gestite dagli enti che governano gli sport, che sono caratterizzati giuridicamente come entità soltanto private”. Salvo poi precisare: “In ogni caso, il Collegio tiene presente che talune garanzie assicurate in relazione a procedimenti civili dall’articolo 6.1 della C.E.D.U. sono indirettamente applicabili persino innanzi ad un tribunale arbitrale –tanto più in vicende disciplinari- perché la Confederazione Svizzera, come parte contraente della C.E.D.U., deve assicurare che i propri giudici, quando chiamati a delibare lodi arbitrali (in fase di esecuzione o in occasione di un procedimento d’impugnazione), verificano che alle parti di un arbitrato sia garantito un giusto procedimento entro un termine ragionevole da parte di un tribunale arbitrale indipendente e imparziale. Questi principi procedurali concorrono così a formare l’ordine pubblico processuale svizzero. Invero, i collegi TAS si sono sempre sforzati di assicurare che i principi fondamentali della giustizia processuale siano rispettati nei procedimenti disciplinari sportivi, in conformità con l’ordine pubblico processuale determinato dal Tribunale Federale svizzero (§§ 65-7)” (“However, the Panel is mindful that some guarantees afforded in relation to civil law proceedings by article 6.1 of the ECHR are indirectly applicable even before an arbitral tribunal – all the more so in disciplinary matters – because the Swiss Confederation, as a contracting party to the ECHR, must ensure that its judges, when checking arbitral awards (at the enforcement stage or on the occasion of an appeal to set aside the award), verify that parties to an arbitration are guaranteed a fair proceeding within a reasonable time by an independent and impartial arbitral tribunal. These procedural principles thus form part of the Swiss procedural public policy. Indeed, CAS panels have always endeavoured to ensure that fundamental principles of procedural fairness are respected in sports disciplinary proceedings, in accordance with the notion of procedural public policy as determined by the Swiss Federal Tribunal” (§§65-7)). D’altronde, ulteriori indicazioni –sempre nel senso di assicurare la piena giustiziabilità sportiva dei principi C.E.D.U. per il tramite di indici normativi di contenuto sostanziale assimilabile e di sicura applicabilità- potrebbero rinvenire dalla circostanza che i diritti fondamentali di cui è parola sono largamente recepiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (v., per quanto qui interessa, artt. 47 ss.), il cui rango di normativa sovraordinata è assolutamente indiscutibile. Ad ogni buon conto, il su cennato quesito può rimanere qui impregiudicato perché la previsione di cui al C.U. 143/A si presta, come si desume dalla considerazioni sviluppate con riguardo ai motivi che seguono, a essere interpretata in conformità alla disciplina internazionale e costituzionale sul giusto processo, senza quindi integrare gli estremi di un insanabile contrasto da comporre con interventi traumatici di disapplicazione.
3.- Il ricorso, sia pure in modo disomogeneo e non sempre coerente come appresso rilevato, invoca il ne bis in idem, che risale ad un principio processuale fondamentale nel diritto romano, secondo cui non si può due volte esperire l’azione per lo stesso oggetto, cioè in modo per esteso, bis de eadem re agi non potest, ovvero ne sit actio, essendo fin d’allora chiaro che doveva trattarsi de eadem re, e che il soggetto che aveva agito non poteva pretendere il riconoscimento dello stesso diritto sulla base dello stesso fatto giuridico (ex eadam causa). Il principio, che non si poteva esercitare di nuovo un’azione già esercitata, si noti, dallo stesso soggetto, era inizialmente una conseguenza diretta della consumazione dell’actio, per effetto della litis contestatio e della funzione della res iudicata, considerata meramente formale, cioè riferita all’azione esercitata e al soggetto che l’aveva esercitata. Man mano, pur mantenendosi l’efficacia consuntiva della litis contestatio, si arrivò ad un concetto più ampio della res iudicata, per cui non si poteva porre in discussione davanti ad un nuovo giudice un punto già regolarmente deciso tra le stesse parti: la identità di questione tra le stesse parti non necessitava, in modo assoluto, la identità dell’oggetto della lite. Con il progressivo svuotamento della contestazione della lite e del conseguente effetto consuntivo, si è passati, nel diritto romano giustinianeo, a una prospettazione imperniata esclusivamente sulla questione dedotta in giudizio, allargandosi la causa di estinzione anche all’effettivo concorso di altre azioni tendenti alla eadam rem, come nel caso di danno arrecato da un comodatario con colpa in faciendo al proprietario, suscettibile di azione per violazione del contratto (actio ex commodato) o per lesione della sua proprietà (actio de lege Aquilia). Veniva, tuttavia, ridimensionato l’effetto consuntivo, escludendolo quando i diversi rimedi avessero un differente risultato quantitativo, per cui rimaneva la possibilità di agire per la differenza esperibile con l’altra azione più remunerativa.
4.- Il principio del bis in idem, è stato, in tempi recenti, considerato come principio generale dell’ordinamento giuridico ed orientamento di sistema, dettato ad evitare sia “duplicazione dello stesso processo” (Cass., S.U. pen., n. 34655 del 2005), sia di decisioni e di provvedimenti per lo stesso fatto contro la stessa persona, e quindi con possibilità di conflitti e di pronunce tra loro contrastanti. Sotto tali esigenze e finalità il principio è man mano risorto nel diritto contemporaneo, confermandosi ed arricchendosi, dapprima in modo deciso nel diritto processuale, anche per effetto e a seguito delle proclamazioni costituzionali delle garanzie della persona umana e della tutela dei diritti, ed in modo significativo in quello processuale penale.
Il principio progressivamente si è esteso ad ogni tipologia di processo e procedimento nelle forme e con le garanzie giustiziali (processo tributario; processo contabile avanti alla Corte dei Conti, procedimenti disciplinari: v., da ultimo, Cass., 22 ottobre 2010, n. 21760 nei rapporti di lavoro; Cons. Stato, 1. 10. 2004, n. 6403, in materia di pubblico impiego) ed ha assunto speciale rilevanza anche in sede di rapporti internazionali tra le giurisdizioni (v. art. 739 c.p.p. ed in una serie di accordi internazionali, che lo hanno codificato: dalla VI Convenzione tra gli Stati del Trattato NATO di Londra 19 giugno 1954 alla Carta di Nizza 7 dicembre 2000); ed ancora in modo più incisivo in sede di giustizia europea (v., in materia penale, l’art. 54 della Convenzione applicativa dell’Accordo di Schengen, ratificato con l. n. 388 del 1993 con riferimento a giudicato con sentenza definitiva) e con riferimento agli aspetti non solo processuali, ma anche sostanziali.
5.- E’ riemerso in modo decisivo, da un canto, il profilo della preclusione-consumazione con allargamento non limitato alla cosa giudicata risultante da sentenza definitiva (v.,in materia penale, Cass., S.U., n. 34655, del 2005; in precedenza, benché isolata, Cass. Pen., V, 10 luglio 1995), ma esteso anche alla esistenza o coesistenza di un giudizio sulla stessa controversia o alla successiva e separata previsione ripetitiva e punitiva dello stesso fatto, unificato nella identica regiudicanda, ancorché in ordinamenti diversi e con varietà di configurazioni sostanziali ed effetti sanzionatori, allo scopo – per le anzidette ultime ipotesi - di evitare conflitti tra giurisdizioni diverse in ambito europeo ed insieme un duplicato del medesimo processo sulla medesima regiudicanda. Nel suddetto ambito si è affermata l’applicazione anche nelle procedure di estinzione dell’azione penale da parte del p.m., pur senza intervento del giudice, nelle c.d. transazioni penali sotto forma di patteggiamenti ed accordi, previste in taluni ordinamenti (Corte Giust. C.E., 11 febbraio 2003, n. 187). Peraltro nello stesso ambito è stata esclusa l’applicabilità del principio del bis in idem ad una decisione di sospensione del procedimento penale, qualora la decisione secondo il diritto nazionale dello Stato non estingua definitivamente la azione penale (Corte Giust. C.E., 22 dicembre 2008, Causa C-491/07), riemergendo così la connessione con la consumazione ed esaurimento dell’azione ed insieme la mancanza di effetti definitivamente risolutivi della questione, come regiudicanda (o domanda a seconda del tipo di procedimento) dedotta in giudizio.
D’altro canto si è rafforzato un divieto di reiterazione dei procedimenti penali e delle decisioni sulla identica regiudicata, in sintonia con le esigenze di razionalità e di funzionalità connaturale al sistema secondo un principio generale dell’ordinamento (v. Cass., S.U. pen., n. 34655 del 2005, cit.). Tale principio ha assunto valore garantistico generale, volto da un canto a tutelare l’individuo dai rischi connessi alla possibilità di duplicazione a suo carico di processi per la stessa regiudicanda, relativa allo stesso fatto e dall’altro è stato giustificato da esigenze di economia processuale, per cui gli Stati non sono tenuti a far funzionare a vuoto i propri organi di giustizia, così prevedendosi una serie di preclusioni. L’elemento comune può essere tendenzialmente identificato nel divieto di ritornare sul già deciso, di ripetere un giudizio, in altri termini di compiere una seconda volta (un bis) un’attività svolta, o in via di svolgimento, in quanto forma di sovrapposizione ripetitiva e successiva con un nuovo giudizio processuale sulla medesima regiudicanda, al di fuori, si noti, di una serie procedimentale prevista espressamente (pluralità di gradi o di fasi in un sistema di impugnazione o di riesame o di separazione di giudizi). Pertanto il divieto del bis in idem, non può, in modo assolutamente certo, essere riferito a tutte le previsioni di successive fasi processuali o gradi di procedimento espressamente previste (principio di legalità) nei diversi sistemi processuali (rimedi e specifici istituti di carattere impugnatorio, o di revisione, o di riesame o di separazione). Ed ancora, in modo più particolare per il caso in esame, il divieto non può applicarsi quando vi sia una previsione normativa di possibilità di separazione di questioni derivanti da pregiudizialità necessaria o da possibilità di distinzioni e separazioni di oggetti delle pronunce per esigenze di economia processuale, ancorché per questioni connesse e dipendenti, come nella ipotesi di condanna generica e successiva separata liquidazione, ovvero di condanna seguita da misure di prevenzione o di sicurezza normativamente previste, collegate ai fatti su cui è intervenuta una prima sentenza. In altri termini assume rilevanza, per applicare o meno il ne bis in idem, non tanto che il giudizio verta solo sullo stesso rapporto o sulla medesima causa petendi, ma che la regiudicanda – o una sua parte - intesa anche come questione o domanda (a seconda del tipo di procedimento) sia enucleabile (in base a normativa unitaria e non stratificazione di interventi punitivi) e sia rimasta da decidere, perché non poteva o non doveva essere ricompresa nel thema decidendum del primo giudizio, in modo da essere giuridicamente (conformemente a previsione normativa) e logicamente compatibile e non sovrapponibile con la precedente procedura e decisione. Di conseguenza risulta un primo profilo autonomo di piena infondatezza dei motivi che si ricollegano al divieto del bis in idem. 6.- Passando all’esame particolare del caso di specie, relativo alla applicazione della espulsione-radiazione in ambito sportivo della F.I.G.C. e alle relative censure dedotte nel ricorso, occorre anzitutto sottolineare che questa Alta Corte, con la decisione n. 11 del 23-27 maggio 2011 – non a caso invocata dalla difesa di tutte le parti presenti nel presente giudizio - ha espressamente inquadrato l’ambito e la valenza delle previsioni regolamentari di cui al C.U. 143/A del 3 marzo 2011 con la delibera del Consiglio Federale della F.I.G.C., affermando: “è la stessa normativa federale – che, si noti, ha inciso sulla competenza ad irrogare la sanzione aggiuntiva, a seguito dei nuovi principi di giustizia prima, e poi con la disposizione transitoria” - in C.U. n. 143/A del 3 marzo 2011- “che ha affidato ad un (precostituito) sistema organico di organi di tutela giustiziale in materia disciplinare il compito di valutare la sussistenza delle condizioni per l’irrogazione della ulteriore misura sanzionatoria accessoria ed aggiuntiva consistente nella radiazione (rectius preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C).” “Tale sanzione aggiuntiva non è stata innovata nella previsione strutturale: invece; è stata variata la competenza dell’organo, che certamente non resta vincolato ad irrogare la sanzione
stessa aggiuntiva; questa sanzione non può, pertanto, configurarsi come atto dovuto e vincolato senz’altra valutazione rispetto alla precedente condanna disciplinare accompagnata da proposta”. “L’applicazione della ulteriore misura sanzionatoria ha, come presupposto, la precedente condanna disciplinare (ed i fatti rilevanti disciplinarmente ivi accertati), ma comporta necessariamente un’ulteriore valutazione discrezionale e perciò con maggiore obbligo di motivazione in relazione alla posizione attualizzata su cui incide”. “D’altro canto sarebbe stato inutile e non ragionevole affidare ad un organo giustiziale un compito meramente applicativo privo di una necessaria valutazione discrezionale”.
“Giova precisare che il sistema configurato non comporta affatto una preclusione della successiva tutela avanti a questa Alta Corte (o al TNAS a seconda delle possibili ipotesi di censure o di posizioni tutelate prospettabili) da parte dei soggetti ai quali è applicabile la norma federale, il cui procedimento giustiziale disciplinare dalla fase iniziale potrà passare a quelle successive”. “Detta tutela (avanti all’Alta Corte o al TNAS) potrà intervenire pienamente da ultimo in sede di impugnativa della decisione di secondo grado che eventualmente irrogherà o confermerà la sanzione aggiuntiva, salvi tutti i rimedi e le eccezioni esperibili nell’ambito della giustizia federale.”
Tenuto conto delle predette considerazioni, deve escludersi che sussistono ragioni per andare in contrario avviso, per quanto riguarda l’esame della situazione dei procedimenti disciplinari finalizzati alla definizione delle proposte di preclusione intervenute sino alla data di entrata in vigore del nuovo Codice di Giustizia sportiva (30 giugno 2007) ed ancora all’epoca non definite. Inoltre occorre ulteriormente precisare che:
a) immutata era rimasta la disciplina sostanziale della sanzione aggiuntiva della radiazione-sospensione, essendo sopravvenuto solo un trasferimento di competenza da organo amministrativo di gestione ad organi di giustizia, che, come tali, dovevano agire mediante una procedura con le garanzie giustiziali; detti organi sono stati individuati tra quelli di giustizia sportiva già esistenti e quindi precostituiti, e non creati ad hoc; l’intervento del Procuratore federale era connaturato al sistema di garanzia giustiziale in materia disciplinare, distinguendosi necessariamente la funzione giudicante e quella requirente accusatoria;
b) gli anzidetti organi di giustizia hanno, nel nuovo giudizio, un preciso compito, a carattere discrezionale, sulla esistenza delle condizioni per irrogare la sanzione aggiuntiva, valutando in modo specifico la gravità della posizione attualizzata del responsabile dell’illecito accertato con la precedente decisione ormai definitiva secondo l’ordinamento sportivo. Deve, quindi, essere esclusa ogni possibilità di riesaminare i fatti su cui si erano basate la condanna e la sanzione principale. Ne consegue che ogni sindacato sulla legittimità della precedente condanna e dei fatti ivi accertati sarebbe non solo abusivo, ma ricadrebbe anche nel divieto del bis in idem invocato, sia pure ad altri fini, dal ricorrente.
Risulta, infatti, evidente come ulteriore conseguenza, che la anzidetta e separata attuale fase processuale della irrogazione della sanzione aggiuntiva (espulsione–radiazione) non si sovrappone e non può e non deve essere né una ripetizione, o una reiterazione, né ancora una revisione (neppure per eventi sopravvenuti) del deciso nel precedente giudizio di condanna del 2006, avente per oggetto la responsabilità per illecito sportivo dell’attuale ricorrente.
Detto “primo” giudizio aveva come questione da decidere un thema decidendum esclusivo di accertare l’illecito disciplinare e la responsabilità e, in caso positivo di colpevolezza, di determinare ed irrogare la sanzione della sospensione temporanea fino ad un massimo di cinque anni, oltre di esercitare eventualmente una facoltà di semplice proposta non vincolante di sanzione ulteriore aggiuntiva. La proposta non comportava alcun vincolo per il Presidente Federale, ma si limitava ad attivare un procedimento amministrativo diretto a valutare la gravità dell’illecito accertato e conseguentemente a stabilire la “esclusione-radiazione” del soggetto condannato disciplinarmente. L’accertamento della responsabilità e la condanna alla pena principale temporanea non poteva essere riesaminata o rivista nella fase successiva, in quanto il Presidente Federale aveva una competenza solo sulla ulteriore misura accessoria e a tali fini doveva valutare la gravità del comportamento per irrogare la relativa sanzione aggiuntiva, che si noti era prevista fin dall’origine dalla stessa ed unica previsione sanzionatoria. Di conseguenza, non si pone, né si poteva porre, un problema di previsione nuova e retroattiva di una sanzione per un fatto già sanzionato. Solo se ciò si fosse verificato, con una nuova diversa norma punitiva ed una innovativa previsione di nuova sanzione con un rinnovato giudizio sulla responsabilità (anche se in ordinamento diverso), sarebbe sorto un contrasto con il divieto di bis in idem, sotto il profilo sostanziale punitivo e sotto quello della ripetizione di giudizio sugli stessi fatti (questo è stato il caso esaminato dal TAS di Losanna, Court of Arbitration for Sport 2011/O72422 USOC c. IOC). Nella specie considerata, invece, (è opportuno chiarire ulteriormente), era previsto fin dall’inizio un procedimento bifasico, diviso in una prima fase di accertamento dei fatti e della responsabilità con una prima sanzione temporanea inibitoria; in una seconda fase (derivata da iniziativa-proposta del giudice della prima fase) di apprezzamento sulla gravità dell’illecito, così come nei fatti era stato accertato, per determinare, anche alla luce dell’attività e comportamento successivo, la radiazione come misura accessoria. Questa nuova fase ha avuto solo un mutamento di competenza per applicare le garanzie procedurali, proprie di organo giustiziale, alla decisione sulla radiazione. 7- Una volta intervenuta, come ampiamente esposto, una determinazione, tutt’altro che irragionevole, da parte del CONI di trasferimento agli organi di giustizia della predetta competenza degli organi di gestione federale, la stessa competenza (già amministrativa federale) in materia disciplinare doveva essere assunta dagli organi di giustizia sportiva nelle articolazioni già esistenti e negli stessi limiti. Ai detti organi di giustizia federale, che avevano in precedenza avuto una completa riforma organizzativa e compositiva (con la conseguenza anche di escludere in radice ogni problema di incompatibilità per la valutazione sulla radiazione per i casi di precedente proposta), restava devoluta ed unificata la potestà di irrogare, valutata la gravità, anche la sanzione aggiuntiva di maggiore afflittività nell’ambito sportivo. In tal modo si assicuravano più efficienti garanzie attraverso un procedimento giustiziale dotato di autonomia ed indipendenza dagli organi federali. Incombeva, pertanto, alla Federazione di applicare il principio innovativo con il trasferimento della sola competenza. In realtà il principio della separazione tra i poteri di gestione e di giustizia federale era sancito (all’epoca dei fatti) dal vecchio art. 18 dei Principi Fondamentali CONI, ora art. 3, comma 6, dei Principi fondamentali CONI. In questo indirizzo normativo il potere di preclusione è stato tolto al Presidente Federale ed assegnato agli organi di giustizia FIGC dall’art. 19, comma 3, del Codice giustizia sportiva del 2007, entrato il vigore il 30 giugno 2007. Pertanto lo strumento regolamentare di attuazione della suddetta separatezza delle funzioni utilizzato dalla F.I.G.C. ha assunto un esclusivo ambito di trasferimento della competenza alla irrogazione della sanzione aggiuntiva (rimasta sostanzialmente identica nel contenuto e negli effetti e nel coesistente fine di prevenzione) ad organo di giustizia sportiva. Questa competenza doveva essere necessariamente esercitata con le forme processuali proprie del singolo organo in materia disciplinare e con le garanzie del contraddittorio. Per i successivi procedimenti disciplinari e per quelli nella fase iniziale non è sorto alcun problema pratico attuativo, a differenza, invece, di quanto verificatosi per i procedimenti che si erano conclusi nella prima fase con il precedente sistema con una proposta di espulsione, non ancora valutata dal Presidente Federale e non definita con una qualsiasi determinazione positiva o negativa. Contestualmente al trasferimento della competenza non era stata, invero, adottata una qualsiasi disciplina transitoria da parte della Federazione, il che, di per sé, non impediva la possibilità di determinare successivamente norme transitorie, come confermato dalla casistica, tutt’altro che eccezionale, di norme transitorie o di attuazione successive ed anche a distanza di tempo. D’altro canto il trasferimento della suddetta competenza - con implicita conferma della sanzione aggiuntiva, cui si riferiva il trasferimento, accompagnata dal semplice cambiamento formale della denominazione (esclusione-radiazione, ma con identicità di portata degli effetti preclusivi) - non poteva minimamente assurgere come espressione di una pretesa consumazione del potere o di una implicita volontà abrogativa o eliminativa della stessa sanzione aggiuntiva per il passato ovvero di volontà assolutoria ed estintiva per le proposte di espulsione rimaste non definite dall’organo amministrativo federale, privato ormai della competenza. Allo stesso modo nessun rilievo può essere mosso rispetto all’intervento accusatorio del Procuratore Federale, essendo questo (come innanzi chiarito) soggetto connaturale del sistema accusatorio nella procedura giustiziale disciplinare, improntata alla separatezza di funzione decisoria e requirente. Di qui anche l’ambito dell’intervento della Procura Federale, che per una iniziativa corretta non era tenuta a formulare alcun nuovo capo di contestazione o di imputazione. In realtà, trattandosi di seconda fase, è sufficiente il richiamo alla prima sentenza di condanna, alla proposta inevasa seguita da una semplice richiesta di questa fase, diretta esclusivamente a verificare, come in appresso chiarito, la “gravità”. In ogni caso deve essere rilevato, con ulteriore argomentazione autonoma per il rigetto del motivo, che in mancanza di espressa indicazione regolamentare non può ritenersi esistente, a seguito del trasferimento della competenza, un effetto consumativo della facoltà di irrogare la sanzione aggiuntiva per i casi in pendenza di definizione da parte del Presidente Federale, ciò anche in caso di ritardo nella concreta applicazione (tale da non assumere un sicuro valore di volontà estintiva o preclusiva o di rinuncia) come appresso meglio specificato.
Inoltre, come ulteriore argomento autonomo, una linea interpretativa sviluppata in una diversa direzione condurrebbe, d’altra parte, a dubitare della aderenza della soluzione adottata all’art. 3 Cost. per l’ingiustificato regime di favore riservato a chi, pur in presenza di una proposta di espulsione, non ha visto definire la sua posizione alla stregua della precedente disciplina. Ed ancora, come profilo ulteriore ed indipendente di infondatezza della censura, trattandosi di innovazione normativa su disposizione procedimentale sulla competenza (per una fase autonoma) questo effetto innovativo deve applicarsi ove sussistano i seguenti presupposti (argomentando da Cons. Stato, VI, n. 694 del 1999, n. 4163 del 2004; Ad. Plen., n. 9 del 2011):
I) si tratti di un procedimento espressamente distinto in fasi autonome e nettamente separate, ovviamente in difetto di espressa previsione di proroga transitoria della competenza o di perpetuatio competentiae o di esenzione indiscriminata o parziale dall’applicazione per determinati procedimenti in corso;
II) la nuova autonoma fase sia ancora da svolgere, soprattutto quando non risulti compiuto alcun atto di questa autonoma fase e vi sia stata (come nella specie) solo una iniziativa-proposta che non abbia avuto seguito alcuno e quindi non vi sia un limite di intangibilità di situazioni giuridiche ormai definite o valutate;
III) non si tratti di procedura retta da bando ad hoc non specificatamente modificato;
IV) la norma sopravvenuta sia diretta, proprio per il suo carattere transitorio ad incidere necessariamente sulla fase autonoma ancora non svolta, in quanto destinata a regolare proprio quelle situazioni giuridiche emergenti in fase autonoma ancora da svolgere. Sulla base delle predette distinte ed autonome considerazioni devono essere dichiarati infondati tutti i profili di ricorso sopra esaminati.
8.- Connesso alla precedente problematica, sotto il profilo consumativo del potere di irrogare la sanzione aggiuntiva, vi è il profilo del motivo di ricorso relativo al lungo decorso del tempo dall’accertamento della responsabilità disciplinare, con condanna alla sanzione della sospensione di 5 anni con proposta di espulsione-radiazione, fino alla concreta irrogazione della sanzione aggiuntiva originariamente già prevista. Giova al riguardo sottolineare che non esisteva e non esiste allo stato delle norme alcuna previsione espressa specifica di un termine di tempo entro cui doveva essere irrogata la specifica sanzione accessoria aggiuntiva della sospensione-radiazione. Tuttavia deve essere riconosciuta la esigenza di rinvenire un limite temporale, ragionevole e sopportabile ai fini della certezza del diritto e della salvaguardia della persona, rispetto all’’esercizio del potere sanzionatorio disciplinare, anche dopo l’accertamento dell’illecito con una prima sanzione temporanea. Nel caso di sanzione accessoria, aggiuntiva rispetto a sanzione temporanea già irrogata, come quella in contestazione, il termine può essere ricavato dalla previsione della durata della sanzione sospensiva temporanea, anche perché la successiva sanzione permanente non avrebbe alcun effetto nel perdurare degli effetti della sanzione temporanea. Di conseguenza anche questi profili di gravame risultano privi di fondamento.
9.- Vi è un ulteriore motivo connesso allo spazio di tempo e di inerzia intercorso dopo l’accertamento sanzionante l’illecito sportivo con il primo giudizio contenente la proposta di esclusione-radiazione rimasta inevasa.
In realtà vi è stato un non breve lasso di tempo tra la proposta di esclusione-radiazione, la procedura per l’adeguamento a più garantistiche esigenze dei Principi di Giustizia sportiva del Coni con il nuovo Codice di Giustizia sportiva, e il trasferimento della competenza, cui è seguita la richiesta di pareri e, non immediatamente, la norma transitoria e poi, ancora dopo, l’inizio della procedura per l’irrogazione della sanzione aggiuntiva. Giova al riguardo semplicemente richiamare, ai fini della infondatezza delle censure proposte, la successione dei diversi eventi e le cautele alle quali la Federazione ha ritenuto di attenersi in relazione al contenzioso sorto nelle diverse sedi per effetto delle diverse condanne contestuali. Infatti si può ritenere non irragionevole il ritardo sulla base dei seguenti elementi:
a) condanna con la proposta di preclusione-radiazione (in C.U. 14 luglio 2006, confermata sul punto con decisione della Corte Federale n. 2/CF del 4 agosto 2006), insieme ad altre decisioni connesse, che hanno dato luogo ad un ampio contenzioso in sede arbitrale (lodo 27 ottobre 2006; 7 marzo 2007) e poi avanti alla Giustizia amministrativa (Tar del Lazio) ancora pendenti, contenzioso proseguito per la sospensiva, per un caso, avanti al Consiglio di Stato (ordinanza 30 marzo 2007, caso M.), con conferma (che, tra l’altro, sottolinea il prolungato iter della sospensiva) del rigetto della sospensiva disposto dall’ordinanza del Tar Lazio 22 agosto 2006;
b) procedura per la elaborazione e l’approvazione del nuovo Codice di giustizia sportiva entrato in vigore il 1° luglio 2007, con trasferimento della competenza del Presidente Federale per l’irrogazione della espulsione-radiazione;
c) a seguito di dubbi e difficoltà, sorte per l’applicazione del trasferimento per le proposte di preclusione-radiazione rimaste non definite al 30 giugno 2007, la Federazione ha avanzato successive richieste di parere prima alla Corte di Giustizia Federale, parere reso il 28 aprile 2010 (C.U. 231/CGF, 2009-2010, nel senso della trasformazione della proposta in automatico provvedimento di radiazione); detto parere, tuttavia, non è stato recepito dalla Federazione, dopo attenta analisi e per ragione di cautela ad evitare rischi di contestazioni. Successivamente è intervenuta una nuova richiesta di un parere a questa Alta Corte, tramite il Coni in data 17 gennaio 2011, dichiarato inammissibile il 1° febbraio 2011 in quanto possibile, sul caso, una proposizione di ricorso alla stessa Alta Corte (art. 15, comma 3, lett. a, Codice Alta Corte), come in effetti si è verificato;
d) procedimento per adozione da parte della F.I.G.C. della disciplina regolamentare transitoria, per i procedimenti di preclusione-radiazione non definiti in base al Codice di Giustizia sportiva vigente fino al 30 giugno 2007, conclusosi con il regolamento di cui al C.U. n. 143/A del 3 marzo 2011;
e) attivazione del procedimento per la preclusione-radiazione in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C., con provvedimento 11 aprile 2011 del Procuratore Federale.
10.- L’ampiezza dei poteri affidati a questa Alta Corte, di legittimità e di merito, soprattutto nella materia disciplinare che si svolge tutta con le garanzie giustiziali (come sovra sottolineato), nonché le facoltà correttive ed integrative anche sulle prove e sulla motivazione della decisione impugnata (naturalmente nei limiti dei motivi di ricorso e delle preclusioni verificatesi) - come enunciati al punto 1.- lett. b) - consentono di considerare superate le censure attinenti agli asseriti difetti di ammissione di prove ed altri profili meramente procedurali. Infatti, con l’ordinanza collegiale del 27 ottobre 2011, è stata riaperta ogni possibilità di prove, con pienezza di deduzioni in pieno contraddittorio e di strumenti di difesa per tutte le parti, consentendosi alle stesse di superare ogni asserito difetto dei precedenti gradi (sempre aspetti relativi alla irrogazione della preclusione-radiazione). Allo stesso modo per taluni punti della decisione impugnata contestati per difetto o insufficienza di motivazione soccorre, ai fini del superamento, l’ampio esame e la motivazione integrativa contenuta nella presente decisione, che perviene sempre ad un rigetto. D’altro canto le censure al riguardo proposte sono altresì inconsistenti o prive di fondamento per una serie di autonome considerazioni:
a) il ricorrente invoca, in ordine sparso e in modo alquanto generico, la violazione di norme europee e della C.E.D.U. (art. 6) invocando una “disapplicazione” da parte della Giustizia sportiva. Nella fattispecie il giudizio disciplinare non ha coinvolto direttamente con una impugnazione alcun atto generale o regolamentare del Coni o della F.I.G.C.;
b) l’esame svolto dei motivi di impugnazione porta ad escludere, anche attraverso una corretta interpretazione ed applicazione sia delle norme del Codice di Giustizia sportiva, sia della disciplina transitoria di cui al C.U. 143/A del 3 marzo 2011, insieme ad una amplissima applicazione processuale dei diritti di difesa in questa fase di piena tutela non di sola legittimità, ogni contrasto con i principi del giusto processo, del principio di legalità e precostituzione dell’organo giudicante e dei diritti dell’uomo.
11 – Restano da esaminare i profili del ricorso relativi alla “gravità” quale presupposto necessario della irrogazione della sanzione aggiuntiva della espulsione-radiazione.
Per quanto riguarda la motivazione della sentenza impugnata deve essere rilevata la sintetica valutazione per questa parte, che tuttavia deve essere considerata sufficiente unitariamente agli elementi esaminati dalla Corte Federale e al richiamo alla condivisa valutazione della C.A.F.
Tuttavia questa Alta Corte ha, al riguardo della motivazione della sentenza impugnata (particolarmente in materia disciplinare), un ampio potere, anche di merito nell’esame della impugnazione, e, quando ne condivida il risultato finale, anche un potere di integrazione e correzione (vedi punto 1, lett. b, della presente parte in diritto). Tale motivazione della decisione può, comunque, trattandosi di procedimento disciplinare, essere rinnovata, nell’ambito naturalmente dei motivi di impugnazione, alla luce anche della ampia acquisizione probatoria, disposta dalla ordinanza collegiale istruttoria, e degli ulteriori elementi probatori depositati dal ricorrente, con particolare riferimento alla attività e comportamento nonché agli eventi successivi alla condanna con irrogazione della sanzione temporanea.
In ordine alla valutazione della “gravità” e alla sua “attualizzazione”, da effettuarsi per decidere sulla sanzione aggiuntiva della espulsione-radiazione, deve essere richiamato il principio sovra affermato, secondo il quale in questa sede è escluso qualsiasi nuovo esame rivalutativo dei fatti accertati dalla decisione sulla responsabilità del ricorrente per illecito disciplinare e conseguente condanna alla sanzione di sospensione temporanea (ormai definitiva per l’ordinamento sportivo). La valutazione che spetta al giudice di questa fase ulteriore (seconda fase) riguarda il solo apprezzamento della “gravità”, partendo da un dato di fatto, che deve rimanere fermo, derivante dalle decisioni emesse in ordine ai fatti e sulla responsabilità (divenute definitive sempre per l’ordinamento sportivo). La “gravità attualizzata” deve essere riguardata sotto un duplice aspetto: l’uno oggettivo l’altro soggettivo: il primo riferito alla persistenza della configurazione normativa, sia dell’illecito sportivo in base al quale è intervenuta la condanna, sia della previsione della sanzione aggiuntiva (e della sua preesistenza normativa all’illecito) Si deve, inoltre, avere riguardo anche alla persistenza, nel momento della irrogazione della sanzione aggiuntiva, di esigenze e di sensibilità nonché di allarme rispetto alle accertate trasgressioni sportive. In altri termini, in relazione al contenuto della sanzione deve essere compiuta una valutazione quantitativa della gravità rispetto all’attuale stato dell’ordinamento sportivo, tenendo conto che la misura aggiuntiva da adottare riveste una valenza non solo sanzionatoria, ma anche preventiva per lo stesso soggetto. In questo esame può essere introdotto anche – ove ne risultino le possibilità in base agli atti raccolti e dedotti dalle parti- un apprezzamento oltre sulla condotta successiva, sui rischi del ritorno ad attività nel campo sportivo o di conduzione manageriale in organismi ufficiali dello sport nell’ ambito della F.I.G.C., salvi taluni effetti indiretti di esclusione da cariche elettive nello sport ufficiale. L’altro elemento è quello soggettivo, anche se intrecciato con il primo, attinente al comportamento e alla personalità dell’incolpato, che ha subito la condanna, sulla base di elementi successivi di comportamento (e quindi nuovi) rispetto alla decisione di condanna irrevocabile, sempre – sia chiaro - senza alcun potere di controllo o di revisione della stessa decisione di condanna (”decisioni rese” nell’ordinamento sportivo), che costituisce solo un presupposto (ormai definitivo) come base di partenza (non modificabile) della nuova valutazione, limitata alla “gravità”. Può, pertanto, essere considerata nella valutazione qualsiasi espressione concreta di ravvedimento operoso o di risarcimento o di riparazione del danno, ed ogni altro elemento da cui possa ritenersi, in misura inequivocabile, l’abbandono attivo anche esternamente manifestato, con la ripulsa da comportamenti che inducono discredito dell’ambiente sportivo. Tutto quanto sopra, nella specie considerata, non risulta da prove offerte.
Inoltre acquista notevole rilevanza, ai fini della valutazione della “gravità”, nella concreta fattispecie, la posizione soggettiva rivestita dall’incolpato nel campo dello sport, soprattutto quando sia (stato all’epoca) elemento di spicco nella organizzazione ufficiale dello sport e/o delle società affiliate di notevole risonanza o sia soggetto, nel contempo, assai qualificato per le sue capacità manageriali o di conoscenza approfondita dei problemi ed ambienti che gravitano nello stesso sport, in modo da poter essere considerato assai introdotto ed apprezzato, con valenza suggestiva di rischi di modello e di esempio. Sotto tali ultimi profili deve essere sottolineato, sempre ai fini della gravità, che il sistema sportivo esige, anche e in modo particolare nei confronti dei dirigenti e di coloro che sono rivestiti di funzioni di non lieve responsabilità, una elevata sensibilità alla lealtà, correttezza nelle loro attività organizzative e manageriali, attesa la funzione educativa, sociale e culturale dello sport; di modo che vi sono esigenze maggiori rispetto alle attività ordinarie sia professionali, sia imprenditoriali, nelle quali vi è un prevalente od esclusivo scopo di lucro e di profitto.
Naturalmente tra tutti i predetti elementi occorre una complessiva considerazione di comparazione e bilanciamento, nel quale l’illecito sportivo (quale accertato nella sentenza base di condanna) non può essere di per sé superato da un semplice successivo comportamento immune da rilievi in una ottica di giustizia sportiva, si noti, tuttavia, in un periodo di doverosa astensione di attività in organismi sportivi ufficiali. Nella specie deve essere prioritariamente considerato che l’attuale ricorrente, all’epoca, era Consigliere federale nazionale della F.I.G.C. nonché Amministratore delegato di una delle più prestigiose società sportive nel campo del gioco calcio a livello nazionale (con conseguente massa di tifosi o appassionati sostenitori, in particolare giovani). Tale valutazione non è disgiunta dalla obiettiva gravità dei fatti, unitariamente considerati, esaminati dalla decisione di condanna in ambito sportivo. Non modificano, inoltre, la gravità oggettiva e soggettiva le attività e le opere di assistenza compiute e l’alto apprezzamento per l’attività professionale che il ricorrente ha nel tempo conseguito come manager, che pur tuttavia gli ha fatto assumere una posizione esponenziale.
Giova altresì rilevare che la sentenza del giudice penale con condanna dell’attuale ricorrente (Tribunale Napoli, GUP, 14 dicembre 2009, emanata a seguito di rito abbreviato, acquisita agli atti), unitariamente considerata, anche in relazione all’esito complessivo del giudizio penale nel procedimento ordinario separato ed originariamente unitario per gli altri coimputati originari (M. e M.: sentenza Tribunale Napoli in data 3 febbraio 2012, ugualmente acquisita agli atti), non smentisce la gravità oggettiva e soggettiva complessiva dell’illecito sportivo commesso e la partecipazione e collaborazione dello stesso ricorrente. Ciò anche se alcuni episodi sono ridimensionati e talune divaricazioni spostano, ma non smentiscono, sempre in una considerazione d’insieme, la gravità del quadro delle condotte illecite, quanto meno in quelle coincidenti nell’accertamento dell’illecito sportivo, ormai definitivo nello stesso ordinamento sportivo. Del resto, come ulteriore elemento autonomo, anche in sede penale non è smentita la gravità della posizione dell’attuale ricorrente se si tenga presente, nel complesso, la valutazione tutt’altro leggera anche per quanto riguarda la pena.
Infine occorre pur considerare le differenze di criteri ed obiettivi della giustizia penale e della giustizia sportiva e che le sentenze penali non sono definitive e sono state impugnate. Deve essere sottolineato che le anzidette sentenze penali, in quanto acquisite agli atti, sono state esaminate (come nei limiti di questa seconda fase) in questa sede al solo fine se possano influire sull’apprezzamento della gravità del comportamento illecito del ricorrente, illecito come definitivamente accertato dalla giustizia sportiva. Il ricorrente accenna anche agli aspetti della sanzione aggiuntiva della sospensione-radiazione rispetto ai diritti fondamentali della persona umana e per il carattere permanente della stessa sanzione nei riguardi anche dei profili professionali di lavoro. A parte che trattasi di profilo nuovo e quindi inammissibile, è sufficiente osservare per la infondatezza, che la sanzione della preclusione-radiazione, comunque, riguarda, in concreto per il ricorrente, l’attività nell’ambito della organizzazione dello sport (diversa dalla attività propriamente atletico sportiva), non essendo il ricorrente un atleta sportivo, ed è limitata all’ambito della F.I.G.C. (in qualsiasi rango e categoria della F.I.G.C), oltre taluni effetti indiretti di esclusione da cariche elettive nello sport ufficiale nell’ambito CONI. D’altro canto la sanzione non incide direttamente sull’attività professionale o manageriale propria del ricorrente, tenuto conto che lo stesso si è definito come “prestato al calcio”, come del resto trova conferma nell’ampia capacità e nella concreta ripresa di attività anche all’estero nel campo manageriale e di settore immobiliare - finanziario. Ancora il ricorrente adombra una mancanza di proporzionalità delle sanzioni, richiamandosi al diritto europeo: ciò è smentito da tutte le considerazioni sulla “gravità” sia sotto l’aspetto soggettivo che oggettivo e dal richiamato ambito della sanzione irrogata tenuto conto della attività del ricorrente e degli altri elementi soggettivi.
Il ricorrente accenna ad una modifica della disciplina regolamentare introdotta ad personam: questo è smentito dalla circostanza sopra richiamata dei dubbi e difficoltà di applicazione alla disciplina ad oltre un paio di decine di posizioni con proposta rimasta inevasa, tutte nella stessa situazione dell’attuale ricorrente in cui vi era stato un accertamento dell’illecito sportivo, con una condanna a sanzione temporanea e proposta di espulsione-radiazione. Del resto tali situazioni di potere limitato alla sola proposta del giudice sportivo dell’epoca era perfettamente conforme all’ordinamento vigente, per cui non si può affatto configurare un mancato esercizio di potere del primo giudice.
Di conseguenza anche per questi ultimi profili deve essere dichiarata la infondatezza dei motivi dedotti. Sulla base di tutte le precedenti considerazioni, tutte con una serie di giustificazioni autonome ed indipendenti, il ricorso deve essere rigettato sotto tutti i profili dei motivi ritualmente proposti.
P.Q.M.
L’ALTA CORTE DI GIUSTIZIA SPORTIVA
RIGETTA il ricorso;
SPESE interamente compensate.
DISPONE la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro difensori anche con il mezzo della posta elettronica.
Così deciso in Roma, nella sede del Coni, il 3 aprile 2012.
Il Presidente e Relatore
F.to Riccardo Chieppa
Il Segretario
F.to Alvio La Face
Depositato in Roma l’11 maggio 2012.
Il Segretario
F.to Alvio La Face