F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – Sezioni Unite – 2012/2013 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 002/CGF del 02-03-05 e 06 Luglio 2012 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 023/CGF del 7 agosto 2012 e su www.figc.it 42) RICORSO DELLA REGGINA CALCIO S.P.A. AVVERSO LA SANZIONE DELLA PENALIZZAZIONE IN CLASSIFICA DI PUNTI 4 DA SCONTARSI NELLA STAGIONE SPORTIVA 2012/2013, INFLITTA PER RESPONSABILITÀ OGGETTIVA, AI SENSI DELL’ARTT. 7 COMMI 4 E 6 E DELL’ART. 4 COMMI 2 E 5 C.G.S., IN RELAZIONE ALLE VIOLAZIONI ASCRITTE AI CALCIATORI GIANNI ROSATI E JURI TAMBURINI, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 8011/33PF11-12/SP/BLP DELL’8.5.2012 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 101/CDN del 18.6.2012)

F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – Sezioni Unite - 2012/2013 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 002/CGF del 02-03-05 e 06 Luglio 2012 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 023/CGF del 7 agosto 2012 e su www.figc.it 42) RICORSO DELLA REGGINA CALCIO S.P.A. AVVERSO LA SANZIONE DELLA PENALIZZAZIONE IN CLASSIFICA DI PUNTI 4 DA SCONTARSI NELLA STAGIONE SPORTIVA 2012/2013, INFLITTA PER RESPONSABILITÀ OGGETTIVA, AI SENSI DELL’ARTT. 7 COMMI 4 E 6 E DELL’ART. 4 COMMI 2 E 5 C.G.S., IN RELAZIONE ALLE VIOLAZIONI ASCRITTE AI CALCIATORI GIANNI ROSATI E JURI TAMBURINI, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 8011/33PF11-12/SP/BLP DELL’8.5.2012 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 101/CDN del 18.6.2012) La Reggina Calcio S.p.A., in persona del sig. Pasquale Foti, presidente e legale rappresentante pro tempore, ha proposto ricorso avverso la decisione della Commissione Disciplinare Nazionale pubblicata sul Com. Uff. n. 101/CDN (2011/2012) del 18 giugno 2012, con la quale, per quanto qui rileva, la predetta C.D.N., in esito al relativo deferimento del Procuratore Federale della F.I.G.C., ha inflitto alla reclamante la sanzione della penalizzazione in classifica di punti 4 da scontarsi nella stagione sportiva 2012/2013, per responsabilità oggettiva, ai sensi dell’art. 7, comma 4 e dell’art. 4, comma 2, C.G.S., e per responsabilità presunta, ai sensi dell’art. 4, comma 5, C.G.S., in relazione alle violazioni rispettivamente ascritte al sig. Gianni Rosati ed sig. Juri Tamburini, con riferimento alla gara Grosseto/Reggina del 15 maggio 2011. Come noto, l’indagine federale ha preso avvio dalle notizie di stampa relative all’attività giudiziaria svolta dalla Procura della Repubblica di Cremona in ordine alla individuazione e conseguente repressione di una organizzazione, alquanto articolata e ramificata, essenzialmente finalizzata a ricavare illeciti profitti su scommesse da effettuarsi su partite di calcio. Di tale organizzazione facevano parte diverse persone, alcune delle quali soggette alla giurisdizione della F.I.G.C.. Aperto, pertanto, uno specifico procedimento, la Procura Federale provvedeva a richiedere, alla Procura della Repubblica di Cremona, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 401/1989, in relazione all’art. 116 c.p.p., copia degli atti di possibile interesse sportivo, correlativamente procedendo ad una propria «autonoma attività istruttoria, consistente, fra l’altro, nell’analisi e nell’approfondimento della copiosa documentazione ricevuta e nell’audizione dei soggetti coinvolti e/o informati sui fatti» (cfr. atto di deferimento). L’esame del materiale processuale trasmesso dalla Procura di Cremona, alla luce delle emergenze istruttorie acquisite nel corso dell’autonoma attività investigativa svolta dalla Procura federale, consente di ritenere sussistenti, secondo la prospettazione accusatoria, consistenti elementi probatori atti a comprovare la illiceità delle condotte dei soggetti deferiti e ad escludere una qualsivoglia verosimile ricostruzione alternativa dei fatti oggetto d’indagine. Nell'atto di deferimento, dopo il richiamo alle pronunce definitive rese nell'agosto 2011 in ambito federale con riguardo ad altri, connessi, procedimenti per violazioni analoghe, si dava conto degli esiti fino ad allora prodotti dall'indagine svolta dagli uffici giudiziari di Cremona ed in particolare dell'attività investigativa anteriore e successiva all'emanazione, in data 9 dicembre 2011 da parte del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di quella sede, di un'ordinanza di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di alcuni imputati, cui veniva contestato, con altre persone sottoposte ad indagini, il delitto associativo di cui agli articoli 416, commi 1, 2, 3 e 5 c.p. e 3 e 4 legge 16 marzo 2006, n. 146 rivolto allo scopo di realizzare, anche a livello transnazionale, delitti di frode in competizione sportiva, alterandone i risultati, sì da conseguire vincite in scommesse effettuate avvalendosi dello strumento della “corruzione” di partecipanti a vario titolo alle competizioni. Sul piano generale, osservava la Procura Federale, come nella complessiva valutazione degli elementi emersi in sede di indagini e di giustizia sia ordinaria sia sportiva occorra considerare che le condotte poste in essere dai tesserati sono risultate finalizzate all’alterazione del risultato delle gare o per motivi di classifica o per l’effettuazione di scommesse dall’esito assicurato, evidenziando, anzi, come, talvolta, le due finalità sopra indicate erano perseguite congiuntamente dagli stessi soggetti agenti. Riteneva, in definitiva, la Procura federale, che all’esito del complessivo procedimento istruttorio siano apparse realizzate molteplici condotte finalizzate alla alterazione dello svolgimento e del risultato delle gare, in ordine alle quali, peraltro, l’eventuale mancato conseguimento del risultato “combinato” non può assumere alcun rilievo ai fini della integrazione dell’illecito previsto e punito dagli artt. 7 e 4, comma 5, C.G.S., in virtù della anticipazione della rilevanza disciplinare anche riguardo ai meri atti finalizzati a conseguire tali effetti. In particolare, per quanto qui di rilievo, la Procura federale deferiva i sigg.ri.: - Antonio Narciso, tesserato dal 1.7.2005 al 27.8.2008 quale calciatore della Società Modena F.C. S.p.A.; dal 28.8.2008 al 30.6.2009 tesserato in prestito dalla società U.C. Albinoleffe S.r.l.; dal 1.7.2009 al 30.6.2010 quale calciatore della Società Modena F.C. S.p.A.; dal 9.7.2010 al 30.6.2012 quale calciatore dell’U.S. Grosseto FC S.r.l.; - Giovanni Rosati (detto anche Gianni), all’epoca dei fatti collaboratore della società Reggina Calcio S.p.A.; - Juri Tamburini, all’epoca dei fatti calciatore tesserato della società Modena F.C. S.p.A.. Venivano, inoltre, deferite le società Grosseto, Reggina e Modena. I fatti contestati si riferiscono alla gara Grosseto/Reggina del 15.5.2011 – Stagione Sportiva 2010/2011. A Juri Tamburini, all’epoca dei fatti calciatore tesserato della società Modena F.C. S.p.A., e Gianni Rosati, all’epoca dei fatti collaboratore della società Reggina Calcio Spa, è stata contestata la violazione dell’art. 7, commi 1, 2 e 5, C.G.S. per avere, prima della gara Grosseto/Reggina del 15.5.2011, in concorso fra loro, posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della stessa, prendendo contatti ed accordi diretti allo scopo sopra indicato. Segnatamente, secondo la prospettazione accusatoria, Tamburini proponeva, per conto di Rosati, l’alterazione della gara prima indicata, a Narciso, eventualmente anche facendo da tramite con i compagni di squadra, e offrendo allo stesso la somma di € 30/35.000,00 per ottenere un impegno a perdere la gara; Rosati chiedendo al Tamburini di prendere contatti con il Narciso per verificare la disponibilità dei calciatori del Grosseto a perdere la gara in cambio di una somma di denaro. Ad Antonio Narciso, all’epoca dei fatti, come detto, calciatore tesserato della società U.S. Grosseto F.C. S.r.l., è stata contestata la violazione dell’art. 7, comma 7, C.G.S. per aver violato il dovere di informare senza indugio la Procura Federale, omettendo di denunciare i fatti riguardanti la gara Grosseto/Reggina del 15.5.2011. Alla società Modena è stata contestata la responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, C.G.S. in ordine agli addebiti contestati al proprio tesserato Tamburini. Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, C.G.S. della pluralità degli illeciti posti in essere. Alla società Reggina Calcio S.p.A. è stata contestata la responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, C.G.S. in ordine agli addebiti contestati al proprio collaboratore Rosati, nonché la responsabilità presunta ai sensi dell’art. 4, comma 5, C.G.S. per quanto posto in essere da Tamburini. Alla società U.S. Grosseto F.C. S.r.l. è stata contestata la responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 4, comma e 2, C.G.S. in ordine agli addebiti contestati al proprio tesserato Narciso. Secondo la Procura federale è evidente come la predetta gara, valevole per il Campionato Nazionale di Serie B della Stagione Sportiva 2010/2011, terminata con il risultato di 0 – 1, sia stata oggetto di un tentativo di combine. Richiamate le dichiarazioni di Antonio Narciso, ascoltato dalla Procura federale in data 7 marzo 2012, Juri Tamburini, ascoltato dalla Procura federale in data 28 marzo 2012 e 26 aprile 2012, Gianni Rosati, ascoltato dalla Procura federale in data 17 aprile 2012, nell’atto di deferimento si evidenzia come possa affermarsi «che il tesserato Tamburini Juri e Rosati Gianni, collaboratore della società Reggina, posero in essere atti diretti ad alterare il regolare svolgimento della gara in questione. Il Tamburini proponendo, per conto del Rosati, l’alterazione della gara in oggetto a Narciso Antonio, eventualmente anche facendo da tramite con i compagni di squadra, e offrendo allo stesso la somma di € 30/35.000,00 per ottenere un impegno a perdere la gara; Rosati chiedendo al Tamburini di prendere contatti con il Narciso per verificare la disponibilità dei calciatori del Grosseto a perdere la gara in cambio di una somma di denaro. È altresì emerso che a Narciso era stato richiesto di attivarsi per l’alterazione della gara ma il medesimo si è rifiutato immediatamente di aderire alla proposta. Pertanto lo stesso deve essere chiamato a rispondere di omessa denuncia. Consegue la responsabilità oggettiva delle società di appartenenza dei predetti soggetti, nonché la responsabilità presunta della società Reggina Calcio per quanto posto in essere dal Tamburini» (cfr. deferimento). Da qui, come detto, il deferimento della società Reggina Calcio S.p.A. per responsabilità tanto oggettiva, quanto presunta. Con provvedimento del Presidente della C.D.N. l’inizio del dibattimento è stato fissato per il giorno 31 maggio 2012. Nei termini assegnati nell'atto di convocazione sono pervenute, per quanto qui particolarmente rileva, memorie difensive da parte degli incolpati Rosati, Narciso, Tamburini, nonché delle società Modena, Grosseto e Reggina In particolare, la Reggina Calcio, nella propria memoria difensiva, osservava ed eccepiva la propria estraneità ai fatti oggetto di deferimento, sviluppando cinque ordini di argomentazioni in relazione ai seguenti temi: a) fissazione del criterio di valutazione della prova e della regola di giudizio; b) esclusione della responsabilità oggettiva e presunta per assenza di prova in merito al coinvolgimento nei fatti del sig. Gianni Rosati; c) esclusione della responsabilità oggettiva per assenza dei presupposti previsti dall’art. 1, comma 5, C.G.S.; d) esclusione della responsabilità presunta per dimostrata assenza di partecipazione e consapevolezza delle condotte altrui da parte della società Reggina Calcio; e) trattamento sanzionatorio. Ai fini istruttori la società Reggina Calcio contestava «la rilevanza l’efficacia e l’utilizzabilità della documentazione prodotta ed acquisita dalla Procura ai fini del presente procedimento» e deduceva di aver effettuato attività di indagini difensive che depositava in allegato alla memoria difensiva e delle quali chiedeva l’acquisizione (cfr. memoria difensiva depositata nel giudizio di primo grado). Concludeva, quindi, chiedendo il proscioglimento dalle incolpazioni formulate a suo carico, insistendo, in sede istruttoria, per l’ammissione dei testi Simone Giacchetta, Maurizio Cacozza, Salvatore Conti, Giovanni Remo, Simona Gioè. Nel corso del dibattimento, alcuni deferiti, tra cui, sempre per quanto possa utilmente rilevare ai fini del presente procedimento, Narciso e Tamburini, nonché le società Grosseto e Modena, hanno presentato istanza di applicazione di sanzioni su richiesta delle parti ai sensi dell’art. 23 e 24 C.G.S.. Su dette istanze la C.D.N. ha provveduto con l’ordinanza n. 4, così disponendo: per il Sig. Antonio Narciso, applicazione ex artt. 23 e 24, C.G.S. della squalifica per mesi 15 (quindici); per il Sig. Juri Tamburini, applicazione ex artt. 23 e 24, C.G.S. della squalifica per mesi 10 (dieci); per la Società US Grosseto FC S.r.l., applicazione ex artt. 23 e 24, C.G.S. della penalizzazione di punti 6 (sei) da scontarsi nella Stagione Sportiva 2012/2013, con ammenda di € 40.000,00 (quarantamila/00); per la Società Modena FC S.p.A., applicazione ex artt. 23 e 24, C.G.S. della penalizzazione di punti 2 (due) da scontarsi nella Stagione Sportiva 2012/2013. La C.D.N. ha, quindi, esaminato le istanze istruttorie proposte dai deferiti, sulle quali ha provveduto con l’ordinanza n. 5, con cui, per quanto qui interessa, premesso che la formazione della prova nell’ordinamento federale avviene sulla base dei principi previsti dal C.G.S. e, in particolare, dall’art. 35, ha dichiarato le stesse generiche, irrilevanti e non correttamente articolate, ritenendo, invece, ammissibile la richiesta di produzione documentale allegata alle memorie. Illustrate le ragioni del deferimento, la Procura federale ha chiesto la dichiarazione di responsabilità dei deferiti e l’irrogazione, per quanto interessa ai fini del presente giudizio, della seguente sanzione a carico della Società Reggina Calcio S.p.A.: penalizzazione di 6 (sei) punti in classifica, da scontare in applicazione del principio di afflittività, «così determinata: punti cinque per ogni responsabilità oggettiva relativa a partite disputate dalla società medesima in ordine alla quale suoi tesserati sono stati dichiarati responsabili di illecito sportivo, come da incolpazione sub 101; punti uno per ogni responsabilità presunta derivante da atti posti in essere in suo vantaggio da soggetti ad essa estranei, come da incolpazione sub 101». In dibattimento, i difensori dei deferiti hanno, quindi, illustrato e integrato le rispettive difese, precisando le proprie conclusioni. Al termine della discussione, la Commissione ha dichiarato chiuso il dibattimento e rinviato per la Camera di consiglio, all’esito della quale, ha emesso l’impugnata decisione di cui al Com. Uff. n. 101/CDN «in conformità con il principio di sinteticità sancito dall’art. 34, comma 2, C.G.S.». In via preliminare, la C.D.N. ha ritenuto dover «ribadire le considerazioni generali espresse in occasione del procedimento definito con decisione pubblicata sul Com. Uff. n. 13/CDN del 9.8.2011, rilevando ancora una volta come, nel caso in questione, emergano comportamenti palesemente incompatibili con i principi di lealtà, correttezza e probità, ai quali l’ordinamento sportivo non può abdicare, pena la sua irrimediabile caduta di credibilità e persino la sua stessa sopravvivenza. Si tratta, in particolare, di comportamenti di intrinseca gravità, che svuotano di significato l’essenza stessa della competizione sportiva, al di là di ogni valutazione in ordine alla intensità dell’elemento psicologico dei singoli deferiti, alla condotta preesistente, simultanea e successiva degli illeciti disciplinari e alle motivazioni che li hanno ispirati: comportamenti che sono espressione di quel clima “omertoso” che troppo spesso permea i rapporti tra i tesserati, nonché tra i tesserati e il “sottobosco” di vari pseudo appassionati e spesso – addirittura – di esponenti della malavita» (cfr. dec. C.D.N.). Osserva, poi, la C.D.N. come «gran parte delle difese dei deferiti sollevano eccezioni e propongono istanze sulla base di un presupposto erroneo. Pretenderebbero infatti di applicare al procedimento sportivo norme e principi propri dell’ordinamento penale. Nel processo penale, fondato sul sistema accusatorio, la prova si forma nel dibattimento. Al contrario nel procedimento sportivo ha valore pieno di prova quanto acquisito nella fase delle indagini o prima ancora dell’apertura di esse (ad esempio, i rapporti arbitrali che godono perfino di fede privilegiata) o da indagini svolte in altro tipo di procedimento (ad esempio, atti inviati dall’A.G.). Non può essere reclamata, pertanto, l’applicazione al presente procedimento delle norme previste dal libro terzo del codice di procedura penale. Il principio del contraddittorio si realizza nel rispetto delle forme previste dal C.G.S. e non in base al codice di procedura penale che regola posizioni e diritti di tutt’altra natura e rilevanza. Come più volte ribadito in recenti decisioni del TNAS più avanti citate, lo standard probatorio richiesto per pervenire alla dichiarazione di responsabilità a carico dell’incolpato è diverso da quello richiesto dal diritto penale ed è sufficiente un grado di certezza inferiore ottenuto sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti» (cfr. dec. C.D.N.). Quanto, specificamente, alla fattispecie della violazione dell’art. 7, commi 1, 2, 5 e 6, C.G.S., la Giudici d prime cure ritengono che «dagli atti ufficiali (documentazione trasmessa dalla Procura della Repubblica di Cremona e audizioni dei tesserati effettuate dalla Procura Federale) e dalle risultanze del dibattimento emerge che diversi tesserati hanno svolto attività preordinate ad alterare lo svolgimento e il risultato di competizioni sportive, in violazione dell’art. 7, comma 1, 5 e 6, C.G.S. e dei principi di lealtà, correttezza e probità sanciti dall’art. 1 C.G.S.. In particolare, ciò risulta provato, tra l’altro, dalle circostanze di seguito evidenziate, anche in considerazione del fatto che, per irrogare una condanna di un illecito sportivo, è sufficiente un grado di prova superiore al generico livello probabilistico, non essendo necessaria, al contrario, né la certezza assoluta dell’ascrivibilità della condotta illecita, né il superamento del ragionevole dubbio: ciò in relazione alla finalità dell’ordinamento federale di garantire, attraverso una rapida e certa repressione delle condotte antisportive, la regolarità delle gare e, per essa, i fondamentali valori giuridici settoriali della correttezza e lealtà delle competizioni (da ultimo, TNAS, Signori/FIGC del 15.9.2011; Amodio/FIGC del 6.12.2011; Spadavecchia/FIGC del 2.1.2012)» (cfr. dec. C.D.N.). Nel merio, all’esito della camera di consiglio, la C.D.N., in relazione alla gara Grosseto/Reggina del 15 maggio 2011, ha ritenuto provato, per quanto qui interessa, che la stessa sia «stata oggetto di un tentativo di alterazione posto in essere da Tamburini, calciatore del Modena, e da Rosati, collaboratore della Reggina. Rosati ha chiesto a Tamburini, che conosceva da tempo, di contattare qualche calciatore del Grosseto per verificare la disponibilità di quest’ultima Società a perdere la gara. Nella settimana precedente la gara, Tamburini ha telefonato a Narciso, all’epoca calciatore del Grosseto, offrendo allo stesso la somma di € 30/35.000,00 per ottenere un impegno alla sconfitta. Narciso, però, si è rifiutato di aderire alla proposta. Tali circostanze trovano riscontro nelle dichiarazioni particolarmente circostanziate, rese dinnanzi all’A.G. di Cremona e alla Procura Federale, di Tamburini e Narciso, che hanno natura auto e etero accusatoria. In definitiva, Rosati e Tamburini hanno posto in essere atti diretti ad alterare il regolare svolgimento della gara, mentre Narciso ha omesso di denunciare i fatti alla Procura Federale. Per i deferiti Tamburini, Narciso e società Grosseto è stata disposta l’applicazione di sanzioni ai sensi degli artt. 23 e 24 C.G.S.. Le condotte di cui sopra integrano la violazione dell’art. 7, comma 1, 2 e 5, per Rosati. Alla affermazione della responsabilità di Rosati segue quella oggettiva della Società di appartenenza Reggina, considerato che una società risponde del comportamento dei soggetti di cui all’art. 1, comma 5, C.G.S., cioè di “coloro che svolgono qualsiasi attività all’interno o nell’interesse di una società”, come nel caso in questione. Infatti, per stessa ammissione di Rosati, tra quest’ultimo quale rappresentante della Team Service snc e la società Reggina sussiste il contratto prodotto in atti avente ad oggetto lo svolgimento di consulenze calcistiche da parte di Rosati nell’interesse della società Reggina. La società Reggina deve inoltre rispondere anche per responsabilità presunta, considerato come, nel corso del presente procedimento, sia emerso che Tamburini si è attivato al fine di agevolare la vittoria della Reggina stessa nella gara in esame su richiesta del Rosati, che il risultato è stato favorevole e che, d’altra parte, non vi sono elementi che consentano di escludere, sia pure sotto il profilo di un ragionevole dubbio, che la Reggina non sia stata a conoscenza o non abbia partecipato alla alterazione della gara. Ne consegue che la società Reggina deve rispondere a titolo di responsabilità presunta, ai sensi dell’art. 4, comma 5, C.G.S., per l’illecito sportivo commesso a proprio vantaggio da persone ad essa estranee» (cfr. dec. C.D.N.). Quanto alla determinazione delle sanzioni, la C.D.N., osservato, in via generale che, ai sensi dell’art. 16, comma 1, C.G.S., gli Organi della giustizia sportiva stabiliscono la specie e la misura delle sanzioni disciplinari, tenendo conto della natura e della gravità dei fatti commessi e valutate le circostanze aggravanti e attenuanti, nonché l’eventuale recidiva, ha inflitto alla società Reggina Calcio Spa la penalizzazione in classifica di punti 4 (quattro) da scontarsi nella stagione agonistica 2012/2013. Avverso la suddetta decisione della Commissione Disciplinare Nazionale ha proposto ricorso la società Reggina Calcio S.p.A., come rapp.ta e ass.ta. Con un primo motivo d’appello la Reggina Calcio S.p.A. eccepisce nullità del giudizio per violazione degli artt. 23 e 24 C.G.S. e nullità dell’ordinanza n. 4. A dire della reclamante, infatti, la C.D.N. ha riconosciuto in sede di patteggiamento ex art. 23 C.G.S. «la diminuente di cui all’art. 24 C.G.S. nei confronti di Tamburini e Narciso», con ciò errando, atteso che il riconoscimento del beneficio «non è previsto quale conseguenza di accordo tra le parti», ma solo su richiesta della Procura federale e successiva valutazione collegiale, nel caso di ammissione di responsabilità e fattiva collaborazione. Chiara sarebbe la ratio della previsione: «il riconoscimento del beneficio non può essere demandato a un accordo delle parti, ma deve conseguire ad una valutazione sulla qualità del dichiarato da parte del Giudice» (cfr. reclamo). Peraltro, «il patteggiamento con il riconoscimento della previsione di cui all’art. 24 C.G.S. ha determinato una anticipazione di giudizio che ha nuociuto all’intero processo. Non vi è chi non veda una palese incongruenza per il caso che all’esito del dibattimento la Commissione avesse dichiarato inattendibile uno dei soggetti ai quali era già stata riconosciuta in precedenza l’attenuante della collaborazione» (cfr. reclamo). Con un secondo motivo d’appello la Reggina rileva l’erroneità della regola del giudizio e del criterio di valutazione della prova. La C.D.N. «non è condivisibile nella parte in cui asserisce che nell’ambito della Giustizia Sportiva la prova non deve essere certa» (cfr. reclamo). In realtà, ad avviso della reclamante, «le stesse decisioni della Giustizia Sportiva hanno sempre sancito il principio opposto, ossia quello della necessità della prova oltre ogni ragionevole dubbio. È un principio pacifico fin dal 1981 (C.A.F., Com. Uff. n. 3/C del 30 settembre 1981) e che ha trovato consacrazione nelle decisioni successive e, infine, nel processo denominato “calciopoli”» (cfr. reclamo). Appare, allora, «preliminare fissare il criterio di valutazione della prova delle dichiarazioni rese da Tamburini e Narciso sulle quali si fonda l’addebito nei confronti del sig. Rosati e, conseguentemente, nei confronti della società Reggina Calcio a titolo di responsabilità oggettiva e presunta. Innanzitutto, vi è da dire che ambedue i dichiaranti sono coinvolti nel procedimento penale pendente presso la Procura di Cremona quali indagati. […] In secondo luogo, le loro dichiarazioni sono in parte autoaccusatorie e in parte eteroaccusatorie, con la conseguenza che gli stessi possono avere interesse a diminuire le loro responsabilità e a non riferire la verità in merito ai fatti narrati» (cfr. reclamo). Un terzo motivo di gravame si riferisce alla esclusione della responsabilità oggettiva della Reggina Calcio per assenza di prova ogni oltre ragionevole dubbio sulla responsabilità del sig. Giovanni Rosati. Sotto tale profilo la reclamante evidenzia come le dichiarazioni di Narciso non contengano alcun riferimento individualizzante al Rosati, «atteso che Narciso si limita a riferire di un contatto con Tamburini e di una richiesta effettuata da quest’ultimo per conto di un amico di Bologna». Orbene, «non vi è un riscontro incrociato tra le due dichiarazioni sul nucleo essenziale riguardante la condotta di Rosati, il quale non è originario di Bologna né residente nel capoluogo emiliano» (cfr. reclamo). Lamenta, poi, la Reggina come la Commissione non abbia tenuto conto di quanto sostenuto già in memoria difensiva circa l’inattendibilità di Tamburini. In particolare, deduce la reclamante, «proprio l’indicazione e l’accusa nei confronti di Rosati appare la conseguenza della non credibilità soggettiva del Tamburini e della sua volontà di tacere fatti che lo avrebbero messo in una situazione peggiore dinanzi alla giustizia sportiva e ordinaria» (cfr. reclamo). Del resto, le dichiarazioni di Tamburini non supererebbero il vaglio di attendibilità intrinseca, apparendo inverosimili e comunque indice evidente di una conoscenza superficiale e sporadica di Narciso, oltre che del tutto generiche «con riferimento a un punto essenziale, ossia la somma di denaro che il Rosati avrebbe indicato al Tamburini» (così in reclamo). La dichiarazione di Tamburini sarebbe, inoltre, «laconica e appiattita su quanto dichiarato da Narciso», considerato che Tamburini si limiterebbe a confermare le dichiarazioni del predetto calciatore, ingenerando, così, il dubbio che le sue dichiarazioni siano state influenzate dalla lettura di quelle di Narciso e rimangano, dunque, prive di autonomia. Né, a dire della Reggina Calcio, può rinvenirsi «un elemento di riscontro all’accusa di Tamburini in quanto esistente un contratto tra la Reggina e Rosati. L’argomento non convince in quanto proprio l’esistenza di un rapporto tra Rosati e la Reggina può avere determinato il Tamburini a coinvolgere ingiustamente il Rosati. L’argomento, pertanto, è di natura circolare. Peraltro, non è da escludere una forma di rancore del Tamburini derivante dal mancato aiuto in sede di calciomercato da parte del Rosati» (cfr. reclamo). Si legge, poi, testualmente nell’atto di appello come dalle prove depositate dalla Reggina emergano «le seguenti circostanze: 1) Il contratto in scadenza nel giugno 2011 tra Reggina e Team Service non è stato prorogato; 2) Già dal marzo 2011 il presidente Foti ha comunicato al Rosati l’intenzione, per ragioni economiche connesse alle difficoltà di gestione in serie B, di non rinnovare il contratto; 3) In occasione della trasferta del 2 aprile a Portogruaro il Rosati ha chiesto al Foti se avesse cambiato idea circa la proroga del rapporto di consulenza ricevendo risposta negativa (dichiarazione dell’avvocato Maurizio Cacozza, dirigente accompagnatore della Reggina); 4) La Reggina poteva avvalersi dell’opera di Simone Giacchetta attivo nella ricerca di giocatori unitamente ad altri osservatori, con riferimento ai quali la Reggina aveva deciso di tagliare gli importi dei rimborsi spese (dichiarazioni di Simone Giacchetta); 5) A partire dall’aprile 2012, come riferito dal sig. Gianni Remo e dalla signora Simona Gioè, il Rosati non ha più contattato il Foti al fine di proporgli calciatori in ragione dell’ormai comunicata volontà di non rinnovare il contratto. Indicativo è quanto dichiarato da Giovanni Remo sul distacco nei rapporti tra il Presidente Foti e Rosati» (cfr. reclamo). Si tratterebbe, a dire della società appellante, di elementi di prova che renderebbero non plausibile ed inverosimile un interessamento, seppur spontaneo, di Rosati per le sorti della Reggina e tantomeno un’attività posta in essere con la consapevolezza della società, con la quale nel maggio 2011 lo stesso non aveva rapporti né interessi economici coincidenti. Con un quarto motivo di reclamo la Reggina Calcio S.p.A. evidenzia l’errore nel quale sarebbe incorso la C.D.N. nel ritenere la stessa responsabile, a titolo oggettivo, per l’operato di Gianni Rosati, ingiustamente qualificato come “collaboratore” della società. In ogni caso, poi, secondo l’appellante è fuorviante il riferimento a Rosati quale consulente della Reggina, essendo questi solo un osservatore e non potendosi, dunque, far rientrare tra i soggetti di cui al combinato disposto delle norme di cui all’art. 1, comma 5 e 4, comma 2, C.G.S.. Del resto, si osserva, la Reggina Calcio ha sottoscritto un contratto (peraltro non con Rosati, ma con la Team Service snc di cui Rosati è legale rappresentante) per prestazione autonoma finalizzata alla visione di soggetti che esplicano attività di formazione sportiva nel settore calcistico. Con un quinto motivo si contesta l’attribuzione di responsabilità presunta per l’operato di Tamburini. Sotto siffatto profilo, sostiene la reclamante, «la Commissione ha trasformato la presunzione da relativa ad assoluta atteso che come emerge dai fatti e dalle prove la totale assenza di conoscenza del fatto da parte del legale rappresentante della società Foti o di altri dirigenti» (cfr. reclamo). Con un sesto motivo d’appello la Reggina Calcio S.p.A. chiede la derubricazione in violazione dell’art. 1 C.G.S., non avendo mai determinato, la condotta di Tamburini e quella di Rosati, un pericolo per il corretto svolgimento della gara, tanto più che Narciso ha da subito manifestato la propria non adesione al tentativo di illecito. La reclamante società lamenta, infine, con il settimo ed ultimo motivo d’appello, l’eccessivo trattamento sanzionatorio alla stessa riservato dalla C.D.N., apparendo, tra l’altro, ingiustificata l’applicazione di una doppia sanzione. «Il fatto è unico», sostiene la Reggina, «e la condotta di Tamburini trova il suo presupposto nella condotta di Rosati, della quale la società è chiamata a rispondere a titolo di responsabilità oggettiva» (cfr. reclamo). Insistendo nelle proprie richieste istruttorie già formulate in primo grado e disattese dalla Commissione, la Reggina Calcio S.p.A. chiede, quindi, che la C.G.F. «voglia riformare la decisione assunta con il Com. Uff. della C.D.N. e conseguentemente voglia annullare la sanzione irrogata e prosciogliere la Reggina Calcio dalle incolpazioni formulate a suo carico; in via subordinata si chiede una congrua riduzione della stessa sanzione, occorrendo previa diversa rubricazione, fatto salvo il diritto di perseguire ulteriori impugnative secondo norma e regolamento. Si chiede di essere ascoltati anche a mezzo di propri delegati. Si insiste, ai fini istruttori, per la riapertura della fase istruttoria e l’escussione dei testi, così come indicati in parte motiva». Sul reclamo proposto dalla Reggina Calcio S.p.A. deve registrarsi la separata costituzione dei sigg.ri Juri Tamburini ed Antonio Narciso, entrambi con il patrocinio dell’avv. Mattia Grassani, che si sono limitati a chiedere di essere sentiti all’udienza di discussione. Alla riunione, tenutasi dinanzi alla Corte di Giustizia Federale nei giorni 2 e 3 luglio 2012, i difensori della Reggina Calcio S.p.A. hanno illustrato le proprie argomentazioni, insistendo per le ivi formulate conclusioni. Secondo il collegio difensivo della reclamante, nell’individuazione effettuata dall’art. 1, comma 5, C.G.S., non vi è alcun riferimento ai soggetti che svolgano attività per la società, essendo, invece, indicati solo coloro che operano “nell’interesse” della società: Rosati, appunto, anzi la Team service s.n.c., era solo un osservatore o, al più, un collaboratore esterno della Reggina. Critica, poi, la predetta difesa, il metodo di individuazione della prova operata in prime cure, definito del tutto incerto: la regola di giudizio della C.D.N. non è stata quella della prova “al di là di ogni ragionevole dubbio”, ma quella di una prova basata sul “più probabile che non”. Il criterio probatorio dovrebbe, invece, essere quello del riscontro incrociato (Tamburini – Rosati), ma alla prova dei fatti emergerebbe chiaramente ogni difetto di coincidenza tra le due dichiarazioni. Sempre sotto il profilo della prova viene ribadita e contestata l’ingiustizia dell’ordinanza dibattimentale con la quale la C.D.N. ha escluso l’ammissione delle prove testimoniali, pur capitolate dalla Reggina che non ha citato i testi indicati proprio perché non ammessi. Contesta, poi, la difesa della società, l’attribuzione di sanzione a titolo di responsabilità presunta, richiamando la norma di cui all’art. 5 C.G.S. e parlando di assenza di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio, evidenziando come sia lo stesso Tamburini ad affermare di non essere a conoscenza di un eventuale coinvolgimento della società nel tentativo di combine. E comunque, aggiunge la difesa, non può, la Reggina, rispondere di responsabilità presunta per l’operato di un calciatore (Tamburini) con il quale non aveva alcun rapporto. Peraltro, il fatto è unico e dallo stesso non può derivare un doppio titolo di responsabilità (oggettiva e presunta). Il Procuratore Federale, ha confutato analiticamente gli argomenti difensivi. Sulle questioni istruttorie agitate dalla difesa della reclamante ha evidenziato il differente regime dell’utilizzabilità della prova esistente nell’ordinamento sportivo. Sotto tale profilo, ritiene la Procura, non necessario alcun supplemento istruttorio, considerato che il materiale acquisito è di notevole pregnanza probatoria. Quadro probatorio, peraltro, che la Procura Federale ritiene connotato da dichiarazioni, confessioni, chiamate in correità e patteggiamenti che non necessitano di ulteriori acquisizioni istruttorie. Ha rilevato, poi, il Procuratore Federale, come sia chiaramente configurabile la responsabilità oggettiva della Reggina, atteso che se è vero che la società ha stipulato il contratto di collaborazione con la Team Service s.n.c. è altrettanto vero che Rosati è socio illimitatamente responsabile della stessa predetta società. A nulla, dunque, rileva il fatto che Rosati non abbia uno specifico mandato di rappresentanza, anche perché, se così fosse, la Reggina sarebbe stata chiamata a rispondere a titolo di responsabilità diretta e non oggettiva. Evidenzia, ancora, il Procuratore federale come trovi pacificamente cittadinanza giuridica, nell’ordinamento sportivo, il concorso tra responsabilità oggettiva e responsabilità presunta, anche considerato che, nel caso di specie, le condotte di riferimento sono proprie di due diversi soggetti. Ribadita, pertanto, l’ineccepibilità della decisione impugnata, il Procuratore Federale ne ha chiesto la conferma. In via di logica successione vanno esaminate le questioni preliminari sollevate dalla Reggina Calcio S.p.A.. Anzitutto, quella in ordine alla pretesa nullità del giudizio e dell’ordinanza dibattimentale n. 4 per violazione degli artt. 23 e 24 C.G.S.. Rilevata, sul punto, la carenza di legittimazione della Reggina Calcio S.p.A. in ordine alla impugnazione della decisione in parte qua, occorre, per inciso, comunque affermarne la palese carenza di fondamento, attesa, nel caso di specie, la pacifica ricorrenza dei presupposti previsti dal vigente ordinamento federale per l’applicazione delle richiamate disposizioni. Ed invero, tanto Tamburini, quanto Narciso hanno non solo ammesso le loro responsabilità in ordine all’episodio oggetto del presente procedimento, ma hanno anche fattivamente collaborato con gli organi della giustizia sportiva. Ciò che, appunto, ha adeguatamente e correttamente valutato il Collegio di prime cure. Del tutto priva di pregio è, poi, la questione, agitata dalla ricorrente circa la presunta anticipazione di giudizio che i patteggiamenti di Narciso e Tamburini avrebbero comportato nei confronti della Reggina Calcio. Come già in passato rilevato da questa C.G.F. il principio di terzietà del giudice è concetto che può trovare attuazione con modalità e pregnanza differenti anche in campo penalistico. Esso opera, infatti, con criteri di assoluta rigidità in ambito dibattimentale, poiché si vuole che il giudice chiamato ad affermare, eventualmente, la responsabilità del prevenuto, e quindi ad infliggere la più grave delle misure sanzionatorie previste dall’ordinamento, la pena, sia assolutamente estraneo all’intera vicenda processuale così da risultare scevro da qualunque possibile condizionamento. Pur rimanendo nell’ambito penale, tuttavia, quello stesso principio di terzietà viene coniugato in maniera meno rigida quando ci si trovi al di fuori del dibattimento sul merito, e ci si debba occupare di questioni particolari in quelli che vengono normalmente definiti sub procedimenti. Di conseguenza, non può essere invocato, tantomeno a pena di nullità, l’assoluto rispetto del principio di terzietà del giudice in un procedimento non penale ma solo disciplinare, nel quale non si irrogano pene detentive, ma si stabilisce solo la possibilità di fare parte di una determinata organizzazione. Si potrebbe dire, in altre parole e senza pretese di sistematicità giuridica, che l’applicazione della sanzione sarebbe meglio assimilabile all’accettazione del lodo arbitrale in un procedimento di natura civilistica, con valenza, quindi, semplicemente conciliativa. Senza contare, poi, operando in questo caso una valutazione di merito, che trattandosi di un illecito disciplinare associativo, la valutazione della posizione di un tesserato non significa, automaticamente, la pregressa conoscenza della posizione di tutti gli altri partecipanti all’associazione disciplinarmente illecita. Si aggiunga che, ad ogni buon conto, nessuna norma dell’ordinamento federale prevede l’obbligo di astensione del giudice che abbia dichiarato la definizione del procedimento ai sensi dell’art. 23 C.G.S. nei confronti di uno o più soggetti deferiti. Un’attenta lettura della citata disposizione porta, anzi, ad affermare l’esatto contrario, considerato che la stessa dispone che il giudice con ordinanza non impugnabile, chiude il procedimento «nei confronti del richiedente» (i.e. nei confronti del “solo” richiedente, evidentemente dando per scontato che lo stesso procedimento prosegua dinanzi a quel giudice nei confronti di coloro che non hanno usufruito della previsione di cui trattasi). Del resto, l’applicazione “patteggiata” di sanzioni avviene «su richiesta delle parti», che, appunto, si accordano, chiedendo al giudice di applicare la sanzione come dagli stessi individuata nella specie e nella misura. In altri termini, in questa sede, al giudice non viene richiesta una valutazione in termini di congruità della pena “negoziata” e, quindi, un esame nel merito specifico delle contestazioni, ma soltanto una valutazione sulla «corretta qualificazione dei fatti come formulata dalle parti» e sulla relativa congruità, rispetto a tale prospettazione, della sanzione concordata. L’eccezione, dunque, è del tutto priva di fondamento. Devono, poi, sempre in via logicamente preliminare, essere esaminate le richieste istruttorie, in questa sede d’appello reiterate, già rigettate dai Giudici di primo grado, in forza dell’esclusione della sussistenza della pregiudiziale influenza del procedimento penale su quello disciplinare sportivo e della riaffermazione dell’applicabilità in questo di regole autonome di formazione e valutazione delle prove secondo le linee direttrici dettate dal Codice di Giustizia Sportiva. La Corte non ha dubbi nel ritenere che le ordinanze dibattimentali emesse nel corso del giudizio di prime cure non meritino alcuna censura, essendosi motivatamente mosse nel solco della costante giurisprudenza federale. Ed infatti, è storicamente radicato il principio secondo cui all’autonomia degli ordinamenti settoriali riconosciuti, come l’ordinamento sportivo, da quello generale debba corrispondere la libera determinazione dei criteri regolatori dell’ammissione della permanenza in essi di chi ne abbia interesse. L’organizzazione, la struttura, il plesso normativo dell’ordinamento settoriale devono, pertanto, riflettere il sistema di valori e fini eletti dall’ordinamento stesso al momento della sua costituzione: proprio il fatto che l’ordinamento generale abbia tradizionalmente ed energicamente, con inequivoche disposizioni legislative e con non meno espliciti orientamenti giurisprudenziali, riconosciuto l’autonomia del diritto sportivo rappresenta la più chiara manifestazione dell’approvazione del sistema di valori e fini posti a fondamento del settore. Il logico corollario dell’autonoma scelta degli obiettivi da perseguire nell’ambito endofederale è l’omologa libertà nella redazione delle tavole delle condotte incompatibili con l’appartenenza soggettiva ad esso e, in via strumentale e necessaria, dei mezzi e delle forme di tutela dell’ordinamento sportivo dalle deviazioni che si dovessero verificare al suo interno. È, infatti, da reputare intimamente ed immancabilmente connessa con l’autonomia dell’ordinamento sportivo la sua idoneità a munirsi in via indipendente di un circuito normativo che reagisca alla negazione dei valori del mondo dello sport: anche questa pronta capacità di replica alla rottura delle regole interne è implicita condizione del riconoscimento e della salvaguardia provenienti dall’ordinamento statale. Questa premessa, che riassume decenni di conforme indirizzo giurisprudenziale sportivo, porta ad affermare in linea generale la niente affatto obbligata permeabilità dell’ordinamento sportivo ad ogni e ciascuna disposizione dell’ordinamento generale astrattamente applicabile alla singola fattispecie. Ed infatti, l’ordinamento sportivo, da un canto, è estraneo alle previsioni normative generali che nascono con riguardo ad ambiti tipicamente ed esclusivamente statali (come il procedimento penale e le regole che per esso sono dettate per governare i rapporti con altri procedimenti svolgentisi in ambito generale, quali quelli civili, amministrativi, disciplinari ecc.); esso, d’altro canto, è libero di perseguire la propria pretesa punitiva nei confronti degli appartenenti che si sottraggano al rispetto dei precetti con autonomi mezzi di ricerca e valutazione della prova che non necessariamente debbono identificarsi con quelli propri dell’ordinamento statale, fatta ovviamente salva l’osservanza del diritto di difesa, costituzionalmente protetto. Non vi è, quindi, alcun bisogno di ammettere le richieste istruttorie ripetute dall’appellante. Ad esse ha esattamente, ed in omaggio ad una giurisprudenza che ha resistito nel corso di lunghi anni, replicato la Commissione di primo grado osservando che le regole del procedimento sportivo, cui gli organi di giustizia sono tenuti ad uniformarsi, non prevedono il dovere del giudicante di allargare l’orizzonte del materiale probatorio già acquisito, se questo soddisfa a suo avviso le esigenze del giudizio, né di sentire – come nel caso di specie – altri tesserati o, addirittura, coincolpati, in ipotesi indisponibili a sostenerlo, anche considerato che essendo gli stessi, appunto, anch’essi parti del giudizio o, comunque, destinatari dell’atto di deferimento, non potrebbero, in ogni caso, assumere la veste di teste. Da questo punto di vista, non rappresenta in alcun modo violazione del diritto di difesa, apprezzabile in sede di giudizio di impugnazione, la circostanza che il procedimento si svolga sulla base degli atti acquisiti e, più in generale, nel rispetto delle norme del Codice di Giustizia Sportiva: il che è indubbiamente avvenuto nel corso del giudizio di primo grado. A rafforzare il convincimento appena espresso sta, infine, la considerazione che alla difesa non è mai precluso il concorso alla formazione della prova mediante produzione documentale, come è reiteratamente accaduto nei due gradi del presente giudizio. In sintesi, quindi, del tutto priva di pregio è la questione, agitata dalla ricorrente società nell’atto di appello, circa l’esigenza di completare il quadro probatorio. Istanza, come detto, che non può trovare comunque accoglimento perché presuppone, erroneamente, l’automatica applicazione di tutti i principi che regolano il giudizio penale al procedimento disciplinare, che a quello sicuramente si informa senza però costituirne una pedissequa e scontata ripetizione che sarebbe, in tal caso, assolutamente inutile e si potrebbe tradurre in una lesione dell’autonomia dell’ordinamento sportivo e delle sue caratteristiche di tipicità e specialità. Tutto ciò senza trascurare di considerare che, ad ogni buon conto, in ordine alle prove testimoniali qui richieste è intervenuta preclusione, non essendo stati i testi citati e che il riferimento all’oggetto della prova appare, comunque, generico, oltre che di non decisiva rilevanza ai fini del giudizio. Con la conseguenza della inammissibilità delle istanze istruttorie, come formulate. Ciò premesso, la Corte osserva che la decisione impugnata non merita alcuna delle censure mosse e che, pertanto, debba essere confermata, per effetto del rigetto dell’impugnazione. Ed invero, le approfondite e capillari indagini, utilmente riversate nel presente procedimento disciplinare, hanno consentito di ritenere raggiunta la prova della sussistenza dell’illecito contestato a Gianni Rosati e Juri Tamburini con riferimento alla gara Grosseto/Reggina del 15 maggio 2011. L’attenta e dettagliata attività investigativa, della giustizia ordinaria prima e di quella federale poi, ha consentito di mettere a disposizione degli organi giudicanti una serie consistente e preziosa di elementi suscettibili di specifica valutazione da parte degli stessi predetti organi, nell’ambito della loro autonomia di giudizio, onde pervenire, nei singoli casi e con riferimento a ciascun soggetto deferito, alle conclusioni di proscioglimento o di affermazione di responsabilità per tutti o parte degli addebiti ascritti. In questo quadro di riferimento complessivo si inseriscono le condotte, oggetto di autonomo esame nel presente procedimento, che, ritiene questa Corte, si traducano nell’illecito (sussumibile nella previsione dell’art.7 C.G.S.) consistente nell’attentato all’integrità della gara di cui trattasi, addebitabile all’appellante in via di responsabilità tanto oggettiva, quanto presunta. Dal coacervo degli elementi suscettibili di valutazione da parte di questa Corte emerge, in una sintesi complessiva, l’esistenza di solidi elementi probatori per ritenere fondata l’affermazione di responsabilità di Rosati in ordine alla incolpazione di cui all’art. 7, commi 1, 2 e 5 C.G.S., per aver, in concorso con Tamburini, posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara sopra indicata. Rosati, come lo stesso conferma alla Procura Federale dalla quale è stato sentito il 17.4.2012, è stato Direttore sportivo della Reggina dall’ottobre 2009 al 30 giugno 2010. Con la predetta società ha poi stipulato, da quest’ultima data e fino al 31.12.2011, un contratto di consulenza attraverso la società Team Service s.n.c. di cui è il titolare e che ha sede a Carpi. Siffatta società svolge essenzialmente attività di scouting. In ordine alle contestazioni allo stesso mosse nell’atto di deferimento, sentito dalla Procura Federale il 17.4.2012, Rosati nega decisamente qualsiasi coinvolgimento nel tentativo di combine della gara in oggetto, non essendogli ciò stato chiesto da nessuno e non facendo parte del suo modo di “vivere il calcio”. Ammette, tuttavia, di conoscere Tamburini, avendolo seguito nella sua carriera ed avendolo qualche volta incontrato a pranzo. Siffatto tentativo di sminuire la portata ed assiduità dei rapporti di amicizia con Tamburini è però smentito dallo stesso predetto calciatore che, sul punto, afferma: «voglio precisare che gli incontri con il Rosati avvenivano, con una discreta frequenza, almeno due volte al mese, e a cui, a volte, partecipava anche la mia fidanzata, presso il circolo tennis Sporting Carpi di cui so essere Rosati socio. Durante questi incontri si parlava di argomenti vari ma sempre legati al mondo del calcio» (cfr. aud. 26.4.2012). Sull’episodio oggetto del capo di incolpazione di cui trattasi, Antonio Narciso, ascoltato dalla Procura Federale in data 7 marzo 2012, così afferma: «Nella Stagione Sportiva 2010/2011 giocavo con il Grosseto. Nella settimana precedente la gara Grosseto – Reggina ricevetti un sms dal numero di Juri Tamburini che era stato mio compagno nel Modena. Con lo stesso avevo instaurato un rapporto di amicizia tanto che più volte siamo andati a pescare insieme. Con il messaggio lo stesso mi invitava a richiamarlo ad un numero che era indicato nello stesso sms. La sera ho effettivamente richiamato senza però avere risposta. Subito dopo, sempre da quel numero, sono stato richiamato dal Tamburini che mi disse che chiamava per conto di un suo amico di Bologna. Nel corso della conversazione lo stesso mi chiese, prima in maniera allusiva e poi sempre più nel concreto, se ero disponibile a perdere la partita con la Reggina anche facendo da tramite con i miei compagni di squadra. Anche se non in maniera chiara mi propose una somma da 30/35.000 euro. Io gli dissi che non ero disponibile a nessun tipo di accordo illecito, tanto che Tamburini si scusò chiudendo in breve la conversazione. Circa un anno dopo ho incontrato il Tamburini sul campo di calcio in occasione della gara Grosseto – Ascoli, a cui ho chiesto le ragioni di quella proposta. Lo stesso non nascondendo l’imbarazzo, mi chiese scusa dicendo che aveva avuto un momento di debolezza e di cui si era pentito». Inequivoco, poi, il racconto di Tamburini. Nell’audizione del 28 marzo 2012 dichiara alla Procura Federale di conoscere Antonio Narciso, avendo con lo stesso giocato insieme nel Modena 3 o 4 anni prima, anche se la conoscenza medesima non era connotata da assidua frequentazione, considerato che lui era scapolo, mentre Narciso ero coniugato. Ricorda di una pesca sportiva in un laghetto, ma non di cene specifiche con lo stesso, né di averne conservato il numero di cellulare. Quanto, in particolare, ai contatti precedenti la gara Grosseto/Reggina del 15 maggio 2011, Tamburini così testualmente riferisce: «Si effettivamente ho cercato un contatto con Narciso. Voglio dire, senza alcuna reticenza, che il motivo di quel contatto, che ho chiesto al calciatore attraverso un’utenza diversa dalla mia, era dovuto ad una richiesta che ho ricevuto da Gianni Rosati che, mi sembra di ricordare, fosse o fosse stato il Direttore Sportivo della Reggina. Con questa persona ero in contatto da tempo e lo stesso si era sempre offerto di aiutarmi a trovare una idonea collocazione in qualche squadra. Nella settimana precedente la partita Grosseto/Reggina, mi incontrai con il Rosati che mi chiese se potevo verificare la disponibilità del Grosseto a perdere la partita. A tal proposito mi chiese se conoscessi qualche giocatore del Grosseto ed io gli riferii di aver giocato con il portiere Narciso. Mi disse, quindi, di provare a contattarlo e ad offrirgli del denaro, di cui non ricordo la cifra precisa. Non mi disse se l’iniziativa partiva direttamente dalla società ovvero fosse una sua iniziativa autonoma. Né mi specificò chi avrebbe stanziato i denari che avrei dovuto offrire a Narciso. Come ho detto prima, atteso che il Rosati avrebbe potuto aiutarmi a trovare un’idonea sistemazione, essendo io in scadenza di contratto con il Modena, non ebbi la forza di rifiutare la proposta. Contattai quindi il Narciso ed a tal riguardo posso confermare le modalità di quanto riferito nel verbale di cui l’ufficio mi da lettura. Tengo a precisare che corrisponde a verità che, in un momento successivo, mi scusai con il Narciso per la proposta fatta della quale, tengo a precisare, io non avrei ricevuto alcuna utilità, tanto meno economica. Devo dire che mi sentii subito sollevato dal fatto che Narciso avesse rifiutato la proposta ed esternai questo sentimento anche alla mia fidanzata che aveva sentito la telefonata. Al Rosati in un momento successivo riferii del rifiuto del Narciso e lo stesso prese atto della cosa senza aggiungere altro. Volendo fornire la massima collaborazione all’Ufficio fornisco spontaneamente l’utenza cellulare del Rosati in mio possesso che è la 393 ******. Tengo a precisare che non sento il Rosati dall’estate del 2011. Non ho altro da aggiungere e voglio precisare di non essermi mai trovato, né prima né dopo, in situazione analoghe al fatto che ho narrato». In ordine alla contestazione della Procura Federale sulle risultanze scaturenti dalle dichiarazioni di Tamburini, Rosati, nell’anzidetta audizione del 17.4.2012, afferma: «Non ricordo di avere incontrato il Tamburini nel periodo in cui questi ha riferito all’Ufficio. In ogni caso se pure l’ho incontrato sicuramente non gli ho chiesto di combinare la gara Grosseto/Reggina del 15.5.2011 (…) Non so fornire spiegazione sul motivo per il quale il Tamburini abbia fatto dichiarazioni di cui mi è stata data lettura». Nella già sopra richiamata audizione di Tamburini del 26.4.2012, riferendosi a Rosati, questi precisa ulteriormente: «Nella settimana precedente la partita mi fece la domanda relativa alla mia conoscenza di qualcuno del Grosseto a cui proporre la manipolazione della partita. Nonostante il mio imbarazzo ho aderito alla sua richiesta perché pensavo che in seguito, lo stesso mi avrebbe potuto aiutare per trovare una collocazione, considerato che ero in scadenza di contratto. Non ricordo esattamente la cifra che mi propose ma sicuramente mi parlò di soldi da dare in cambio della vittoria della Reggina». Anche in questa circostanza, dunque, la ricostruzione operata da Narciso in ordine al tentativo di combine della gara di cui trattasi trova solidi riscontri. Specialmente, il tentativo viene confermato dallo stesso Tamburini, chiamato in correità, che ammette chiaramente di aver agito per conto ed in base alla richiesta di Rosati, rispetto al quale, non solo conservava rapporti di amicizia, ma nutriva anche la speranza di un suo aiuto per una nuova collocazione in altra società, attesa la sua scadenza contrattuale con il Modena. La successione logica dei fatti, non smentita nella sua storicità, appare coerente con l’incolpazione: Narciso ammette (spontaneamente) di essere stato richiesto da Tamburini, suo ex compagno nel Modena, di combinare, a favore della Reggina, il risultato della gara Grosseto/Reggina del 15 magio 2011; Tamburini conferma di aver, a tal fine, contattato Narciso, per conto di Rosati, suo amico ed ex D.S. della Reggina, con il quale, smentendo lo stesso Rosati, ammette di avere assidue frequentazioni. Fatti, questi, poi supportati da intuibili e presumibili solide motivazioni rintracciabili a base dei comportamenti dei soggetti coinvolti: Tamburini, in scadenza di contratto con il Modena, auspica di essere ricompensato da Rosati che si era offerto di trovare allo stesso adeguata collocazione; Rosati, spera che, ben “operando” a vantaggio della Reggina, possa “spendere” tale “credito” in sede di discussione per il rinnovo del suo contratto di collaborazione con la medesima società, rispetto al quale aveva ricevuto sentore o, addirittura, la società aveva allo stesso espressamente manifestato la propria intenzione di interrompere il rapporto di collaborazione medesima. Di nessuna pregnanza probatoria, dunque, sotto tale profilo, la tesi difensiva secondo cui Rosati, avendo soltanto un contratto di collaborazione (e non essendo più il D.S. della Reggina) non rivestiva alcun interesse a “comprare” un risultato vantaggioso per la Reggina. Anzi, in difetto di prova di un eventuale “mandato” in tal senso ricevuto dagli ambienti societari, come detto, proprio il tentativo di “accreditarsi” presso la società di cui trattasi può essersi rivelata la “molla”, la ragione che ha indotto il reclamante ad attivarsi per combinare il risultato della partita in questione. Come altrettanto fragile ed inconsistente, alla luce delle complessive emergenze processuali, si rivela l’altra argomentazione difensiva relativa alla circostanza che Narciso avrebbe dichiarato che Tamburini, nell’avanzargli la proposta di alterazione, gli aveva riferito di parlare per conto di un amico di “Bologna”, mentre Rosati risiede nelle Marche e lavora a Carpi. Del pari, di alcun rilievo giuridicamente apprezzabile in questa sede di impugnazione federale, la circostanza dell’eventuale mancato passaggio di denaro o effettiva realizzazione dell’alterazione della gara. A parte, infatti, che la partita si è conclusa con il risultato di 0 a 1 per la Reggina, non occorre, ad ogni buon conto, dimenticare che l’ipotesi delineata dalla norma di cui all’art. 7 C.G.S. configura, come noto, un illecito in ordine al quale non è necessario, ai fini dell’integrazione della fattispecie, che lo svolgimento od il risultato della gara siano effettivamente alterati, essendo sufficiente che siano state poste in essere attività dirette allo scopo. Recita, infatti, la norma: «Il compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica costituisce illecito sportivo». Si tratta, dunque, di illecito c.d. formale, per il cui perfezionarsi non occorre un conseguente evento in senso naturalistico, né l’accettazione di denaro od altre utilità. Un’ipotesi, in altri termini, di illecito di pura condotta o, detto altrimenti, a consumazione anticipata, che si realizza (rectius: consuma) anche con il semplice tentativo e, quindi, al momento della mera messa in opera di atti diretti ad alterare il fisiologico svolgimento della gara, od il suo risultato, ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica. L’aggregazione di ciascuno degli elementi probatori appena passati in rassegna conducono la Corte a ritenere dimostrata la robustezza del fondamento dell’accusa. Sussiste, in definitiva, ampia prova delle responsabilità che rilevano ai fini del presente procedimento. Gli elementi tratti dalle dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie di Tamburini, concordano con quelle di Narciso e si inseriscono come sufficienti elementi di prova in un convergente complessivo contesto già di per sé ampiamente ed univocamente indiziario. Nessun dubbio può, pertanto, ragionevolmente sussistere circa la colpevolezza di Rosati e Tamburini e, di conseguenza, della Reggina Calcio S.p.A., per i titoli di cui all’atto di incolpazione, come esattamente affermata dai primi Giudici. Del resto, come da consolidata giurisprudenza di questa Corte, premesso, sul piano generale, che la prova di un fatto, specialmente in riferimento ad un illecito sportivo, può anche essere e, talvolta, non può che essere, logica piuttosto che fattuale, nel caso di specie, come detto, sono rinvenibili sia elementi di fatto che deduzioni logiche, gli uni soccorrenti le altre, come, sia pure succintamente, dato atto nella decisione di primo grado. Per inciso, peraltro, questo Collegio ritiene di non poter condividere le considerazioni della reclamante società circa l’(in)attendibilità delle dichiarazioni, di natura in parte anche autoaccusatoria, rilasciate sull’illecito di cui trattasi da Tamburini. La valutazione in termini di attendibilità deve, infatti, essere effettuata nel suo complesso e avuto particolare riguardo al materiale acquisito al presente procedimento, dal quale emerge l’atteggiamento pienamente collaborativo dello stesso. Dichiarazioni, quelle rese da Tamburini, che hanno, peraltro, condotto all’applicazione, nei suoi stessi confronti, della sanzione della squalifica. Si aggiunga che anche la giurisprudenza ordinaria prevalente è orientata nel senso della attendibilità della dichiarazione testimoniale, salvo prova contraria (cfr., ad es., Cassazione pen., 6 aprile 1999, in Cass. pen., 2000, p. 2382). In particolare, secondo diverse pronunce, il giudice deve considerare come veritiera la deposizione, a meno che non risultino specifici elementi che facciano ritenere il contrario, come, ad esempio, quando si tratta di teste che ha interesse a mentire. E, come detto, nel caso di specie, Tamburini non ha alcun interesse a mentire, ma, anzi, con le deposizioni di cui si è detto, confessa -di fatto- anche di aver posto egli stesso in essere gli illeciti sportivi contestati. La stessa Corte di Cassazione ha, poi, avuto modo di precisare - sia in passato (n. 231/1991), sia di recente (n. 41352/2010) - che la chiamata in correità, laddove circostanziata, non richiede un riscontro probatorio specifico. Del resto, a prescindere dal contesto probatorio di cui si è detto, non appare in alcun modo suscettibile di accoglimento la diversa versione nella quale, con vari e suggestivi argomenti finalizzati ad evidenziare incongruenze e contraddizioni della ricostruzione accusatoria, si è impegnata la difesa, nella prospettiva di mettere in discussione la verosimiglianza della dinamica ricostruttiva di cui si è detto. Prive di pregio, altresì, le deduzioni della società reclamante in punto di responsabilità oggettiva. Sotto un profilo generale è opportuno, anzitutto, richiamare la consolidata giurisprudenza di questa Corte. «La responsabilità oggettiva opera, per sua natura, per la semplice ricorrenza del nesso formale che lega il tesserato responsabile di un’infrazione dei precetti disciplinari e la società cui è contrattualmente legato, all’accertata condizione che l’infrazione stessa sia commessa durante, o trovi causa o possibilità di esplicazione nella, prestazione sportiva cui il tesserato è tenuto. Nessuna delle forme di elemento soggettivo (dolo o colpa) necessarie per integrare le figure tipiche della responsabilità previste da altri rami dell’ordinamento di diritto comune è prevista in ambito sportivo; del resto, lo stesso ordinamento civilistico conosce fattispecie di affermazione di responsabilità prescindendo dal dolo o dalla colpa, in considerazione del bene protetto (ad esempio la salute del consumatore) o della natura intrinsecamente rischiosa dell’attività imprenditoriale esercitata (ad esempio quella nucleare). Anche l’ordinamento federale adotta la precauzione, nei confronti della collettività di appassionati e sostenitori nonché dei fruitori o partecipanti a giochi, scommesse, lotterie di rilevanza pubblica, di imputare il risultato delle condotte illecite dei singoli agli enti di appartenenza all’ovvio scopo di stimolare questi ultimi alle più stringenti modalità di controllo e, comunque, di costituire un’ulteriore barriera di tutela verso il pubblico ed i valori della correttezza e lealtà nelle competizioni sportive» (cfr., tra le altre, C.G.F., Sez. Unite, Com. Uff. n. 043/CGF Stagione Sportiva 2011/2012). Quanto detto vale ad escludere fondatezza alla tesi difensiva dell’estraneità o irriferibilità alla impugnante delle condotte del proprio collaboratore Rosati, condotte gravi e lesive dei principi ispiratori delle attività agonistiche. Del resto, come già anche in passato osservato dalla giurisprudenza federale (C.A.F. Com. Uff. n. 7/C Stagione Sportiva 2004/2005), deve ricordarsi che nell’ambito dell’ordinamento sportivo la larga utilizzazione, in particolare nel calcio, dei moduli della responsabilità oggettiva è correlata in primo luogo a necessità operative ed organizzative, trattandosi di strumento di semplificazione utile a venire a capo, in tempi celeri e compatibili con il prosieguo dell’attività sportiva e quindi con la regolarità delle competizioni e dei campionati, di situazioni di fatto che altrimenti richiederebbero, anche al fine di definire le varie posizioni giuridicamente rilevanti in campo, lunghe procedure e complessi, oltre che costosi, accertamenti. L’ordinamento sportivo, del resto, non può permettersi di lasciare determinati eventi impuniti o comunque privi di conseguenze sanzionatorie. Il largo impiego nell’ordinamento sportivo del modello della responsabilità civile è diretto ad evitare che determinati eventi rimangano, quantomeno sotto il profilo disciplinare, privi di conseguenza, ma è anche rivolto a tutelare e salvaguardare il raggiungimento degli scopi cui è finalizzato il gioco del calcio, previa garanzia della regolarità della competizione sportiva (cfr. C.A.F., 6 aprile 1984, in Riv. dir. sport., 1985, 124). È evidente che non occorre alcuno specifico accertamento della responsabilità in capo all’ente sportivo, se non nei limiti anzidetti, ossia della generale riferibilità alla società medesima dell’autore materiale dell’illecito, dell’antigiuridicità del suo comportamento e dell’imputabilità di detta condotta al medesimo autore a titolo di dolo o colpa. Del resto, occorre tenere presente che in tali casi la responsabilità oggettiva della società si manifesta non già quale criterio primario di individuazione del responsabile dell’illecito, bensì quale criterio secondario di affiancamento, così che alla responsabilità dell’autore materiale si aggiunge quella della società, solo se e in quanto, ovviamente, la prima sussista. Ciò premesso sul piano generale e funzionale è noto come le società possano essere chiamate a rispondere a titolo di responsabilità diretta, presunta ed oggettiva. Le società rispondono direttamente dell’operato di chi le rappresenta ai sensi dei regolamenti federali; sono presunte responsabili, sino a prova contraria, degli illeciti sportivi a loro vantaggio, che risultino commessi da persone ad esse estranee (questa fattispecie viene qui in rilievo a proposito dell’operato di Tamburini); sono, infine, oggettivamente responsabili, agli effetti disciplinari. dell’operato dei propri dirigenti, soci, tesserati e di coloro che agiscono nel loro interesse (e qui viene in rilievo la condotta Rosati). Orbene, nel caso di specie la Reggina Calcio S.p.A. deve rispondere, a titolo di responsabilità oggettiva, per l’operato del proprio collaboratore Giovanni Rosati. Difatti, ai sensi dell’art. 4, comma 2, C.G.S., «le società rispondono oggettivamente, ai fini disciplinari, dell'operato dei dirigenti, dei tesserati e dei soggetti di cui all’art. 1, comma 5». Norma, quest’ultima, che così recita: «Sono tenuti alla osservanza delle norme contenute nel presente Codice e delle norme statutarie e federali anche i soci e non soci cui è riconducibile, direttamente o indirettamente, il controllo delle società stesse, nonché coloro che svolgono qualsiasi attività all’interno o nell’interesse di una società o comunque rilevante per l’ordinamento federale». Non può, dunque, esservi dubbio che il contratto di collaborazione pacificamente in essere, all’epoca dei fatti, tra Reggina Calcio S.p.A. e Team Service s.n.c., di cui Rosati è legale rappresentante e socio illimitatamente responsabile, conduce, anche alla luce dei noti principi giuscommercialistici, ad includere lo stesso tra i soggetti indicati dalla norma prima citata, atteso lo svolgimento di attività certamente rilevante per l’ordinamento federale nell’interesse della società reclamante. Nella fattispecie, infatti, la posizione del club, nelle ipotesi in cui è chiamato a rispondere a titolo di responsabilità oggettiva, rimane del tutto estranea a quella dell’agente, che può addirittura, appunto, non essere in rapporto organico con il sodalizio. Del pari pacifica la responsabilità presunta della Reggina Calcio S.p.A. per la condotta del sig. Tamburini. Ai sensi dell’art. 4, comma 5, infatti, «le società sono presunte responsabili degli illeciti sportivi commessi a loro vantaggio da persone a esse estranee. La responsabilità è esclusa quando risulti o vi sia un ragionevole dubbio che la società non abbia partecipato all'illecito o lo abbia ignorato». Nel caso di specie, considerata l’affermazione di responsabilità per la condotta ascritta a Juri Tamburini, la società Reggina Calcio deve essere chiamata a rispondere a titolo di responsabilità presunta, non essendo ravvisabile l’ipotesi scriminante, configurata dalla norma prima citata, in ordine alla sussistenza di prova o ragionevole dubbio che la compagine societaria sportiva sia rimasta estranea ed abbia ignorato l’illecito. Nessun dubbio, poi, questo Collegio nutre in ordine al concorso tra le fattispecie di responsabilità che, peraltro, pur riferendosi al medesimo illecito, trovano presupposto in due diverse condotte attribuibili a due diversi soggetti. Quanto in punto di graduazione della sanzione, si è prima osservato come la responsabilità oggettiva trovi, nell’ottica della speciale autonomia dell’ordinamento sportivo e delle sue finalità, una valida giustificazione, essendo anche funzionale all’esigenza di assicurare il pacifico e regolare svolgimento delle competizioni sportive. L’Organo giudicante, tuttavia, come anche ricordato dalla Commissione, conserva il potere di graduazione della sanzione, che deve sempre essere correlata ed adeguata al caso di specie. Queste considerazioni di carattere generale inducono la Corte a ritenere ammissibile una riduzione della sanzione inflitta alla società nel senso, in via subordinato, auspicato dalla medesima reclamante. Avuto, infatti, riguardo agli elementi tutti che connotano il caso di specie e considerata la mancanza di prova del coinvolgimento diretto nella materiale causalità dell’accaduto (pur non potendo lo stesso o, quantomeno la conoscenza dell’illecito da parte della società, essere escluso), ritiene questa CGF maggiormente congrua, per l’incolpazione della Reggina Calcio a titolo a responsabilità oggettiva, la sanzione della penalizzazione in classifica di punti 2, ferma restando l’ulteriore penalizzazione di punti 1 a titolo di responsabilità presunta. In conclusione, l’appello va parzialmente accolto nei soli limiti di cui in motivazione. Per questi motivi la C.G.F. in parziale accoglimento del ricorso come sopra proposto dalla Reggina Calcio S.p.A. di Reggio Calabria riduce la sanzione della penalizzazione a punti 3 in classifica da scontarsi nella Stagione Sportiva 2012/2013. Dispone restituirsi la tassa reclamo.
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