CONI – Alta Corte di Giustizia Sportiva – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it – Decisione n. 8 del 11/05/2012 – Dott. I.M. / Federazione Italiana Giuoco Calcio

CONI – Alta Corte di Giustizia Sportiva - Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it – Decisione n. 8 del 11/05/2012 - Dott. I.M. / Federazione Italiana Giuoco Calcio L’Alta Corte di Giustizia Sportiva, composta da dott. Riccardo Chieppa, Presidente dott. Alberto de Roberto, dott. Giovanni Francesco Lo Turco, Relatore prof. Massimo Luciani prof. Roberto Pardolesi ha pronunciato la seguente DECISIONE nel giudizio iscritto al R.G. ricorsi 20/2011, presentato in data 28 luglio 2011 da I. M., rappresentato e difeso dagli avvocati Gaetano Viciconte e Flavia Tortorella, contro la Federazione Italiana Gioco Calcio, rappresentata e difesa dagli avvocati Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli; avverso avverso la decisione emessa dalla Corte di Giustizia Federale della FIGC con C.U. 002/CGF del 9 luglio 2011, che ha confermato la decisione emessa dalla Commissione Nazionale Disciplinare della FIGC resa con C.U. n. 96/CDN del 15 giugno 2011, nonché per l’annullamento della delibera di cui al C.U. 143/A del 3 marzo 2011, adottata dal Consiglio Federale della FIGC, con la quale si è disposta l’attivazione di un procedimento disciplinare anche nei confronti del ricorrente al fine di definire le proposte di preclusione formulate sino alla data di entrata in vigore del Nuovo Codice di Giustizia Sportiva, ed ogni atto ad essa comunque connesso. Ritenuto in fatto Con atto del 28 luglio 2011, I. M. ha proposto ricorso a questa Alta Corte di Giustizia nei confronti della FIGC per la riforma della decisione della Corte di Giustizia Federale il cui dispositivo (pubblicato il 9 luglio 2011) conteneva la conferma della decisione emessa dalla Commissione Disciplinare Nazionale della FIGC (in data 15 giugno 2011) con erogazione a suo carico della preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della FIGC nonché per l’annullamento della delibera di cui al comunicato Ufficiale 143/A in data 3 marzo 2011 della FIGC. Il ricorso, proposto con riferimento soltanto al dispositivo della decisione impugnata, la cui parte motiva veniva notificata al ricorrente in data 3 agosto 2011, è stato successivamente integrato. Premesso che questa Corte, massimo organo di giustizia sportiva, non poteva non avere il potere di analizzare e disapplicare “l’atto regolatore impugnato dal ricorrente” (a), sono stati dedotti i motivi di appello di seguito sintetizzati: b) illegittimità del C.U. 143/A/2011 per violazione del principio di parità di trattamento sancito dall’art. 23 dello Statuto del Comitato Olimpico Nazionale Italiano anche perché era stato sostanzialmente consentito a taluni deferiti, in sede di convalidazione della proposta di radiazione intervenuta in un tempo risalente, di sottrarsi a detta radiazione; c) intervenuta prescrizione giacché la stessa deve operare in relazione non solo all’accertamento del fatto, ma anche all’irrogazione della sanzione e comunque deve avere un termine ragionevole; d) con l’entrata in vigore del nuovo Codice di Giustizia sportivo, privo di disposizioni transitorie, il potere del presidente deve considerarsi estinto; non avrebbe potuto pertanto, essere trasferito ad altri organi di giustizia; e) la previsione per cui il nuovo procedimento dovrà attivarsi sulla base delle “sentenze rese” introduce un preciso criterio valutativo sostanzialmente annullando ogni forma di contraddittorio; f) risulta violato il principio del ne bis in idem giacché l’avvenuto esercizio dell’azione disciplinare preclude l’applicabilità della medesima azione (ormai consumata) anche al solo fine di infliggere una misura sanzionatoria più grave; g) illogicità della decisione della Corte di Giustizia Federale anche con riferimento alla norma di cui al C.U. 143/A; h) violazione del principio della reformatio in peius (eliminata l’obbligatorietà di conformarsi a quanto stabilito dal giudice di prime cure, la richiesta di preclusione nei confronti del M., non formulata dal giudice di primo grado, costituirebbe appunto una reformatio in peius da parte della Corte Federale; i) il contenuto delle “sentenze rese” non potrebbe consentire oggi di irrogare la preclusione nei confronti del deferito; j) violazione del principio di proporzionalità della pena che sembra determinata, nel caso di specie, al solo scopo di irrogare una punizione esemplare nei confronti del ricorrente; k) difetto di motivazione e travisamento dei fatti con riferimento alle partite Lazio – Brescia, Lazio – Fiorentina e Lecce – Parma. Sulla base dei motivi in sintesi sopra esposti, il ricorrente ha chiesto che questa Corte: riformi la decisione impugnata e, per l’effetto, accerti la palese violazione dei diritti del ricorrente ed il contrasto con i principi immanenti dell’ordinamento generale e dichiari l’illegittimità e/o l’inefficacia e/o la nullità della delibera del Consiglio Federale FIGC di cui al C.U. n. 143/A del 3 marzo 2011; annulli la sanzione della preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della FIGC; in via subordinata, accerti la violazione dei principi di giustizia e dei principi fondamentali dell’ordinamento sportivo e, per l’effetto, segnali alla Giunta Nazionale del CONI l’esigenza di annullare e/o modificare il provvedimento di cui al C.U. n. 143/A del 3 marzo 2011, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1, comma 5, lett. d), del Codice dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva. Costituitasi in giudizio con comparsa di mera forma in data 29 luglio 2011, integrata e sviluppata con successiva comparsa 8 settembre 2011, la FIGC, richiamata la decisione di quest’Alta corte n. 11/2011 (con particolare riferimento all’interpretazione delle disposizioni contenute nel suindicato C.U. 143/A/11) e confutati i rilievi mossi dal M. ha contro dedotto in sintesi: 1) che questa Corte sarebbe comunque sprovvista del potere di disapplicare le norme federali eventualmente illegittime, pur avendo, in ipotesi di norme imperfette, incomplete od oscure, quello di segnalazione alla Giunta Nazionale del CONI; 2) che il motivo relativo all’addotta disparità di trattamento con riferimento agli esiti di distinti procedimenti disciplinari riguardanti altri tesserati ed altre vicende (definiti con accordi conciliativi) è inammissibile trattandosi di motivo non previamente proposto nei precedenti rimedi contemplati dalla prescritta filiera impugnatoria endoassociativa; 3) che il potere di applicare la sanzione accessoria, prima assegnato al presidente della FIGC, non si era esaurito, ma era stato convertito agli organi della giurisdizione domestica. Per detta irrogazione della sanzione non erano peraltro previste scadenze temporali; 4) che, in definitiva, era stata soltanto modificata la competenza relativa all’applicazione della suddetta sanzione; 5) che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la normativa non ha carattere sostanziale, limitandosi a innovare il solo assetto delle competenze interne ad un sistema organico di garanzie (precostituito rispetto all’attivazione del relativo procedimento); 6) che l’applicazione della ulteriore misura disciplinare ha certamente come presupposto la precedente condanna disciplinare (“sentenze rese”) ma deve essere assoggettata ad un’ulteriore valutazione discrezionale: gravità degli addebiti accertati e attitudine degli stessi a fondare un giudizio di così grave riprovazione da giustificare l’adozione, con valutazione della portata offensiva odierna, della misura espulsiva; 7) che in definitiva si tratta di una rivisitazione dei fatti accertati nelle “sentenze rese”. Tanto contro dedotto, la FIGC ha chiesto “che il ricorso avversario venga dichiarato in parte inammissibile ovvero, comunque, respinto perché totalmente infondato, con rigetto di tutte le ulteriori richieste formulate da controparte, ivi incluse quelle istruttorie”. Con ordinanza collegiale n. 26 del 27 ottobre 2011 nel presente giudizio, questa Alta Corte, richiamata la decisione n. 11 del 23-27 maggio 2011, ritenuta l’esigenza di integrare la documentazione esistente agli atti, ha disposto l’acquisizione di: 1) verbali dei procedimenti di primo e secondo grado federale (relativi alla irrogazione della preclusione); 2) copia degli eventuali motivi aggiunti in secondo grado e delle eventuali istanze istruttorie avanzate dall’attuale ricorrente in primo e secondo grado; 3) curriculum documentato relativo all’attività comunque svolta dal ricorrente dopo l’irrogazione della inibizione quinquennale; 4) chiarimenti documentati sui rimedi esperiti, anche in sede arbitrale, dal ricorrente avverso la decisione di secondo grado federale con la quale è stata irrogata l’inibizione temporanea con proposta di preclusione; 5) chiarimenti relativi allo stato del procedimento avanti al Tar con certificazione delle istanze presentate e di eventuale esito di istanze cautelari; 6) ogni eventuale altro elemento comunque utile, ai fini della valutazione della gravità e dell’attualizzazione della posizione del ricorrente, contenuto in decisioni o sentenze o altri accertamenti, successivi alla decisione definitiva della giustizia sportiva (con irrogazione dell’inibizione quinquennale e proposta di preclusione); 7) prospetto delle proposte di preclusione che sono rientrate nell’applicazione della disciplina regolamentare transitoria di cui al C.U. n. 143 /A del 3 marzo 2011, con il relativo esito o con lo stato di pendenza di eventuali procedimenti disciplinari e relative impugnazioni; 8) eventuale relazione ed atti preparatori sia della novella del 2007, relativa all’attribuzione agli organi della giustizia sportiva federale del potere di disporre la preclusione, sia della anzidetta disciplina transitoria del 2011. Effettuati gli adempimenti istruttori predetti, il M. in una memoria successiva a detta ordinanza collegiale: ha stigmatizzato la carenza di atti preparatori al Codice di Giustizia Sportiva e alla normativa di cui al C.U. N143/A del 3 marzo 2011; ha posto in evidenza l'irrilevanza della sentenza penale non definitiva del Tribunale di Napoli; ha sottolineato alcuni aspetti positivi del suo comportamento posteriore all'irrogazione della inibizione quinquennale. E' stata quindi fissata al 27 marzo 2012 la nuova udienza di discussione nella quale i difensori delle parti hanno ampiamente illustrato le rispettive tesi difensive. In apertura di udienza, su espressa domanda del Presidente, le parti hanno aderito a considerare la sentenza del Tribunale di Napoli, depositata in data 3 febbraio 2012 e disponibile sul sito web, acquisita al presente giudizio. Ritenuto in diritto 1.- Preliminarmente anche ai fini della individuazione esatta dell’ambito del presente giudizio e dei poteri di sindacato di questa Alta Corte di Giustizia sportiva, deve essere posto in rilievo quanto segue: a) il presente giudizio di ultimo grado avanti all’Alta Corte ha natura impugnatoria, nell’ambito di procedimento disciplinare con le garanzie processuali, avente la delimitazione nelle questioni legittimamente introdotte nel precedente grado di appello o che dovevano essere oggetto di esame dal giudice di appello e riproposte con i motivi e i motivi aggiunti di ricorso, naturalmente con le preclusioni endoprocessuali verificatesi nei precedenti gradi. Da tale carattere deriva che in questa sede (come nel precedente grado appello) si instaura non un nuovo giudizio, ma solo un sindacato con effetto devolutivo sulla decisione impugnata nei limiti dei motivi dedotti. Naturalmente questo sindacato non è circoscritto a profili di sola legittimità, ma può, senz’altro, estendersi anche ai profili attinenti al merito, quantomeno in quanto inserito in un procedimento disciplinare, che non è originato da impugnazione di atto o provvedimento di organo di amministrazione o di gestione. Egualmente può estendersi alle valutazioni dei fatti contenute nella decisione impugnata e con interventi suscettibili di condurre anche a rettifiche correzioni ed integrazioni delle valutazioni e motivazioni anche di fatto, sempre nell’ambito dei motivi e deduzioni ritualmente introdotti in questo grado (ferme ovviamente le preclusioni verificatesi all’interno della stessa procedura caratterizzata da una pluralità di gradi); b) l’ordinamento della giustizia sportiva, per quanto autonomo ed indipendente, non può sottrarsi ai principi fondamentali irrinunciabili contenuti nella Costituzione Italiana e negli atti anche essi fondamentali della Comunità europea dovendo, invece, interpretare ed applicare le norme dello stesso Ordinamento sportivo alla luce degli anzidetti principi fondamentali, soprattutto quelli attinenti alla persona umana e alla sua tutela (cfr. al riguardo la decisione di questa Alta Corte n. 15/2011, sul ricorso relativo alle elezioni F.I.S.I., (punto che riguarda i principi del giusto processo); c) i principi di diritto, posti alla base delle decisioni dell’Alta Corte, ultimo grado della Giustizia sportiva, devono essere tenuti in massimo conto da tutti gli organi di giustizia sportiva. Ne consegue che, ancorché affermati tra parti diverse e non assolutamente vincolanti, detti principi non possono essere ignorati o semplicemente resi privi di valore senza esauriente ed adeguata motivazione sul dissenso applicativo, specie quando siano espressamente invocati in giudizio.2. Col motivo sub B) il ricorrente denuncia di aver subito sostanzialmente una disparità di trattamento che inficerebbe il procedimento di giustizia sportiva culminato nell’irrogazione della sanzione espulsiva oggetto del presente giudizio. La denuncia è argomentata con riferimento a casi in cui la FIGC avrebbe trattato in modo significativamente diverso, e cioè più benevolo, i protagonisti di vicende, analoghe in tesi, a quelle che hanno visto coinvolto detto M.. Il motivo viene presentato per la prima volta in questa sede. Nondimeno alla statuizione della sua inammissibilità, per contrasto con la ribadita natura impugnatoria del presente giudizio, osta la novità dei fatti addotti in quanto venuti a conoscenza del ricorrente solo a valle del provvedimento impugnato. Ma il motivo di ricorso appare infondato nel merito. Va precisato, in limine, che, se intendimento del ricorrente fosse quello di evidenziare, nelle vicende evocate, eventuali deviazioni (nel senso di eccesso di indulgenza nei confronti dei beneficiari di tali procedure di conciliazione) dalla disciplina da applicare, tale traiettoria argomentativa risulterebbe sterile. In primo luogo, perché le vicende in parola, e le connesse supposte deviazioni, sarebbero comunque sottratte alla ricognizione rimessa a questa Corte nell’ambito del presente contenzioso. E, inoltre, perché l’astratta ricorrenza di irregolarità non varrebbe ad esimere dalla corretta applicazione della disciplina relativa al caso di specie. Finanche il riscontro inoppugnabile di deviazioni pregresse non sarebbe idoneo a fondare la legittima aspettativa che esse abbiano a ripetersi. Di là da questa precisazione, il motivo – nella misura in cui lamenta la mancata adesione del provvedimento impugnato a precedenti determinazioni di segno opposto – si infrange contro le ragioni di seguito sinteticamente riportate. L’Alta Corte, nell’esercitare le sue funzioni, deve - come ricordato – applicare le regole dell’ordinamento sportivo in conformità con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico statale ed europeo. L’eventuale esistenza di precedenti giurisprudenziali o di comportamenti tenuti da organi o soggetti dell’ordinamento sportivo non può influenzare la puntuale applicazione di dette regole. Ciò ovviamente non significa che l’Alta Corte possa svolgere la sua funzione in modo impermeabile alle sollecitazioni provenienti dagli organi giurisprudenziali (sia con riferimento alla giustizia sportiva che a quella statale) ovvero dalla osservazione di prassi maturate nel mondo sportivo. Se così fosse, infatti, l’Alta Corte verrebbe meno proprio alla sua funzione, che è per l’appunto quella di fare corretto governo delle regole dell’ordinamento sportivo posto che queste, considerata la complessità del sistema di riferimento, possono ben avere matrice giurisprudenziale o consuetudinaria.Sotto questo aspetto, l’autonomia ed indipendenza della Corte, al di là d’ogni considerazione sulla natura amministrativa dei suoi atti, impugnabili innanzi il Giudice amministrativo, vanno declinate, in ragione del carattere giustiziale delle funzioni esercitate, in termini affatto coerenti a quelli ricavabili dall’art. 101 della Costituzione, a tenore del quale “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”. Detta formula evidenzia, in primo luogo, che qualsiasi provvedimento giurisprudenziale deve essere fondato sul dettato legislativo che il giudice è chiamato a interpretare ed applicare. In secondo luogo, l’avverbio “soltanto” rimanda, innanzitutto, al concetto di indipendenza esterna del giudice, vale a dire alla sottrazione a qualsiasi interferenza estranea alla legge. Il giudice è, in altre parole, libero di decidere il caso concreto in piena autonomia di giudizio e coscienza. D’altro canto, l’avverbio in questione richiama anche l’indipendenza “interna” del giudice, ossia l’assenza di vincoli e condizionamenti derivanti da precedenti decisioni giurisdizionali. In ragione di quanto sin qui evidenziato, non si può dubitare che, in considerazione dell’attuale assetto del sistema delle fonti dell’ordinamento sportivo, l’Alta Corte, nell’esercizio delle sue funzioni, debba – al fine di rispettare i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico statale, incluso quello della parità di trattamento – tenere in debito conto i precedenti giurisprudenziali e anche, qualora concretamente verificabili, le prassi dell’ordinamento sportivo idonee a generare nei consociati la c.d. opinio juris sive necessitatis, ovvero anche soltanto a determinare negli stessi un legittimo affidamento o una legittima aspettativa di parità di trattamento rispetto a tutti gli altri. Nel caso di specie, tuttavia, il ricorrente, al fine di argomentare l’asserita disparità di trattamento subita, non ha posto all’attenzione di quest’Alta Corte precedenti giurisprudenziali o prassi dell’ordinamento sportivo, ma si è limitato a citare qualche episodio nel quale la Federazione sportiva coinvolta avrebbe trattato il tesserato sanzionato in maniera significativamente più benevola, per quel che attiene all’esito finale rispetto a quanto fatto con il ricorrente M.. Occorre rilevare da un lato, che si tratta di casi in punto di fatto non assimilabili a quello qui in esame. Dall’altro lato, è evidente che sempre e solo di episodi si tratta, e non già di una prassi federale astrattamente idonea ad ingenerare un legittimo affidamento o quantomeno a sorreggere una censura di disparità di trattamento. Tale censura, per avere rilevanza giuridica, dovrebbe essere articolata, almeno in ipotesi, ponendo in evidenza la discriminazione subita dal singolo denunciante rispetto a tutti gli altri consociati che si sono trovati a versare nella stessa situazione, e non rispetto a pochi soggetti tra gli altri che hanno sperimentato una qualche procedura sanzionatoria e ne hanno potuto lenire, in fase conciliativa, gli effetti. In definitiva, alla luce di quanto appena osservato, il motivo in esame non sembra contenere gli elementi di fatto e di diritto indispensabili perché sia valutabile l’effettiva sussistenza, o non, della denunciata disparità di trattamento. Il motivo in esame risulta dunque infondato nel merito. 3. Con ulteriore motivo di impugnazione sub C), il ricorrente denunzia l’intervenuta prescrizione del potere sanzionatorio della FIGC. L’articolo 18 del Codice di Giustizia sportiva, nella versione vigente all’epoca dei fatti ed applicabile al caso presente, prevedeva, al comma 1, il termine massimo, in caso di valido atto interruttivo della prescrizione, della sesta stagione successiva alla commissione dell’ultimo atto illecito; termine che si sostiene già scaduto alla data in cui è intervenuto il procedimento per l’irrogazione della sanzione espulsiva. Il precetto di cui al citato articolo 18, comma 1, correlava la portata estintiva della prescrizione al mancato accertamento dell’infrazione entro un prefissato termine temporale, quale manifestazione del venir meno dell’interesse ordinamentale alla punizione in ragione dell’inutile decorso del tempo. Orbene, nella circostanza che ne occupa, detto termine è stato osservato, con l’irrogazione tempestiva della sanzione sospensiva quinquennale. Rimane ancora da definire – e su questo si impernia l’odierno contenzioso – la sanzione aggiuntiva della preclusione, che si poneva originariamente come ultronea ed eventuale in un procedimento bifasico ed ora, per il nostro caso, in vista della sopravvenienza della nuova disciplina, è regolata dalla disposizione transitoria dettata dal C.U. n. 143/A/2011. La tempestività dell’accertamento dell’infrazione può dunque darsi per acquisita senza che l’art. 18, comma 1, abbia allora ad incidere sulla definizione della misura del trattamento sanzionatorio aggiuntivo, per la quale, semmai, potrebbe porsi il diverso problema della mancata individuazione del termine entro il quale detta preclusione vada decisa. Escluso, infatti, che questo coincida con il succitato termine prescrizionale, rispetto al quale l’interesse dell’ordinamento alla tempestiva chiarificazione dei rapporti è pienamente soddisfatto dalla condanna del 2006, si pone l'interrogativo, sotto vari profili, sulla legittimità o non di una dilazione eccessiva. Non è tuttavia necessario dare risposta organica a siffatti interrogativi, posto che – nel difetto di precise indicazioni normative – può certamente assumersi sussistente un limite di ragionevolezza; e rispettosa di un siffatto limite (che non può evidentemente non considerarsi sostanzialmente ragionevole) deve ritenersi l’irrogazione della sanzione aggiuntiva, decisa in prime cure, anteriormente al termine di scadenza della sospensione quinquennale irrogata dalla giustizia federale. 4. Con riguardo al punto sub D), si rileva che, una volta intervenuta (come meglio si chiarirà appresso), una determinazione, da parte del CONI, di trasferimento agli organi di giustizia, della competenza del Presidente federale in ordine alla sanzione espulsiva, incombeva alla Federazione di applicare il principio innovativo con il trasferimento di detta sola competenza. Lo strumento regolatore di attuazione utilizzato dalla FIGC, in applicazione dei Principi di Giustizia Sportiva, ha, di conseguenza, assunto un esclusivo ambito di trasferimento della competenza alla irrogazione della sanzione aggiuntiva (rimasta sostanzialmente identica nel contenuto, negli effetti e nel coesistente fine di prevenzione) ad organo di giustizia sportiva che deve eventualmente irrogarla con le forme processuali proprie e con le garanzie del contraddittorio. A detti organi di giustizia federale – oggetto in precedenza di una completa riforma organizzativa e compositiva, con la conseguenza di escludere in radice ogni problema di incompatibilità relativa alla valutazione sulla radiazione per i casi di precedente proposta – restava dunque devoluta la potestà di irrogare anche la sanzione aggiuntiva di maggiore afflittività nell’ambito sportivo. Venivano così assicurate più efficienti garanzie attraverso un procedimento giustiziale dotato di autonomia ed indipendenza dagli organi federali. Per i successivi procedimenti disciplinari, e per quelli in corso nel grado iniziale, non è sorto alcun problema pratico attuativo a differenza invece di quelli conclusi nel precedente sistema con una semplice proposta di espulsione, non ancora valutata dal Presidente federale e non definita con una qualsiasi determinazione positiva o negativa. Contestualmente alla norma regolamentare di trasferimento della competenza non era stata, invero, adottata una qualsiasi disciplina transitoria. Tale omissione tuttavia non può certo impedire di statuire dette norme in un secondo tempo come confermato dalla casistica tutt’altro che eccezionale di norme transitorie o di attuazione emesse successivamente a quelle cui erano di supporto, ed anche a distanza di diverso tempo. D’altro canto il trasferimento della suddetta competenza – con implicita conferma della sanzione aggiuntiva cui si riferisce la stessa competenza - non può minimamente assurgere ad espressione di un’implicita volontà abrogativa o eliminativa per il passato di detta sanzione aggiuntiva ovvero di volontà assolutoria ed estintiva per le proposte di espulsione rimaste non definite dall’organo amministrativo federale (privato ormai della competenza). In mancanza di espressa indicazione regolamentare, non può peraltro emergere un effetto “consumativo” della facoltà di irrogare la sanzione aggiuntiva per i casi in pendenza di definizione da parte del Presidente federale (neppure in caso di ritardo della concreta applicazione) tale da assumere un valore estintivo o preclusivo come appresso specificato. E, anzi, trattandosi di innovazione normativa processuale della competenza, questo effetto deve applicarsi – ovviamente in difetto di espressa previsione di proroga transitoria della precedente competenza o di esenzione dall’applicazione per i procedimenti in corso – a tutte le fasi procedimentali non ancora compiute. La competenza dell’organo amministrativo – sia pure attribuita processualmente ad organi giurisdizionali –deve persistere infatti al momento del compimento dell’attività ancora da svolgere nella nuova fase (espressamente autonoma e nettamente separata) e nell’emanazione dell’atto (ancorché sia stata variata con norma processuale) in relazione ai provvedimenti o alle fasi ancora da svolgere. Risulta dunque pienamente legittimo il provvedimento di cui al C.U.143/A/2011. Va pertanto respinta la relativa domanda di annullamento. Con riferimento a tutti gli altri motivi di appello si rileva quanto segue. 5. Il complesso motivo relativo alla pretesa violazione del principio basilare del non bis in idem tocca svariati profili, trattati anche in altre censure. 5.1 Si tratta di un principio processuale fondamentale risalente al diritto romano, secondo cui non si può due volte esperire l’azione per lo stesso oggetto: bis de eadem re agi non potest, ovvero ne sit actio, essendo fin d’allora chiaro che doveva trattarsi de eadem re, e che il soggetto che aveva agito non poteva pretendere il riconoscimento dello stesso diritto sulla base dello stesso fatto giuridico (ex eadam causa). Il principio secondo cui non si poteva esercitare di nuovo un’azione già esercitata dallo stesso soggetto, era inizialmente una conseguenza diretta della consumazione dell’actio per effetto della litis contestatio e della funzione della res iudicata, considerata meramente formale, cioè riferita all’azione esercitata e al soggetto che l’aveva esercitata. Man mano, pur mantenendosi l’efficacia consuntiva della litis contestatio, si arrivò ad un concetto più ampio della res iudicata per cui non si poteva porre in discussione davanti ad un nuovo giudice un punto già regolarmente deciso tra le stesse parti: la identità di questione tra le stesse parti non richiedeva, in modo assoluto, la identità dell’oggetto della lite. Con il progressivo svuotamento della contestazione della lite e del conseguente effetto consuntivo, si è passati, nel diritto romano giustinianeo, a una prospettazione imperniata esclusivamente sulla questione dedotta in giudizio, estendendosi la causa di estinzione anche all’effettivo concorso di altre azioni tendenti alla eadam re, come nel caso di danno arrecato da un comodatario con colpa in faciendo al proprietario, suscettibile di azione per violazione del contratto (actio ex comodato) o per lesione della sua proprietà (actio de lege Aquilia). Veniva, tuttavia, ridimensionato l’effetto consuntivo escludendolo quando i diversi rimedi avessero un differente risultato quantitativo, per cui rimaneva la possibilità di agire per la differenza esperibile con altra azione più remunerativa. 5.2. Detto principio del bis in idem, è stato, in tempi recenti, considerato come principio generale dell’ordinamento giuridico ed orientamento di sistema dettato ad evitare sia “duplicazione dello stesso processo” (Cass., S.U. pen., n. 34655 del 2005) sia decisioni e provvedimenti per lo stesso fatto contro la stessa persona, e quindi possibilità di conflitti e di pronunce tra loro contrastanti. In virtù di tali esigenze e finalità il principio è man mano risorto nel diritto contemporaneo, confermandosi ed arricchendosi, dapprima in modo deciso nel diritto processuale, anche per effetto delle proclamazioni costituzionali delle garanzie della persona umana e della tutela dei diritti, ed in modo più significativo in quello processuale penale. Il principio progressivamente si è esteso ad ogni tipologia di processo e procedimento nelle forme e con le garanzie giustiziali (processo tributario; processo contabile avanti alla Corte dei Conti; procedimenti disciplinari: v., da ultimo, Cass., 22 ottobre 2010, n. 21760, nei rapporti di lavoro; Cons. Stato, 1. 10. 2004, n. 6403, in materia di pubblico impiego) e ha assunto speciale rilevanza anche in sede di rapporti internazionali tra le giurisdizioni (v. art. 739 c.p.p. ed una serie di accordi internazionali che lo hanno codificato: dalla VI Convenzione tra gli Stati del Trattato NATO di Londra 19 giugno 1954, alla Carta di Nizza 7 dicembre 2000); ed ancora in modo più incisivo in sede di giustizia europea (v. in materia penale l’art. 54 della Convenzione applicativa dell’Accordo di Schengen, ratificato con l. n. 388 del 1993 con riferimento a giudicato con sentenza definitiva; art. 4 Protocollo 7 alla CEDU) e con riferimento agli aspetti non solo processuali, ma anche sostanziali. E’ riemerso in modo decisivo, da un canto, il profilo della preclusione-consumazione con allargamento non limitato alla cosa giudicata risultante da sentenza definitiva (v. in materia penale Cass., S.U., n. 34655 del 2005; in precedenza Cass. Pen., V, 10 luglio 1995), ma esteso anche alla esistenza o coesistenza di un giudizio sulla stessa controversia o alla successiva e separata previsione ripetitiva e punitiva dello stesso fatto, unificato nella identica regiudicanda (ancorché in ordinamenti diversi e con varietà di configurazioni sostanziali ed effetti sanzionatori, allo scopo – per le anzidette ultime ipotesi - di evitare conflitti tra giurisdizioni diverse in ambito europeo). In tale ambito se ne è affermata l’applicazione anche nelle procedure di estinzione dell’azione penale da parte del p.m., senza intervento del giudice, nelle c.d. transazioni penali sotto forma di patteggiamenti ed accordi, previste in taluni ordinamenti (Corte Giust. C.E., 11 febbraio 2003, n. 187). E' stata peraltro esclusa l’applicabilità del principio del ne bis in idem ad una decisione di sospensione del procedimento penale, qualora la decisione secondo il diritto nazionale dello Stato non estingua definitivamente la azione penale (Corte Giust. C.E., 22 dicembre 2008, Causa C-491/07), riemergendo così la connessione con la consumazione ed esaurimento dell’azione ed insieme la mancanza di effetti definitivamente risolutivi della questione come regiudicanda (o domanda a seconda del tipo di procedimento) dedotta in giudizio. D’altro canto si è rafforzato un divieto di reiterazione dei procedimenti penali e delle decisioni sulla identica regiudicata, in sintonia con le esigenze di razionalità e di funzionalità connaturale al sistema secondo un principio generale dell’ordinamento (v. Cass., S.U. pen., n. 34655 del 2005 cit.). Tale principio ha assunto valore garantistico generale volto da un lato a tutelare l’individuo dai rischi connessi alla possibilità di duplicazione, a suo carico, di processi per la stessa regiudicanda relativa allo stesso fatto; dall’altro è stato giustificato da esigenze di economia processuale, per cui gli Stati non sono tenuti a far funzionare a vuoto i propri organi di giustizia, prevedendosi appunto una serie di preclusioni. L’elemento comune può essere tendenzialmente identificato nel divieto di ritornare sul già deciso, di ripetere un giudizio, in altri termini di compiere una seconda volta (un bis) un’attività svolta, o in via di svolgimento, in quanto forma di sovrapposizione ripetitiva e successiva con un nuovo giudizio processuale sulla medesima regiudicanda, al di fuori di una serie procedimentale prevista espressamente (pluralità di gradi o di fasi in un sistema di impugnazione o di riesame). Ne discende che il divieto del bis in idem, non può, in modo assolutamente certo, essere riferito a tutte le previsioni di successive fasi processuali o gradi di procedimento espressamente previste (principio di legalità) nei diversi sistemi processuali (rimedi e specifici istituti di carattere impugnatorio, o di revisione, o di riesame). Ed ancora (in modo particolare per il caso in esame) il divieto non può applicarsi quando vi sia una previsione normativa di possibilità di separazione di questioni derivanti da pregiudizialità necessaria o da possibilità di distinzioni e separazioni di oggetti delle pronunce per esigenze di economia processuale, ancorché questioni connesse e dipendenti, come nella ipotesi di condanna generica e successiva separata liquidazione, ovvero di condanna seguita da misure di prevenzione o di sicurezza normativamente previste in collegamento ai fatti su cui è intervenuta una prima sentenza.In altri termini assume rilevanza, per applicare o meno il ne bis in idem, non tanto che il giudizio verta solo sullo stesso rapporto o sulla medesima causa petendi, ma che la regiudicanda – o una sua parte - intesa anche come questione o domanda (a seconda del tipo di procedimento) sia enucleabile e sia rimasta da decidere, perché non poteva, o non doveva, essere ricompresa nel thema decidendum del primo giudizio: una questione dunque giuridicamente (conformemente a previsione normativa) e logicamente compatibile e non sovrapponibile con la precedente procedura e decisione. Ne discende un primo profilo autonomo di infondatezza dei motivi che si ricollegano al divieto del ne bis in idem. 5.3 Passando all’esame particolare del caso di specie, relativo alla applicazione della espulsione-radiazione in ambito sportivo della F.I.G.C. e alle relative censure dedotte nel ricorso, occorre anzitutto sottolineare che questa Alta Corte, con la decisione n. 11 del 27 ottobre 2011 – non a caso invocata dalla difesa di tutte le parti presenti nel presente giudizio - ha espressamente inquadrato l’ambito e la valenza delle previsioni regolamentari di cui al C.U. 143/A del 3 marzo 2011 con la delibera del Consiglio Federale della F.I.G.C., affermando: “è la stessa normativa federale – che, si noti, ha inciso sulla competenza ad irrogare la sanzione aggiuntiva, a seguito dei nuovi principi di giustizia prima, e poi con la disposizione transitoria impugnata - che ha affidato ad un (precostituito) sistema organico di tutela giustiziale in materia disciplinare il compito di valutare la sussistenza delle condizioni per l’irrogazione della ulteriore misura sanzionatoria accessoria ed aggiuntiva consistente nella radiazione (rectius preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C).” “Tale sanzione aggiuntiva non è stata innovata nella previsione strutturale: ne è stata variata la competenza dell’organo, che certamente non resta vincolato ad irrogare la sanzione stessa; detta stessa sanzione non può pertanto configurarsi come atto dovuto e vincolato senz’altra valutazione rispetto alla precedente condanna disciplinare accompagnata da proposta”. “L’applicazione della ulteriore misura sanzionatoria ha come presupposto la precedente condanna disciplinare (ed i fatti rilevanti disciplinarmente ivi accertati), ma comporta necessariamente un’ulteriore valutazione discrezionale e perciò con maggiore obbligo di motivazione in relazione alla posizione attualizzata su cui incide”. “D’altro canto sarebbe stato inutile e non ragionevole affidare ad un organo giustiziale un compito meramente applicativo privo di una necessaria valutazione discrezionale”. “Giova precisare che il sistema configurato non comporta affatto una preclusione della successiva tutela avanti a questa Alta Corte (o al TNAS a seconda delle possibili ipotesi di censure o di posizioni tutelate prospettabili) da parte dei soggetti ai quali è applicabile la norma federale, il cui procedimento giustiziale disciplinare dalla fase iniziale potrà passare a quelle successive”. “Detta tutela (avanti all’Alta Corte o al TNAS) potrà intervenire pienamente da ultimo in sede di impugnativa della decisione di secondo grado che eventualmente irrogherà o confermerà la sanzione aggiuntiva, salvi tutti i rimedi e le eccezioni esperibili nell’ambito della giustizia federale.”Sulla base delle considerazioni che precedono (rispetto alle quali non sussistono ragioni che inducano ad un contrario avviso), per quanto riguarda l’esame della situazione dei procedimenti disciplinari finalizzati alla definizione delle proposte di preclusione (intervenute sino alla data di entrata in vigore del nuovo Codice di Giustizia sportiva ed ancora all’epoca non definite) occorre ulteriormente chiarire che: a) immutata era rimasta la disciplina sostanziale della sanzione aggiuntiva della radiazione-sospensione, essendo sopravvenuto solo un trasferimento di competenza da organo amministrativo di gestione ad organi di giustizia, che come tali dovevano seguire una procedura con le garanzie giustiziali; detti organi sono stati individuati tra quelli di giustizia sportiva già esistenti. Sono quindi precostituiti, e non creati ad hoc; l'intervento del Procuratore federale era connaturato al sistema di garanzia giustiziale in materia disciplinare, distinguendosi necessariamente la funzione accusatoria da quella giudicante; b) gli anzidetti organi di giustizia hanno, nel nuovo giudizio, il potere discrezionale di accertamento delle condizioni per irrogare la sanzione aggiuntiva, e quindi di valutare in modo specifico la gravità della posizione attualizzata del responsabile dell’illecito accertato con la precedente decisione ormai definitiva secondo l’ordinamento sportivo. Deve, quindi, essere esclusa ogni possibilità di riesaminare i fatti su cui si erano basate la condanna e la sanzione principale. Ne consegue che ogni sindacato sulla legittimità della precedente condanna e dei fatti ivi accertati sarebbe non solo illegittima ma ricadrebbe anche nel divieto del bis in idem invocato, sia pure ad altri fini, dal ricorrente. Risulta infatti evidente, come ulteriore conseguenza, che la anzidetta (e separata) attuale fase processuale della irrogazione della sanzione aggiuntiva (espulsione–radiazione), non si sovrappone e non può e non deve essere né una ripetizione, o una reiterazione, né ancora una revisione (neppure per eventi sopravvenuti) del deciso nel precedente giudizio di condanna del 2006 (avente per oggetto la responsabilità per illecito sportivo dell’attuale ricorrente). In detto “primo” giudizio si doveva affrontare il thema decidendum esclusivo di accertare l’illecito disciplinare e la responsabilità e, in caso positivo di colpevolezza, di determinare ed irrogare la sanzione della sospensione temporanea fino ad un massimo di cinque anni. Inoltre si poteva formulare proposta non vincolante di ulteriore sanzione aggiuntiva. La proposta non comportava alcun vincolo per il Presidente federale ma si limitava a trasferirgli la valutazione con un procedimento amministrativo diretto a valutare la gravità dell’illecito accertato e conseguentemente a stabilire l'eventuale “esclusione-radiazione” del soggetto condannato disciplinarmente. L’accertamento della responsabilità e la condanna alla pena principale temporanea non poteva essere riesaminata o rivista nella fase successiva. Il Presidente Federale infatti aveva competenza solo sulla ulteriore misura accessoria e, a tali fini, doveva valutare la gravità del comportamento per irrogare la relativa sanzione aggiuntiva; che (si noti) era prevista fin dall’origine dalla stessa ed unica previsione sanzionatoria. Di conseguenza non si pone, né si poteva porre, un problema di previsione nuova e retroattiva di una sanzione per un fatto già sanzionato. Nella sola ipotesi in cui fosse statuita, con una diversa norma punitiva ed una innovativa previsione di nuova sanzione con un rinnovato giudizio sulla responsabilità (anche se in ordinamento diverso), sarebbe sorto un contrasto con il divieto di bis in idem sotto il profilo sostanziale punitivo e sotto quello della ripetizione di giudizio sugli stessi fatti (questo è stato il caso esaminato dal TAS di Losanna, Court of Arbitration for sport 2011/O72422 USOC c. IOC). Nella specie considerata, invece (è opportuno chiarirlo ulteriormente) era previsto fin dall’inizio un procedimento bifasico diviso in una prima fase di accertamento dei fatti e della responsabilità con una prima sanzione inibitoria temporanea e in una seconda fase (derivata da iniziativa-proposta del giudice della prima fase) di apprezzamento della gravità dell’illecito, così come di fatto era stato accertato, per determinare, anche alla luce dell’attività e comportamento successivo, l'ulteriore misura accessoria della radiazione. Per questa nuova fase é stato soltanto previsto un mutamento di competenza anche al fine di attribuire ad un organo giudiziale con le garanzie proprie la decisione relativa alla eventuale radiazione. 6. L’ampiezza dei poteri affidati a questa Alta Corte, di legittimità e di merito, nonché le facoltà correttive ed integrative delle prove delle fasi procedenti e nella motivazione della decisione impugnata (naturalmente nei limiti dei motivi di ricorso e delle preclusioni verificatesi) consentono di considerare superate le censure attinenti agli asseriti difetti di ammissione di prove ed altri profili meramente procedurali, come quelli attinenti alla motivazione, giacché, con l’ordinanza collegiale n. 28 del 27 ottobre 2011, è stata riaperta ogni facoltà di proporre ulteriori prove e strumenti di difesa, con pienezza di deduzioni in contraddittorio per tutte le parti. A dette parti è stato consentito di evidenziare e superare ogni asserito difetto dei precedenti gradi ovviamente in relazione agli aspetti relativi alla irrogazione della preclusione-radiazione. La valutazione in senso negativo delle censure anzidette pertanto può essere effettuata in base all' amplissimo esercizio del diritto di difesa concesso in questo grado di giudizio. 7. Il ricorrente denuncia il travisamento dei fatti con riferimento ad alcune partite di calcio come accertate nelle “sentenze rese” alla luce di quanto risulta dalla pronuncia del Tribunale di Napoli (n. 14692/11). Sul punto, questa Corte osserva, preliminarmente, che la sentenza resa in prime cure dal giudice partenopeo non è, all’evidenza, inoppugnabile e, in quanto tale, non fa stato. E rileva, in ogni caso, che laddove le risultanze del processo penale, quando approdato a sentenza passata in giudicato, dovessero smentire il quadro probatorio su cui sono fondate le sentenze sportive del 2006, si potrebbero schiudere al ricorrente i rimedi revocatori previsti dall’ordinamento sportivo. Allo stato le “sentenze rese” nell’ordinamento sportivo sono inoppugnabili e devono restare estranee al perimetro del presente procedimento, che muove dal presupposto del pieno accertamento degli illeciti imputati al M., ai fini dell’irrogazione della sanzione aggiuntiva della radiazione. E’ anche il caso di sottolineare che, mentre è vero che la sentenza non definitiva del Tribunale di Napoli “rivede” taluni degli elementi fattuali su cui si erano basate le sentenze sportive del 2006, nondimeno essa evidenzia comunque un quadro complessivo di estrema gravità della condotta del ricorrente. La previsione di cui al C.U. 143/A si presta, come si desume dalle considerazioni sviluppate con riguardo ai motivi che precedono, a essere interpretata in piena conformità alla disciplina internazionale e costituzionale sul giusto processo, e quindi non integra gli estremi del preteso contrasto da comporre con interventi traumatici di disapplicazione. 8. Il ricorrente censura anche la carenza della “gravità attualizzata” cui si è accennato. La “gravità” attualizzata deve essere riguardata sotto un duplice aspetto: l’uno oggettivo riguardante la persistenza della configurazione normativa sia dell’illecito sportivo in base alla quale è intervenuta la condanna, sia della previsione della sanzione aggiuntiva (e della sua preesistenza normativa). Occorre inoltre verificare la rispondenza del giudizio di “gravità” in riferimento alle esigenze e alle problematiche delle attività sportive nel momento della irrogazione della sanzione aggiuntiva. In altri termini deve essere compiuta una valutazione quantitativa rispetto all’attuale stato dell’ordinamento sportivo, tenendo conto che la misura aggiuntiva da adottare riveste una valenza non solo sanzionatoria, ma anche preventiva. In questo esame può essere introdotto anche – ove ne risultino le possibilità in base agli atti raccolti e dedotti dalle parti - un apprezzamento sui rischi eventuali connessi al ritorno di determinati soggetti non affidabili ad attività in campo sportivo o di conduzione manageriale in organismi ufficiali dello sport in ambito Federazione sportiva e Coni. L’altro elemento è quello soggettivo attinente al comportamento e alla personalità dell’incolpato che ha subito la condanna, sulla base di elementi successivi (e quindi nuovi) rispetto alla decisione di condanna irrevocabile, sempre – si ribadisce - senza alcun potere di controllo o di revisione della stessa decisione, che costituisce solo un presupposto come base di partenza (non modificabile) della nuova valutazione. Può, pertanto, essere considerata nella valutazione qualsiasi espressione concreta di ravvedimento operoso o di risarcimento o di riparazione del danno, ed ogni altro elemento da cui possa ritenersi, in misura inequivocabile, l’abbandono attivo anche esternamente manifestato, e la ripulsa da comportamenti che inducono discredito dell’ambiente sportivo. Inoltre può acquistare notevole rilevanza, ai fini della “gravità”, la posizione soggettiva rivestita dall’incolpato nel campo dello sport, soprattutto quando sia (stato all’epoca) elemento di spicco nella organizzazione ufficiale dello sport o delle società affiliate di notevole risonanza o sia soggetto nel contempo altamente qualificato per le sue capacità manageriali o di conoscenza approfondita dei problemi ed ambienti che gravitano nello stesso sport, tanto da poter essere considerato assai introdotto ed apprezzato con valenza suggestiva di rischi di modello e di esempio. Per quanto qui interessa, la valutazione attualizzata richiedeva anche il riscontro di fatti emersi posteriormente alle sentenze rese e in grado di incidere sull’apprezzamento della gravità delle condotte illecite. Ovvio che, sotto questo profilo il fatto più rilevante sia la sentenza resa dal Tribunale di Napoli. Come già rilevato in precedenza, detta pronuncia appare, su più punti, in qualche misura, diversamente orientata rispetto alle determinazioni prese a suo tempo dai giudici sportivi. Ma si tratta di sentenza non definitiva che rinvia a ulteriore momento la verifica sulla sussistenza di elementi che giustifichino il ricorso a rimedi revocatori. Per quel che qui è dato di apprezzare sommariamente si può comunque convenire che le divaricazioni evidenziate dalla difesa del ricorrente spostano in qualche misura, ma non smentiscono, in una considerazione d’insieme, la gravità del quadro delle condotte illecite, così come rilevate anche nella sentenza di Napoli. Ciò chiarito, devesi affrontare l’aspetto relativo alla persistenza, al presente, della gravità dei fatti accertati e più specificamente la sussistenza attuale di detta gravità ai fini dell’irrogazione della ulteriore misura sanzionatoria (radiazione). Va ricordato in punto che I. M. rivestiva l’altissima carica apicale di Vice – Presidente della FIGC, qualità che, come è facile intuire, accentua notevolmente il disvalore del suo comportamento (per come accertato nelle “sentenze rese”) già intrinsecamente molto negativo: avere omesso di informare i competenti organi federali, come era suo specifico obbligo in qualità di dirigente, che terzi svolgevano o stavano per svolgere atti diretti ad alterare lo svolgimento e il risultato di gare sportive e, soprattutto (condotta tanto più riprovevole) avere egli stesso validamente e ripetutamente contribuito, e per lungo tempo, all’alterazione di plurime gare sportive etc. Rileva la Corte che l’allarme sociale, specie nel mondo sportivo, ha veramente raggiunto livelli massimi, il cui disvalore ovviamente risulta ancora più accentuato con riferimento ai tradizionali principi dello sport (quali lealtà, correttezza, etc: cfr. accertamenti degli organi di giustizia sportiva). Fatti così gravi e del tutto antitetici ai valori particolarmente esaltati nel mondo sportivo, per di più posti in essere da un vice-presidente federale, non possono non mantenere per lunghissimo tempo, e certamente ancora oggi (quando può ritenersi relativamente esiguo il tratto di tempo trascorso) una profonda reazione sociale altamente negativa. In altre parole la particolare gravità della condotta del M., come rilevata all’epoca dei fatti, persiste pienamente ancora oggi. In merito al suo comportamento successivo all’irrogazione dell’inibizione quinquennale, il M.: dichiara di non aver più svolto attività di natura sportiva, ma quella volontaria di medico a favore della Santa Misericordia di Firenze; riassume poi il lungo iter da lui percorso nel settore sportivo (da atleta e, poi, operatore a vario titolo nella FIGC a vice–Presidente di detta Federazione); produce: un attestato (privo di data), a firma del sindaco di Firenze, di una non ben precisata benemerenza sportiva; afferma di aver ricevuto il conferimento (giugno 2002) del Fiorino d’Oro; ricorda la positiva opera sempre svolta in campo sportivo. Peraltro non sono stati provati, e neppure addotti, elementi riconducibili ad un serio ravvedimento operoso o alla riparazione del danno (nelle sue varie tipologie) o a un autentico travaglio spirituale. Pertanto, a fronte della notevole gravità pienamente persistente anche ad oggi di cui si è detto sopra, balza evidente che il significato intrinseco delle varie affermazioni-attestazioni (peraltro di modestissimo valore probatorio e indiziario) sul comportamento del M., anche successivamente all’irrogazione della inibizione quinquennale, risulta scarsamente incisivo e quindi inidoneo a minimamente integrare un elemento atto a contrastare (ed anzi neppure a scalfire) il poderoso complesso degli elementi negativi suaccennati. E’ appena il caso di rilevare, infine, che, sulla base delle considerazioni che precedono, non possono essere qui riconsiderati i dettagli relativi ad alcune partite di calcio. Comunque non è in alcun modo ravvisabile, nella sentenza impugnata, difetto di motivazione o travisamento dei fatti. Ogni altra deduzione o argomentazione che non risulti assorbita deve considerarsi respinta compresa la domanda di annullamento della deliberazione di cui al C.U. 143/A 2011 della cui infondatezza si è poco sopra ampiamente trattato. Nel merito, dunque, il ricorso deve essere respinto. P.Q.M. L’ALTA CORTE DI GIUSTIZIA SPORTIVA RIGETTA il ricorso; SPESE interamente compensate. DISPONE la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro difensori anche con il mezzo della posta elettronica. Così deciso in Roma, nella sede del Coni, il 3 aprile 2012. Il Presidente Il Relatore F.to Riccardo Chieppa F.to Giovanni Francesco Lo Turco Il Segretario F.to Alvio La Face Depositato in Roma l’11 maggio 2012. Il Segretario F.to Alvio La Face
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