F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – Sezioni Unite – 2012/2013 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 030/CGF del 21 Agosto 2012 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 035/CGF del 27 agosto 2012 e su www.figc.it 5) RICORSO DELL’ U.S. LECCE S.P.A. AVVERSO LA SANZIONE DELL’ESCLUSIONE DAL CAMPIONATO DI COMPETENZA DI SERIE B 2012/2013, CON ASSEGNAZIONE DA PARTE DEL CONSIGLIO FEDERALE A UNO DEI CAMPIONATI DI CATEGORIA INFERIORE E AMMENDA DI € 30.000 INFLITTA AI SENSI DEGLI ARTT. 7 COMMI 2, 3, 4, 6 E 4 COMMI 1, 2 E 5 C.G.S., IN RELAZIONE ALLA GARA BARI/LECCE DEL 15.5.2011, PER IL COMPORTAMENTO ASCRITTO AL PRESIDENTE SIG. SEMERARO PIERANDREA, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 542/463 PF10- 11/SP/MG DEL 25 LUGLIO 2012 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 12/CDN del 10.8.2012)

F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – Sezioni Unite - 2012/2013 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 030/CGF del 21 Agosto 2012 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 035/CGF del 27 agosto 2012 e su www.figc.it 5) RICORSO DELL’ U.S. LECCE S.P.A. AVVERSO LA SANZIONE DELL’ESCLUSIONE DAL CAMPIONATO DI COMPETENZA DI SERIE B 2012/2013, CON ASSEGNAZIONE DA PARTE DEL CONSIGLIO FEDERALE A UNO DEI CAMPIONATI DI CATEGORIA INFERIORE E AMMENDA DI € 30.000 INFLITTA AI SENSI DEGLI ARTT. 7 COMMI 2, 3, 4, 6 E 4 COMMI 1, 2 E 5 C.G.S., IN RELAZIONE ALLA GARA BARI/LECCE DEL 15.5.2011, PER IL COMPORTAMENTO ASCRITTO AL PRESIDENTE SIG. SEMERARO PIERANDREA, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 542/463 PF10- 11/SP/MG DEL 25 LUGLIO 2012 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 12/CDN del 10.8.2012) 1. Con ordinanza del 31 marzo 2012 il GIP del Tribunale di Bari, pronunciandosi sulla richiesta del PM della stessa sede, applicava la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Andrea Masiello, Giovanni Carella e Fabio Giacobbe, contro cui si procedeva in relazione ai reati di cui agli artt. 416 CP e 3 L. 401/1989 per essersi, tra l’altro, associati tra loro per alterare a fini di lucro il corretto e leale svolgimento della partita Bari-Lecce del campionato di calcio di Serie A svoltasi in data 15 maggio 2011. Nel proprio provvedimento, il GIP ricostruiva il contesto del procedimento penale, che riferiva ad un fenomeno antigiuridico del quale calciatori dell’A.S. Bari, in concorso con non tesserati, si sarebbe resi protagonisti. In particolare, l’ordinanza si occupava del ruolo svolto dalle tre persone prima menzionate, il cui scopo sarebbe stato quello di “accomodare” il risultato finale di singole gare. Tale sistema di condotte antigiuridiche avrebbe fatto leva sul fondamentale contributo causale del calciatore Masiello, affiancato nel proprio operato dall’azione di Carella e Giacobbe: il contributo incrociato dei tre avrebbe dato vita al cosiddetto “protocollo Masiello”. In questo contesto si sarebbe inserita anche la condotta volta ad alterare la gara Bari-Lecce. Nella propria ricostruzione il GIP si occupava di individuare in forma analitica il nesso intercorrente tra il delitto associativo contestato alle persone sottoposte alle indagini e quello di frode in competizione sportiva. In generale si osservava che all’interno del sodalizio era stata identificata una chiara ripartizione dei compiti: quelli espletati da Masiello sarebbero consistiti nell’addomesticazione di singole gare e nella ricerca della disponibilità di altri compagni della squadra del Bari alla medesima finalità fraudolenta. Masiello veniva definito il referente esclusivo dell’associazione; il ruolo di Carella e Giacobbe sarebbe stato, tra l’altro, quello di “vendere” l’opera dell’associazione a terzi interessati, così agendo quali bracci operativi del dominus Masiello. Quanto alla gara Bari-Lecce, la motivata premessa giudiziale era che lo scopo alterativo della gara non fosse quello della scommessa sul relativo esito ma l’altro di offrire alla squadra del Lecce la possibilità di conseguire la vittoria e possibilmente la salvezza dalla retrocessione. L’attività investigativa posta in essere sul punto era stata copiosa e capillare, essendosi concentrata sulle dichiarazioni non soltanto delle tre persone sottoposte a indagini ma anche di quelle del calciatore del Bari Marco Rossi. Nel giudicare in modo complessivo e coordinato le risultanze istruttorie il GIP osservava che con riferimento alla gara in questione riceveva conferma piena il modello operativo dell’associazione nonché la ripartizione dei ruoli tra gli adepti, cui era stato assicurato per l’evento un cospicuo guadagno. Veniva ulteriormente posto in rilievo che l’esito locupletativo illecito era stato raggiunto in virtù degli apporti combinati del trio. I non tesserati Carella e Giacobbe avevano sfruttato il contatto con persona qualificata come “operante verosimilmente quale emissaria della società di calcio leccese”, mentre Masiello, dopo aver senza successo cercato il coinvolgimento di alcuni suoi compagni di squadra, “offriva in concreto il suo personale e indefettibile contributo alla vittoria del Lecce con un autogol che non ha avuto nulla di casuale” (pag. 35 ordinanza GIP). Si aggiungeva anche che nel mese di agosto 2011 gli associati si erano recati a Lecce per riscuotere la cifra promessa da chi aveva agito come emissario del Lecce. Particolare risalto veniva dato alle dichiarazioni di Marco Rossi, ritenute complessivamente attendibili: questi aveva riconosciuto in Carella e Giacobbe le persone che gli avevano offerto il denaro dopo la proposta corruttiva di Masiello. L’ordinanza si preoccupava di sottolineare – tenendo conto dei due rapporti informativi del febbraio e marzo 2012 della Polizia Giudiziaria - i numerosi riscontri esterni all’attività degli associati sia nei giorni precedenti la partita, in luoghi e con incontri diversi, sia nel periodo successivo conclusosi, come detto, con il percepimento del profitto illecito il 22 agosto 2011 a Lecce. Veniva ulteriormente sottolineato, a sostegno della fondatezza della richiesta cautelare, l’imponente contributo causale del Masiello mediante la deliberata realizzazione di un’autorete, frutto della deviazione “nella porta della sua squadra del pallone che, calciato da un giocatore del Lecce, era evidentemente destinato fuori dallo specchio della porta” (ib. pag. 36). Quanto alle successive e progressive dichiarazioni di Masiello si dava atto che questi, nel più recente interrogatorio del 15 marzo 2012 al PM di Bari, aveva riassunto nel modo seguente i momenti salienti della vicenda. Carella e Giacobbe si erano recati, la sera della vigilia della partita, presso l’hotel Vittoria in cui alloggiavano i calciatori del Bari proponendo, oltre che a Masiello, ai compagni di squadra Parisi e Bentivoglio di giocare per perdere contro il corrispettivo in denaro offerto da un amico leccese di Carella: questi mostrava al solo Masiello un assegno di 300 mila euro, costituito a garanzia della serietà della promessa corruttiva. Parisi e Bentivoglio, al pari di quel che fece successivamente Rossi, rifiutarono l’offerta. Masiello aveva commesso un’autorete perché “turbato dalla vicenda”. Sul punto va immediatamente osservato che tale dichiarazione fu in un breve volgere di tempo successivo tramutata nel senso della volontarietà dell’autorete: si vedano le dichiarazione da lui rese al PM di Cremona il 15 marzo 2012 alle 17:45 e al PM di Bari nella memoria del 28 marzo successivo. Sempre nell’interrogatorio al PM di Bari del 24 febbraio 2012 Masiello chiariva che complessivamente “una persona molto vicina alla società del Lecce Calcio” aveva consegnato a lui e Carella una somma aggirantesi sui 200 mila euro. Masiello aggiungeva che Carella avrebbe ribadito al suo amico leccese, agente quale intermediario della società calcistica di tale città, che l’autorete era stata volontaria e gli impegni erano stati rispettati. Masiello affermava, inoltre, di aver visto l’emissario nell’incontro svoltosi presso l’albergo leccese il 22 agosto 2011. Ed inoltre, il calciatore aggiungeva che in quella occasione la conferma della volontarietà dell’autorete era stata fornita da lui direttamente ad altra persona amica dell’emissario leccese recatasi, su sollecitazione di quest’ultimo, presso l’albergo: al termine dell’incontro venne corrisposta dal secondo degli emissari leccesi a Carella e Giacobbe l’ulteriore somma di 50 mila euro, che sarebbe poi risultata la quota definitiva di un pagamento che aveva globalmente raggiunto, come detto, una somma intorno ai 200 mila euro. Le indagini che avevano portato all’emissione del triplice ordine di custodia cautelare in carcere davano anche conto della verifica dei tabulati telefonici riferiti all’utenza di Masiello, facendo emergere che costui aveva intrattenuto sistematici contatti con il Carella nei giorni antecedenti la partita, nonché, in particolar modo, subito prima e subito dopo la stessa. Analoga evidenza di rapporti telefonici si ricavava nel giorno dell’incontro leccese, così definitivamente collocato al 22 agosto 2011. Eguale riscontro era stato ottenuto, sempre per quella data, con riguardo agli scambi telefonici tra Carella e Giacobbe. Conclusivamente, l’ordinanza del GIP illustrava le ragioni esplicative delle esigenze cautelari e della sussistenza del pericolo di inquinamento probatorio, sottolineando come solo nel prosieguo del tempo, e all’approssimarsi dell’emissione della misura restrittiva della libertà, Masiello avesse gradualmente esteso l’ambito della propria responsabilità e di quella degli associati. Veniva anche posto in adeguato rilievo il pericolo di reiterazione criminosa alla luce dell’elevata gravità dei fatti e del carattere diffusivo dell’associazione per delinquere nonché della personalità “connotata in senso deviante di tutti gli indagati”, accertata mediante la decodificazione del protocollo delle loro condotte. La qualificazione in termini di indubbia pericolosità sociale della condotta e della personalità dei soggetti sottoposti a indagini giustificava l’applicazione della grave misura coercitiva. 2. Con rapporto del 6 giugno 2012 diretto al PM di Bari il Comando Provinciale dei Carabinieri di Bari riferiva relativamente agli sviluppi dell’indagine in esame, che nel frattempo aveva incrementato il numero delle persone a esse sottoposte, includendo i calciatori Parisi, Bentivoglio e Masiello, il non tesserato Marcello Di Lorenzo (appartenente, in quanto amico dei singoli, al sodalizio composto da Masiello, Carella e Giacobbe), Pierandrea Semeraro, già Presidente della squadra del Lecce, Carlo Quarta (la persona di Lecce con cui Carella avrebbe stipulato l’accordo corruttivo), e Andrea Starace (l’altra persona di Lecce che avrebbe consegnato a Carella e Masiello il 22 agosto 2011 la somma di 50 mila euro, dopo aver ottenuto dal calciatore convincenti assicurazioni circa la volontarietà dell’autorete). Nei confronti di ciascuna di queste ultime persone si formulava l’ipotesi accusatoria di concorso nel delitto di frode sportiva in relazione all’incontro Bari-Lecce del 15 maggio 2011. L’ipotesi da cui muoveva il rapporto era che Semeraro, Quarta, Starace e Di Lorenzo, nel periodo compreso tra il 12 maggio 2011 (tre giorni prima della gara) e il giorno dell’aprile 2012 in cui era stata eseguita la misura cautelare nei confronti di Masiello, Carella e Giacobbe si erano associati tra loro, compiendo atti fraudolenti diretti a ottenere un risultato della partita Bari-Lecce diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della gara. Venivano così ripartite le quote individuali di apporto causale: Quarta, in quanto emissario di Semeraro, aveva preso contatti attraverso Carella con Masiello al fine dell’alterazione del risultato in cambio di denaro; Starace, nel corso dell’incontro leccese con gli altri associati, aveva consegnato a Masiello e Carella 50 mila euro. In particolare, il rapporto di Polizia Giudiziaria esponeva analiticamente l’evoluzione delle indagini conseguenti all’ordinanza del GIP di Bari del 31 marzo 2012, muovendo dall’illustrazione degli interrogatori resi dalle tre persone destinatarie dell’ordinanza cautelare all’autorità giudiziaria tra il 4 e il 6 aprile 2012. Nel corso del proprio interrogatorio al PM di Bari del 4 aprile 2012 Masiello riferiva molteplici circostanze riguardanti le fasi anteriori e posteriori alla partita. Di particolare rilievo sono quelle relative all’incontro avuto qualche giorno prima della partita con Carella e Giacobbe in un bar: nel corso dell’incontro si era discusso della possibilità di alterare l’esito della gara in senso favorevole al Lecce in cambio di denaro. Riferiva anche della visita di Carella e Giacobbe all’albergo del Bari la sera prima dell’incontro allo scopo di convincere i calciatori Parisi, Bentivoglio e Rossi ad accedere al patto corruttivo: in quell’occasione Carella mostrò a Masiello un assegno di 300 mila euro ricevuto dal suo amico leccese a titolo di garanzia. Ed ancora, Masiello parlava di un messaggio ricevuto tramite l’applicazione Whatsapp di Giacobbe con cui si segnalava la necessità di dare prima della partita una pacca sulle spalle a Vives quale segno tangibile dell’accordo. Masiello riconosceva la volontarietà dell’autorete e ripeteva di aver convinto il 22 agosto 2011 a Lecce la persona presentatasi come ulteriore emissario della famiglia Semeraro di avere rispettato l’accordo consentendo al Lecce di salvarsi: veniva confermato il riconoscimento fotografico di Quarta e Starace. Masiello riferiva, inoltre, questi fatti: di aver ricevuto dopo la gara da Di Lorenzo un mms con foto di quest’ultimo con Carella e Giacobbe che li ritraeva nell’atto di indicare il numero 3 (rappresentativo in sintesi della maggior somme di 300 mila euro concordata per l’illecito) con le dita; di aver sentito Quarta dirgli “la famiglia deve essere sicura di dare questi soldi”; della presenza di Quarta all’incontro come colui che si era presentato coi soldi della “famiglia Lecce”. Nell’interrogatorio al PM di Bari del 6 aprile 2012 Giacobbe narrava di un incontro avuto tra l’ora di pranzo e le ore pomeridiane di sabato 14 maggio 2011 a Lecce da Carella – che egli aveva accompagnato da Bari con Di Lorenzo – con Quarta, il quale aveva consegnato allo stesso Carella un assegno subito dopo l’incontro, visivamente percepito da Giacobbe, con una persona poi individuata in Pierandrea Semeraro. Giacobbe dichiarava, inoltre, di avere appreso da Carella che Quarta era intervenuto all’incontro leccese del 14 maggio 2011 per conto di Semeraro. Nel corso del proprio interrogatorio al PM di Bari del 6 aprile 2012 Carella, dopo aver rievocato l’incontro con Quarta del maggio 2011 a Lecce e aver fotograficamente riconosciuto Semeraro come la persona che egli aveva visto parlare con Quarta, esprimeva i propri sospetti sul fatto che Masiello – avvertito da Giacobbe sul da farsi – non avesse dato la pacca a Vives. Egli spiegava così il messaggio telefonico ricevuto nel luglio 2011 da Quarta che gli comunicava le rimostranze di Semeraro per il fatto che Masiello non avesse dato a Vives il segnale convenzionale. Poiché il dubbio aveva indotto Quarta a non proseguire nella corresponsione del prezzo dell’illecito Carella aveva convinto lo stesso e Masiello ad incontrarsi allo stadio di Bari il 21 luglio 2011 per ottenere la conferma che Quarta avrebbe proseguito il pagamento. Quanto all’incontro presso l’hotel Tiziano di Lecce del 22 agosto 2011 Carella diceva che l’ulteriore emissario leccese, Andrea Starace, era stato da Quarta definito uomo di fiducia di Semeraro. Carella formulava anche il sospetto che Quarta avesse ricevuto per intero da Semeraro la somma di 300 mila euro pattuita con i baresi quale corrispettivo della frode sportiva il pomeriggio della vigilia della gara e che, accampando il pretesto del mancato scambio del segno convenzionale tra Vives e Masiello, avesse tentato – in parte con successo – di trattenere per sé una frazione della somma. Carella escludeva che a proprio avviso la somma di 200 mila euro corrisposta da Quarta (per 150 mila euro) e Starace (per il residuo) provenisse dal patrimonio di questi due ultimi solventi. Il rapporto giudiziario di cui si dice informava poi di una complessa serie di indagini e verifiche che facevano corona agli altri atti istruttori. In particolare, venivano riportati specchietti riepilogativi dei tabulati telefonici dei giorni compresi tra il 12 e il 15 maggio 2011, ossia nel periodo intercorso tra la fase di ideazione dell’illecito per cui si procedeva e il giorno stesso della partita. Ancor più specificamente veniva esposto che nei primi tre dei giorni indicati vi era stata una stretta e consecutiva triangolazione telefonica che vedeva al vertice Quarta e come terminali alternativi Carella e Semeraro, quest’ultimo in genere chiamato da Quarta subito dopo un colloquio telefonico con Carella, poi richiamato dopo la comunicazione con Semeraro (vedi pagg. 14-17 del rapporto). Veniva anche resa nota l’esistenza di contatti telefonici rispettivamente tra Quarta e Carella e Carella e Masiello il giorno della partita. Analoghi riscontri di contatti telefonici tra Carella e Quarta si avevano nel periodo compreso tra il 13 luglio e il 22 agosto 2011, con particolare intensificazione nei giorni tra il 13 e il 21 luglio e nel giorno del 22 agosto di quell’anno, rispettivamente rappresentanti il momento di più accesa contestazione da parte di Quarta della sussistenza delle condizioni per osservare il patto criminoso e quello del pagamento definitivo. Le indagini si dedicavano anche alla determinazione dei movimenti effettuati da Semeraro sul proprio conto corrente intrattenuto presso il Monte dei Paschi di Siena. In particolare, questo era l’esito dell’apposita indagine bancaria. Nel periodo compreso tra il 27 maggio 2011 e il 18 luglio successivo Pierandrea Semeraro aveva tratto assegni per 160 mila euro e prelevato in contanti 105 mila euro, per un totale di 265 mila euro in 52 giorni. In particolare, veniva accertato che di questi assegni uno era stato intestato a Carlo Quarta, per la somma di 50 mila euro, che lo aveva versato sul proprio conto corrente presso il medesimo Monte dei Paschi di Siena il 30 maggio 2011. Il 27 maggio dello scorso anno era stato emesso un assegno di 40 mila euro a favore di Claudia Nervino, compagna di vita del Semeraro; il 13 giugno 2011 era stato emesso un ulteriore assegno di 70 mila euro a favore di Claudia Nervino. Quanto ai prelevamenti in contanti essi erano stati effettuati da Semeraro come segue: il 30 maggio, 40 mila euro; il 31 maggio, 10 mila euro; il 3 giugno, 3 mila euro; il 6 giugno, 5 mila euro; il 7 giugno, 7 mila euro; il 18 luglio, 40 mila euro. Le indagini bancarie avevano, altresì, consentito di appurare che Claudia Nervino, contestualmente alla negoziazione dell’assegno di Semeraro di 40 mila euro del 27 maggio 2011, aveva prelevato in contanti la somma di 15 mila euro; analogamente, la stessa, nel negoziare il 13 giugno 2011 l’assegno di Semeraro di 70 mila euro, ne aveva prelevato in contanti 25 mila euro. E infine, la Nervino aveva prelevato in contanti la somma di 70 mila euro il 14 luglio 2011, sicché della complessiva somma di 110 mila euro ricevuta in titoli da Semeraro tra il 27 maggio e il 13 giugno 2011, la Nervino aveva convertito in contanti l’intero importo corrispondente il 27 maggio (15 mila euro), il 13 giugno (25 mila euro), il 14 giugno (70 mila euro). Il rapporto di Polizia Giudiziaria individuava nella data del 28 maggio 2011 quella dell’inizio dei trasferimenti di denaro da Quarta a Carella: nella prima occasione fu consegnata la cifra di 70 mila euro da Quarta a Carella presso l’area di servizio Q8 di Torre a Mare. In 4 distinte successive occasioni Quarta consegnò a Carella 80 mila euro in rate di importo eguale tra loro. Il 22 agosto 2011 fu infine pagata, su sollecitazioni di Quarta, da Starace a Carella e Masiello l’ulteriore e definitiva somma di 50 mila euro. Conclusivamente il rapporto si esprimeva nel senso che fosse stata raggiunta la prova della sicura partecipazione di Masiello, Carella, Giacobbe, Quarta e Semeraro al disegno corruttivo. 3. A seguito della interlocuzione nei termini stabiliti dalla legge con l’Autorità Giudiziaria la Procura Federale presso la Federazione Italiana Giuoco Calcio promuoveva un’estesa indagine anche sulla partita Bari-Lecce del campionato di Serie A 2010-2011. Nel corso delle indagini stesse, oltre all’acquisizione degli atti ostesi dall’Autorità Giudiziaria barese, veniva effettuata l’audizione dei tesserati Gillet, Bentivoglio, Parisi, Masiello, Vives e Semeraro nonché quella del non tesserato Carella, nel periodo compreso tra il 7 giugno e il 19 luglio 2012. Tanto Vives quanto Semeraro respingevano qualunque addebito di partecipazione a illeciti alterativi, sottolineando il primo di non aver mai conosciuto Masiello e di non aver mai scambiato con lui alcun segno convenzionale prima della gara. Aggiungeva di aver confermato la circostanza a Quarta – che conosceva solo di vista – nel corso di un casuale incontro in un locale pubblico di Lecce il 14 luglio 2011. Aggiungeva di aver scambiato la propria maglia al termine della partita contro il Bari solo con Belmonte. Semeraro, Presidente del Consiglio di Amministrazione del Lecce tra il maggio 2010 e il 4 luglio 2011, dichiarava di essere amico di Quarta da anni in quanto compagni di scuola e anche per lo svolgimento in comune di alcune attività nel ramo immobiliare: questi rapporti giustificavano la quasi quotidiana frequenza di contatti telefonici. Non escludeva di aver potuto incontrare casualmente lo stesso Quarta in Piazza Mazzini a Lecce nelle ore post-prandiali del 14 maggio 2011, aggiungendo che, ove avvenuto, l’incontro avrebbe avuto carattere occasionale. In relazione alle operazioni bancarie di cui si era occupato il Rapporto Giudiziario del 6 giugno 2012 Semeraro diceva di aver trasferito un proprio assegno di 50 mila euro a Quarta per un’operazione immobiliare che riguardava quest’ultimo e di non aver allo stato ottenuto la restituzione della somma, peraltro non sollecitata dato il carattere amichevole dei loro rapporti. Del prestito non era stato redatto atto scritto. Semeraro aggiungeva che l’assegno di 40 mila euro alla Nervino era destinato a dare aiuto al fratello della stessa per la gestione del ristorante “Il Giardino” di Lecce. Quanto all’altro assegno di 70 mila euro alla stessa Nervino il tesserato diceva che la somma era destinata a far fronte alle esigenze di indipendenza economica della donna; sempre quella somma era stata utilizzata per un regalo alle nipoti gemelle in occasione del loro battesimo e per l’acquisto di due quadri per 30 mila euro ciascuno: la somma residua era custodita in cassaforte. Semeraro negava di aver mai affidato incarichi professionali allo Starace, che conosceva perché amico di Quarta. Confermava di essersi seduto per scaramanzia sulla panchina aggiuntiva del Lecce nel corso della gara. Al termine dell’indagine il Procuratore Federale, con atto del 25 luglio 2012, rilevava che era stato provato che Semeraro aveva corrisposto, per il tramite di Quarta e Starace, in tempi diversi, la complessiva somma di 200 mila euro a Carella, Giacobbe, Di Lorenzo e Masiello per ottenere la sconfitta del Bari, risultato in effetti realizzato che portò il Lecce a evitare le retrocessione. L’atto del Procuratore Federale prendeva, inoltre, a proprio fondamento sia l’episodio dell’autorete di Masiello sia le dichiarazioni accusatorie rese da Rossi all’Autorità Giudiziaria. Queste avevano poi trovato integrale riscontro in quanto riferito da Bentivoglio, Parisi e Masiello, che sul punto dell’incontro con Carella e Giacobbe la sera della vigilia della gara, collimavano con le dichiarazioni di Masiello. Della deposizione di Carella, la Procura Federale metteva in rilievo l’attitudine dimostrativa dell’incontro avuto con Quarta a Lecce il pomeriggio precedente la gara e la percezione visiva del colloquio tra Quarta e Semeraro nel medesimo contesto. Carella confermava, inoltre, tanto la visita serale ai giocatori del Bari quanto la ricezione di 200 mila euro, per tre quarti ad opera di Quarta e per il resto ad opera di Starace. Nel ritenere attendibili le citate dichiarazioni accusatorie, al contrario di quelle di Semeraro e Vives, il Procuratore Federale deferiva, per quanto qui rileva, Semeraro, Vives e la società U.S. Lecce S.P.A. in relazione all’articolo 7 commi 1,2,5 del C.G.S. per avere, in concorso tra loro e con altre persone tesserate e non tesserate, posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento e il risultato della gara Bari-Lecce, prendendo contatti diretti allo scopo. In particolare, si contestava a Semeraro la corresponsione, per il tramite di soggetti non tesserati, a Masiello e a questi ultimi la somma di 200 mila euro per l’alterazione della gara onde ottenere un vantaggio in classifica. A Vives veniva contestato lo svolgimento di un ruolo di intermediazione per l’ottenimento dell’assenso definitivo da parte di Masiello prima dell’inizio della gara. Agli incolpati veniva contestata l’aggravante dell’effettiva alterazione dello svolgimento e del risultato della gara e del conseguimento del vantaggio in classifica. La società del Lecce veniva deferita per responsabilità diretta in relazione agli addebiti contestati a Semeraro, con l’aggravante da ultimo citato. Veniva contestata la responsabilità oggettiva aggravata per la medesima ragione in relazione agli addebiti contestati a Vives; veniva, infine, contestata la responsabilità presunta per l’illecito sportivo commesso a proprio vantaggio da Masiello. 4. Il dibattimento si svolgeva davanti alla Commissione Disciplinare Nazionale nel corso delle udienze del 3 e 4 agosto 2012. Davanti ad essa, ciascuno dei deferiti (Semeraro, Lecce e Vives) protestava la propria innocenza, anche attraverso il deposito di memorie, nelle quali in forma comune si poneva in principale rilievo la natura contraddittoria ed incoerente delle dichiarazioni di Masiello, il contrasto con le dichiarazioni di Giacobbe e Carella, la mancanza di contributo causale all’illecito da parte di Vives. In particolare, Semeraro produceva una dichiarazione resa in data 1 agosto 2012 ex art.391 C.P.P. dal pittore Ercole Pignatelli, il quale rendeva noto che Pierandrea Semeraro aveva da lui acquistato due dipinti su tela per regalarli a due sue nipoti gemelle: si trattava di un dittico denominato “Il Bosco”. Veniva, altresì, prodotto un comunicato stampa del 19 aprile 2012 di Andrea Starace che dichiarava la propria estraneità a qualunque accordo fraudolento in merito alla gara e di essere solo amico di Carlo Quarta. Veniva anche allegato un ritaglio di stampa locale che riferiva di minacce di morte rivolte a Quarta da tifosi leccesi estremisti. Ed infine, veniva allegata documentazione bancaria relativa alla Nervino & Co. S.a.s. . Ancora, veniva allegato alla memoria del 31 luglio 2012 un verbale di informazione che il difensore di Semeraro nel procedimento penale aveva assunto nel proprio studio da Carlo Quarta, il quale alla sola presenza dello stesso difensore, diceva di essere da anni amico di Pierandrea Semeraro, che fino a qualche mese prima sentiva quotidianamente al telefono. Diceva, inoltre, di aver ricevuto da Carella qualche giorno prima della partita la proposta di pilotare il risultato della partita, grazie al contributo di nove calciatori del Bari, in cambio della somma di 600 mila euro. Aggiungeva Quarta di aver parlato nei giorni precedenti la partita con Semeraro senza fargli cenno della proposta di Carella, ricevendo la sensazione che Semeraro fosse ottimista circa l’esito viste le condizioni fisiche e psichiche del Bari. Quarta aggiungeva davanti e nello studio del difensore di Semeraro di aver tenuto comunque in piedi la trattativa con Carella, facendogli credere che il Lecce fosse disposto a pagare 300 mila euro. Quarta dichiarava anche di aver acconsentito ad un incontro con Carella a Lecce la vigilia della partita per ottenere la conferma dell’accordo, incontrando casualmente Semeraro. Quarta aveva consegnato un assegno a Carella, dal quale ebbe la certezza del patto corruttivo solo l’indomani poche ore prima della partita. Quarta chiese all’interlocutore che Masiello si scambiasse con Vives un segno convenzionale. Il dichiarante escludeva di aver informato lo stesso Vives. Conclusivamente, Quarta esponeva di aver ricevuto pressioni e minacce da Carella per il pagamento della somma pattuita pur dopo aver appreso da Vives della mancanza di contatti con Masiello. Quarta confermava di aver chiesto e ottenuto da Semeraro un assegno di 50 mila euro per l’acquisto di un immobile a Lecce: parte della somma fu utilizzata per pagare Carella. Escludeva di aver restituito a Semeraro, essendosi trovato nell’impossibilità di farlo, la somma di 50 mila euro avuta in prestito. Il resto della somma corrisposta a Carella proveniva da risparmi propri, del padre e di amici, cui aveva riferito di essersi messo “in un grosso guaio”. Quarta escludeva, infine, che Starace avesse avuto qualsivoglia ruolo nella vicenda. 5. Con decisione del 10 agosto 2012 la Commissione Disciplinare Nazionale dichiarava Semeraro colpevole degli addebiti ascrittigli e lo puniva con l’inibizione per 5 anni. Dichiarava, altresì, responsabile in relazione ai titoli contestati il Lecce, che escludeva dal campionato di competenza di Serie B per la stagione 2012/2013, con assegnazione da parte del Consiglio Federale a uno dei campionati di categoria inferiore; la società veniva anche punita con l’ammenda di 30 mila euro. Vives veniva prosciolto dagli addebiti contestati, sotto il profilo della mancanza di prove o d’indizi gravi, precisi e concordati relativamente alla sua responsabilità. I primi giudici ritenevano che le dichiarazioni rese a tal proposito da Masiello fossero confuse e contraddittorie e dettate dalla volontà di dimostrare a ogni costo il proprio determinante contributo all’alterazione del risultato allo scopo di conseguire il prezzo dell’illecito. La Commissione sottolineava anche la inspiegabilità del tardivo sospetto circa il mancato scambio del segnale convenuto, osservando che l’incolpato, se fosse stato partecipe dell’accordo, avrebbe subito riferito a chi di dovere il mancato contatto da parte di Masiello. Per effetto del proscioglimento di Vives veniva esclusa la responsabilità oggettiva del Lecce. Quanto agli altri deferiti i primi giudici ponevano in rilievo che l’accusa aveva trovato riscontro nelle dichiarazioni rese sia davanti all’autorità giudiziaria sia davanti alla Procura Federale dai tesserati coinvolti. In questo senso assumevano particolare rilevo le dichiarazioni rese da Masiello al PM di Bari nel corso dell’interrogatorio del 24 febbraio 2012. Le ammissioni del calciatore erano state ritenute credibili dal GIP di Bari e poste a concorrente fondamento dell’ordinanza cautelare del 31 marzo 2012. I primi giudici rinvenivano ancora idonei elementi di prova nell’interrogatorio del 4 aprile 2012 reso da Masiello al PM di Bari, di cui si è nei paragrafi precedenti detto. Altro elemento probatorio veniva rinvenuto nelle indagini di Polizia Giudiziaria concernenti i plurimi contatti telefonici tra Semeraro, Quarta e Carella. Nella medesima direzione probatoria militavano anche gli esiti delle indagini bancarie concernenti Semeraro e Nervino. Ulteriormente, assumevano efficacia confermativa dell’accusa le dichiarazioni rese alla Procura Federale da Bentivoglio, Parisi e Rossi nonché quelle di Masiello e Carella in data 10 luglio 2012, ricostruttive dei vari segmenti della lunga e complessa vicenda. Nel corso della propria audizione da ultimo citata Carella precisava che, per ragioni di prudenza, aveva concordato con Quarta di utilizzare un linguaggio cifrato negli scambi di sms, utilizzando pseudonimi: Semeraro veniva chiamato “Luciana, alludendo a storie di donne e di tradimenti”. Anche Masiello era a conoscenza di questo linguaggio cifrato. La decisione di primo grado dava atto che Vives non aveva escluso in sede di audizione federale che Semeraro avesse assistito alla gara dalla panchina aggiuntiva. La decisione proseguiva chiarendo che Vives aveva sempre negato di aver parlato con Masiello in occasione della gara. La sentenza negava credito alle spiegazioni di Semeraro relative alle operazioni bancarie sue e della Nervino, in quanto prive di prova scritta e perché esattamente riferibili al periodo che interessa il presente procedimento. Veniva considerata inidonea anche la dichiarazione del pittore Pignatelli in quanto generica; eguale giudizio veniva fornito sulla documentazione bancaria prodotta in udienza, peraltro non contrastante con la ricostruzione effettuatane dalla Polizia Giudiziaria. Egualmente si diceva della tesi dell’utilizzazione di parte delle somme conferite alla Nervino a beneficio del ristorante del fratello: la Commissione affermava che mancasse l’idoneità ad escludere la responsabilità del Semeraro. Altre circostanze indizianti erano costituite dall’incontro tra Semeraro e Quarta a Lecce il pomeriggio della vigilia della gara, così come il fatto che la somma mostrata ai calciatori del Bari in albergo la sera della stessa vigilia fosse avvolta con fascette della stessa banca di cui Semeraro era cliente. Conclusivamente i primi giudici osservavano che le dichiarazioni di Masiello, Carella e Quarta avevano trovato riscontro in circostanze oggettive costituenti prova certa della responsabilità dei deferiti nei termini di cui all’atto di deferimento. 6. Contro tale decisione hanno proposto distinti appelli il Lecce e Semeraro contro le rispettive condanne; la Procura Federale contro l’assoluzione di Vives. Si sono costituiti per resistere agli appelli dei tesserati i terzi controinteressati Nocerina e Vicenza. Nel proprio atto d’appello, pur non articolato in motivi, Semeraro muove una molteplicità di censure alla sentenza di primo grado, che saranno analiticamente passate in rassegna nella successiva parte dedicata all’illustrazione dei motivi della decisione. In sintesi, l’appellante muove dalla premessa che occorre reinquadrare il ruolo di Quarta, solo definibile come portatore di un interesse personale consistente nella prosecuzione dell’attività abituale di scommettitore su competizioni sportive e di millantatore di credito agli occhi di Semeraro. L’impugnazione sostiene che Masiello e Carella, a propria volta, truffarono Quarta facendogli credere dell’organizzazione della combine, in effetti insussistente. Il ruolo di Starace sarebbe stato, in ogni caso, assolutamente non riconducibile al Lecce, la cui posizione sarebbe favorevolmente consolidata dal disconoscimento da parte dei primi giudici della responsabilità di Vives. L’appello prosegue occupandosi in forma critica sia delle dichiarazioni accusatorie rese dalle persone sottoposte a indagini penali sia delle investigazioni di Polizia Giudiziaria, con particolare riferimento alle operazioni bancarie. Di esse viene data, come si vedrà in seguito, una lettura interpretativa inconciliabile con quella adottata in primo grado. L’impugnazione critica, altresì, i criteri applicati dalla CDN per ciò che attiene al giudizio sulla idoneità della chiamata in correità, escludendo la credibilità dei chiamanti anche alla luce della giurisprudenza penale di legittimità. All’atto di appello sono stati allegati documenti riguardanti la molteplicità di scommesse poste in essere da Quarta nel tempo, e la mancata ricezione da parte di Starace dell’avviso di conclusione delle indagini penali propedeutico alla richiesta di rinvio a giudizio. Veniva anche depositato un verbale di dichiarazioni rese il 13 agosto 2012 da Quarta ai sensi dell’art. 391 bis c.p.p. in presenza del proprio difensore di fiducia in sede penale. Veniva anche prodotta copia del contratto preliminare stipulato il 20 giugno 2011 per scrittura privata non registrata né trascritta tra Quarta e Simone Acquaviva, promittente venditore dell’immobile di cui aveva parlato Semeraro nelle precedenti fasi di giudizio per spiegare la ragione dell’attribuzione allo stesso Quarta di un assegno di 50 mila euro. Sulla base di questi motivi si chiedeva la riforma della pronuncia impugnata e l’assoluzione; in subordine si chiedeva che fosse dichiarata insussistente l’aggravante di cui all’articolo 7 comma 6 CGS. Il Lecce proponeva appello basato su un duplice motivo: il primo, principale, che poneva in rilievo l’erroneità dell’attività valutativa e di giudizio dei primi giudici; il secondo, subordinato, lamentava l’eccessività delle sanzioni, sproporzionate alla fattispecie, nonché la non cumulabilità delle ipotesi di responsabilità diretta e presunta, con la conseguente inapplicabilità della pena dell’esclusione dal campionato di competenza, in luogo di quella, astrattamente applicabile, della retrocessione all’ultimo posto del campionato di competenza. La Procura Federale chiedeva la riforma della decisione impugnata nella parte in cui era stato assolto Vives, di cui si chiedeva la condanna a 3 anni e 6 mesi di squalifica con penalizzazione di 5 punti in classifica a carico del Lecce oggettivamente responsabile. L’impugnante basava le proprie richieste essenzialmente sulla credibilità delle dichiarazioni auto ed etero accusatorie di Masiello e di quelle di Carella e di Giacobbe, in particolare laddove il primo aveva detto allo stesso Procuratore Federale di aver ottenuto da Masiello conferma telefonica dello scambio con Vives del segno convenzionale. L’ulteriore prova del coinvolgimento di Vives nella combine sarebbe stata fornita dall’incontro del 14 luglio 2011 tra Quarta e Vives a Lecce rivolto ad appurare se tra i due calciatori fosse intercorsa la manifestazione esteriore dell’accordo illecito. All’appello del Procuratore Federale resistevano con motivate controdeduzioni sia il Lecce che Vives, ancora una volta ponendo in rilievo il groviglio di contraddizioni in cui sarebbero caduti i chiamanti in correità. Si costituiva con memoria la Nocerina la quale chiedeva la conferma della decisione impugnata, deducendo la inammissibilità della produzione da parte di Semeraro dei verbali di dichiarazioni assunte ex art.391 bis CPP, l’irrilevanza degli altri documenti nonché l’infondatezza dell’appello del Lecce. A scopo egualmente oppositivo agli appelli dei tesserati si costituiva il Vicenza che ne confutava il merito, sottolineando la conformità della valutazione effettuata dai primi giudici relativamente alle dichiarazioni accusatorie alle regole fissate dalla giurisprudenza penale di legittimità. Nel corso dell’udienza di discussione del 21 agosto 2012 la Procura Federale illustrava le tesi esposte in primo grado e nell’atto d’appello chiedendo il rigetto degli appelli del Lecce e di Semeraro e l’accoglimento del proprio relativamente alla posizione di Vives. I due difensori di Semeraro insistevano nell’appello, di cui ripercorrevano analiticamente ciascuno dei profili. Egualmente, il difensore del Lecce riproponeva le proprie tesi impugnatorie di cui chiedeva l’accoglimento. Entrambi i difensori, sia del Vicenza sia della Nocerina, insistevano nel chiedere il rigetto delle impugnazioni di Lecce e Semeraro. MOTIVI DELLA DECISIONE In via preliminare la Corte è chiamata a giudicare relativamente alla ammissibilità della produzione di nuovi documenti in appello da parte degli impugnanti. È stato, in particolare, posto in dubbio dai terzi controinteressati che Semeraro potesse utilmente depositare agli atti la copia delle dichiarazioni rese da Quarta in sede penale ai sensi dell’art. 391 bis c.p.p. in presenza del proprio difensore e di quello dell’appellante. Queste Sezioni Unite esprimono l’avviso che la previsione dell’art. 37 comma 3 C.G.S., secondo cui è consentita la produzione di nuovi documenti davanti alla Corte di Giustizia Federale, implichi, nella sua formulazione letterale, una doppia conseguenza. Da un canto, la nozione di documento va intesa nel senso del carattere scritto, e non necessariamente ufficiale, della produzione stessa: ad imprimere l’inderogabile carattere della ufficialità avrebbe potuto soccorrere l’uso del termine “atto”, quale espressione inglobante la necessità di una provenienza qualificata della produzione e non indifferenziata. In secondo luogo, è da rilevare che l’ammissibilità della produzione in parola non è subordinata dalla norma alla circostanza della sua precostituzione rispetto al giudizio di primo grado. In particolare, è da ritenere che non solo sia consentita in appello la produzione di altri documenti, ulteriori a quelli presenti agli atti del giudizio di primo grado. Deve riconoscersi l’ammissibilità anche di documenti formati successivamente a tale fase processuale, non potendosi desumere dalla previsione normativa in esame alcuna forma di preclusione, solo concepibile nei limiti della sua esplicita indicazione testuale. Naturalmente, l’ammissibilità dal punto di vista materiale della nuova produzione documentale non garantisce alla stessa automaticamente la qualificazione in termini di rilevanza ai fini della decisione, che può solo conseguire ad un’analisi critica riservata al dominio della Corte. Sempre in via preliminare è stata dai terzi controinteressati sollevata la questione della legittima utilizzazione in questa sede del verbale di informazioni rese ai sensi dell’art 391 bis c.p.p. . Giova ripetere che anche in questo caso non vi sono ostacoli normativi all’acquisizione di tale materiale probatorio, alla condizione che esso sia stato legittimamente formato, secondo il criterio che occorre la presenza all’interrogatorio anche del difensore della persona chiamata a rendere le informazioni se questa è sottoposta a indagini o a procedimento penale in concorso con quella il cui difensore abbia sollecitato l’atto istruttorio (la mancata assistenza del difensore di Quarta alle dichiarazioni rese il 31 luglio 2012 le rende, così, inutilizzabili in questa sede). Naturalmente, spetta alla Corte valutare l’efficienza del documento rispetto al fine difensivo perseguito da chi lo produce. Ciò premesso, l’appello di Semeraro, seppur non articolato in motivi, ripropone una ricostruzione storica, logica e giuridica dei fatti del tutto diversa e sostitutiva rispetto a quella che ha guidato la pronuncia impugnata. Qui di seguito si andranno indicando le considerazioni alternative a quelle formulate dai primi giudici che si rinvengono nell’atto d’appello, risolvendosi in altrettante censure. Si sostiene in primo luogo che la sentenza di condanna non tiene conto delle seguenti circostanze, le quali, se fossero state adeguatamente tenute presenti, avrebbero determinato una differente decisione, ovvero ha errato nel giudicare intorno ad esse. L’impugnante, in sintesi, sostiene che: 1) Quarta è uno scommettitore che agisce nel proprio interesse e Masiello è l’autore della combine; 2) anche Carella è uno scommettitore; 3) Semeraro è estraneo a qualunque accordo illecito; 4) Quarta diede l’assegno a Carella nel perseguimento di uno scopo individuale; 5) Masiello e Carella raggirarono Quarta facendogli credere che fosse stato raggiunto effettivamente l’accordo corruttivo; 6) Quarta fu anche mosso dalla volontà di guadagnare meriti agli occhi di Semeraro; 7) Starace è completamente estraneo ad attività professionali prestate a favore del Lecce o di Semeraro e non ha, in ogni caso, nemmeno ricevuto l’avviso di cui all’art. 415 bis CPP dalla Procura di Bari sintomatico di una prevedibile richiesta di rinvio a giudizio; 8) Quarta agì da solo; 9) sarebbe stato inconcepibile che fosse sufficiente il solo apporto causale di Masiello al fine del perfezionamento dell’accordo illecito; 10) le dichiarazioni giudiziarie rese da Carella e Giacobbe durante il periodo di custodia cautelare in carcere non meriterebbero credito perché frutto della coazione psicologica collegata alla privazione della libertà personale; 11) nelle proprie dichiarazioni iniziali Masiello sostenne il carattere casuale dell’autorete; 12) l’eventuale, e contestata, partecipazione di Vives al disegno alterativo non potrebbe in alcun modo pregiudicare Semeraro, anche alla luce della differenza di versioni di Carella, Giacobbe e Masiello sulla natura del segno convenzionale che i calciatori si sarebbero dovuti scambiare; 13) non fu Semeraro a chiedere a Vives il 14 luglio 2011 notizie sulla effettività dello scambio del segno convenzionale; 14) non vi è corrispondenza tra i movimenti bancari di Semeraro e i pagamenti percepiti da Carella, Giacobbe e Masiello, così come non si è tenuto conto che movimenti di denaro di eguale ampiezza erano stati compiuti da Semeraro nel 2010, come documentato; 15) del tutto privi di rilevanza probatoria sfavorevole sono i tabulati telefonici posti a fondamento della condanna di primo grado; 16) i giudici di primo grado hanno fatto inadeguata applicazione dei principi in tema di chiamata in correità e non hanno tenuto conto delle significative discrepanze tra le dichiarazioni di Masiello e quelle di Carella relativamente alle date dei pagamenti; 17) la dichiarata in primo grado estraneità di Vives all’accusa ha impedito la formazione dell’illecito, in quanto ha ostruito la possibilità che esso potesse fondarsi sul necessario segmento tecnico correlato all’attività del calciatore del Lecce. Per chiare ragioni di intima connessione vanno esaminati nel medesimo contesto argomentativo i motivi d’appello del Lecce i quali si basano su una molteplicità di rilievi: fattuali, nel senso della mancata considerazione che il manipolatore della gare fu Masiello, la volontà della cui autorete era stata peraltro inizialmente dallo stesso negata; logici, nel senso della implausibilità della esposizione di Semeraro a rischi di tale gravità quando la forma tecnica del Bari lasciava prevedere una vittoria del Lecce; storici, consistenti nel fatto che Quarta è uno scommettitore e che regna completa incertezza sul modo di dividere il denaro tra gli associati. Altre censure si dirigono ad additare l’incongruenza della decisione impugnata che ha negato credibilità a Masiello a proposito di Vives mentre gliela ha riconosciuta per ogni altro aspetto. E ancora si sottolinea che Semeraro effettuò operazioni bancarie passive per una somma di 90 mila euro superiore a quella di 200 mila che sarebbe stata corrisposta alle altre persone sottoposte a indagini. Dopo aver ricordato l’assoluta mancanza di rapporti tra Semeraro e Starace, l’impugnante deduce la non cumulabilità della responsabilità diretta e di quella presunta ad esso contestata, nonché la sproporzionatezza della doppia sanzione applicata, sportiva e pecuniaria al tempo stesso, in completo disprezzo della possibilità di rendere operante la minore punizione della retrocessione del Lecce all’ultimo posto della classifica del campionato di Serie B. La Corte è certa che nessuno dei profili di censura fatti valere tanto da Semeraro quanto dal Lecce colga nel segno e meriti accoglimento: la decisione impugnata regge, infatti, come si vedrà, anche grazie alle integrazioni argomentative seguenti, a ciascuna delle osservazioni critiche a essa rivolte. 1.Il punto di partenza della rivisitazione da parte degli appellanti della fattispecie in esame è costituito dalla nuova luce che dovrebbe gettarsi sulla figura e sull’azione di Quarta, che al tempo stesso servirebbe a comprenderne le ragioni della condotta e a scagionare Semeraro e il Lecce. La tesi difensiva è che Quarta sia un accanito scommettitore, spesso premiato dal conseguimento di notevoli vincite, che non avrebbe ricevuto alcun mandato da Semeraro ai cui occhi, però, avrebbe inteso accreditarsi quale agevolatore decisivo del risultato favorevole alla sua squadra. Questa tesi si arricchisce di un ulteriore passaggio, consistente nella formulazione dell’ipotesi che, così operando, Quarta sarebbe rimasto vittima della callida concertazione ai suoi danni di Carella, Giacobbe e Masiello. Per quanto non esplicitamente riferito ai punti iniziali dell’appello di Semeraro, va logicamente ricondotto a essi anche il profilo censorio riguardante i rapporti tra Quarta e Vives e, in special modo, l’interpello che il primo rivolse all’altro circa lo scambio del noto segno convenzionale. È, infatti, coerente alla complessiva impalcatura difensiva la deduzione che questi rapporti sarebbero probatori dell’autonomia dei fini perseguiti da Quarta. Una siffatta, alternativa e ipotetica riedizione interpretativa della vicenda è destinata, ad avviso unanime della Corte, ad arenarsi nelle secche della semplice congettura, completamente destituita di basi probatorie serie e attendibili. Ha carattere assorbente la piana constatazione che, per quanto Quarta possa dirsi dedito all’attività di scommessa e da esso beneficiato (sia pur, limitatamente al periodo che qui rileva compreso tra il maggio e il luglio 2011, per una somma di gran lunga inferiore alla provvista finanziaria postulata), egli stesso ha dichiarato nel corso dell’audizione del 13 agosto 2012 ai sensi della più volta citata norma processualpenalistica che non effettuò alcuna scommessa sulla gara Bari-Lecce: egli ha adotto come motivo quello dell’incertezza circa l’effettiva combinazione dell’accordo alterativo. Ora, non solo basterebbe a rimuovere il marchio della credibilità dalla tesi del movente della scommessa il fatto che l’azione oggetto dell’incolpazione dell’impugnante non sia culminata nell’esecuzione della scommessa stessa: essa si infrange irreparabilmente anche sugli scogli dell’assurdo logico. Non si vede come una persona di ragionevole comportamento possa emettere, come è incontrovertibilmente acquisito, un assegno di 300 mila euro traendolo sul proprio conto corrente quando la stessa non si precostituisce contestualmente le condizioni per mettere a frutto il passaggio di denaro, attraverso un’attività di scommessa collegata ad un specifico evento sportivo. Ed ancora, sfida il raziocinio umano immaginare che, sempre in assenza di un movente individuale concreto e definito quale la scommessa dedotta dagli appellanti, Quarta avrebbe potuto proseguire nella propria opera di dilapidazione patrimoniale aggiungendo all’originario esborso di 300 mila euro quello di ulteriori 200 mila euro, privi di qualsiasi ragione, utilità, scopo. In altri termini, Quarta avrebbe corrisposto 200 mila euro in contanti, avendo ottenuto la restituzione dell’assegno solo a solutio definitiva, senza prospettarsi non solo un’utilità di ritorno ma nemmeno la remota possibilità della restituzione della cifra. E allora, l’unica spiegazione compatibile con le regole del ragionamento e con le risultanze procedimentali è che Quarta abbia agito in nome, per conto e nell’interesse altrui, così effettivamente ottenendo lo scopo di una qualche forma di compartecipazione al passaggio di denaro dal mandante ai beneficiari e, perfino, accreditandosi agli occhi del mandante interessato all’operazione quale risolutore di un serio problema. È del tutto certo, a questa stregua, che mandante e titolare di un interesse personale e societario proprio fosse Semeraro, che fornì a Quarta la provvista necessaria a effettuare i pagamenti da quest’ultimo promessi agli altri associati. Ciò è dimostrato in via primaria dal concreto vantaggio che Semeraro e il Lecce avrebbero potuto ritrarre dall’illecita intermediazione finanziaria suffragata da accordo corruttivo: la posta in palio era la vittoria in una gara al cui termine – come effettivamente avvenne – il Lecce avrebbe potuto acquisire la certezza della permanenza in un campionato dal quale sarebbero derivati – quali davvero derivarono – straordinari vantaggi economici, in nessun modo comparabili con quelli che un’eventuale retrocessione nella serie minore avrebbe lasciato ottenere. Né il disegno può ritenersi eccessivo tenuto conto della mediocrissima condizione sportiva della squadra del Bari: l’accesa rivalità tra le squadre, l’immanente aleatorietà di ogni risultato sportivo, la notoria opera di violenta dissuasione da ogni cedimento agonistico posta in essere in prossimità della gara da un gruppo molto denso di sostenitori baresi nei confronti dei calciatori della squadra erano elementi che razionalmente consigliavano di intraprendere la più proficua e meno avventurosa scorciatoia dell’accordo corruttivo. Di questo si trovano agli atti, esattamente avendo ricevuto il peso di competenza da parte dei primi giudici, molteplici e convergenti indicazioni dimostrative. Tra di esse va ricordata la incalzante e puntuale triangolazione telefonica tra Carella, Quarta e Semeraro nei giorni compresi tra il 12 e il 14 maggio 2011. In particolare, come si ricava dalle lucide e perspicue indagini giudiziarie, l’inizio dei rapporti telefonici tra Carella e Quarta portò immediatamente e prolungatamente alla consecutiva instaurazione di chiamate tra Quarta e Semeraro, di durata talmente breve da lasciare del tutto ragionevolmente ritenere che in esse venisse inizialmente comunicata una notizia e che successivamente venisse trasmessa dal chiamato Semeraro al chiamante Quarta l’indicazione dell’atteggiamento da tenere in relazione alla comunicazione iniziale. Questa scansione di contatti telefonici trilaterali venne mantenuta anche nel corso delle ore anti e post pomeridiane della vigilia della partita. Ancora una volta, Semeraro viene chiamato da Quarta (alle 12,01,38) subito prima che questi (alle 12,10,12) parlasse con Carella. Alle 13,04,47, e cioè non molto tempo prima dell’arrivo a Lecce di Carella, Quarta richiama per 23 secondi Semeraro. E ancora la catena dei rapporti triangolari che vedeva al vertice Quarta e ai lati Carella e Semeraro (per evidenti ragioni di prudenza mai direttamente incontratisi) viene mantenuta allorché Carella con Di Lorenzo e Giacobbe arrivò a Lecce: dopo un colloquio apparentemente infruttuoso con Quarta, questi si allontanò incontrando Semeraro. Si ha la prova dalle indagini di polizia giudiziaria che dopo il colloquio tra Quarta e Semeraro, Quarta ritornò da Carella comunicandogli la disponibilità a rilasciargli la garanzia richiesta, tramite l’emissione di un assegno di 300 mila euro. Il percepimento di tale convincente forma asseveratrice di un accordo evidentemente raggiunto dopo l’assenso prestato da Semeraro, indusse Carella e gli altri a recarsi presso il ritiro del Bari per estendere all’ideatore Masiello e ai compagni di squadra da lui indicati i benefici dell’impegno contratto dal Lecce, al quale doveva naturalmente accedere anche il sodalizio avversario sia pur rappresentato da chi, già a partire dal 12 maggio 2011, aveva spregevolmente architettato con Carella i presupposti della combine. Con riserva di tornare successivamente sui termini comportamentali antecedenti e susseguenti all’accordo corruttivo, le precedenti osservazioni forniscono l’inoppugnabile conferma della tutt’altro che isolata e autonoma condotta di Quarta e della logicamente e fattualmente necessaria compartecipazione di Semeraro quale rappresentante legale del Lecce. Conclusivamente sul punto, Quarta né agì né avrebbe potuto agire all’esterno di un disegno nel quale parte preminente doveva essere il beneficiario finale dell’accordo corruttivo, e cioè Semeraro; egli, d’altra parte, non intese correre, né in effetti corse, il rischio di mancato recupero del denaro garantito o consegnato agli altri associati, essendosi premunito da tale pregiudizievole eventualità attraverso la copertura finanziaria di Semeraro, come si vedrà in seguito. Né a modificare tale conclusione può in alcun modo valere ciò che Quarta ha detto al difensore di Semeraro in sede penale, essendosi egli limitato a dichiarare di essere un facoltoso scommettitore e non avendo risposto ad alcuna domanda relativa ai momenti salienti della vicenda incriminata. Egualmente è privo di rilevanza il colloquio tra Quarta e Vives del 14 luglio 2011 non essendovi la prova logica o storica che Quarta fosse portatore di un interesse diverso da quello di risparmiare sulla residua somma di denaro che gli altri partecipi all’accordo illecito attendevano di ottenere. Sul punto del destino della somma detenuta da Quarta, e da altri corrispostagli, si tornerà in seguito. 2. L’ordine logico delle questioni dibattute nella presente sede d’appello impone che venga data la precedenza a quella, di natura complessa, afferente alle fonti di prova che governano il procedimento e ai criteri di valutazione delle stesse anche alla luce dei principi eventualmente applicabili che si possano desumere dalla giurisprudenza ordinaria. Sia l’impugnazione di Semeraro sia quella del Lecce insistono su due punti che reciprocamente si interconnettono: la credibilità delle dichiarazioni di Masiello e la persuasività della chiamata di correità da questo fatta in sede penale. In particolare, le impugnazioni puntano l’indice critico verso incoerenze interne alle dichiarazioni di Masiello e la loro inconciliabilità con quella degli altri chiamanti in correità circolare Giacobbe e Carella. Come indici della prima si adducono le diverse versioni circa la volontarietà dell’autorete, prima negata e successivamente ammessa; relativamente alle seconde si citano incertezze sulle date e i luoghi di pagamento della somma scellerata o sulla provenienza originaria della proposta corruttiva. La Corte è del sicuro avviso che il materiale probatorio su cui poggia il giudizio di condanna di primo grado sia rassicurantemente solido e univoco nonché perfettamente in linea con le idee basilari che disciplinano l’istituto della chiamata in correità nei limiti della sua estensibilità al procedimento disciplinare sportivo. La prima, immediata osservazione che si trae dalla massiccia mole di atti d’indagini è che l’atto di deferimento e la conseguente affermazione di responsabilità in primo grado sono il prodotto armonioso di un coordinamento di vari elementi probatori, nessuno dei quali è stato isolatamente fatto assurgere al rango di mezzo decisivo della condanna. Sta, anzi, nella combinazione tra ciascuno degli elementi in parola la ragione essenziale della decisione impugnata, che, anche sotto questo profilo, merita piena conferma. Ed invero, è risolutamente da escludere che le sole dichiarazioni di Masiello costituiscano il fulcro della dichiarazione di responsabilità degli incolpati. Esse hanno trovato motivo di integrazione, chiarimento, riscontro confermativo in quelle, non meno ampie ed esaurienti, di Carella e, in misura minore, di Giacobbe. Ed inoltre, le dichiarazioni in parola si conciliano in modo inoppugnabile con gli esiti obiettivi delle indagini di polizia giudiziaria, soprattutto di quelle che affondano le proprie radici nell’analisi dei traffici telefonici che qui rilevano e nell’esame di determinati flussi bancari. Ora, proprio il fatto che il quadro probatorio finale sia dato da un coacervo di dichiarazioni accusatorie e non dalla preminenza accordata ad alcune soltanto di esse permette a questa Corte di raggiungere due confortanti certezze. La prima è quella della numerosità delle fonti di prova, oltre che, come si vedrà, della loro confluenza a sostanziale unità. La seconda sta nel fatto che le indipendenti dichiarazioni di cui si tratta posseggono la cruciale attitudine a fungere da reciproco riscontro, fornita come ciascuna di essa è di una autonoma percezione e narrazione della realtà, non mediata dal riferimento indiretto alla altrui esposizione del fatto. Questa annotazione elimina il dubbio circa la conferenza della trama argomentativa della decisione impugnata rispetto ai principi fissati dalla giurisprudenza ordinaria in tema di chiamata in correità. In questo procedimento è lampante la ricorrenza di dichiarazioni che si intersecano non perché i rispettivi autori si sorreggano l’un l’altro prendendo a reciproco mutuo le affermazioni fatte, ma per l’opposta ragione che ogni accusa è formulata sulla base di un’esperienza personale diretta e non filtrata dall’ausilio del riferimento alla parola altrui. E, in effetti, come gli atti di indagine penale confluiti nella presente sede disciplinare dimostrano stabilmente, ognuna delle dichiarazioni di Carella, Masiello e Giacobbe proviene da un apprendimento diretto della realtà fenomenica e da un altrettanto diretto momento espositivo. Del resto, la riprova logica che non si verte in ipotesi di falsi riscontri fondati su reciproche, indimostrate dichiarazioni accusatorie dei chiamanti in correità si desume anche dalle smagliature talvolta riscontrabili nelle varie dichiarazioni, che pur non ne incrinano il saldo assetto. Rendendo concreto e verificabile questo criterio di giudizio è agevole qui di seguito ripercorrere i punti centrali e certi della vicenda, al netto delle marginali eteronomie rappresentative della realtà. Le tinte contraddistintive del quadro dell’illecito possono riassumersi in un pugno di secche proposizioni indiscutibili nella loro acclarata veridicità. Dopo che Masiello e Carella, da tempo sodali e protagonisti di vantaggiose interferenze nel regolare svolgimento di competizioni sportive, maturarono l’idea di offrire al Lecce, straordinariamente interessato ad un esito vittorioso della gara col Bari, la disponibilità a tradire la causa della lealtà e dell’onore sportivi, Carella individuò in Quarta l’immancabile referente leccese cui rivolgersi per sondare la possibilità di successo della vergognosa iniziativa. Carella non ebbe esitazioni nell’individuare in Quarta, che da tempo conosceva, l’ideale tramite con la società del Lecce consapevole degli stretti rapporti di quest’ultimo con Semeraro. Partì, così, già dal 12 maggio 2011 il sistema dei rapporti triangolari tra Carella, Quarta e Semeraro: esattamente il momento iniziale si colloca alle ore 10,04,02 di quel giorno quando Quarta, accortosi di una telefonata di Carella non seguita da risposta, richiama quest’ultimo. Dopo una conversazione di 1 minuto e 31 secondi con Carella, Quarta senza indugio (esattamente dopo 37 secondi) chiama Semeraro. La conversazione dura esattamente 45 secondi; 5 secondi dopo il termine della comunicazione con Semeraro, Quarta chiama Carella; la telefonata – durata 111 secondi – viene replicata dopo 21 minuti e 9 secondi e dura 105 secondi, avendo termine alle 10,31,45. Nel corso della stessa giornata gli inquirenti hanno tratto la prova di un incontro a Bari tra Quarta e Carella. Anche nella serata dello stesso 12 maggio 2011 tra le 20,06,29 e le 21,42,28 Quarta chiama una volta Semeraro (parlandogli 48 secondi) ed essendo richiamato per la durata di 21 secondi, e due volte Carella. L’indomani i tabulati registrano una chiamata di Quarta a Semeraro della durata di 1 minuto e 58 secondi e due successive chiamate di Quarta a Carella, la prima delle quali a 12 minuti e 43 secondi dalla conversazione tra Quarta e Semeraro. Dei contatti telefonici intercorsi tra queste tre persone durante la giornata del 14 maggio 2011 si è detto prima. Il culmine di questa negoziazione, che prima si indirizza verso Quarta e poi ottiene l’attracco verso il terminale societario, viene raggiunto tra il giorno prima della partita e quello del suo svolgimento. Non solo la vigilia vede la visita di Carella e Giacobbe presso l’albergo in cui alloggiava il Bari e fa registrare la promessa di denaro a Bentivoglio, Parisi e Rossi; la mattina della gara viene finalmente consolidata la strategia fraudolenta che vede cinque telefonate prima della stessa tra Carella e Quarta, una al termine sempre tra i due e una ulteriore tra Masiello e Carella. Gli accadimenti succedutisi dopo la partita sono tutti orientati all’inveramento della fase esecutiva dell’accordo nella parte prevedente l’adempimento dell’obbligazione illecita di pagamento del corrispettivo dell’alterazione della gara. Il momento iniziale di questa fase è con certezza individuabile nel 28 maggio 2011, allorché, come è provato dalle indagini penali e da quelle acutamente poste in essere dalla Procura Federale, viene da Quarta versata a Carella la prima rata dell’ammontare di 70 mila euro:circa la formazione della provvista si tornerà in seguito. Fu convenuto che ulteriori versamenti sarebbero seguiti a relativamente breve distanza di tempo e per eguali ammontari. Ed in effetti, le indagini dimostrano che altri versamenti di 20 mila euro ciascuno ebbero luogo, portando a metà luglio del 2011 il passaggio di denaro globalmente eseguito a 150 mila euro. Alla distanza di circa due mesi dalla disputa della partita restava ancora insoluta la metà della somma di 300 mila euro pattuita per effetto della triangolazione tra Carella, Quarta e Semeraro. Fu in quello snodo temporale che cominciò a prender corpo un tentativo, da parte di Quarta, di ridiscutere in senso diminutivo i termini economici dell’accordo. È ben possibile che questo atteggiamento di Quarta riflettesse semplicemente il proprio interesse di destinatario dell’intera cifra di 300 mila euro versatagli da Semeraro di trattenerne una parte, all’insaputa del suo mandante, accampando nei confronti dei suoi interlocutori scuse e pretesti che li convincessero a rinunciare a frazioni delle loro pretese. Questa tutt’altro che remota possibilità non nuoce affatto alla linearità della prospettazione accusatoria la quale si regge fondatamente, come visto, sul completo e ravvicinato pagamento da parte di Semeraro all’intermediario Quarta della somme pattuita, rimasta verosimilmente nella disponibilità del consegnatario iniziale. Come si diceva, Quarta fa valere nei confronti prima di Carella e poi anche di Masiello la testimonianza di Vives che allo stesso Quarta – come riconosciuto anche in sede di audizione davanti alla Procura Federale – ha raccontato di aver occasionalmente incontrato Quarta, ricevendone la sorprendente domanda circa una richiesta da parte di Masiello prima della gara di scambio di maglie. La risposta negativa di Vives – del quale nemmeno Quarta ha mai indicato un ruolo attivo e consapevole nell’alterazione – fornisce a Quarta l’apparente motivo di risoluzione dell’accordo per inadempimento dell’altra parte, e segnatamente di Masiello, dell’obbligazione sinallagmatica di scambio di segni convenzionali con Vives. Alla luce della piega degli eventi posteriori appare tutt’altro che irragionevole alla Corte formulare l’ipotesi che il coinvolgimento dell’inconsapevole Vives nel disegno illecito e la prevedibile passività di atteggiamento di costui fosse stata concepita sin dall’inizio da Quarta come precostituito strumento paralizzante i pagamenti dovuti, almeno in parte. Dopo la contestazione di Quarta si ebbe un doppio effetto, esattamente nella direzione da questo sperata, ossia di ottenere una dilazione e poi una riduzione del pagamento: si tratta di un caso tipico di gara alla maggior scelleratezza tra concorrenti in un medesimo disegno criminoso. Ed infatti, i pagamenti vengono sospesi a metà luglio, senza che Masiello riesca a convincere Quarta dopo un allenamento circa la volontarietà dell’autorete e riprendono in una tipica congerie bizantina a Lecce il 22 agosto 2011, in virtù dell’intervento di Starace. L’architettura di Quarta colse i frutti desiderati, in quanto Carella e Masiello accettarono un assottigliamento del proprio credito fino alla concorrenza di 220 mila euro, di cui 50 mila, in aggiunta ai precedenti, furono consegnati in quella stessa occasione. Gli altri 20 mila euro non furono mai versati perché, secondo la concorde dichiarazione dei creditori propter delictum, aveva preso a circolare la notizia della combine. Va incidentalmente osservato che, avendosi la prova piena e sicura che il fondamentale apporto illecito di Semeraro si ebbe con l’approvvigionamento della somma e non con la susseguente amministrazione, che fu invece esclusivamente affidata a Quarta, perde peso e significato il ruolo e la posizione di Starace, nel senso della sua completa inefficienza causale rispetto alla condotta di Semeraro. Ed invero, Starace potrebbe essere stato usato da Quarta come specchietto per le allodole, in quanto la spendita del suo nome e della sua qualità professionale, associate a Semeraro, ben avrebbero potuto colpire l’immaginazione di Carella e Masiello, inducendoli ad accettare una somma minore, a tutto beneficio di Quarta. Non è, in altri termini, oggetto di prova in questo procedimento la circostanza che la posizione di Starace sia riconducibile a Semeraro: l’asseverazione di tale assunto non è né utile né necessario ai fini dell’affermazione di responsabilità dello stesso Semeraro, altrimenti ed inoppugnabilmente raggiunta. Questa la scansione dei tempi, della declinazione delle condotte e della dinamica dell’accordo corruttivo. La piana e conseguenziale lettura dei fatti porta la Corte ad esprimere senza incertezze il giudizio che l’accordo corruttivo vide la piena, consapevole, fattiva e decisiva partecipazione di Semeraro nei giorni compresi tra il 12 ed il 14 maggio 2011; è altresì pienamente provata l’adesione essenziale di Masiello sia per il suo ruolo promotore con Carella dell’operazione sia alla luce della sua infine riconosciuta attuazione del segmento tecnico dell’alterazione della gara attraverso la deliberata segnatura di un’autorete nei minuti finali della gara. Considerando che le dichiarazioni indipendenti, ma convergenti, di Masiello e Carella hanno trovato il sostanziale, decisivo riscontro di Giacobbe, intraneo all’associazione, e quello esterno di Bentivoglio,Parisi e Rossi in ordine all’incontro serale della vigilia della gara, è fuori discussione la sicura affermazione di responsabilità degli appellanti. Nella sua pur concisa motivazione la Commissione Disciplinare non ha mancato di utilizzare alcuno degli elementi probatori a sua disposizione, esattamente e persuasivamente facendone risaltare la risolutiva idoneità dimostrativa della fondatezza dell’accusa. Con le integrazioni argomentative appena illustrate, la decisione merita completa conferma. 3. Gli appelli di Semeraro e del Lecce hanno strenuamente posto in evidenza la inverosimiglianza della tesi secondo cui i movimenti bancari dell’allora Presidente della società potessero considerarsi destinati ai pagamenti illeciti. In particolare, si è segnalato che il flusso di denaro del 2011 generato nel conto corrente di Semeraro non sia dissimile nel saldo finale rispetto a quello del precedente anno 2010. In secondo luogo, si deduce che i più cospicui dei movimenti, verso Quarta e verso la Nervino, poggerebbero su basi giustificative di un impiego del denaro lecito e lontano dalla combine. La Corte rileva che dagli atti emerge in modo manifesto la infondatezza della tesi difensiva in ciascuno dei due aspetti in cui è formulata, come incensurabilmente affermato dai primi giudici. Ed invero, è da osservare che non sono comparabili i movimenti bancari del 2010 e del 2011, in quanto riferiti a periodi eterogenei: il primo copre, infatti, l’intero anno, mentre di quello successivo va presa in considerazione ai presenti fini solo la breve porzione di meno di 60 giorni tra la seconda metà di maggio e la prima metà di luglio. Anzi, proprio il fatto che non siano dissimili gli ammontari posti a raffronto tra periodi dei quali il secondo è un sestuplo del primo, dimostra in modo smaccato l’assoluta anomalia dei flussi di denaro del breve periodo del 2011 qui considerato in quanto facente corona alla partita Bari-Lecce. Quanto alle finalità d’impiego delle somme, la Corte è convinta che le giustificazioni prospettate da Semeraro non siano in alcun modo concludenti. Prima di procedere alla dettagliata confutazione del ragionamento difensivo, non può omettersi di osservare che il fondamento dell’affermata responsabilità degli appellanti, di cui ci si è ampiamente occupati nei paragrafi precedenti, è da cogliere nella formazione progressiva dell’accordo illecito cui partecipò Semeraro. Il nesso tra movimenti bancari e destinazione al rispetto dell’accordo rappresentano semplicemente elementi di contorno e rafforzativi della responsabilità; non ne sono il perno. Sicché, qualunque giudizio si possa esprimere sull’inerenza dei movimenti bancari ai pagamenti illeciti non potrebbe mai elevarsi al rango di criterio essenziale di affermazione o esclusione della responsabilità: affermazione o esclusione che vanno, come più volte detto, unicamente elaborate nel contesto degli elementi probatori concernenti l’accordo corruttivo. Ciò premesso, come si è già ricordato nella parte espositiva, la somma che Semeraro prelevò da proprio conto corrente presso il Monte dei Paschi di Siena nel periodo compreso tra il 27 maggio e il 18 luglio 2011 fu di 265 mila euro, di cui 225 mila entro il 13 giugno 2011. Già una semplice constatazione aritmetica porta a dire che quest’ultima somma coincide, con un semplice eccesso di 5 mila euro, con quella che avrebbe dovuto essere, dopo la transazione del 22 agosto 2011, versata al gruppo Carella, Masiello, Giacobbe. Vi è adesso da considerare la destinazione di queste somme, alla stregua anche della ricostruzione effettuata dagli appellanti. Della somma in parola 25 mila euro furono prelevati in contanti tra il 31 maggio e il 7 giugno 2011: della loro destinazione gli appellanti non hanno detto nulla, così come non è stato detto nulla circa l’impiego della somma di 40 mila euro prelevata in contanti il 18 luglio 2011. Della restante somma di 200 mila euro, esattamente corrispondente a quella ricevuta da Carella e associati, gli appellanti danno le seguenti giustificazioni. I 50 mila euro corrisposti con assegno di conto corrente a Quarta, esattamente a cavallo dei giorni in cui fu effettuato il primo versamento, secondo gli impugnanti sarebbero serviti ad un prestito a favore del beneficiario per la stipulazione di un contratto preliminare di compravendita. La tesi non convince affatto. Ed infatti, non solo il preliminare – come esattamente osservato dalla Procura federale durante la discussione orale, privo di data certa in quanto non registrato né trascritto – appare esser stato concluso oltre tre settimane dopo l’emissione dell’assegno (sicché non si comprende l’urgenza dell’anticipazione della somma) ma non prevedeva al momento della stipulazione da parte di Quarta che un versamento di 10 mila euro, essendo il restante prezzo di 63.500 euro da versare entro il 30 marzo successivo. Sfida la logica supporre che la vera ragione della dazione di denaro potesse trovare radice in un negozio così lontano nel tempo e che nell’immediatezza imponeva al mutuatario un obbligazione pari semplicemente ad un quinto della somma erogata. Non meno sorprendente e sfuggente ad adeguata spiegazione è poi il fatto che, ad oltre un anno dal mutuo, Semeraro abbia detto alla Procura Federale il 19 luglio 2012 di non aver né sollecitato né ottenuto la restituzione della somma trasferita a Quarta. Quanto ai due assegni che Semeraro emise a favore di Claudia Nervino, va subito rievocato che il primo di essi reca la data del 27 maggio 2011 per un ammontare di 40 mila euro, mentre il secondo, per un ammontare di 70 mila euro fu emesso il 13 giugno successivo. Prima di procedere all’analisi della ricostruzione contabile effettuata dagli appellanti, è da rilevare che l’intera, complessiva somme di 110 mila euro ricevuta dalla Nervino, fu dalla stessa nel medesimo arco temporale della ricezione, convertita in denaro contante dopo un brevissimo transito sul proprio conto corrente. Ed invero, al momento del versamento del primo assegno fu prelevata dalla Nervino 33 la somma di 15 mila euro, mentre 25 mila euro furono prelevati il successivo 13 giugno, con la conseguenza della commutazione in denaro contante dell’intera somma cartolare di 40 mila euro. Quanto al secondo assegno di 70 mila euro, esso fu convertito in denaro contante per un ammontare esattamente corrispondente alla somma portata nel titolo di credito l’indomani della sua negoziazione. Questa empirica osservazione porta la Corte a stabilire che la Nervino ebbe sempre una disponibilità in contanti di una cifra considerevole, senza – come sarebbe stato più rispondente a criteri di logica di risparmio – lasciar giacere produttivamente la stessa sul proprio conto corrente adoperandola con apposite operazioni alla bisogna. In sostanza, la Nervino poté disporre in un periodo di appena un mese dalla disputa della gara di 110 mila euro in contanti, 40 mila dei quali ricevuti con assegno il giorno prima del versamento iniziale di Quarta a Carella. Fatta questa mera constatazione, che ha di per sé un valore soltanto ricognitivo delle operazioni bancarie, la Corte ritiene che la giustificazione dei movimenti bancari fornita dagli impugnanti non valga assolutamente a ribaltare le motivate e logicamente ineccepibili conclusioni contrarie cui sono pervenuti i primi giudici. Ciò è immediatamente chiaro con riguardo all’acquisto di due dipinti, dei quali l’autore non ha, nelle proprie dichiarazioni rese in sede d’indagine penale e qui versate, minimamente indicato un prezzo, anche soltanto orientativo. È anche d’interesse il fatto che Semeraro non abbia fornito alcuna ragione per la quale per procedere all’acquisto del dittico abbia seguito la strada obliqua dell’emissione di un assegno alla Nervino, poi cambiato in contanti, mentre avrebbe potuto molto più facilmente provvedere direttamente all’operazione. Quanto alla destinazione di una somma a favore dell’azienda dei fratelli Nervino, non è stata fornita la necessaria prova della provenienza delle somme iscritte nei documenti contabili della beneficiaria da una provvista fornita dal Semeraro, come rilevato anche, sia pur sotto il profilo della mancata corrispondenza tra la somma che sarebbe provenuta dall’appellante e gli importi pattuiti per il compenso dell’illecito, dai primi giudici. Conclusivamente, gli appellanti non hanno saputo assolvere l’onere probatorio, cui pure si erano spontaneamente sottoposti, della impressione di uno scopo credibilmente alternativo a quello illecito della utilizzazione delle somme di denaro prelevate dal conto corrente di Semeraro. Due considerazioni conclusive vanno formulate a proposito della posizione di Semeraro in doverosa risposta agli argomenti difensivi sviluppati in questa sede. Il primo riguarda la circostanza che il denaro contante in possesso di Quarta fosse avvolto in fascette del Monte dei Paschi di Siena. La circostanza è perfettamente credibile considerando che anche Quarta era cliente di quella banca e che lo stesso versò sul proprio conto corrente l’assegno di 50 mila euro tratto da Semeraro sempre sul conto aperto presso il medesimo istituto di credito. Va poi osservato che la posizione di Vives è del tutto ininfluente nei confronti di Semeraro: non esiste, infatti prova alcuna che tra i due vi sia stata una qualsiasi forma di contatto con finalità illecite: questo appare ancor più chiaro nella separata e contestuale pronuncia di questa Corte di conferma dell’assoluzione di Vives in primo grado. Anche a questa stregua va confermata la pronuncia impugnata. 4. Venendo al profilo sanzionatorio, deve in linea di principio affermarsi che, nel caso di specie, esclusa per la contestuale assoluzione di Vives la responsabilità oggettiva contestata, può sopravvivere soltanto la responsabilità diretta, che va ritenuta assorbente rispetto a quella presunta, astrattamente configurabile ove non fosse intervenuta la determinante partecipazione del rappresentante legale della società. Ed invero, le due forme di responsabilità in parola appaiono nel caso di specie tra loro incompatibili, in quanto la prima presuppone la partecipazione certa e dimostrata al compimento dell’illecito di un dirigente della società da esso avvantaggiata, mentre quella presunta non solo si riferisce ad una condotta altrui come efficiente del risultato antidoveroso ma muove dal presupposto dell’incertezza della consapevolezza da parte della società avvantaggiata del contributo altrui. Ora, nel caso di specie, il motore dell’operazione illecita è formato dal diverso e inconciliabile presupposto della piena conoscenza da parte del presidente del Lecce dell’apporto causale del tesserato estraneo alla società. E allora, non è logicamente sostenibile che la società sia chiamata al tempo stesso a rispondere, oltre che della condotta commissiva del proprio rappresentante, anche di quella di chi non agì autonomamente ma per effetto di un accordo illecito raggiunto con la prima. In altri termini, cade nella fattispecie la condizione necessaria che rende operante la responsabilità presunta, e cioè che la responsabilità stessa non possa che fondarsi su presunzioni, piuttosto che su prove dirette: ma queste, al contrario, come analiticamente esposto, sussistono pienamente. È, pertanto, applicabile nella fattispecie la forma di responsabilità di cui all’art 4. comma 1 CGS. Quanto alla natura e alla misura delle sanzioni motivatamente imposte dai primi giudici la Corte ritiene che il relativo capo della decisione debba essere confermato, essendo stata fatta plausibile e ragionata applicazione del principio di afflittività della pena nonché della congiunta efficacia di più sanzioni – sportiva e pecunaria –, del tutto giustificate dalla straordinaria gravità dell’illecito e dal grande guadagno indebitamente locupletato dalla società beneficiaria. Quest’ultima circostanza non può che lasciar ritenere sussistente l’aggravante del conseguimento dell’indebito vantaggio in classifica, ancora una volta assorbente del presupposto di operatività della responsabilità presunta. In questo senso e a queste condizioni va mantenuta la pronuncia impugnata. L’incameramento della tassa segue la soccombenza. Per questi motivi la C.G.F. respinge il ricorso come sopra proposto dall’U.S. Lecce S.p.A. di Lecce e, per l’effetto, conferma le sanzioni inflitte, ai sensi dell’art. 4, comma 1, C.G.S. Dispone incamerarsi la tassa reclamo. 1. Con ordinanza del 31 marzo 2012 il GIP del Tribunale di Bari, pronunciandosi sulla richiesta del PM della stessa sede, applicava la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Andrea Masiello, Giovanni Carella e Fabio Giacobbe, contro cui si procedeva in relazione ai reati di cui agli artt. 416 CP e 3 L. 401/1989 per essersi, tra l’altro, associati tra loro per alterare a fini di lucro il corretto e leale svolgimento della partita Bari-Lecce del campionato di calcio di Serie A svoltasi in data 15 maggio 2011. Nel proprio provvedimento, il GIP ricostruiva il contesto del procedimento penale, che riferiva ad un fenomeno antigiuridico del quale calciatori dell’A.S. Bari, in concorso con non tesserati, si sarebbe resi protagonisti. In particolare, l’ordinanza si occupava del ruolo svolto dalle tre persone prima menzionate, il cui scopo sarebbe stato quello di “accomodare” il risultato finale di singole gare. Tale sistema di condotte antigiuridiche avrebbe fatto leva sul fondamentale contributo causale del calciatore Masiello, affiancato nel proprio operato dall’azione di Carella e Giacobbe: il contributo incrociato dei tre avrebbe dato vita al cosiddetto “protocollo Masiello”. In questo contesto si sarebbe inserita anche la condotta volta ad alterare la gara Bari-Lecce. Nella propria ricostruzione il GIP si occupava di individuare in forma analitica il nesso intercorrente tra il delitto associativo contestato alle persone sottoposte alle indagini e quello di frode in competizione sportiva. In generale si osservava che all’interno del sodalizio era stata identificata una chiara ripartizione dei compiti: quelli espletati da Masiello sarebbero consistiti nell’addomesticazione di singole gare e nella ricerca della disponibilità di altri compagni della squadra del Bari alla medesima finalità fraudolenta. Masiello veniva definito il referente esclusivo dell’associazione; il ruolo di Carella e Giacobbe sarebbe stato, tra l’altro, quello di “vendere” l’opera dell’associazione a terzi interessati, così agendo quali bracci operativi del dominus Masiello. Quanto alla gara Bari-Lecce, la motivata premessa giudiziale era che lo scopo alterativo della gara non fosse quello della scommessa sul relativo esito ma l’altro di offrire alla squadra del Lecce la possibilità di conseguire la vittoria e possibilmente la salvezza dalla retrocessione. L’attività investigativa posta in essere sul punto era stata copiosa e capillare, essendosi concentrata sulle dichiarazioni non soltanto delle tre persone sottoposte a indagini ma anche di quelle del calciatore del Bari Marco Rossi. Nel giudicare in modo complessivo e coordinato le risultanze istruttorie il GIP osservava che con riferimento alla gara in questione riceveva conferma piena il modello operativo dell’associazione nonché la ripartizione dei ruoli tra gli adepti, cui era stato assicurato per l’evento un cospicuo guadagno. Veniva ulteriormente posto in rilievo che l’esito locupletativo illecito era stato raggiunto in virtù degli apporti combinati del trio. I non tesserati Carella e Giacobbe avevano sfruttato il contatto con persona qualificata come “operante verosimilmente quale emissaria della società di calcio leccese”, mentre Masiello, dopo aver senza successo cercato il coinvolgimento di alcuni suoi compagni di squadra, “offriva in concreto il suo personale e indefettibile contributo alla vittoria del Lecce con un autogol che non ha avuto nulla di casuale” (pag. 35 ordinanza GIP). Si aggiungeva anche che nel mese di agosto 2011 gli associati si erano recati a Lecce per riscuotere la cifra promessa da chi aveva agito come emissario del Lecce. Particolare risalto veniva dato alle dichiarazioni di Marco Rossi, ritenute complessivamente attendibili: questi aveva riconosciuto in Carella e Giacobbe le persone che gli avevano offerto il denaro dopo la proposta corruttiva di Masiello. L’ordinanza si preoccupava di sottolineare – tenendo conto dei due rapporti informativi del febbraio e marzo 2012 della Polizia Giudiziaria - i numerosi riscontri esterni all’attività degli associati sia nei giorni precedenti la partita, in luoghi e con incontri diversi, sia nel periodo successivo conclusosi, come detto, con il percepimento del profitto illecito il 22 agosto 2011 a Lecce. Veniva ulteriormente sottolineato, a sostegno della fondatezza della richiesta cautelare, l’imponente contributo causale del Masiello mediante la deliberata realizzazione di un’autorete, frutto della deviazione “nella porta della sua squadra del pallone che, calciato da un giocatore del Lecce, era evidentemente destinato fuori dallo specchio della porta” (ib. pag. 36). Quanto alle successive e progressive dichiarazioni di Masiello si dava atto che questi, nel più recente interrogatorio del 15 marzo 2012 al PM di Bari, aveva riassunto nel modo seguente i momenti salienti della vicenda. Carella e Giacobbe si erano recati, la sera della vigilia della partita, presso l’hotel Vittoria in cui alloggiavano i calciatori del Bari proponendo, oltre che a Masiello, ai compagni di squadra Parisi e Bentivoglio di giocare per perdere contro il corrispettivo in denaro offerto da un amico leccese di Carella: questi mostrava al solo Masiello un assegno di 300 mila euro, costituito a garanzia della serietà della promessa corruttiva. Parisi e Bentivoglio, al pari di quel che fece successivamente Rossi, rifiutarono l’offerta. Masiello aveva commesso un’autorete perché “turbato dalla vicenda”. Sul punto va immediatamente osservato che tale dichiarazione fu in un breve volgere di tempo successivo tramutata nel senso della volontarietà dell’autorete: si vedano le dichiarazione da lui rese al PM di Cremona il 15 marzo 2012 alle 17:45 e al PM di Bari nella memoria del 28 marzo successivo. Sempre nell’interrogatorio al PM di Bari del 24 febbraio 2012 Masiello chiariva che complessivamente “una persona molto vicina alla società del Lecce Calcio” aveva consegnato a lui e Carella una somma aggirantesi sui 200 mila euro. Masiello aggiungeva che Carella avrebbe ribadito al suo amico leccese, agente quale intermediario della società calcistica di tale città, che l’autorete era stata volontaria e gli impegni erano stati rispettati. Masiello affermava, inoltre, di aver visto l’emissario nell’incontro svoltosi presso l’albergo leccese il 22 agosto 2011. Ed inoltre, il calciatore aggiungeva che in quella occasione la conferma della volontarietà dell’autorete era stata fornita da lui direttamente ad altra persona amica dell’emissario leccese recatasi, su sollecitazione di quest’ultimo, presso l’albergo: al termine dell’incontro venne corrisposta dal secondo degli emissari leccesi a Carella e Giacobbe l’ulteriore somma di 50 mila euro, che sarebbe poi risultata la quota definitiva di un pagamento che aveva globalmente raggiunto, come detto, una somma intorno ai 200 mila euro. Le indagini che avevano portato all’emissione del triplice ordine di custodia cautelare in carcere davano anche conto della verifica dei tabulati telefonici riferiti all’utenza di Masiello, facendo emergere che costui aveva intrattenuto sistematici contatti con il Carella nei giorni antecedenti la partita, nonché, in particolar modo, subito prima e subito dopo la stessa. Analoga evidenza di rapporti telefonici si ricavava nel giorno dell’incontro leccese, così definitivamente collocato al 22 agosto 2011. Eguale riscontro era stato ottenuto, sempre per quella data, con riguardo agli scambi telefonici tra Carella e Giacobbe. Conclusivamente, l’ordinanza del GIP illustrava le ragioni esplicative delle esigenze cautelari e della sussistenza del pericolo di inquinamento probatorio, sottolineando come solo nel prosieguo del tempo, e all’approssimarsi dell’emissione della misura restrittiva della libertà, Masiello avesse gradualmente esteso l’ambito della propria responsabilità e di quella degli associati. Veniva anche posto in adeguato rilievo il pericolo di reiterazione criminosa alla luce dell’elevata gravità dei fatti e del carattere diffusivo dell’associazione per delinquere nonché della personalità “connotata in senso deviante di tutti gli indagati”, accertata mediante la decodificazione del protocollo delle loro condotte. La qualificazione in termini di indubbia pericolosità sociale della condotta e della personalità dei soggetti sottoposti a indagini giustificava l’applicazione della grave misura coercitiva. 2. Con rapporto del 6 giugno 2012 diretto al PM di Bari il Comando Provinciale dei Carabinieri di Bari riferiva relativamente agli sviluppi dell’indagine in esame, che nel frattempo aveva incrementato il numero delle persone a esse sottoposte, includendo i calciatori Parisi, Bentivoglio e Masiello, il non tesserato Marcello Di Lorenzo (appartenente, in quanto amico dei singoli, al sodalizio composto da Masiello, Carella e Giacobbe), Pierandrea Semeraro, già Presidente della squadra del Lecce, Carlo Quarta (la persona di Lecce con cui Carella avrebbe stipulato l’accordo corruttivo), e Andrea Starace (l’altra persona di Lecce che avrebbe consegnato a Carella e Masiello il 22 agosto 2011 la somma di 50 mila euro, dopo aver ottenuto dal calciatore convincenti assicurazioni circa la volontarietà dell’autorete). Nei confronti di ciascuna di queste ultime persone si formulava l’ipotesi accusatoria di concorso nel delitto di frode sportiva in relazione all’incontro Bari-Lecce del 15 maggio 2011. L’ipotesi da cui muoveva il rapporto era che Semeraro, Quarta, Starace e Di Lorenzo, nel periodo compreso tra il 12 maggio 2011 (tre giorni prima della gara) e il giorno dell’aprile 2012 in cui era stata eseguita la misura cautelare nei confronti di Masiello, Carella e Giacobbe si erano associati tra loro, compiendo atti fraudolenti diretti a ottenere un risultato della partita Bari-Lecce diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della gara. Venivano così ripartite le quote individuali di apporto causale: Quarta, in quanto emissario di Semeraro, aveva preso contatti attraverso Carella con Masiello al fine dell’alterazione del risultato in cambio di denaro; Starace, nel corso dell’incontro leccese con gli altri associati, aveva consegnato a Masiello e Carella 50 mila euro. In particolare, il rapporto di Polizia Giudiziaria esponeva analiticamente l’evoluzione delle indagini conseguenti all’ordinanza del GIP di Bari del 31 marzo 2012, muovendo dall’illustrazione degli interrogatori resi dalle tre persone destinatarie dell’ordinanza cautelare all’autorità giudiziaria tra il 4 e il 6 aprile 2012. Nel corso del proprio interrogatorio al PM di Bari del 4 aprile 2012 Masiello riferiva molteplici circostanze riguardanti le fasi anteriori e posteriori alla partita. Di particolare rilievo sono quelle relative all’incontro avuto qualche giorno prima della partita con Carella e Giacobbe in un bar: nel corso dell’incontro si era discusso della possibilità di alterare l’esito della gara in senso favorevole al Lecce in cambio di denaro. Riferiva anche della visita di Carella e Giacobbe all’albergo del Bari la sera prima dell’incontro allo scopo di convincere i calciatori Parisi, Bentivoglio e Rossi ad accedere al patto corruttivo: in quell’occasione Carella mostrò a Masiello un assegno di 300 mila euro ricevuto dal suo amico leccese a titolo di garanzia. Ed ancora, Masiello parlava di un messaggio ricevuto tramite l’applicazione Whatsapp di Giacobbe con cui si segnalava la necessità di dare prima della partita una pacca sulle spalle a Vives quale segno tangibile dell’accordo. Masiello riconosceva la volontarietà dell’autorete e ripeteva di aver convinto il 22 agosto 2011 a Lecce la persona presentatasi come ulteriore emissario della famiglia Semeraro di avere rispettato l’accordo consentendo al Lecce di salvarsi: veniva confermato il riconoscimento fotografico di Quarta e Starace. Masiello riferiva, inoltre, questi fatti: di aver ricevuto dopo la gara da Di Lorenzo un mms con foto di quest’ultimo con Carella e Giacobbe che li ritraeva nell’atto di indicare il numero 3 (rappresentativo in sintesi della maggior somme di 300 mila euro concordata per l’illecito) con le dita; di aver sentito Quarta dirgli “la famiglia deve essere sicura di dare questi soldi”; della presenza di Quarta all’incontro come colui che si era presentato coi soldi della “famiglia Lecce”. Nell’interrogatorio al PM di Bari del 6 aprile 2012 Giacobbe narrava di un incontro avuto tra l’ora di pranzo e le ore pomeridiane di sabato 14 maggio 2011 a Lecce da Carella – che egli aveva accompagnato da Bari con Di Lorenzo – con Quarta, il quale aveva consegnato allo stesso Carella un assegno subito dopo l’incontro, visivamente percepito da Giacobbe, con una persona poi individuata in Pierandrea Semeraro. Giacobbe dichiarava, inoltre, di avere appreso da Carella che Quarta era intervenuto all’incontro leccese del 14 maggio 2011 per conto di Semeraro. Nel corso del proprio interrogatorio al PM di Bari del 6 aprile 2012 Carella, dopo aver rievocato l’incontro con Quarta del maggio 2011 a Lecce e aver fotograficamente riconosciuto Semeraro come la persona che egli aveva visto parlare con Quarta, esprimeva i propri sospetti sul fatto che Masiello – avvertito da Giacobbe sul da farsi – non avesse dato la pacca a Vives. Egli spiegava così il messaggio telefonico ricevuto nel luglio 2011 da Quarta che gli comunicava le rimostranze di Semeraro per il fatto che Masiello non avesse dato a Vives il segnale convenzionale. Poiché il dubbio aveva indotto Quarta a non proseguire nella corresponsione del prezzo dell’illecito Carella aveva convinto lo stesso e Masiello ad incontrarsi allo stadio di Bari il 21 luglio 2011 per ottenere la conferma che Quarta avrebbe proseguito il pagamento. Quanto all’incontro presso l’hotel Tiziano di Lecce del 22 agosto 2011 Carella diceva che l’ulteriore emissario leccese, Andrea Starace, era stato da Quarta definito uomo di fiducia di Semeraro. Carella formulava anche il sospetto che Quarta avesse ricevuto per intero da Semeraro la somma di 300 mila euro pattuita con i baresi quale corrispettivo della frode sportiva il pomeriggio della vigilia della gara e che, accampando il pretesto del mancato scambio del segno convenzionale tra Vives e Masiello, avesse tentato – in parte con successo – di trattenere per sé una frazione della somma. Carella escludeva che a proprio avviso la somma di 200 mila euro corrisposta da Quarta (per 150 mila euro) e Starace (per il residuo) provenisse dal patrimonio di questi due ultimi solventi. Il rapporto giudiziario di cui si dice informava poi di una complessa serie di indagini e verifiche che facevano corona agli altri atti istruttori. In particolare, venivano riportati specchietti riepilogativi dei tabulati telefonici dei giorni compresi tra il 12 e il 15 maggio 2011, ossia nel periodo intercorso tra la fase di ideazione dell’illecito per cui si procedeva e il giorno stesso della partita. Ancor più specificamente veniva esposto che nei primi tre dei giorni indicati vi era stata una stretta e consecutiva triangolazione telefonica che vedeva al vertice Quarta e come terminali alternativi Carella e Semeraro, quest’ultimo in genere chiamato da Quarta subito dopo un colloquio telefonico con Carella, poi richiamato dopo la comunicazione con Semeraro (vedi pagg. 14-17 del rapporto). Veniva anche resa nota l’esistenza di contatti telefonici rispettivamente tra Quarta e Carella e Carella e Masiello il giorno della partita. Analoghi riscontri di contatti telefonici tra Carella e Quarta si avevano nel periodo compreso tra il 13 luglio e il 22 agosto 2011, con particolare intensificazione nei giorni tra il 13 e il 21 luglio e nel giorno del 22 agosto di quell’anno, rispettivamente rappresentanti il momento di più accesa contestazione da parte di Quarta della sussistenza delle condizioni per osservare il patto criminoso e quello del pagamento definitivo. Le indagini si dedicavano anche alla determinazione dei movimenti effettuati da Semeraro sul proprio conto corrente intrattenuto presso il Monte dei Paschi di Siena. In particolare, questo era l’esito dell’apposita indagine bancaria. Nel periodo compreso tra il 27 maggio 2011 e il 18 luglio successivo Pierandrea Semeraro aveva tratto assegni per 160 mila euro e prelevato in contanti 105 mila euro, per un totale di 265 mila euro in 52 giorni. In particolare, veniva accertato che di questi assegni uno era stato intestato a Carlo Quarta, per la somma di 50 mila euro, che lo aveva versato sul proprio conto corrente presso il medesimo Monte dei Paschi di Siena il 30 maggio 2011. Il 27 maggio dello scorso anno era stato emesso un assegno di 40 mila euro a favore di Claudia Nervino, compagna di vita del Semeraro; il 13 giugno 2011 era stato emesso un ulteriore assegno di 70 mila euro a favore di Claudia Nervino. Quanto ai prelevamenti in contanti essi erano stati effettuati da Semeraro come segue: il 30 maggio, 40 mila euro; il 31 maggio, 10 mila euro; il 3 giugno, 3 mila euro; il 6 giugno, 5 mila euro; il 7 giugno, 7 mila euro; il 18 luglio, 40 mila euro. Le indagini bancarie avevano, altresì, consentito di appurare che Claudia Nervino, contestualmente alla negoziazione dell’assegno di Semeraro di 40 mila euro del 27 maggio 2011, aveva prelevato in contanti la somma di 15 mila euro; analogamente, la stessa, nel negoziare il 13 giugno 2011 l’assegno di Semeraro di 70 mila euro, ne aveva prelevato in contanti 25 mila euro. E infine, la Nervino aveva prelevato in contanti la somma di 70 mila euro il 14 luglio 2011, sicché della complessiva somma di 110 mila euro ricevuta in titoli da Semeraro tra il 27 maggio e il 13 giugno 2011, la Nervino aveva convertito in contanti l’intero importo corrispondente il 27 maggio (15 mila euro), il 13 giugno (25 mila euro), il 14 giugno (70 mila euro). Il rapporto di Polizia Giudiziaria individuava nella data del 28 maggio 2011 quella dell’inizio dei trasferimenti di denaro da Quarta a Carella: nella prima occasione fu consegnata la cifra di 70 mila euro da Quarta a Carella presso l’area di servizio Q8 di Torre a Mare. In 4 distinte successive occasioni Quarta consegnò a Carella 80 mila euro in rate di importo eguale tra loro. Il 22 agosto 2011 fu infine pagata, su sollecitazioni di Quarta, da Starace a Carella e Masiello l’ulteriore e definitiva somma di 50 mila euro. Conclusivamente il rapporto si esprimeva nel senso che fosse stata raggiunta la prova della sicura partecipazione di Masiello, Carella, Giacobbe, Quarta e Semeraro al disegno corruttivo. 3. A seguito della interlocuzione nei termini stabiliti dalla legge con l’Autorità Giudiziaria la Procura Federale presso la Federazione Italiana Giuoco Calcio promuoveva un’estesa indagine anche sulla partita Bari-Lecce del campionato di Serie A 2010-2011. Nel corso delle indagini stesse, oltre all’acquisizione degli atti ostesi dall’Autorità Giudiziaria barese, veniva effettuata l’audizione dei tesserati Gillet, Bentivoglio, Parisi, Masiello, Vives e Semeraro nonché quella del non tesserato Carella, nel periodo compreso tra il 7 giugno e il 19 luglio 2012. Tanto Vives quanto Semeraro respingevano qualunque addebito di partecipazione a illeciti alterativi, sottolineando il primo di non aver mai conosciuto Masiello e di non aver mai scambiato con lui alcun segno convenzionale prima della gara. Aggiungeva di aver confermato la circostanza a Quarta – che conosceva solo di vista – nel corso di un casuale incontro in un locale pubblico di Lecce il 14 luglio 2011. Aggiungeva di aver scambiato la propria maglia al termine della partita contro il Bari solo con Belmonte. Semeraro, Presidente del Consiglio di Amministrazione del Lecce tra il maggio 2010 e il 4 luglio 2011, dichiarava di essere amico di Quarta da anni in quanto compagni di scuola e anche per lo svolgimento in comune di alcune attività nel ramo immobiliare: questi rapporti giustificavano la quasi quotidiana frequenza di contatti telefonici. Non escludeva di aver potuto incontrare casualmente lo stesso Quarta in Piazza Mazzini a Lecce nelle ore post-prandiali del 14 maggio 2011, aggiungendo che, ove avvenuto, l’incontro avrebbe avuto carattere occasionale. In relazione alle operazioni bancarie di cui si era occupato il Rapporto Giudiziario del 6 giugno 2012 Semeraro diceva di aver trasferito un proprio assegno di 50 mila euro a Quarta per un’operazione immobiliare che riguardava quest’ultimo e di non aver allo stato ottenuto la restituzione della somma, peraltro non sollecitata dato il carattere amichevole dei loro rapporti. Del prestito non era stato redatto atto scritto. Semeraro aggiungeva che l’assegno di 40 mila euro alla Nervino era destinato a dare aiuto al fratello della stessa per la gestione del ristorante “Il Giardino” di Lecce. Quanto all’altro assegno di 70 mila euro alla stessa Nervino il tesserato diceva che la somma era destinata a far fronte alle esigenze di indipendenza economica della donna; sempre quella somma era stata utilizzata per un regalo alle nipoti gemelle in occasione del loro battesimo e per l’acquisto di due quadri per 30 mila euro ciascuno: la somma residua era custodita in cassaforte. Semeraro negava di aver mai affidato incarichi professionali allo Starace, che conosceva perché amico di Quarta. Confermava di essersi seduto per scaramanzia sulla panchina aggiuntiva del Lecce nel corso della gara. Al termine dell’indagine il Procuratore Federale, con atto del 25 luglio 2012, rilevava che era stato provato che Semeraro aveva corrisposto, per il tramite di Quarta e Starace, in tempi diversi, la complessiva somma di 200 mila euro a Carella, Giacobbe, Di Lorenzo e Masiello per ottenere la sconfitta del Bari, risultato in effetti realizzato che portò il Lecce a evitare le retrocessione. L’atto del Procuratore Federale prendeva, inoltre, a proprio fondamento sia l’episodio dell’autorete di Masiello sia le dichiarazioni accusatorie rese da Rossi all’Autorità Giudiziaria. Queste avevano poi trovato integrale riscontro in quanto riferito da Bentivoglio, Parisi e Masiello, che sul punto dell’incontro con Carella e Giacobbe la sera della vigilia della gara, collimavano con le dichiarazioni di Masiello. Della deposizione di Carella, la Procura Federale metteva in rilievo l’attitudine dimostrativa dell’incontro avuto con Quarta a Lecce il pomeriggio precedente la gara e la percezione visiva del colloquio tra Quarta e Semeraro nel medesimo contesto. Carella confermava, inoltre, tanto la visita serale ai giocatori del Bari quanto la ricezione di 200 mila euro, per tre quarti ad opera di Quarta e per il resto ad opera di Starace. Nel ritenere attendibili le citate dichiarazioni accusatorie, al contrario di quelle di Semeraro e Vives, il Procuratore Federale deferiva, per quanto qui rileva, Semeraro, Vives e la società U.S. Lecce S.P.A. in relazione all’articolo 7 commi 1,2,5 del C.G.S. per avere, in concorso tra loro e con altre persone tesserate e non tesserate, posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento e il risultato della gara Bari-Lecce, prendendo contatti diretti allo scopo. In particolare, si contestava a Semeraro la corresponsione, per il tramite di soggetti non tesserati, a Masiello e a questi ultimi la somma di 200 mila euro per l’alterazione della gara onde ottenere un vantaggio in classifica. A Vives veniva contestato lo svolgimento di un ruolo di intermediazione per l’ottenimento dell’assenso definitivo da parte di Masiello prima dell’inizio della gara. Agli incolpati veniva contestata l’aggravante dell’effettiva alterazione dello svolgimento e del risultato della gara e del conseguimento del vantaggio in classifica. La società del Lecce veniva deferita per responsabilità diretta in relazione agli addebiti contestati a Semeraro, con l’aggravante da ultimo citato. Veniva contestata la responsabilità oggettiva aggravata per la medesima ragione in relazione agli addebiti contestati a Vives; veniva, infine, contestata la responsabilità presunta per l’illecito sportivo commesso a proprio vantaggio da Masiello. 4. Il dibattimento si svolgeva davanti alla Commissione Disciplinare Nazionale nel corso delle udienze del 3 e 4 agosto 2012. Davanti ad essa, ciascuno dei deferiti (Semeraro, Lecce e Vives) protestava la propria innocenza, anche attraverso il deposito di memorie, nelle quali in forma comune si poneva in principale rilievo la natura contraddittoria ed incoerente delle dichiarazioni di Masiello, il contrasto con le dichiarazioni di Giacobbe e Carella, la mancanza di contributo causale all’illecito da parte di Vives. In particolare, Semeraro produceva una dichiarazione resa in data 1 agosto 2012 ex art.391 C.P.P. dal pittore Ercole Pignatelli, il quale rendeva noto che Pierandrea Semeraro aveva da lui acquistato due dipinti su tela per regalarli a due sue nipoti gemelle: si trattava di un dittico denominato “Il Bosco”. Veniva, altresì, prodotto un comunicato stampa del 19 aprile 2012 di Andrea Starace che dichiarava la propria estraneità a qualunque accordo fraudolento in merito alla gara e di essere solo amico di Carlo Quarta. Veniva anche allegato un ritaglio di stampa locale che riferiva di minacce di morte rivolte a Quarta da tifosi leccesi estremisti. Ed infine, veniva allegata documentazione bancaria relativa alla Nervino & Co. S.a.s. . Ancora, veniva allegato alla memoria del 31 luglio 2012 un verbale di informazione che il difensore di Semeraro nel procedimento penale aveva assunto nel proprio studio da Carlo Quarta, il quale alla sola presenza dello stesso difensore, diceva di essere da anni amico di Pierandrea Semeraro, che fino a qualche mese prima sentiva quotidianamente al telefono. Diceva, inoltre, di aver ricevuto da Carella qualche giorno prima della partita la proposta di pilotare il risultato della partita, grazie al contributo di nove calciatori del Bari, in cambio della somma di 600 mila euro. Aggiungeva Quarta di aver parlato nei giorni precedenti la partita con Semeraro senza fargli cenno della proposta di Carella, ricevendo la sensazione che Semeraro fosse ottimista circa l’esito viste le condizioni fisiche e psichiche del Bari. Quarta aggiungeva davanti e nello studio del difensore di Semeraro di aver tenuto comunque in piedi la trattativa con Carella, facendogli credere che il Lecce fosse disposto a pagare 300 mila euro. Quarta dichiarava anche di aver acconsentito ad un incontro con Carella a Lecce la vigilia della partita per ottenere la conferma dell’accordo, incontrando casualmente Semeraro. Quarta aveva consegnato un assegno a Carella, dal quale ebbe la certezza del patto corruttivo solo l’indomani poche ore prima della partita. Quarta chiese all’interlocutore che Masiello si scambiasse con Vives un segno convenzionale. Il dichiarante escludeva di aver informato lo stesso Vives. Conclusivamente, Quarta esponeva di aver ricevuto pressioni e minacce da Carella per il pagamento della somma pattuita pur dopo aver appreso da Vives della mancanza di contatti con Masiello. Quarta confermava di aver chiesto e ottenuto da Semeraro un assegno di 50 mila euro per l’acquisto di un immobile a Lecce: parte della somma fu utilizzata per pagare Carella. Escludeva di aver restituito a Semeraro, essendosi trovato nell’impossibilità di farlo, la somma di 50 mila euro avuta in prestito. Il resto della somma corrisposta a Carella proveniva da risparmi propri, del padre e di amici, cui aveva riferito di essersi messo “in un grosso guaio”. Quarta escludeva, infine, che Starace avesse avuto qualsivoglia ruolo nella vicenda. 5. Con decisione del 10 agosto 2012 la Commissione Disciplinare Nazionale dichiarava Semeraro colpevole degli addebiti ascrittigli e lo puniva con l’inibizione per 5 anni. Dichiarava, altresì, responsabile in relazione ai titoli contestati il Lecce, che escludeva dal campionato di competenza di Serie B per la stagione 2012/2013, con assegnazione da parte del Consiglio Federale a uno dei campionati di categoria inferiore; la società veniva anche punita con l’ammenda di 30 mila euro. Vives veniva prosciolto dagli addebiti contestati, sotto il profilo della mancanza di prove o d’indizi gravi, precisi e concordati relativamente alla sua responsabilità. I primi giudici ritenevano che le dichiarazioni rese a tal proposito da Masiello fossero confuse e contraddittorie e dettate dalla volontà di dimostrare a ogni costo il proprio determinante contributo all’alterazione del risultato allo scopo di conseguire il prezzo dell’illecito. La Commissione sottolineava anche la inspiegabilità del tardivo sospetto circa il mancato scambio del segnale convenuto, osservando che l’incolpato, se fosse stato partecipe dell’accordo, avrebbe subito riferito a chi di dovere il mancato contatto da parte di Masiello. Per effetto del proscioglimento di Vives veniva esclusa la responsabilità oggettiva del Lecce. Quanto agli altri deferiti i primi giudici ponevano in rilievo che l’accusa aveva trovato riscontro nelle dichiarazioni rese sia davanti all’autorità giudiziaria sia davanti alla Procura Federale dai tesserati coinvolti. In questo senso assumevano particolare rilevo le dichiarazioni rese da Masiello al PM di Bari nel corso dell’interrogatorio del 24 febbraio 2012. Le ammissioni del calciatore erano state ritenute credibili dal GIP di Bari e poste a concorrente fondamento dell’ordinanza cautelare del 31 marzo 2012. I primi giudici rinvenivano ancora idonei elementi di prova nell’interrogatorio del 4 aprile 2012 reso da Masiello al PM di Bari, di cui si è nei paragrafi precedenti detto. Altro elemento probatorio veniva rinvenuto nelle indagini di Polizia Giudiziaria concernenti i plurimi contatti telefonici tra Semeraro, Quarta e Carella. Nella medesima direzione probatoria militavano anche gli esiti delle indagini bancarie concernenti Semeraro e Nervino. Ulteriormente, assumevano efficacia confermativa dell’accusa le dichiarazioni rese alla Procura Federale da Bentivoglio, Parisi e Rossi nonché quelle di Masiello e Carella in data 10 luglio 2012, ricostruttive dei vari segmenti della lunga e complessa vicenda. Nel corso della propria audizione da ultimo citata Carella precisava che, per ragioni di prudenza, aveva concordato con Quarta di utilizzare un linguaggio cifrato negli scambi di sms, utilizzando pseudonimi: Semeraro veniva chiamato “Luciana, alludendo a storie di donne e di tradimenti”. Anche Masiello era a conoscenza di questo linguaggio cifrato. La decisione di primo grado dava atto che Vives non aveva escluso in sede di audizione federale che Semeraro avesse assistito alla gara dalla panchina aggiuntiva. La decisione proseguiva chiarendo che Vives aveva sempre negato di aver parlato con Masiello in occasione della gara. La sentenza negava credito alle spiegazioni di Semeraro relative alle operazioni bancarie sue e della Nervino, in quanto prive di prova scritta e perché esattamente riferibili al periodo che interessa il presente procedimento. Veniva considerata inidonea anche la dichiarazione del pittore Pignatelli in quanto generica; eguale giudizio veniva fornito sulla documentazione bancaria prodotta in udienza, peraltro non contrastante con la ricostruzione effettuatane dalla Polizia Giudiziaria. Egualmente si diceva della tesi dell’utilizzazione di parte delle somme conferite alla Nervino a beneficio del ristorante del fratello: la Commissione affermava che mancasse l’idoneità ad escludere la responsabilità del Semeraro. Altre circostanze indizianti erano costituite dall’incontro tra Semeraro e Quarta a Lecce il pomeriggio della vigilia della gara, così come il fatto che la somma mostrata ai calciatori del Bari in albergo la sera della stessa vigilia fosse avvolta con fascette della stessa banca di cui Semeraro era cliente. Conclusivamente i primi giudici osservavano che le dichiarazioni di Masiello, Carella e Quarta avevano trovato riscontro in circostanze oggettive costituenti prova certa della responsabilità dei deferiti nei termini di cui all’atto di deferimento. 6. Contro tale decisione hanno proposto distinti appelli il Lecce e Semeraro contro le rispettive condanne; la Procura Federale contro l’assoluzione di Vives. Si sono costituiti per resistere agli appelli dei tesserati i terzi controinteressati Nocerina e Vicenza. Nel proprio atto d’appello, pur non articolato in motivi, Semeraro muove una molteplicità di censure alla sentenza di primo grado, che saranno analiticamente passate in rassegna nella successiva parte dedicata all’illustrazione dei motivi della decisione. In sintesi, l’appellante muove dalla premessa che occorre reinquadrare il ruolo di Quarta, solo definibile come portatore di un interesse personale consistente nella prosecuzione dell’attività abituale di scommettitore su competizioni sportive e di millantatore di credito agli occhi di Semeraro. L’impugnazione sostiene che Masiello e Carella, a propria volta, truffarono Quarta facendogli credere dell’organizzazione della combine, in effetti insussistente. Il ruolo di Starace sarebbe stato, in ogni caso, assolutamente non riconducibile al Lecce, la cui posizione sarebbe favorevolmente consolidata dal disconoscimento da parte dei primi giudici della responsabilità di Vives. L’appello prosegue occupandosi in forma critica sia delle dichiarazioni accusatorie rese dalle persone sottoposte a indagini penali sia delle investigazioni di Polizia Giudiziaria, con particolare riferimento alle operazioni bancarie. Di esse viene data, come si vedrà in seguito, una lettura interpretativa inconciliabile con quella adottata in primo grado. L’impugnazione critica, altresì, i criteri applicati dalla CDN per ciò che attiene al giudizio sulla idoneità della chiamata in correità, escludendo la credibilità dei chiamanti anche alla luce della giurisprudenza penale di legittimità. All’atto di appello sono stati allegati documenti riguardanti la molteplicità di scommesse poste in essere da Quarta nel tempo, e la mancata ricezione da parte di Starace dell’avviso di conclusione delle indagini penali propedeutico alla richiesta di rinvio a giudizio. Veniva anche depositato un verbale di dichiarazioni rese il 13 agosto 2012 da Quarta ai sensi dell’art. 391 bis c.p.p. in presenza del proprio difensore di fiducia in sede penale. Veniva anche prodotta copia del contratto preliminare stipulato il 20 giugno 2011 per scrittura privata non registrata né trascritta tra Quarta e Simone Acquaviva, promittente venditore dell’immobile di cui aveva parlato Semeraro nelle precedenti fasi di giudizio per spiegare la ragione dell’attribuzione allo stesso Quarta di un assegno di 50 mila euro. Sulla base di questi motivi si chiedeva la riforma della pronuncia impugnata e l’assoluzione; in subordine si chiedeva che fosse dichiarata insussistente l’aggravante di cui all’articolo 7 comma 6 CGS. Il Lecce proponeva appello basato su un duplice motivo: il primo, principale, che poneva in rilievo l’erroneità dell’attività valutativa e di giudizio dei primi giudici; il secondo, subordinato, lamentava l’eccessività delle sanzioni, sproporzionate alla fattispecie, nonché la non cumulabilità delle ipotesi di responsabilità diretta e presunta, con la conseguente inapplicabilità della pena dell’esclusione dal campionato di competenza, in luogo di quella, astrattamente applicabile, della retrocessione all’ultimo posto del campionato di competenza. La Procura Federale chiedeva la riforma della decisione impugnata nella parte in cui era stato assolto Vives, di cui si chiedeva la condanna a 3 anni e 6 mesi di squalifica con penalizzazione di 5 punti in classifica a carico del Lecce oggettivamente responsabile. L’impugnante basava le proprie richieste essenzialmente sulla credibilità delle dichiarazioni auto ed etero accusatorie di Masiello e di quelle di Carella e di Giacobbe, in particolare laddove il primo aveva detto allo stesso Procuratore Federale di aver ottenuto da Masiello conferma telefonica dello scambio con Vives del segno convenzionale. L’ulteriore prova del coinvolgimento di Vives nella combine sarebbe stata fornita dall’incontro del 14 luglio 2011 tra Quarta e Vives a Lecce rivolto ad appurare se tra i due calciatori fosse intercorsa la manifestazione esteriore dell’accordo illecito. All’appello del Procuratore Federale resistevano con motivate controdeduzioni sia il Lecce che Vives, ancora una volta ponendo in rilievo il groviglio di contraddizioni in cui sarebbero caduti i chiamanti in correità. Si costituiva con memoria la Nocerina la quale chiedeva la conferma della decisione impugnata, deducendo la inammissibilità della produzione da parte di Semeraro dei verbali di dichiarazioni assunte ex art.391 bis CPP, l’irrilevanza degli altri documenti nonché l’infondatezza dell’appello del Lecce. A scopo egualmente oppositivo agli appelli dei tesserati si costituiva il Vicenza che ne confutava il merito, sottolineando la conformità della valutazione effettuata dai primi giudici relativamente alle dichiarazioni accusatorie alle regole fissate dalla giurisprudenza penale di legittimità. Nel corso dell’udienza di discussione del 21 agosto 2012 la Procura Federale illustrava le tesi esposte in primo grado e nell’atto d’appello chiedendo il rigetto degli appelli del Lecce e di Semeraro e l’accoglimento del proprio relativamente alla posizione di Vives. I due difensori di Semeraro insistevano nell’appello, di cui ripercorrevano analiticamente ciascuno dei profili. Egualmente, il difensore del Lecce riproponeva le proprie tesi impugnatorie di cui chiedeva l’accoglimento. Entrambi i difensori, sia del Vicenza sia della Nocerina, insistevano nel chiedere il rigetto delle impugnazioni di Lecce e Semeraro. MOTIVI DELLA DECISIONE L’appello del Procuratore Federale si basa in primo luogo su documenti sostanzialmente estranei al merito della presente vicenda in quanto relativi ad episodi e gare diverse da Bari-Lecce. In quanto tali essi, pur acquisibili nella loro materialità, si rivelano privi di rilevanza. Quanto allo stretto merito dell’impugnazione la Corte rileva che, per quanto essa si basi su singole circostanze o dichiarazioni che tendono ad affermare la ricorrenza della convenzione tra Quarta e Masiello, per il congiunto tramite di Carella e Giacobbe, circa la necessità dello scambio convenzionale del calciatore barese con Vives, manca agli atti del procedimento qualsiasi prova chiara, esplicita, anche solo di carattere logico, che dimostri la consapevolezza dell’appellato in ordine tanto all’accordo corruttivo quanto alla necessità che egli vi partecipasse sia pure in forma simbolica. Ed invero, se anche Masiello recepì la condizione di Quarta circa la necessità dello scambio di segni convenzionali con Vives (segni sulla cui esatta configurazione non esistono versioni concordanti tra i vari attori della vicenda), ciò non comporta affatto né in forma automatica né in forma di corollario logico che Vives fosse al corrente o che qualcuno gliene avesse parlato. Del resto, non v’è ragione per non credere alla sorpresa che egli dichiarò al Procuratore Federale di aver avvertito quando Quarta gli chiese in un ristorante di Lecce il 14 luglio 2011 di uno scambio di maglie con Masiello. Nel negare la circostanza l’appellato non sembra in alcun modo mosso da un semplice intento difensivo: egli avrebbe potuto, perfino, non rivelare l’incontro con Quarta. La sua dichiarazione si è, peraltro, arricchita di un particolare che non ha trovato alcuna smentita e che non è di per sé affatto destituito di plausibilità. Si tratta dell’indicazione di Belmonte come del giocatore del Bari col quale Vives scambiò la maglia (compiendo uno dei possibili gesti nei quali si sarebbe articolato il segno convenzionale) per poi donarla ad un collega barese del fratello. A questa stregua, l’assoluta carenza di prove circa il concorso, anche in termini di semplice partecipazione passiva o di ricezione dell’informazione, da parte di Vives alla vicenda impone la conferma della motivata assoluzione pronunciata in primo grado. Va per completezza aggiunto che, come si arguisce dalle ragioni delle decisioni contestuali e separate di rigetto degli appelli di Lecce e del Semeraro, non appare azzardata l’ipotesi che l’unico ideatore della teoria dello scambio di segni convenzionali sia stato Quarta allo scopo di precostituirsi una causa capace di infirmare l’accordo corruttivo, allo scopo di ottenere magari la ritenzione delle somme messe a sua disposizione da Semeraro perché fossero consegnate agli associati Masiello, Carella e Giacobbe. In conclusione, l’appello va rigettato e confermata la decisione impugnata.
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