CONI – Alta Corte di Giustizia Sportiva – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it – Decisione n. 24 del 16/10/2012 – Sig. L.S./Federazione Italiana Giuoco Calcio

CONI – Alta Corte di Giustizia Sportiva - Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it – Decisione n. 24 del 16/10/2012 - Sig. L.S./Federazione Italiana Giuoco Calcio L’Alta Corte di Giustizia Sportiva, composta da dott. Riccardo Chieppa, Presidente e Relatore, dott. Alberto de Roberto, dott. Giovanni Francesco Lo Turco, prof. Massimo Luciani, Componenti ha pronunciato la seguente DECISIONE nel giudizio iscritto al R.G. ricorsi n. 18/2012, proposto in data 26 luglio 2012 da L. S., rappresentato e difeso dall’avvocato Fabio Giotti, contro la Federazione Italiana Giuoco Calcio - F.I.G.C. - rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Gallavotti, Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli, per l’annullamento della decisione della Corte di Giustizia Federale della F.I.G.C. (il cui dispositivo è stato pubblicato sul C.U. n. 002/CGF del 6 luglio 2012 e la decisione integrale con le motivazioni sul C.U. n. 13/CGF del 20 luglio 2012), che ha confermato la decisione della Commissione Disciplinare Nazionale della F.I.G.C. (pubblicata sul C.U. n. 101/CDN del 18 giugno 2012), con la quale L. S. è stato sanzionato con la squalifica di 5 anni e con la preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C. Visto il ricorso e gli allegati; Vista la memoria di costituzione della F.I.G.C. in data 3 agosto 2012 e gli allegati; Vista l’ordinanza istruttoria presidenziale 6 agosto 2012 e gli adempimenti, in data 5 settembre 2012, a cura della F.I.G.C.; Vista la comunicazione della difesa del ricorrente in data 7 settembre 2012 e la successiva memoria in data 11 settembre 2012; uditi, nell’udienza del 17 settembre 2012, il relatore, Presidente Riccardo Chieppa, l’avvocato Fabio Giotti per il ricorrente e gli avvocati Luigi Medugno, Letizia Mazzarelli e Stefano La Porta (delegato dall’avv. Mario Gallavotti) per la F.I.G.C. RITENUTO IN FATTO Con ricorso iscritto al R.G. ricorsi n. 18/2012, presentato in data 26 luglio 2012 contro la Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.), L. S. ha chiesto l’annullamento della decisione della Corte di Giustizia Federale della F.I.G.C. (il cui dispositivo è stato pubblicato sul C.U. n. 002/CGF del 6 luglio 2012 e la decisione integrale con le motivazioni sul C.U. n. 13/CGF del 20 luglio 2012), che ha confermato la decisione della Commissione Disciplinare Nazionale della F.I.G.C. (pubblicata sul C.U. n. 101/CDN del 18 giugno 2012), con la quale lo stesso S. è stato sanzionato con la squalifica di 5 anni e, altresì, con la preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C.. Il ricorso riconosce espressamente che la impugnata decisione della Corte di Giustizia Federale della F.I.G.C., confermativa della decisione della Commissione Disciplinare Nazionale della stessa F.I.G.C., “previo accertamento della giurisdizione della F.I.G.C. a giudicarlo” lo ha “sanzionato con la squalifica di 5 anni , nonché con la preclusione alla permanenza in qualsiasi rango e categoria della F.I.G.C.”. Tuttavia tiene a precisare preliminarmente l’ambito della controversia, che riguarderebbe in via pregiudiziale “un difetto di giurisdizione della F.I.G.C.” nei riguardi di soggetti non più tesserati e non facenti parte dell’ordinamento sportivo e che, solo in via subordinata, investe il “merito della sanzione aggiuntiva a quella della squalifica a tempo, ovvero la preclusione alla permanenza in qualsiasi rango, o categoria della F.I.G.C.”. Il ricorso, dopo avere esposto ampiamente: - - le ragioni della notevole rilevanza della controversia per l’ordinamento sportivo nazionale, in relazione a soggetto (che assume di essere) non più appartenente allo stesso ordinamento al momento dei fatti addebitati, per quanto attiene a due questioni nuove: una sull’applicazione ed integrazione dell’ordinamento F.I.G.C., in virtù dell’art. 4 del regolamento F.I.F.A. sullo status ed il trasferimento di giocatori; l’altra sulla applicazione ed interpretazione dell’art. 19, comma 1, del Codice di Giustizia Sportiva; - - gli indirizzi giurisprudenziali di questa Alta Corte, con richiamo alle decisioni 14 e 17, nonché alle decisioni 9, 10, 11, 16, tutte del 2012; - - la richiesta (riconfermata), nella ipotesi che venga ritenuta la sussistenza della giurisdizione della F.I.G.C. nei confronti dell’attuale ricorrente, di pronuncia “sulla sanzione aggiuntiva rispetto alla qualifica a tempo, ovvero la preclusione della permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C., per la quale l’adita Corte si è già ritenuta competente a decidere stante la gravità ed incidenza [….] in ambito sportivo”; - - la materia della controversia avente ad oggetto diritti indisponibili, in quanto incidenti sui diritti e sulle libertà della persona costituzionalmente garantite, ritenendoli agganciati all’art. 18 Cost. e alla libertà di aderire ad una società sportiva e di abbandonarla; quest’ultima sarebbe espressamente riconosciuta dalla F.I.G.C. nei confronti dei dirigenti, che volutamente si sottraggono ad un procedimento disciplinare con dimissioni o mancato rinnovo del tesseramento, con una decisione irreversibile, che comporta l’impossibilità di rientrare nuovamente nell’ordinamento sportivo della Federazione. Invece, ai calciatori (attività svolta dal ricorrente fino al 2009), tale facoltà non sarebbe concessa; l’ordinamento particolare non consentirebbe di avere potestà e diritto a giudicare una persona, che non ne fa parte per scelta propria, di modo che la fattispecie sarebbe inerente alla “giurisdizione”; - - le ragioni, nella ipotesi “inverosimile” di difetto di competenza dell’Alta Corte, per accordare un termine per l’eventuale proposizione di un ricorso analogo avanti al T.N.A.S.. Dopo avere illustrato le vicende che avevano portato al procedimento disciplinare e lo svolgimento dello stesso procedimento a carico del ricorrente, ha dedotto una serie di argomentazioni, che possono essere raggruppate in due motivi: 1) Difetto di giurisdizione della F.I.G.C. nei confronti di L. S., tenuto conto della cessazione di ogni attività del ricorrente nell’ambito della F.I.G.C. con la conclusione dell’ultimo contratto di lavoro scaduto il 30 giugno 2009 e con il mancato svolgimento di qualsiasi attività rilevante nell’ordinamento federale e di richiesta di tesseramento nei 30 mesi dall’ultima gara ufficiale, scadenti il 19 ottobre 2011, sulla base: - - della giurisprudenza e della normativa in materia di giurisdizione propria dell’ordinamento sportivo; - - dei dati fattuali rilevanti per definire la posizione dello stesso ricorrente, tenuto conto dell’ultima gara disputata e della scadenza del tesseramento e del contratto con la Ternana Calcio s.p.a. valido fino al 30 giugno 2009, mentre la Procura federale per deferirlo ha dovuto invocare l’art. 4 del regolamento F.I.F.A., benché le condotte rilevanti disciplinarmente sono state quelle fino al 19 ottobre 2011; - - dell’erronea e/o falsa interpretazione, recepimento ed applicazione dell’art. 4 del Regolamento F.I.F.A. sullo status ed il trasferimento dei calciatori da parte degli organi di Giustizia Sportiva della F.I.G.C. nei confronti del ricorrente, sotto i profili: - - dell’immediata applicabilità nell’ordinamento federale della Normativa F.I.F.A., in particolare dell’art. 4 del Regolamento F.I.F.A.; - - dell’interpretazione del predetto art. 4 alla luce dei principi ispiratori e normativi dello stesso ordinamento F.I.F.A. e dei suoi limiti, con richiamo alla circolare n. 1075 del 18 gennaio 2007 e al Commentario al Regolamento F.I.F.A., con le ragioni che hanno portato ad emanare la anzidetta norma; - - della differenza tra il c.d. caso Oshadogan e la fattispecie in esame; - - del recepimento ed applicazione del predetto art. 4 del Regolamento F.I.F.A. in relazione alla normativa federale e alla giurisprudenza in materia. 2) Nel merito della sanzione aggiuntiva della preclusione da ogni rango e categoria della F.I.G.C., in ipotesi di dichiarazione della “giurisdizione” della stessa F.I.G.C.: - si invoca una nuova valutazione della gravità delle condotte, verificando la loro giustificazione per l’irrogazione della stessa sanzione aggiuntiva della preclusione, tenuto conto che tale sanzione riveste una valenza non solo sanzionatoria, ma anche preventiva, che comporta un apprezzamento dei rischi di un eventuale ritorno da parte del ricorrente nell’ordinamento sportivo; - si sottolinea che tale (rinnovata) valutazione dovrebbe avere la finalità di stabilire in via definitiva se nei confronti del ricorrente sia giusto e congruo applicare una limitazione permanente alla generale libertà di associazione costituzionalmente garantita; - si evidenzia, partendo dagli atti di indagine esibiti attraverso un dvd in allegato, la modalità di indagine, differenziata da altri processi disciplinari (calcio scommesse 2011 e 2012) nei quali sarebbe stato scelto un filo conduttore volto ad analizzare le singole posizioni dei soggetti deferiti in relazione a gare nelle quali erano stati commessi o tentati illeciti; cioè, in altri termini, “in relazione alle violazioni contestate” ai deferiti, “illecito sportivo sia consumato che tentato, scommesse illecite e violazione dell’obbligo di denuncia previsto, sia riguardo all’illecito sportivo che alle scommesse, quindi violazioni regolamentari che hanno la […..] natura e la [… ] origine in una gara di calcio”. In particolare, per contro, la posizione del ricorrente sarebbe stata oggetto di giudizio in un procedimento dove non sono state esaminate gare che riguardino direttamente lo stesso ricorrente, mentre tutti gli altri soggetti coinvolti nel giudizio non avrebbero niente a che vedere con lo stesso attuale ricorrente, come riscontrabile dalla Relazione di indagine del Procedimento n. 33 stagione 2011/2012; il nome del ricorrente non sarebbe stato citato da testimoni o presunti complici, ma dal G.I.P. presso il Tribunale di Cremona, ed associato a due gare: Brescia-Lecce del 23/02/2011 ed Inter-Lecce del 20/03/2011, oltre ad una contestazione nell’atto di deferimento di un tentativo di manipolazione della gara Benevento-Pisa del 21/03/2011. Riguardo alla gara Brescia-Lecce, la posizione del ricorrente in ambito federale doveva essere giudicata solo quando e se la Procura federale avesse deciso di aprire un’indagine anche su tale gara e ritenuto di portare a giudizio il ricorrente su tale gara, mai oggetto di alcuna indagine e processo. Riguardo alle altre due gare, si pongono in rilievo le risultanze degli accertamenti e le valutazioni della C.D.N. (Commissione Disciplina Nazionale della F.I.G.C.) e si mette in risalto che, mentre risulta provata “l’effettuazione di scommesse da parte di E. e S.“ e all’attuale ricorrente “siano stati contestati rapporti illeciti con i soggetti citati nella suindicata gara”, da ciò gli organi di giustizia federale avrebbero ritenuta “provata la partecipazione dello stesso ricorrente non solo a singoli illeciti, ma bensì all’associazione finalizzata alla commissione degli illeciti ex art. 9 C.G.S.”. Quanto ai rapporti tra il ricorrente e M. E., come ritenuti dalla decisione della Corte di Giustizia Federale, viene contestata la conoscenza personale e la qualità di testimone diretto del medesimo E. e le sue affermazioni sul “gruppo dei bolognesi” con l’inclusione come cassiere dell’attuale ricorrente, in contrasto con le affermazioni di continui rapporti con lo stesso gruppo e di non conoscere l’attuale ricorrente. In ordine ai rapporti con G. S. e alla responsabilità del ricorrente (affermata dalla decisione della C.G.F.), in relazione ad un incontro a Bologna con un soggetto di Singapore e lo stesso S., si pone in rilievo che sarebbe “l’unico dato fattuale che, sia nell’ambito della indagine penale che di quella sportiva, è stato utilizzato come riscontro del rapporto illecito”. Si chiede in base a quali riscontri, relativamente ai cittadini di Singapore, sia stata accertata la natura illecita di un tale incontro, peraltro mai negato e invece motivato con finalità lecite (progetti e possibilità di acquisto da parte di alcuni singaporiani di società calcistica italiana, con intenzione di coinvolgere S.), riportate negli interrogatori in atti, ai quali viene fatto rinvio insieme ad una e-mail del difensore a S., rimettendosi alla valutazione dell’Alta Corte unitamente a tutto il materiale acquisito. Sui rapporti con A. B. valutati dalla C.G.F ed in particolare sulla telefonata 24 marzo 2011, si osserva che sarebbe l’unica prova della organizzazione criminale dedita a scommesse illecite, telefonata che non fa riferimento a scommettitori asiatici ed al più ipotizzabile per una conoscenza di condotte illecite del B., non come indicazione della pretesa partecipazione del ricorrente a tali attività. Avere contatti con soggetti appartenenti alla organizzazione criminosa non può poter “dire far parte automaticamente della stessa organizzazione”, come risulta anche da altre analisi delle decisioni della giustizia sportiva sul calcio scommesse, nelle quali i soggetti, che avevano avuto tali contatti, nella maggior parte, sono stati sanzionati per singoli o plurimi atti illeciti, ma non per appartenenza finalizzata alla commissione di illeciti sportivi ex art. 9 C.G.S., con conseguente non applicazione della sanzione (ulteriore) della espulsione-radiazione. Inoltre la C.G.F. avrebbe ritenute non rilevanti (rectius “di secondaria importanza”) le dichiarazioni dei commercialisti di S. (indagati dalla Procura presso il Tribunale di Cremona) sul ruolo del ricorrente. Vengono mosse inoltre una serie di contestazioni sul contenuto e sulla valutazione degli elementi connessi a F. G. (interrogatorio), M. B. (ordinanza di custodia cautelare e conoscenza con S.). Dalle dichiarazioni dei soggetti summenzionati non vi sarebbe conferma delle affermazioni di E. (S. cassiere dei bolognesi), né vi sarebbero altri riscontri sul ruolo dell’attuale ricorrente, tanto più cruciale e fondamentale, nell’associazione illecita del cd. “gruppo dei bolognesi”. In ordine all’associazione ex art. 9 C.G.S. e agli elementi caratterizzanti individuati dalla decisione della C.G.F., il ricorso “non concorda, almeno in parte, con il ragionamento seguito dalla Corte […] ed è anche per questo […], in ipotesi la presente controversia venga analizzata nel merito, che si rivolge all’adita Corte affinché, stante la novità delle questioni dedotte e la novità dell’istituto giuridico disciplinato dall’art. 9 C.G.S., individui e circoscriva i suoi limiti di applicazione ed in tali limiti individui quali condotte siano idonee a ingenerare al di là di ogni ragionevole dubbio la partecipazione del soggetto agente all’associazione, nell’ambito del potere di indirizzo giurisprudenziale che le è proprio”. Secondo la tesi della Corte federale, per la partecipazione alla suddetta, ex art. 9 C.G.S., sarebbe sufficiente una catena, in cui ogni anello è rappresentato da un soggetto agente, cui è affidato un compito, con estremi in questa fattispecie costituiti dall’alterazione certa del risultato di una gara e dalle scommesse illecite su tale gara, sapendo in anticipo il relativo risultato. Se ciò fosse vero, tutti i soggetti portati a giudizio avrebbero dovuto far parte della associazione illecita ex art. 9 C.G.S., ma così non è stato sanzionato. Allo stesso modo si fa l’esempio di due giocatori attori principali (G.C. e C.F.) e di altri giocatori che si sono prestati ad alterare i risultati. In tutti gli altri casi trattati, i rapporti con le componenti criminali non calcistiche risulterebbero da capillare attività di intercettazione telefonica, acquisita nell’ambito di indagine penale, ovvero attraverso ammissioni confermate da testimonianze incrociate confermanti l’attendibilità dei soggetti autoaccusatisi, tutti riscontri e conferme non esistenti, nei riguardi dell’attuale ricorrente, o non idonei (vedi viaggi a Singapore e incontro con singaporiano venuto in Italia, a parte le incertezze sulla identificazione). Nella fattispecie le basi del giudizio sarebbero solo ipotesi accusatorie dell’A.G. penale, che gli organi della giustizia sportiva hanno ritenuto plausibili e non sulla base di prove. Il ricorso si rimette alla valutazione dell’Alta Corte in ordine alle telefonate dell’attuale ricorrente con la madre di altro soggetto, nel ritenerle manifestazione di timore, non lontanamente paragonabile ad ammissione implicita di responsabilità o di appartenenza a sodalizio criminale. Allo stesso modo L. S. si rimette alla lettura e valutazione dell’Alta Corte delle spiegazioni plausibili fornite in sede di interrogatorio nel corso del quale non nega di essere venuto a conoscenza delle scommesse, ma prende immediatamente le distanze da coloro i cui comportamenti potevano apparire poco chiari e ciò senza riscontri contrari. Infine, ai fini della invocata valutazione dell’Alta Corte, vi è un richiamo al pensiero espresso in calce al lodo T.N.A.S. (rectius, opinione dissenziente in lodo approvato a maggioranza) sul caso S. ed in ordine a difetto di certezza di coinvolgimento in associazione finalizzata alla commissione di illeciti (art. 9 , comma 1, Codice di Giustizia sportiva della F.I.G.C.). Si è costituita in data 3 agosto 2012 la Federazione Italiana Gioco Calcio che, dopo avere esposto le vicende che avevano condotto alle indagini e poi al procedimento disciplinare, ha proposto le seguenti deduzioni difensive: 1) la misura espulsiva (preclusione definitiva alla permanenza nei ranghi federali, in precedenza denominata radiazione) è una sanzione a sé stante, distinta dalla interdizione di durata (massima) quinquennale, alla quale può sommarsi quando l’infrazione commessa sia giudicata di particolare gravità, e non consegue automaticamente alla prima sanzione. Le conclusioni di merito nel ricorso sarebbero dirette alla sola sanzione della preclusione inflitta a S. L. e sarebbe rimasta inoppugnata la affermazione di responsabilità, che ha invece condotto alla applicazione della sanzione interdittiva temporanea. Il sindacato sulla sanzione espulsiva sarebbe un posterius rispetto all’atto presupposto non impugnato né oggetto di annullamento, allo stato neppure richiesto; né verrebbe meno il rapporto di pregiudizialità se il ricorrente contesta in apicibus la sua assoggettabilità al potere disciplinare della F.I.G.C., professandosi estraneo all’ordinamento calcistico. In mancanza di una rituale impugnazione della sanzione temporanea (ipotizzata avanti al T.N.A.S. come da precedenti giurisprudenziali arbitrali), il ricorso non potrebbe essere definito per saltum in questa sede e dovrebbe essere dichiarato inammissibile o quantomeno improcedibile finché l’organo deputato non si sia pronunciato sull’atto presupposto. 2) Il principale obiettivo del ricorso sarebbe quello di far valere l’inesistenza di legame associativo al momento della commissione dei fatti. Rispetto a tale questione, il ricorso mancherebbe di ogni interesse, dal momento che deve essere escluso qualsiasi effetto ripristinatorio, in quanto sancirebbe una estraneità definitiva ed ostativa alla sua reintegrazione nei ranghi federali; mancherebbe anche qualsiasi interesse morale e utilità strumentale ad una decisione che si limitasse a declinare una “giurisdizione domestica”, senza esaminare il merito delle condotte, nella premessa della mancata impugnazione della decisione per la parte che ha accertato l’infrazione commessa, sanzionandola con la interdizione temporanea. Viene richiamata la giurisprudenza della Corte Federale in relazione all’art. 16, comma 3, dello Statuto federale, rispetto al quale si aggiunge un adeguamento nell’art. 36, comma 7, delle N.O.I.F. ed una interpretazione autentica dell’art. 19, comma 1, del C.G.S. (C.U. n. 74/A del 1 dicembre 2008), con la conseguenza che il ricorrente non potrebbe trarre alcun vantaggio da una “declinatoria della giurisdizione destinata a valere de preterito”, in quando ogni eventuale reintegrazione resterebbe inibita dal divieto di nuovo tesseramento. D’altro canto, anche in mancanza di previsione di questo sbarramento, non sarebbe accettabile una richiesta successiva di nuovo tesseramento che assicurerebbe un beneficio di inammissibile impunità. 3) Il sistema della giustizia sportiva prevede la sanzionabilità di ogni condotta trasgressiva commessa in costanza di tesseramento e l’assoggettamento all’obbligo di osservanza delle regole dell’ordinamento sportivo, con richiamo all’art. 4 del Regolamento F.I.F.A. sulla ultrattività degli effetti del tesseramento nazionale per il periodo di trenta mesi dalla cessazione, in una visione unitaria del settore agonistico sportivo e in base al principio di automatico recepimento della normativa dell’organismo al vertice mondiale e del valore di espressione di una generale linea di tendenza nell’ordinamento F.I.F.A.. L’anzidetta previsione normativa avrebbe carattere sostanziale e non processuale, riguardando profili della posizione di status, senza nulla disporre sul piano procedimentale e sui riflessi relativi alla proponibilità dell’azione disciplinare. La presente questione dovrebbe essere risolta sul versante del diritto sostanziale e non sotto il profilo della giurisdizione, dovendosi verificare la posizione dell’incolpato nei confronti dell’ordinamento sportivo. Il richiamo al Commentario al Regolamento F.I.F.A. ed alle finalità della norma invocata, sarebbe privo di pregio in quanto trattasi: - - di mero vademecum esplicativo, che non può essere considerato come fonte di interpretazione autentica della norma controversa; - - di enunciazione di ragioni ispiratrici del precetto, priva di carattere tassativo o vincolante per una interpretazione teleologica orientata nella direzione meramente esemplificativa; - - di atto avente ad oggetto la regolamentazione degli effetti di una posizione di status, non pensabile come “atomizzazione” di diversi ambiti di operatività; 4) Si ribadisce che possono trovare ingresso sole le doglianze aventi per oggetto la valutazione di particolare gravità dell’illecito ed in particolare in riferimento alle accertate violazioni dell’art. 9 C.G.S.. Sulla base dell’ampia valutazione della decisione impugnata e alla luce della copiosa giurisprudenza in materia e degli elementi probatori emersi in sede di indagine, non potrebbero essere messi in discussione gli elementi costitutivi, a carico dell’attuale ricorrente, gravi e concordanti nella prova della sua colpevolezza, ampiamente puntualizzando i principali aspetti. La difesa della F.I.G.C. conclude per la inammissibilità e/o improcedibilità del ricorso e comunque per il suo rigetto. Con ordinanza presidenziale 6 agosto 2012, l’Alta Corte ha disposto una integrazione istruttoria mediante l’acquisizione di: 1) copia delle eventuali segnalazioni pervenute da organi della Giustizia ordinaria; 2) copia di tutti gli atti e documenti acquisiti ed utilizzati dalla Procura Federale, qualora non compresi negli atti e documenti già presentati dalle parti avanti a questa Alta Corte; 3) copia degli atti, compresi i verbali e la documentazione acquisita, del primo grado (Commissione Disciplinare Federale) e del secondo grado (Corte Giustizia Federale) con il ricorso in appello e le deduzioni delle parti, qualora non compresi sub 2) ovvero in quelli già depositati dalle parti avanti a questa Alta Corte; L’ordinanza ha: a) assegnato alla F.I.G.C. il termine del 5 settembre 2012, per l’integrazione documentale, e alla parte ricorrente l’ulteriore termine del 7 settembre successivo per eventuale completamento, con obbligo a ciascuna parte di reciproco scambio della documentazione eventualmente in via telematica; b) fissato l’udienza del 17 settembre 2012 per la discussione del ricorso ai sensi dell’art. 9, comma 3, del Codice dell’Alta Corte, con conseguente facoltà delle parti di depositare presso la Segreteria dell’Alta Corte memorie difensive entro il termine perentorio dell’11 settembre 2012, con scambio tra le parti e facoltà di utilizzare eventualmente anche la via telematica. La F.I.G.C. ha provveduto il 5 settembre 2012 agli adempimenti richiesti, depositando in formato elettronico tutta la documentazione richiesta e mettendone copia a disposizione della controparte, che il successivo 7 settembre ha comunicato che non vi erano atti o documenti da integrare. Con una memoria in data 10-11 settembre 2012 il ricorrente ha controdedotto ampiamente e diffusamente alle tesi difensive della F.I.G.C. in ordine: - - all’ammissibilità del giudizio a norma dell’art. 1, commi 2 e 3, del Codice dell’Alta Corte; - - al difetto di giurisdizione della F.I.G.C. a giudicare l’attuale ricorrente; - - sul merito delle condotte contestate e sugli elementi raccolti, dai quali dovrebbe logicamente dedursi che l’attuale ricorrente non fosse componente delle anzidette associazioni criminali, ma al più potrebbe essere sanzionato per singole violazioni regolamentari, che non condurrebbero mai alla sanzione della preclusione come costante giurisprudenza federale in tutti i procedimenti sul cd. “calcio scommesse”. All’udienza dell’Alta Corte del 17 settembre 2012 il ricorso è stato discusso con l’intervento dei difensori delle parti ed è passato in decisione. Considerato in diritto 1.- Preliminarmente, anche ai fini della individuazione esatta dell’ambito del presente giudizio e dei poteri di sindacato di questa Alta Corte di Giustizia sportiva, deve essere posto in rilievo quanto segue: a) la decisione impugnata della Corte di Giustizia Federale - come esposto puntualmente nel “Ritenuto in fatto” che precede - è stata solo parzialmente oggetto di ricorso, che si limita ad investire esclusivamente due capi dell’atto impugnato: l’uno, relativo alla statuizione preliminare sulla c.d. “giurisdizione” dell’ordinamento sportivo della F.I.G.C. (rectius, potere disciplinare con valenza solo sostanziale non processuale) nei confronti dell’attuale ricorrente, sotto il profilo della insussistenza del vincolo di tesseramento nell’ambito dello stesso ordinamento sportivo; l’altro, nel merito della sanzione, proposto in via gradata in caso di mancato accoglimento del primo motivo, viene espressamente limitato alla sola statuizione sulla sanzione – si noti aggiuntiva rispetto alla squalifica a tempo emessa sulla base di accertamento di responsabilità per gli illeciti addebitati - della preclusione da ogni rango e categoria della F.I.G.C. inflitta a seguito di una valutazione della gravità delle medesime condotte illecite (accertate nella stessa decisione e non impugnate), particolare gravità che viene, invece, da sola contestata dal ricorrente. Di conseguenza, sono rimasti al di fuori della impugnazione i profili attinenti all’accertamento della responsabilità per la condanna alla squalifica temporanea, con il conseguente prodursi di un giudicato interno su detti profili, potendo essere esaminata nel merito sola la statuizione sulla gravità, che ha consentito l’irrogazione della ulteriore sanzione aggiuntiva avente carattere di autonomia e non di necessaria consequenzialità. Questa sanzione aggiuntiva ha come presupposto di base l’avvenuto accertamento di illecito per irrogare la sanzione della squalifica temporanea fino a cinque anni, senza alcun automatismo (argomentando anche dalla dizione “possono” ed “altresì” contenuta nella norma sanzionatoria applicata alla fattispecie - art. 19, comma 3, Codice di Giustizia Sportiva F.I.G.C.). b) Il presente giudizio di ultimo grado avanti all’Alta Corte - come in diverse occasioni affermato - a cominciare dalla decisione n. 7 del 29 ottobre 2009 e, nell’ambito specifico di procedimento disciplinare, nelle decisioni n. 7, 8 e 9 dell’11 maggio 2012 - ha natura impugnatoria, quale mezzo di impugnazione avverso decisioni della Giustizia Federale, che ha la propria delimitazione nelle questioni legittimamente introdotte nel precedente grado di appello o che dovevano essere oggetto di esame dal giudice di appello e proposte con i motivi e i motivi aggiunti di ricorso, naturalmente con tutte le preclusioni endoprocessuali verificatesi anche nei precedenti gradi. Da tale carattere deriva che in questa sede si instaura non un nuovo giudizio, che comporti un rinnovo dell’acquisizione probatoria ed una rinnovata valutazione integrale dei fatti e della intera responsabilità. Invece, si apre solo un sindacato, con effetto devolutivo sulla decisione impugnata, nei limiti degli specifici motivi e censure proposti, sulla motivazione della decisione impugnata. Il sindacato può estendersi – sempre rispetto ai capi della decisione impugnati e sulla base e nei limiti dei motivi e censure specificamente dedotti nel ricorso - alle valutazioni dei fatti contenute nella decisione impugnata con interventi suscettibili di condurre anche a rettifiche, correzioni ed integrazioni delle valutazioni e motivazioni anche di fatto, in ogni caso nell’ambito degli anzidetti singoli motivi e censure ritualmente introdotti. Ovviamente restano operanti le preclusioni verificatesi all’interno della stesso procedimento, compreso l’eventuale giudicato interno che sia formato nei gradi precedenti o anche su capi della decisione eventualmente non oggetto di impugnazione. Nel presente giudizio si è formata proprio una preclusione all’esame del motivo attinente alla c.d. “giurisdizione della F.I.G.C.”, che in realtà ha un diverso valore sostanziale e non processuale, in quanto attinente al potere disciplinare della Federazione e al dovere di condotta e soggezione allo stesso potere disciplinare da parte dell’attuale ricorrente in conseguenza della ultrattività della appartenenza all’ordinamento sportivo nei trenta mesi dal termine del rapporto sottostante. Questo giudicato interno, come in appresso chiarito, ha effetti sulla ammissibilità del primo motivo. c) Il ricorso – proposto, si noti, sulla base della intera conoscenza del dispositivo e della motivazione della decisione impugnata -, per quanto attiene al “merito della sanzione aggiuntiva della preclusione” non è strutturato in enucleati e specifici mezzi di gravame, ma si sviluppa solo in parte con specifici rilievi e per il resto con un discorso a tutto campo sugli elementi di prova acquisiti, con una serie di enunciazioni delle prove esistenti agli atti, rimettendosi ad una rivalutazione del Collegio senza una enunciazione puntuale di vizi denunciati (vedi nel “Ritenuto in fatto”) e con le seguenti richieste di: -- valutare la gravità delle condotte, verificando la loro giustificazione per l’irrogazione della stessa sanzione aggiuntiva della radiazione-espulsione; -- individuare o circoscrivere i limiti di applicazione ed in tali limiti individuare quali condotte siano idonee a ingenerare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la partecipazione del soggetto agente all’associazione (art. 9, comma 1, Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C.) nell’ambito del potere di indirizzo. Questo rende molto difficoltosi i diritti di difesa della controparte, alterando la posizione delle parti in un giusto processo, e, soprattutto, non consente anche al giudicante la individuazione e la ricostruzione delle censure, che possono, ovviamente, riguardare solo i vizi della decisione impugnata in questa sede. Devono quindi essere considerate inammissibili quelle vaghe enunciazioni prive di specifico riferimento alla stessa decisione ed anche le richieste di generica nuova valutazione in fatto o in diritto non sorrette da specifiche censure e non ricostruibili come motivo specifico su cui si fonda il ricorso. Vanno, invece, esaminati tutti i profili di gravame che sono suscettibili di ricostruzione puntuale e che vengono esaminati nella motivazione che segue al punto 4. 2.- Il ricorso rientra certamente nella competenza dell’Alta Corte, trattandosi di controversia concernente una sanzione di espulsione-radiazione e quindi di diritti indisponibili riguardanti la libertà di partecipare ad associazione sportiva e di svolgere attività anche professionale nell’ambito sportivo (v. decisioni n. 7, 8 e 9 dell’11 maggio 2012). Sono profili per i quali esiste anche un rilevante interesse per l’ordinamento sportivo, attesa la tipologia della infrazione commessa e le esigenze di corretti comportamenti, che coinvolgono l’immagine e la credibilità dell’intero ambito sportivo. Entrambe le parti configurano la possibilità di un coinvolgimento delle competenze del T.N.A.S.: il ricorrente adombra una eventuale competenza arbitrale e una rimessione in termini, qualora intervenga una pronuncia affermativa della c.d. “giurisdizione” della F.I.G.C., rectius - come appresso chiarito – sulla persistenza del potere disciplinare della F.I.G.C. sull’attuale ricorrente e sulla sua soggezione agli obblighi di comportamento corretto sul piano sportivo e del suddetto potere disciplinare nel periodo della commissione dei fatti addebitati. La Federazione, invece, prospetta espressamente la mancanza di una domanda-ricorso al T.N.A.S. sul capo della decisione relativo all’accertamento della responsabilità per l’irrogazione della sospensione quinquennale, presupposto necessario (ma non sufficiente) e logico-giuridico della sanzione aggiuntiva della preclusione (art. 19, comma 3, Codice di Giustizia Sportiva F.I.G.C.) e prospetta una inammissibilità e/o una improcedibilità del presente ricorso. In realtà, da un canto non è possibile, nella situazione esistente del contenuto della proposta impugnazione, configurare un eventuale intervento del T.N.A.S., essendo ampiamente decorso il termine per la proposizione di una domanda di arbitrato rispetto alla predetta statuizione della Corte Federale (si noti: in una unica decisione sui due capi della pronuncia). D’altro canto, sul piano dei principi generali processuali, deve escludersi l’ ipotesi di una concorrente duplicazione di rimedi di giustizia contro la stessa, unica decisione disciplinare, a seconda della tipologia della contestuali sanzioni irrogate nella anzidetta decisione. Ciò tanto più che la seconda sanzione, che ha per presupposto la prima e l’accertamento della relativa responsabilità con sanzione quinquennale (art. 19, comma 3, Codice di Giustizia Sportiva F.I.G.C.), si basa sull’apprezzamento di “particolare gravità” della medesima infrazione disciplinare accertata. Ciò posto, sia nell’ipotesi denegata di una concorrente competenza del T.N.A.S., sia in quella della concentrazione ed unicità nel rimedio impugnatorio avanti all’Alta Corte in presenza di accertamento e relativa sanzione coinvolgenti anche diritti indisponibili (e perciò non arbitrabili), si perviene al medesimo risultato. Infatti, per la parte relativa all’accertamento che ha condotto alla sanzione della sospensione quinquennale (con richiamo al precedente punto 1, lett. b), si è prodotto un giudicato interno ed una preclusione a rimetterlo in discussione per effetto, nella prima ipotesi, di mancanza di tempestiva domanda di arbitrato e, nella seconda ipotesi, per consumazione, per questa parte, della impugnazione avanti all’Alta Corte, espressamente limitata, per scelta del ricorrente, alla sola sanzione aggiuntiva. Di conseguenza, in presenza di un giudicato interno, resta preclusa ogni questione che possa far venire meno l’accertamento e la sanzione della sospensione quinquennale, sulla quale esiste ormai un giudicato irretrattabile. D’altro canto, è anche fondato l’ulteriore ed autonomo profilo di inammissibilità per difetto di interesse (eccepito dalla Federazione), in quanto l’attuale ricorrente non potrebbe in futuro chiedere di essere tesserato o di svolgere attività in ambito F.I.G.C., ove ottenga di sottrarsi alla giustizia federale, ciò in base a tutte le norme invocate dalla Federazione (combinato disposto dell’ 16, comma 3, Statuto F.I.G.C. e dell’art. 36, comma 7, delle N.O.I.F., nonché dell’art. 19, comma 1, C.G.S.), anche alla luce delle rispettive riformulazione e interpretazione autentica introdotte con delibera del Consiglio Federale di cui al C.U. n. 74/A del 1 dicembre 2008), che sono applicabili – si noti - a tutte le componenti sportive che fanno capo alla Federazione. Né può avere effetto di liberalizzare e di consentire una discrezionale opzione la previsione di effetti negativi derivanti dal sottrarsi a un procedimento disciplinare, in quanto in contrasto con la finalità di effetto repressivo di tale condotta ad evitare immunità procurate dallo stesso responsabile. 3.- Sulla base delle duplici anzidette autonome argomentazioni risulta l’inammissibilità del primo motivo di ricorso attinente all’esistenza di un potere disciplinare della F.I.G.C. nei confronti dell’attuale ricorrente, c.d. “giurisdizione” nel linguaggio del ricorso, ma, in realtà, potere disciplinare e dovere di condotta conforme allo status, e, quindi, con natura sostanziale e non processuale. Comunque, proprio in relazione all’invocata pronuncia, da parte del ricorrente, per gli effetti di indirizzo giurisprudenziale, vale la pena di osservare che il motivo è anche infondato, risultando le relative argomentazioni della decisione impugnata prive dei vizi logici e giuridici denunciati. Infatti, il complesso delle norme invocate dalla decisione impugnata e dalla difesa della Federazione (aventi carattere sostanziale e non processuale, con proiezione di effetti sullo status) è suscettibile di una corretta e logica interpretazione nel senso che l’ultrattività della soggezione all’ordinamento sportivo si applica a tutte le posizioni in cui può assumere rilevanza la appartenenza all’ordinamento stesso e, quindi, anche ai profili del potere disciplinare e ai relativi obblighi di condotta. Ciò in quanto il contenuto e le finalità delle norme invocate - e, prima di tutte, dell’art. 4 del Regolamento F.I.F.A sullo status ed il trasferimento dei giocatori - inquadrate negli indirizzi generali di tendenza sul piano sia sovranazionale e sia nazionale, non consentono un’irragionevole distinzione e differenzazione di ambiti di applicazione (unidirezionale solo a vantaggio dell’atleta e nel solo caso di ripristino del rapporto associativo sportivo) del genere di quella invocata dal ricorrente. Inoltre, tale interpretazione limitativa urterebbe con le esigenze di immagine e correttezza proprie del mondo sportivo, persistenti anche per un periodo immediatamente successivo, nel quale possono presumersi vantaggi derivanti dalla precedente posizione ed effetti pregiudizievoli sul valore dei principi fondanti lo sport, delle relative competizioni e del connesso affidamento da parte della società in genere e non solo dei tifosi, degli atleti e dei soggetti sportivi, compresi i soggetti associativi di appartenenza. Inoltre, nessun effetto preclusivo alla suddetta interpretazione può derivare dall’esplicazione contenuta nel richiamato Commentario al Regolamento F.I.F.A. di cui alla lettera circolare n. 1075 del 18 gennaio 2007, sia per la funzione meramente esemplificativa di ipotesi non esaustiva, assimilabile ad un mero vademecum illustrativo, sia soprattutto per la mancanza di valore assolutamente vincolante in ogni sua parte, sia ancora per l’inesistenza di efficacia di interpretazione autentica in ragione della fonte formale di provenienza (lettera circolare e allegato Commentario ai quali non è associata alcuna delibera di organo deliberativo con idonei poteri normativi). Invece la norma F.I.F.A., contenuta nell’art. 4 del Regolamento sullo status ed il trasferimento dei giocatori, per la sua natura e per il valore normativo di tale determinazione del massimo organo del settore, deve ritenersi direttamente applicabile come obbligatoria, senza esigenza di apposito recepimento da parte della Federazione italiana. 4.- Passando all’esame del secondo motivo di ricorso, occorre rilevare che resta limitato – secondo quanto puntualizzato nel precedente punto 1 del diritto - alle censure attinenti alla “gravità” dei comportamenti lesivi dei doveri disciplinari e alla irrogazione della relativa sanzione aggiuntiva della esclusione-radiazione. In realtà, tenendo conto degli elementi istruttori, presi in considerazione nella decisione impugnata con un ragionamento privo dei vizi logici e giuridici ritualmente denunciati, e non smentiti dal complesso delle documentazioni acquisite, emergono, ai fini di escludere l’assenza della “particolare gravità” delle condotte come sostenuto dal ricorrente, i seguenti aspetti significativi: - il particolare e complesso - e tutt’altro che isolato - rapporto privilegiato con i membri dell’organizzazione associativa (associazione finalizzata alla commissione di illeciti ex art. 9 C.G.S., ormai accertata con l’irrogazione della sospensione quinquennale), è tale da far ritenere valido e immune dai vizi denunciati l’apprezzamento nella decisione impugnata sulla particolare gravità. - gli ulteriori riscontri attraverso le conversazioni telefoniche captate dalla P.G. nel corso della indagine, dalle quali si evincono chiaramente – sempre ai fini della particolare gravità - sia il peso della complicità non meramente passiva, sia la piena consapevolezza della combine o meglio dei tentativi sistematici di combine di gare calcistiche (anche se poi non sempre andati a buon fine), attraverso la partecipazione ad associazione finalizzata alla commissione di illeciti (art. 9, comma 1, Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C.), sia, ancora, un apporto personale dell’attuale ricorrente, certamente non secondario per la sua acquisita posizione e le sue conoscenze in ambito calcistico. Di qui la conferma della particolare gravità (art. 19, comma 3, Codice di Giustizia Sportiva F.I.G.C.), dal punto di vista soggettivo, oltre che oggettivo per la tipologia associativa, con mancanza tutt’altro che lieve di lealtà e correttezza, connesse alla finalità del meccanismo di alterazione delle gare e delle scommesse, con conseguenza di notevole allarme sociale. Sussiste, infatti, una piena rispondenza del giudizio di “particolare gravità” che ha condotto alla contestata sanzione della preclusione-radiazione, in riferimento alle esigenze e alle problematiche delle attività sportive ed insieme alla concreta funzione, anche preventiva, della misura aggiuntiva inflitta, per i rischi di un futuro ritorno di un soggetto che ha svolto attività tutt’altro che secondaria nello sport calcistico, con dimostrate conoscenze nel campo. Infine, non può valere ad attenuare la “particolare gravità” del fatto associativo il diverso utilizzo di mezzi istruttori o di imputazioni o di sanzioni rispetto ad altre differenti situazioni nel fenomeno del “calcio-scommesse”, prevalentemente di giocatori in attività di partecipazione a gare. Infatti, le invocate disparità di trattamento (peraltro, in buona parte, generiche e riferite in mera ipotesi all’accertamento della sanzione prevista ex art. 19, comma 1, lett. h, del Codice di Giustizia Sportiva F.I.G.C.), sono escluse in radice dalla diversità di situazioni e dalla possibilità, per ciascun organo di giustizia, di utilizzare i diversi e previsti mezzi istruttori e gli strumenti di acquisizione ritenuti opportuni in relazione alla peculiarità del caso e della imputazione. Del resto, le differenti situazioni erano relative a singole gare o comportamenti illeciti configurati diversamente; mentre il caso in esame è stato valutato secondo principi di legalità e specifiche disposizioni sanzionatorie che non possono essere disapplicati per effetto di eventuali altre differenti pronunce sanzionatorie di giustizia sportiva, comunque non vincolanti come precedente nel nostro sistema giustiziale. Di conseguenza, il ricorso deve essere rigettato per questa parte, che riguarda la “particolare gravità” delle condotte incriminate (ormai accertate e non contestabili), ai fini dell’irrogazione della sanzione aggiuntiva della preclusione. 5.- In relazione al comportamento processuale del ricorrente e ai limiti oggettivi della sua impugnazione, che non ha voluto toccare la sanzione della sospensione temporanea, sussistono giusti motivi per compensare interamente le spese del presente giudizio. P. Q. M. RIGETTA il ricorso, come in motivazione; SPESE compensate; DISPONE la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro difensori anche con il mezzo della posta elettronica. Così deciso in Roma, nella sede del Coni, il 17 settembre 2012. Il Presidente e Relatore F.to Riccardo Chieppa Depositato in Roma il 16 ottobre 2012. Il Segretario F.to Alvio La Face
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