F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – Sezioni Unite – 2012/2013 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 02/CGF del 2 – 3 -5 e 6 Luglio 2012 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 033/CGF del 27 agosto 2012 e su www.figc.it 36) RICORSO DEL CALC. MATTIA SERAFINI AVVERSO LA SANZIONE DELLA SQUALIFICA PER 3 ANNI E 6 MESI, INFLITTA PER VIOLAZIONE DELL’ART. 7 COMMI 1, 2, 5 E 6 C.G.S, IN RELAZIONE ALLA GARA SALERNITANA – ALBINOLEFFE DEL 18.4.2009, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 8011/33PF11-12/SP/BLP DELL’8.5.2012 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 101/CDN del 18.6.2012)

F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – Sezioni Unite - 2012/2013 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 02/CGF del 2 – 3 -5 e 6 Luglio 2012 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 033/CGF del 27 agosto 2012 e su www.figc.it 36) RICORSO DEL CALC. MATTIA SERAFINI AVVERSO LA SANZIONE DELLA SQUALIFICA PER 3 ANNI E 6 MESI, INFLITTA PER VIOLAZIONE DELL’ART. 7 COMMI 1, 2, 5 E 6 C.G.S, IN RELAZIONE ALLA GARA SALERNITANA – ALBINOLEFFE DEL 18.4.2009, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE - NOTA N. 8011/33PF11-12/SP/BLP DELL’8.5.2012 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 101/CDN del 18.6.2012) Il calciatore Mattia Serafini, all’epoca dei fatti in contestazione tesserato per la società U.C. Albinoleffe S.r.l. di Albino (BG), ha proposto ricorso nei termini abbreviati di cui al Com. Uff. n. 153/A/2012, avverso quanto deciso, nei suoi confronti, dalla Commissione Disciplinare Nazionale, così come riportato in epigrafe, lamentando l’assoluta ingiustizia della sanzione, asseritamente irrogatagli solo sulla base della chiamata in correità di Carlo Gervasoni, ritenuta priva di qualsiasi attendibilità intrinseca ed estrinseca. La difesa del calciatore, rappresentata dall’avv. Sergio Puglisi Maraja ha chiesto l’integrale riforma della decisione del Giudice di primo grado deducendo che quella Commissione Disciplinare Nazionale avrebbe inflitto la sanzione omettendo di verificare l’attendibilità del dichiarante e quella, intrinseca ed estrinseca, della dichiarazione stessa e violando, così facendo, i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico. Ci si duole, pertanto, del credito dato dalla Commissione Disciplinare alle affermazioni autoeteroaccusatorie del Gervasoni, di come esse siano imprecise e generiche, prive di riferimenti puntuali. La doglianza è rivolta, quindi, avverso una decisione che si reputa palesemente affetta da insuperabile carenza probatoria e si chiede che, in riforma, la squalifica inflitta al Serafini sia annullata. La vicenda in esame merita di essere puntualizzata, sia dal punto di vista della sua contestualizzazione materiale che in ordine al suo sviluppo processuale. Il procedimento, che vive la sua fase di appello dinanzi questa Corte, è stato originato dal provvedimento di deferimento della Procura Federale che, sulla base di quanto previsto ex art. 2 della legge n. 401/89 e dell’art. 116 c.p.p. ha chiesto e ottenuto, dall’Autorità Giudiziaria di Cremona, la trasmissione degli atti relativi ad una complessa attività di indagine – che peraltro costituisce il prosieguo di altre investigazioni già riferite alla Procura Federale nella primavera estate del 2011 e già oggetto di cognizione da parte di questa Corte (vedi fra gli altri, Com. Uff. n. 061/CGF – n. 043/CGF e n. 056/CGF) - riguardante una capillare associazione delinquenziale finalizzata ad alterare, tramite il fattivo coinvolgimento di tesserati, i risultati di molte partite del campionato italiano di calcio delle diverse categorie e, per effetto delle scommesse effettuate sul loro esito, finale o parziale e sul numero delle reti realizzate, trarre ingenti profitti illeciti. Sulla base di tale documentazione la Procura Federale ha poi proceduto a svolgere autonoma attività di accertamento a conferma dei comportamenti illeciti dei tesserati della Federazione che ha consentito, secondo l’impianto accusatorio posto alla valutazione del giudicante, di acquisire elementi di oggettivo conforto sulla sussistenza sia della predetta associazione, costituita anche in dispregio di quanto previsto dall’art. 9 C.G.S., sia della fitta rete di contatti stabili tra i tesserati, tutti univocamente preordinati al conseguimento delle finalità illecite del sodalizio (ossia quello di alterare il normale contesto agonistico delle partite, anche attraverso un’intensa opera di reclutamento, affiliazione o anche solo episodica partecipazione di altri tesserati) sia, da ultimo, di appurare come il sistema godesse di un’interessata omertà da parte di coloro che, pur non direttamente partecipi al progetto criminoso, ne traevano profitto effettuando scommesse in violazione, anche qui, del divieto imposto dall’art.6 C.G.S.. Su questo quadro di fondo va inserita la specifica vicenda oggetto della presente cognizione. La Procura Federale, nel suo atto di deferimento alla Commissione Disciplinare Nazionale, ha contestato al sig. Mattia Serafini di aver, in concorso con altri giocatori (Carlo Gervasoni, Filippo Carobbio, Antonio Narciso e Francesco Ruopolo) tutti tesserati, all’epoca per la società U.S. Albinoleffe S.r.l., alterato il regolare svolgimento della gara Salernitana/Albinoleffe del 18.4.2009, con l’aggravante del raggiungimento dello scopo fraudolento. Nel provvedimento di accusa la contestazione è stata formulata con il conforto delle dichiarazioni autoeteroaccusatorie di Carlo Gervasoni, e di Filippo Carobbio, delle ammissioni di Francesco Ruopolo e degli elementi di conferma indiretta forniti da Antonio Narciso. In particolare il Gervasoni, interrogato dal G.I.P. di Cremona in data 22.12.2011 aveva riferito di essere stato coinvolto nel progetto di alterazione di tre partite, tra cui Salernitana- Albinoleffe, confermando tale ammissione il successivo 27.12.2011 al P.M. della città lombarda al quale ha altresì riferito che parimenti coinvolti erano i suoi compagni di squadra Carobbio, Narciso, Serafini e Ruopolo e che la cifra complessivamente percepita era stata di circa €. 90.000,00. Affermazioni di conforme contenuto erano state rilasciate dal giocatore Carobbio al Procuratore Federale in data 29.2.2012, dal giocatore Narciso (v. dichiarazioni al Procuratore Federale del 7.3.2012) e dal Ruopolo, sempre in data 7.3.2012, il quale ultimo, seppur negando il proprio fattivo coinvolgimento, aveva ammesso l’esistenza del progetto criminoso. La Commissione Disciplinare Nazionale, con specifico riguardo alla partita Salernitana/Albinoleffe del 18.4.2009, ha disposto l’applicazione , su conforme richiesta delle parti, di sanzioni ai sensi degli artt. 23 e 24 C.G.S. nei confronti dei calciatori Carobbio, Gervasoni, Narciso e Ruopolo e sancito la responsabilità del calciatore Mattia Serafini per violazione dell’art. 7, commi 1,2 e 5, con l’aggravante di cui al comma 6 C.G.S. con conseguente irrogazione della squalifica per anni 3 e mesi 6. Analoga e conseguente responsabilità è stata sancita per la società di appartenenza coinvolta. Dinanzi a questa Corte il giorno 2 luglio 2012, l’avv. Maraja ha insistito nella tesi dell’inattendibilità della chiamata in correità e della necessità che tali dichiarazioni trovino adeguato riscontro oggettivo, concludendo per l’assoluzione del suo assistito mentre il Procuratore Federale avv. Stefano Palazzi ha ribadito la propria richiesta di conferma della sanzione inflitta in primo quadro sulla base di un quadro probatorio definito “granitico” e che troverebbe indiretta conferma anche dalla richiesta di applicazione di sanzione su richiesta di parte avanzata e ottenuta da quattro dei cinque calciatori coinvolti. La Corte esaminati gli atti e valutate appieno le argomentazioni addotte dalle rispettive parti a sostegno delle loro tesi, ritiene che il ricorso proposto dal tesserato Mattia Serafini non possa essere accolto in ragione del fatto che, ad avviso di questo Collegio, la commissione dell’ illecito p. e p. dall’art. 7 commi 1,2,e 5 C.G.S. sia più che sufficientemente provato, al pari della ricorrenza dell’aggravante di cui al comma 6 del medesimo art. 7 C.G.S.. La difesa dell’appellante ha rammentato a questa Corte la necessità della costante applicazione dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano ed europeo, tra i quali quelli ad un “giusto processo” ex art. 111 Cost., cosicché la prova dedotta in giudizio e consistente nella “chiamata in correità” di taluno deve essere scrutinata attraverso l’attenta verifica dell’attendibilità della stessa e del suo autore, asseritamente non effettuata dal giudice di prime cure. Questi, pur nell’assenza di riscontri oggettivi - così come asseritamente ammesso dal Procuratore Federale il quale, nell’atto di deferimento, avrebbe confermato l’assenza di “utenze riservate”, di “contatti frenetici fra le parti in occasione delle gare” o “dazioni di somme di denaro”- avrebbe acriticamente fatto propria la tesi della Procura e inflitto la sanzione in epigrafe. In sostanza, ci si duole che la Commissione Disciplinare Nazionale abbia irrogato la sanzione de qua sulla sola affermazione del calciatore Carlo Gervasoni “priva di alcun riscontro e senza alcuna convergenza di dichiarazioni” e senza, peraltro, alcuna “esauriente ed adeguata motivazione” in merito. La decisione che segue merita che, preliminarmente, la vicenda sia ascritta in un quadro descrittivo fenomenico e giuridico che ne consenta una migliore intelligibilità della vicenda. A seguito di notizie stampa circa attività istruttoria condotta dalla Procura della Repubblica di Cremona in merito all’esistenza di una associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva mediante alterazione del corretto svolgimento di partite di calcio dei vari campionati svolgentisi sotto l’egida federale (reato mezzo) ed effettuazione di scommesse in denaro sulle stesse gare, dall’esito scontato alla luce dell’attività presupposta (reato fine), scommesse in ogni caso vietate ai tesserati ai sensi dell’art. 6 C.G.S., il Procuratore Federale aveva richiesto agli inquirenti di poter acquisire copia degli atti di interesse per poter avviare l’azione di propria competenza. Acquisita, nel corso di proficua e prolungata collaborazione, la documentazione messa a disposizione dall’Autorità Giudiziaria ordinaria (Procura della Repubblica ed Ufficio del G.I.P. del Tribunale di Cremona) la Procura Federale ha provveduto ad effettuare attività istruttoria, nel corso della quale i tesserati, che nella precedente sede avevano fornito ampia ed illuminante collaborazione, hanno confermato le loro dichiarazioni autoeteroaccusatorie mentre altri hanno negato il loro coinvolgimento. Va detto, in primo luogo, che non può dubitarsi (e nessuno degli appellanti ne dubita) dell’esistenza di una vasta e radicata organizzazione delinquenziale transnazionale gestita, al vertice, da soggetti estranei all’ordinamento sportivo ma nella quale si collocavano, indubitabilmente in posizione di assoluto rilievo (vedi, da ultimo, ordinanza custodia cautelare in calce emessa dal G.I.P. del Tribunale di Cremona del 2 febbraio 2012), tesserati di questa Federazione, ai quali era stata affidata la responsabilità di coinvolgere altri soggetti, in organico a società calcistiche, in tutte le fasi, preparatorie ed esecutive, del disegno criminoso, nonché di “garantire” il buon esito degli accordi illeciti. Il raggiunto grado di certezza – anche se allo stato di indagini preliminari penali – della sua esistenza, delle sue dimensioni transazionali e della sua pericolosità, ancorché acclarata nell’ambito di un ordinamento giudiziario diverso e indipendente rispetto all’ordinamento sportivo (autonomia dell’ordinamento sportivo confermata dalla Corte Costituzionale in sent. n. 49/2011), non può non essere assunto come dato acquisito nel presente procedimento, anche se le risultanze cui si è pervenuti in quella sede debbano essere intese solo come risultato fattuale e senza che questo privi l’autorità sportiva del potere di procedere ad autonome verifiche e acquisizioni istruttorie sui fatti illeciti addebitati a soggetti giuridici sottoposti a questo ordinamento. Né, del pari, viene meno la possibilità di pervenire, sugli stessi fatti materiali, ad un convincimento proprio, fondato appunto su una distinta valutazione circa la sussistenza o meno di comportamenti costituenti violazione di norme federali. Questo non esclude, ovviamente, che si possa giungere a coerenti e collimanti affermazioni di responsabilità, atteso che norme penali e regole federali hanno, pur con genesi diversa e procedimentalizzazioni perspicue, finalità omogenee quanto al ripristino dell’ordine violato e all’affermazione di principi superindividuali ed essenziali per l’organizzazione sociale.. Principi e regolae iuris che pur esplicando la loro diretta ed immediata incidenza nell’ordinamento che li prevedono, non escludono che la loro essenza possa essere – per la loro forza persuasiva e intrinseca condivisione - trasfusa in ordinamenti diversi nella generale esigenza, propria di ogni società civile, di salvaguardare – sempre e comunque – i valori etici fondanti ogni communitas, antica o moderna che sia. La valenza generale di principi di diritto comune (nel rispetto dell’autonomia degli ordinamenti) fa sì che anche nell’ordinamento sportivo – e federale in questo caso – ogni responsabilità sia affermata in base ad oggettivi riscontri e non mere illazioni, dicerie, congetture che non hanno dignità di prova o di argomento di prova. Nell’implicito richiamo a questo principio cardine di ogni sistema processuale la difesa del calciatore Serafini si lamenta che al suo assistito sia stata comminata una sanzione gravemente afflittiva in base alle sole dichiarazioni di soggetto sodale ad un sistema criminoso, rimaste prive di adeguato riscontro. Sul punto deve affermarsi che se è vero che l’ordinamento giustiziale federale è improntato a dare celere risposta alle condotte poste in essere in violazione dei suoi canoni, è altresì vero che la risposta non può concretizzarsi in una sorta di giustizia sommaria e meramente indiziaria: celerità e giustizia effettiva non sono termini antitetici di un sistema ma assolutamente complementari in un contesto processuale che ha quale suo essenziale scopo quello di ripristinare l’ordine giuridico vulnerato. E, allora, se l’esigenza era ed è quella di valutare l’efficacia probatoria delle dichiarazioni autoeteroaccusatorie rese, non può dirsi che ciò non sia stato fatto dal giudice di primo grado solo per la mancanza di improbabili riscontri oggettivi esterni. Il parametro cui fare rinvio per valutare le dichiarazioni di Gervasoni è quello posto dall’art. 192, commi 3 e 4 c.p.p. e la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha avuto costantemente modo di affermare che “In tema di valutazione della prova, allorché il chiamante in correità rende dichiarazioni che concernono una pluralità di fatti-reato commessi dallo stesso soggetto e ripetuti nel tempo, l’elemento esterno di riscontri in ordine ad alcuni di essi fornisce sul piano logico la necessaria integrazione probatoria a conforto della chiamata anche in relazione agli altri purché sussistano ragioni idonee a suffragare un tale giudizio e ad imporre una valutazione unitaria delle dichiarazioni accusatorie, quali l’identica natura dei fatti in questione, l’identità dei protagonisti o di alcuni di loro, l’inserirsi dei fatti in un rapporto intersoggettivo unico e continuativo. Infatti, gli elementi integratori della prova costituita da dichiarazioni rese da un imputato dello stesso reato o di un reato connesso, ex art. 192 c.p.p., comma 3, possono essere della più varia natura, e quindi anche di carattere logico, purché riconducibili a fatti esterni a quelle dichiarazioni” (Cass. pen. VI sez., n. 41352/2010 e giurisprud. ivi richiamata). Nello stesso senso Cass. pen. Sez. Vi n. 42705/2010 “In tema di valutazione della chiamata in correità proveniente da un soggetto che abbia reso dichiarazioni complesse, oggetto della valutazione è la dichiarazione globale del chiamante, relativamente ad un determinato episodio criminoso nelle sue componenti oggettive e soggettive, e non ciascuno dei punti dallo stesso riferiti. Ne consegue che per stabilire l'attendibilità di una dichiarazione concernente più chiamate fra loro strettamente collegate, si può tener conto anche solo di alcuni aspetti significativi di essa, in modo che, una volta effettuata l'operazione con esito positivo, il giudice di merito possa legittimamente riconoscere valore probatorio a tutta la dichiarazione e non solo a quella specificamente riscontrata.” La conseguenza, sul piano ermeneutico, è che le dichiarazioni di un correo che descrive un complesso fenomenico che, nella sua generalità, si è dimostrato attendibile, non possono essere messe in discussione se, nel riferire una quantità significativa di episodi, incorra in qualche errore di dettaglio o non emerga quel riscontro oggettivo principe quale la c.d. smoking gun o il documento formale di natura negoziale che impegni i sodali allo svolgimento dell’attività criminosa. Il riscontro, sul piano logico, di un singolo fatto può essere ragionevolmente rinvenuto allorché esso si inserisca – senza palesi contraddizioni – in un contesto più generale che ha trovato oggettive e positive verifiche esterne. Nel caso di specie, non trova concordanza nei fatti processuali l’affermazione difensiva che la sanzione al Serafini sia stata fatta, da un lato, sulla sola base di una ed una sola dichiarazione (quella del Gervasoni) e che tale elemento non sia stato oggetto di puntuale sindacato da parte del giudice di prime cure. Infatti, il coinvolgimento del Serafini nell’alterazione della gara Salernitana –Albinoleffe del 18.4.2009 emerge non solo dalle affermazioni di Gervasoni, rese all’A.G. ordinaria il 22.12.2011 ed il 27.12.2011 ma esse sono state puntualmente confermate dal Carobbio, dinanzi alla stessa Autorità il 19 gennaio successivo: entrambi hanno indicato il Serafini come calciatore partecipe del progetto, riferendo l’accordo intercorso come pacificamente concluso e inserito in un contesto di collaudata reiterazione del reato e con la partecipazione di giocatori, come il Ruopolo ed il Narciso che o hanno ammesso il loro coinvolgimento diretto o hanno comunque riferito, come pacifica circostanza, l’avvenuta “combine” e la partecipazioni di più giocatori dell’Albinoleffe. Le dichiarazioni dei calciatori che, come ha ricordato la Procura in dibattimento, hanno richiesto l’applicazione delle sanzioni ex artt. 23 e 24 C.G.S., appaiono dotate di sicura genuinità e forniscono adeguato e reciproco – ma non solo – riscontro sia del fenomeno associativo che dell’avvenuta concretizzazione del patto illecito dimostrandosi prive di significative contraddizioni sui luoghi o momenti degli incontri. Lo stesso Serafini, al di là di generiche affermazioni negatorie, ha confermato sia il legame amicale col Gervasoni che la frequentazione col Carobbio e fornisce, involontariamente, una possibile, diversa chiave di lettura del suo coinvolgimento, ovvero l’assenza – in quella gara – di Conteh (altro giocatore partecipe del sodalizio) che imponeva di assicurare la fattiva partecipazione al progetto di un altro giocatore affidabile. L’organicità di una siffatta procedura la si ricava, peraltro, anche dalla “naturalezza” dei contatti che si instaurano alla vigilia degli incontri e che fanno dire al Ruopolo (cfr. verbale Procura Federale del 7.3.2012) che non sempre vi era bisogno di preventiva riunione dei giocatori. L’accordo, quindi, nel caso in esame, poteva concludersi de plano anche senza ricorrere a inutili formalità. Non si riscontra, invece, nell’atto di deferimento quanto affermato dalla difesa allorché riferisce che la Procura (pag. 3 della memoria” avrebbe ammesso l’insussistenza di contatti tra i giocatori o dazioni di denaro oppure l’esistenza di utenze riservate. A ben vedere, al contrario, la Procura Federale, a pag. 68 del deferimento che precede osserva che “Le dichiarazioni autoeteroaccusatorie di Gervasoni (peraltro su una gara non oggetto di indagine della Procura di Cremona e quindi allo stesso non addebitata) risultano attendibili in quanto si appalesano precise e circostanziate sull’indicazione dei partecipanti, sulla sequenza degli eventi, sull’entità delle dazioni di denaro e sulla tempistica e modalità di consegna delle somme ai partecipanti all’accordo…”. Quanto acquisito su di un piano comunque “probatorio”- per le ragioni che seguono – ad avviso di questa Corte appare assolutamente idoneo a concretizzare la responsabilità del giocatore Mattia Serafini in ordine alla contestazione mossa dalla Procura Federale e condivisa dal Giudice di prime cure il quale, a differenza di quanto assunto dalla difesa, nel valutare la richiesta del requirente, ha analizzato le dichiarazioni di Gervasoni, Carobbio e Ruopolo nonché quella di Serafini, criticando l’argomentazione di quest’ultimo circa una presunto valore di estraneità rappresentato dall’aver segnato un gol all’ultimo minuto (assolutamente ininfluente sul buon esito del patto illecito). Appare a questo Collegio che gli elementi che precedono, tra loro assolutamente congruenti e non assistiti da diversa rappresentazione dei fatti o evidenti contraddizioni, siano idonei a confermare l’affermata responsabilità del giocatore Mattia Serafini. Infatti, quanto all’intensità e valenza del livello probante delle acquisizioni deve ricordarsi come il TNAS, più volte invocato nel corso del giudizio innanzi questa Corte, abbia affermato, in procedimenti similari a quello odierno che “per ritenere la responsabilità da parte del soggetto incolpato di una violazione disciplinare sportiva non è necessaria la certezza assoluta della commistione dell’illecito – certezza che, peraltro, nella maggior parte dei casi sarebbe una mera astrazione – né il superamento del ragionevole dubbio, come nel diritto penale. Tale definizione dello standard probatorio ha ricevuto, nell’ordinamento sportivo, una codificazione espressa in materia di violazione delle norme antidoping, laddove si prevede che il grado di prova richiesto, per poter ritenere sussistente una violazione, deve essere comunque superiore alla semplice valutazione delle probabilità , ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio. A tale principio deve assegnarsi una portata generale, sicché deve ritenersi sufficiente un grado inferiore di certezza, ottenuta sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, in modo tale da acquisire una ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito” (TNAS Amodio/FIGC del 10.2.2012, principio confermato in TNAS Signori/FIGC del 26.4.2012 “per irrogare la condanna di un illecito sportivo è sufficiente un grado di prova superiore al generico livello probabilistico, non essendo necessaria, al contrario, né la certezza assoluta dell’ascrivibilità della condotta illecita, né il superamento del ragionevole dubbio. Ciò in relazione alla finalità dell’ordinamento federale di garantire, attraverso una rapida e certa repressione delle condotte antisportive, la regolarità delle gare e, per essa, i fondamentali valori giuridici settoriali della correttezza e lealtà delle competizioni (art. 1 legge n. 401/1998); fine da perseguire peraltro con assai più limitati strumenti di indagine rispetto a quelli a disposizione dell’A.G.O.”) Ora, anche a voler trascendere da ogni disquisizione circa l’esatto limite tra probabilità rafforzata e raggiungimento di un convincimento oltre ogni possibile dubbio, si deve affermare che la responsabilità nella commissione dell’illecito sportivo è fattispecie che non può non scontare la difficoltà dell’acquisizione probatoria in senso pieno, essendo essa ontologicamente e funzionalmente legata a comportamenti per loro natura sfuggevoli, che trovano quasi sempre il solo riscontro nelle affermazioni dei partecipi al progetto illecito. Ma la ricordata difficoltà può essere superata ove si acquisisca una serie organica di elementi aventi una loro congruità oggettiva e generale che fanno raggiungere, al giudicante, il sereno convincimento, sulla base delle dichiarazioni e dei riscontri effettuati sulla loro genuinità, sull’ assoluta verosimiglianza di quanto riferito. Nel caso in esame non può mettersi in dubbio che il Gervasoni sia stato soggetto a pieno titolo inserito nell’organizzazione, al pari di Carobbio, e che altri tesserati abbiano dato adesione al progetto nel momento in cui la squadra di appartenenza disputava determinati incontri suscettibili di alterazione; che la partita in esame sia stata oggetto di un progetto di “combine” poi realizzatosi; che i plurimi contatti tra i giocatori coinvolti anche nel presente caso non possano dirsi fortuiti ma certificativi del vincolo solidale tra di essi raggiunto. Si tratta, quindi, di circostanze che, sebbene esterne al singolo episodio riguardante il Serafini, depongono per la genuinità del quadro associativo descritto dai soggetti collaboranti e delle singoli posizioni dei tesserati all’interno di esso, sia in veste di organizzatori che di semplici aderenti. Nel corso del dibattimento non si è, al contrario, raggiunta alcuna prova, alcun serio indizio, che le dichiarazioni del Gervasoni siano state – soprattutto nel caso di specie – vulnerate da gravi contraddizioni oppure costruite ad arte per risentimento personale nei confronti di soggetto che ha confessato avere col dichiarante un rapporto amicale. D’altronde, il Gervasoni riferisce fatti e circostanze che trovano pieno riscontro nelle dichiarazioni altrui. Come dimostrato dal complessivo giudizio di prime cure e a riprova della compiuta, serena valutazione degli elementi accusatori formulati dalla Procura Federale, nel caso in cui le stesse dichiarazioni non abbiano trovato il benché minimo riscontro, il soggetto interessato è stato mandato assolto dallo specifico addebito. Nelle fattispecie oggetto di appello, il riferito coinvolgimento del Serafini nel progetto (realizzatosi) dell’alterazione della gara Salernitana – Albinoleffe del 18.4.2009 ha trovato indubbia conferma dalle plurime dichiarazioni che attestano incontrovertibilmente la cosciente partecipazione del Serafini al disegno criminoso, perfettamente compatibili con il quadro emergente dalla generale summa dei riscontri raggiunti sull’esistenza dell’organizzazione, sui soggetti partecipi e sulla fitta rete di rapporti intessuti con i vari tesserati, conferma non revocata – in generale e nel particolare episodio oggetto di valutazione – nella presente fase. Alla luce della complessiva motivazione sopra riportata, il reclamo del tesserato Mattia Serafini deve essere respinto con conferma integrale, sul punto, della decisione della Commissione Disciplinare Nazionale. Per questi motivi la C.G.F. respinge il ricorso come sopra proposto dal calciatore Mattia Serafini e dispone incamerarsi la tassa reclamo.
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