CONI – Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it Lodo Arbitrale del 10 dicembre 2012 promosso da: Sig. Andrea Alberti / Federazione Italiana Giuoco Calcio
CONI – Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it Lodo Arbitrale del 10 dicembre 2012 promosso da: Sig. Andrea Alberti / Federazione Italiana Giuoco Calcio
I L C O L L E G I O A R B I T R A L E
Avv. Enrico De Giovanni Presidente
Avv. prof. Guido Calvi Arbitro
Avv. prof. Massimo Zaccheo Arbitro
nominato ai sensi dell’art. 6 comma 3 del Codice dei giudizi innanzi al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport, riunito in conferenza personale in Roma, presso la sede dell’arbitrato, in data 10 dicembre 2012 ha deliberato all’unanimità il seguente
L O D O A R B I T R A L E
nel procedimento di arbitrato n. 632 promosso con istanza prot. n. 2019 del 06/08/2012 da: Andrea Alberti, nato il 15 gennaio 1985 a Desenzano sul Garda, residente in Brescia, via Signorini n. 17, rappresentato e difeso dall’ avv.to Giannetto Guarducci di Prato e dall’avv. Stefano Giorgio di Roma, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo, in Roma, viale Bruno Buozzi n. 59 , giusta delega rilasciata a margine della istanza di arbitrato datata 6 agosto 2012
ricorrente
contro
Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.), con sede in Roma, via Allegri n. 14, in persona del dott. Giancarlo Abete, rappresentata e difesa dagli avv.ti Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, via Panama 9, giusta delega in calce alla memoria di costituzione del 12 settembre 2012
resistente
FATTO E SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO ARBITRALE
A. Le parti
1. Il sig. Andrea ALBERTI (d’ora in poi l’istante o il ricorrente) è un calciatore professionista attualmente tesserato presso la Federazione Italiana Giuoco Calcio (la “FIGC” o la “Resistente”), associazione delle società e delle associazioni sportive che praticano, promuovono od organizzano lo sport del calcio, agonistico e amatoriale, in Italia.
B. La controversia
Il sig. Alberti ha formulato istanza di arbitrato per ottenere (vedi pag. 1 dell’istanza) “l’annullamento e/o la riforma della delibera , emessa in grado di appello dalla corte di Giustizia Federale Sezioni Unite“ della FIGC “pubblicata il 6 luglio 2012 con Comunicato Ufficiale n. 002/CGF che ha respinto l’appello dell’Alberti proposto avverso la delibera della Commissione Disciplinare Nazionale pubblicata sul Com. Uff. n. 101/CDE del 18.06.2012 con la quale gli era stata comunicata la sanzione della squalifica per anni tre e mesi 6 in relazione alla gara di Coppa Italia Serie C Cremonese-Monza del 27.20.2010.”
C. Il procedimento arbitrale
Con istanza prot. n. 2019 del 06/08/2012 , rivolta al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport (d’ora in poi il “TNAS”) ai sensi degli art. 9 ss. del Codice dei giudizi innanzi al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport (d’ora in poi il “Codice TNAS”), l’istante introduceva il presente arbitrato per contestare la Decisione della CGF sopra citata, all’epoca nota nel solo dispositivo; nella stessa istanza di arbitrato il ricorrente proponeva quale arbitro l’avv. prof. Guido Calvi e riservava più ampi motivi all’atto del deposito delle motivazioni del lodo. Con memoria datata 09/08/2012, prot. 2048, la FIGC si costituiva nel procedimento arbitrale, chiedendo il rigetto dell’istanza e indicando quale arbitro l’ avv. prof. Massimo Zaccheo. Con memoria prot. 2194 del 31/08/2012 l’istante integrava l’istanza di arbitrato, alla luce delle motivazioni nel frattempo depositate; la FIGC replicava con memoria prot. 2417 dep. il 18/09/2012. Gli arbitri designati dalle parti nominavano quale Presidente del Collegio Arbitrale l’avv. Enrico De Giovanni, il quale accettava l’incarico. Il 26 settembre si teneva la prima udienza e, esperito senza successo il tentativo di conciliazione, il Collegio concedeva termini per memoria all’istante e repliche al resistente. Nei termini stabiliti, le parti depositavano le memorie autorizzate: l’istante depositava memoria difensiva prot. 2846 in data 18/10/2012 e la FIGC provvedeva a depositare memoria prot. 3072 in data 12/11/2012. Il 10 dicembre 2012, dopo un rinvio d’ufficio di precedente udienza, si teneva dunque la seconda udienza dell’arbitrato. In tale occasione il Collegio Arbitrale invitava le parti alla discussione sul merito della controversia. Le parti svolgevano le proprie difese, anche in replica; il sig. Alberti rendeva dichiarazioni spontanee. Veniva autorizzato il deposito del dispositivo separatamente dalle motivazioni.
All’esito dell’udienza, il Collegio si riservava. In data 18/01/2013, con prot. 0119, veniva depositato il dispositivo del presente lodo.
D) Le deduzioni e domande delle parti
Con la citata istanza in data 6 agosto 2012 al TNAS ai sensi degli art. 9 ss. del Codice TNAS, l’istante introduceva il presente arbitrato per contestare la citata decisione della CGF; nell’istanza si riservava “ l’esposizione di motivi specifici…quando saranno note” le motivazioni a sostegno della decisione impugnata, all’epoca non ancora depositate. Deduceva comunque, pur in assenza di una compiuta descrizione del fatto, che le decisione impugnata, ritenuta frettolosa e “a senso unico” in favore delle tesi accusatorie, era viziata da errore interpretativo poiché a fronte delle dichiarazioni del pentito Gervasoni, che aveva in un primo momento dichiarato di aver combinato il risultato di un incontro tra le squadre Monza e Cremonese (che l’istanza indica nell’epigrafe sopra ricordata) insieme al suo compagno di squadra nella Cremonese sig. Stefani, e che successivamente aveva dichiarato di aver ricordato che lo Stefani medesimo gli aveva riferito di aver coinvolto nella combine alcuni giocatori del Monza, tra cui l’Alberti, non si era considerato che lo Stefani “aveva tutto l’interesse a sostenere di dover compensare altri giocatori con il provento della combine da lui percepito insieme all’altro” e che inoltre l’accordo fra i due predetti era sufficiente per l’ottenimento del risultato concordato. Si costituiva ex art. 12 Codice TNAS la FIGC con il ricordato atto del 9 agosto 2012 chiedendo la declaratoria di inammissibilità e, comunque, di rigetto dell’istanza avversaria, riservate deduzioni di replica ai futuri scritti difensivi di controparte . L’istante versava poi in atti, dopo il deposito delle motivazioni della decisione impugnata, una memoria integrativa da cui, attraverso la lettura delle dichiarazioni del Gervasoni ivi trascritte e delle conseguenti ricostruzioni fornite dall’istante, era possibile ricavare una pur frammentaria e parzialmente incompleta ricostruzione dei fatti storici e processuali; in sostanza l’oggetto del giudizio è identificabile nell’incontro di Coppa Italia di Lega Pro Cremonese-Monza del 27 ottobre 2010, terminata con il risultato di 2-3, il cui risultato, come dichiarato per la prima volta dal Gervasoni il 22-12-2011 dinanzi al GIP di Cremona, fu alterato, su invito del c.d. “ zingaro” indicato con le iniziali G.A. al fine di ottenere guadagni tramite scommesse sportive, con il coinvolgimento dei giocatori Gervasoni, Paoloni e Stefani, tutti della Cremonese; successivamente il Gervasoni in data 27-12-2011, dinanzi alla Procura di Cremona, aggiungeva di aver ricordato che lo Stefani gli aveva riferito di aver diviso parte del denaro conferito da G.A. per la realizzazione della combine con alcuni giocatori della squadra avversaria ( il Monza), fra cui il sig. Alberti, il quale, a sua volta interrogato dalla Procura federale della FIGC, smentiva ogni suo coinvolgimento o semplice conoscenza dei fatti testé descritti. L’istante rilevava che sul piano probatorio la condanna è basata solo sulla circostanza, riferita dal Gervasoni, che lo Stefani avrebbe detto al Gervasoni stesso di aver dato parte dei 40.000,00 euro ricevuti per la realizzazione della combine ad alcuni giocatori della squadra del Monza, fra cui il sig. Alberti, circostanza, invece, priva del preteso valore probatorio poiché lo Stefani aveva interesse a far credere di aver dovuto dividere con altri il proprio illecito guadagno; solo incidentalmente (all’interno di una parentesi a pag. 5) l’istante rappresenta che lo stesso Stefani “ nega il tutto”. Segnala inoltre che l’Alberti aveva lasciato il campo nei primi minuti del secondo tempo sul risultato di 1-1. L’istante criticava quindi la decisione non perché sia censurabile l’aver creduto alle dichiarazioni rese dal Gervasoni all’A.G., ma perché si è dato credito alle affermazioni, riferite sempre dal Gervasoni, fatte dallo Stefani nei confronti di quest’ultimo. Dunque per il ricorrente la sentenza era errata e viziata sul piano motivazionale (ma anche nulla, secondo quanto si legge in un inciso di pag.4, poi non ulteriormente sviluppato) poiché avrebbe attribuito il crisma di credibilità ad affermazioni da ritenere inattendibili poiché rese interessatamente al Gervasoni dallo Stefani al fine di giustificare, agli occhi del primo e dei suoi referenti, il rilevante guadagno di euro 40.000,00. L’istante muoveva poi critiche all’andamento processuale dei giudizi disciplinari, lamentando una sostanziale violazione del diritto di difesa. Non sviluppava, invece, argomentazioni, deduzioni o prove in merito ad eventuali obblighi di risarcimento danni gravanti sulla FIGC. Concludeva quindi chiedendo testualmente che il Collegio riconosca “l’erroneità delle pronunce e, revocandole, condanni la FIGC alla refusione delle spese tutte di causa e al risarcimento dei danni patiti e patiendi dall’Alberti a seguito ed in dipendenza di tali pronunce”. La FIGC replicava con atto del 14 settembre 2012 concludendo per il rigetto dell’istanza avversaria; essa chiariva puntualmente in fatto che gli atti del giudizio erano riferiti all’incontro di Coppa Italia Cremonese-Monza del 27 ottobre 2010; ricostruiva i vari interrogatori del Gervasoni, già sopra ricordati, ponendone in chiara evidenza la portata accusatoria nei confronti dell’Alberti, anche alla luce di ulteriori indagini della procura federale che avevano posto in luce come il sig. Stefani intrattenesse rapporti di amicizia con il sig. Fiuzzi e quest’ultimo a propria volta costituisse un trio affiatato con il sig. Iacopino e con l’Alberti (si tratta di giocatori del Monza indicati insieme come partecipanti alla combine nelle presunte dichiarazioni dello Stefani al Gervasoni). Proseguiva la FIGC con ampie deduzioni in diritto in merito alla natura devolutiva del giudizio dinanzi al TNAS e circa il livello di prova necessario per attingere ad una condanna nell’ordinamento sportivo: la Federazione, richiamati precedenti giurisprudenziali, affermava l’autonomia dell’ordinamento sportivo sancita dalla legge 280/2003, con la conseguente “niente affatto obbligata permeabilità” del medesimo rispetto alle norme dell’ordinamento generale e il corollario della inapplicabilità del principio del superamento di ogni ragionevole dubbio, proprio del processo penale, per poter addivenire alla condanna disciplinare sportiva, per la quale appare sufficiente “un grado di prova …superiore alla semplice valutazione delle probabilità ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio”. Nel merito poneva in luce che a carico dell’Alberti, oltre le dichiarazioni del Gervasoni, andavano considerati gli acclarati rapporti tra Stefani e Fiuzzi, i rapporti tra questi ultimi e Alberti e Jacopino e l’irrilevanza dell’uscita dal campo dell’Alberti; inoltre, pur ammettendo in fatto l’intervenuta smentita di Stefani circa il coinvolgimento dell’Alberti, la riteneva irrilevante poiché dettata da esigenze difensive dello Stefani. Confermava quindi la congruità della sanzione. Il 10 dicembre 2012 si teneva dunque la seconda udienza dell’arbitrato. In tale le parti svolgevano ulteriormente le difese già finora sunteggiate .
E) Le motivazioni della decisione
Il Collegio Arbitrale ha attentamente preso in esame tutti gli atti dell’arbitrato, e ritiene di dover muovere nella propria analisi dalle seguenti premesse riguardanti: la funzione e le caratteristiche del giudizio dinanzi al TNAS; l’identificazione dello standard probatorio necessario per accedere al riconoscimento della responsabilità disciplinare; i criteri di acquisizione e valutazione delle prove.
1) Sul primo tema, in merito ai poteri dell’organo giudicante il Collegio ritiene che il Codice TNAS abbia effetto pienamente devolutivo della controversia, come da consolidata giurisprudenza; in altri termini esso conferisce all’arbitro un potere di integrale riesame del merito della controversia, senza subire limitazioni, se non quelle derivanti dal principio della domanda e dai quesiti ad esso proposti dalle parti, ovvero dalla clausola compromissoria sulla quale i suoi poteri sono di volta in volta fondati. Pertanto eventuali e ipotetiche irregolarità procedurali, che possano essersi verificate di fronte agli organi disciplinari federali o endoassociativi, non comportano di per sé l’annullamento del provvedimento impugnato (ed eventualmente la rimessione della questione agli organi disciplinari per un nuovo giudizio), se (e nella misura in cui) lo svolgimento dell’arbitrato TNAS (e la piena osservanza in esso dei diritti della difesa) consente di ritenere sanato il dedotto vizio (cfr. il lodo del 2 maggio 2012, Atalanta/ FIGC; lodo10 ottobre 2012, Alessio / FIGC).
2) La seconda e la terza tra le questioni segnalate riguardano l’identificazione dello standard probatorio necessario per accedere al riconoscimento della responsabilità disciplinare e i criteri di acquisizione e valutazione delle prove; esse si prestano ad un esame unitario. Al riguardo va senz’altro condivisa l’osservazione della parte resistente circa le connotazioni di peculiarità che caratterizzano il sistema giustiziale sportivo, ma con le precisazioni che seguono. Punto di partenza e base normativa di siffatta considerazione è la chiara affermazione dell’autonomia dell’ordinamento sportivo contenuta nella vigente normativa primaria e, segnatamente, negli artt. 1 e 2 del d.l 19/8/2003, n. 220, conv. con modif. dalla l. 17/10/2003, n. 280: per quanto qui interessa, in virtù delle norme citate, la Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione di quello internazionale facente capo al C.I.O.; i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio dell’autonomia (salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento generale di situazioni giuridiche connesse); è riservata all’ordinamento sportivo la disciplina dei comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione e applicazione delle relative sanzioni disciplinari, materia in cui società e tesserati hanno l’onere di adire gli organi di giustizia sportiva. Da ciò indubbiamente discende l’autonomia dell’ordinamento sportivo anche nel determinare valori e principi che devono ispirare la condotta dei soggetti che partecipano all’ordinamento sportivo e che in quell’ambito agiscono, e conseguentemente stabilire i limiti e i divieti la cui violazione costituisce illecito disciplinare nonché le sanzioni che ne conseguono. Inevitabile corollario di tali principi è l’esistenza dell’autonomia dell’ordinamento sportivo nell’apprestare gli strumenti necessari per garantire il rispetto delle regole, e quindi nel predisporre le regole e gli apparati della giustizia sportiva. E’ dunque, a normativa vigente, innegabile che le regole del procedimento disciplinare, e fra queste le regole sugli standard probatori e sulla acquisizione e valutazione delle prove, non debbano necessariamente essere vincolate al rispetto dei principi e delle discipline specifiche inerenti i giudizi penali, civili e amministrativi. Tanto osservato non è tuttavia possibile omettere di segnalare che la stessa possibilità di esistenza di un ordinamento sportivo nonché la sua autonomia trovano fondamento nella Costituzione ed in particolare negli artt. 2 e 18 ; nell’art. 2 vengono riconosciuti e garantiti i diritti inviolabili dell’uomo “sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, nell’art. 18 viene riconosciuto ai cittadini il diritto di associarsi liberamente. Dunque la libertà di associarsi al fine di svolgere la pratica sportiva nell’ambito di una struttura organizzativa basata su regole autoprodotte trova certa base costituzionale, ma essa non può comunque in alcun modo giungere a negare o disapplicare “i diritti inviolabili dell’uomo”. Pertanto le regole (scritte o semplicemente seguite nella prassi) del procedimento disciplinare, e fra esse quelle inerenti allo standard probatorio e all’ acquisizione e valutazione delle prove, pur non risultando direttamente permeabili da parte delle regole processuali dell’ordinamento statuale, devono comunque rispettare i principi supremi volti a garantire i diritti inviolabili della persona rinvenibili nella Carta Costituzionale. Rispetto che deve essere tanto più puntuale qualora la sanzione da infliggersi o inflitta comprima posizioni giuridiche soggettive che trovano puntuale tutela costituzionale, come il diritto di esplicare la propria personalità nelle formazioni sociali ( art. 2) e di svolgere un’attività di lavoro (art.4) , diritti certamente colpiti dalla lunga squalifica irrogata all’odierno istante. Fra i principi costituzionali che possono certamente essere invocati quali direttamente applicabili nei procedimenti disciplinari rientrano, a giudizio del Collegio, i principi del pieno esercizio del diritto di difesa ( art. 24) e del giusto processo (art. 111), da declinare in concreto, nell’ambito dell’ordinamento sportivo, con criteri applicativi attenuati rispetto a quelli (più rigorosi) processual-penalistici ma comunque in modo tale da non intaccare le ricordate prescrizioni di ordine generale. A conferma di quanto sopra in merito alla necessità del rispetto da parte dell’ordinamento disciplinare sportivo dei diritti fondamentali riconosciuti e garantiti dalla Carta costituzionale deve rammentarsi la recente decisione dell’Alta Corte n.9/2012 secondo cui “ l’ordinamento della giustizia sportiva, per quanto autonomo ed indipendente, non può sottrarsi ai principi fondamentali irrinunciabili contenuti nella Costituzione Italiana e negli atti anche essi fondamentali della Unione europea, dovendo, invece, interpretare ed applicare le norme dello stesso ordinamento sportivo alla luce degli anzidetti principi fondamentali soprattutto quelli attinenti alla persona umana e alla sua tutela”, principio a cui il Collegio intende attenersi , anche in ossequio all’ art. 12 bis dello Statuto del CONI , secondo il quale “il principio di diritto posto a base della decisione dell’Alta Corte che definisce la controversia deve essere tenuto in massimo conto da tutti gli organi di Giustizia sportiva”. Secondo il Collegio, quindi, pur in difetto di specifiche e puntuali norme procedurali, gli orientamenti della giurisprudenza in tema di standard probatori e acquisizione e valutazione delle prove dovranno attenersi al rispetto dei ricordati principi. Si condivide, sotto tale profilo, il recente arresto della giurisprudenza del TNAS ( lodo Alberto Fontana/ FIGC, del 19/12/2012) laddove si afferma che “non si può negare…l’applicazione di regole di garanzia di diritto comune ispirate ai principi di dignità ed effettività di esercizio dei diritti, (compresi quelli di difesa) della persona”. Tanto premesso in generale, ritiene il Collegio, sul piano degli standard probatori, in piena adesione alla giurisprudenza del TNAS, che per ritenere la responsabilità da parte del soggetto incolpato di una violazione disciplinare sportiva non sia necessaria la certezza assoluta della commissione dell’illecito né il superamento di ogni ragionevole dubbio, come nel diritto penale, ma che, nel rispetto dei ricordati principi costituzionali, debba comunque sussistere, e possa ritenersi sufficiente, un grado inferiore di certezza, ottenuta comunque sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, in modo tale da acquisire una ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito (cfr. i lodi del 23 giugno 2009, Ambrosino c. FIGC; 26 agosto 2009, Fabiani c. FIGC; 3 marzo 2011, Donato c. FIGC; 31 gennaio 2012, Saverino c. FIGC; 2 aprile 2012, Juve Stabia e Amodio c. FIGC; 24 aprile 2012, Spadavecchia c. FIGC; 26 aprile 2012, Signori c. FIGC; 10 ottobre 2012 Alessio c. FIGC). In particolare ritiene che, come già osservato in precedenti lodi, “tale definizione dello standard probatorio ha ricevuto, nell’ordinamento sportivo, una codificazione espressa in materia di violazione delle norme anti-doping, laddove si prevede che il grado di prova richiesto, per poter ritenere sussistente una violazione, deve essere comunque superiore alla semplice valutazione delle probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio (cfr., ad es., le Norme Sportive Antidoping del CONI). Siffatto principio ha una portata generale, in quanto non collegata alle specificità della normativa anti-doping: esso, infatti, rileva nel quadro di essa per tutti i casi in cui l’organizzazione sportiva debba provare elementi a fondamento della propria pretesa punitiva.” ( cfr. lodo Alessio / FIGC) Alla luce di ciò si tratta di verificare in questo arbitrato, attraverso l’ esercizio del potere di revisione dei fatti controversi, se gli elementi di prova raccolti consentono di ritenere, secondo lo standard probatorio enunciato, la integrazione dei presupposti per l’affermazione di responsabilità dell’istante. Sul piano dell’ acquisizione e della valutazione degli elementi probatori, con più specifico riferimento ai criteri di valutazione della chiamata in correità, della chiamata in correità “de relato” e del contrasto tra dichiaranti (nel caso di specie tra quanto dichiarato dal Gervasoni e dallo Stefani), il Collegio osserva che la circostanza che vada condivisa la posizione manifestata dalla giurisprudenza e fatta propria Federazione volta a ritenere la “niente affatto obbligata permeabilità” del’ordinamento sportivo rispetto alle norme dell’ordinamento generale, non impedisce al giudice sportivo, nel formare il proprio libero convincimento, di tenere presenti norme e principi propri dell’ordinamento processualpenalistico e orientamenti elaborati dalla giurisprudenza ordinaria, in particolare quando ciò consenta il sostanziale rispetto dei principi costituzionali secondo quanto sopra osservato. Il Collegio, in merito ai temi sopra ricordati, ritiene di dover tenere presenti le disposizioni di cui all’art. 192 c.p.p., secondo cui le chiamate in correità vanno valutate “unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità” e dell’art. 195 c.p.p., che, per l’utilizzabilità della testimonianza indiretta prevede che se “il testimone si riferisce, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone, il giudice, a richiesta di parte, dispone che queste siano chiamate a deporre”, introducendo così una cautela nell’uso delle testimonianze de relato. Va, al riguardo, tenuta presenta anche la giurisprudenza in tema di chiamata in correità “de relato”, secondo la quale “la chiamata di correo de relato, effettuata da un collaboratore di giustizia, può costituire grave indizio di colpevolezza, ex art. 273, comma primo bis, cod. proc. pen., solo quando è sorretta da riscontri esterni individualizzanti, in quanto tali, aventi valore dimostrativo non solo in ordine all'accertamento della verificazione del fatto di reato, ma anche in ordine alla sua attribuzione e riferibilità al soggetto” (Cass. pen. Sez. 1, Sentenza n. 19867 del 04/05/2005); “In tema di testimonianza indiretta, qualora la persona alla quale il testimone ha fatto riferimento sia stata chiamata a deporre e abbia escluso la veridicità di quanto riferito dal teste "de relato", il giudice può riconoscere attendibilità all'una o all'altra deposizione in base al principio generale del libero convincimento, non essendo stata posta dal legislatore una gerarchia tra i detti mezzi di prova.” in tale sentenza la Corte ha precisato che , attesa la identità di "ratio" con le regole imposte per la valutazione del chiamante in correità, sono applicabili alla testimonianza indiretta i principi stabiliti dall'art. 192 comma terzo cod. proc. pen.( Cass. pen. . Sez. 6, Sentenza n. 26027 del 05/03/2004); ” La dichiarazione accusatoria "de relato", resa da un collaboratore di Giustizia, può integrare la prova della colpevolezza solo se è sorretta da adeguati riscontri estrinseci che - a differenza di quanto è richiesto per la chiamata in correità – devono riguardare specificatamente il fatto che forma oggetto dell'accusa e la persona dell'incolpato, in quanto il minore tasso di affidabilità di una dichiarazione resa su accadimenti non direttamente percepiti dal dichiarante rende necessaria l'individualizzazione del riscontro.” (Cass. pen. Sez. 1, Sentenza n. 17804 del 07/12/2001). Al di là di accentuazioni talora in parte divergenti, resta comunque che ai fini della valutazione della dichiarazione accusatoria “de relato” debbano essere tenuti presenti i riscontri esterni relativi sia all'accertamento della verificazione del fatto che alla sua riferibilità al soggetto incolpato. Il Collegio ritiene che tali regole siano da applicare al giudizio disciplinare sportivo con la dovuta ponderazione proprio per la segnalata autonomia dell’ordinamento sportivo, ma che non per questo siano eludibili poiché esse sono chiara espressione del principio secondo il quale i diritti fondamentali della persona possono essere sacrificati solo qualora la pretesa punitiva, penale o disciplinare che sia, risulti sostenuta da idonei elementi di prova e possa essere contrastata dell’accusato con l’esercizio di una congrua attività difensiva. Anche sotto questo profilo si richiamano le considerazione svolte nel citato lodo Fontana / FIGC , secondo il quale “il regime di formazione,acquisizione e valutazione della prova…deve comunque e sempre essere ispirato a criteri (se non di certezza oltre ogni ragionevole dubbio o di rigoroso rispetto di precise fasi e modalità di formazione ed acquisizione) almeno di ragionevolezza, plausibilità e verisimiglianza, oggettività specificità non apoditticità e riscontrabilità”, Dunque la chiamata in correità, secondo il Collegio, per assurgere a elemento probatorio decisivo deve essere corroborata da qualche elemento di riscontro, oggettivo o soggettivo, o provenire da soggetto da elevata e indiscutibile attendibilità, e va comunque considerata con particolare cautela laddove la prova a carico dell’accusato scaturisca da affermazioni riferite de relato , tanto più se poi smentite dall’originario referente (nel caso di specie lo Stefani). Alla luce di tali orientamenti, dunque, il Collegio ha proceduto all’esame del presente caso. Deve innanzi tutto osservarsi che non è controverso che un illecito sportivo sia stato commesso in relazione alla gara in esame sotto il profilo del verificarsi di contatti fra vari giocatori delle due squadre volti ad alterare il risultato finale, contatti che non sono contestati. Tuttavia si ritiene di dover giungere alla conclusione che non sia raggiunto un grado di ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito in particolare da parte dell’Alberti. Infatti, pur senza dubitare della buona fede delle dichiarazioni del Gervasoni in merito alla circostanza che lo Stefani gli abbia indicato il nome dell’Alberti come partecipante alla combine (dichiarazioni che appaiono nella specifica circostanza attendibili alla luce dell’intero complesso probatorio acquisito e che non vengono comunque contestate neanche dal ricorrente), si ritiene che sulla base del materiale probatorio acquisito a carico dell’Alberti non possa raggiungersi una ragionevole certezza sulla effettiva partecipazione e quindi colpevolezza dell’Alberti alla luce di una serie di considerazioni. Il Collegio ritiene cioè che non si possa non solo raggiungere la certezza assoluta della commissione dell’illecito e il superamento di ogni ragionevole dubbio, come nel diritto penale, ma neanche quel grado inferiore di certezza, ottenuta sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, che consenta di acquisire la ricordata ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito. Si tratta, ovviamente, di una valutazione di ordine discrezionale che il Collegio ritiene di poter svolgere, in diverso avviso rispetto agli organi di giustizia federale, pur se si è in presenza di elementi che, sempre a giudizio del Collegio, hanno condotto in modo non abnorme ed irrazionale alle diverse conclusioni che si leggono nelle decisioni endofederali. Il Collegio ha valutato un quadro che tiene conto dell’esistenza di eventuali riscontri, oggettivi o soggettivi, degli elementi di accusa e che tiene conto del grado di specifica attendibilità del ricordo del Gervasoni medesimo, anche in considerazione della circostanza che egli nel contesto delle indagini svolte in varie sedi sul c.d. “calcio – scommesse”, ha reso dichiarazioni su molteplici circostanze ed eventi (ha infatti nel complesso riferito su oltre 60 partite), cosicché tali dichiarazioni richiedono un vaglio proprio perché è ragionevole ritenere che il numero e la distanza nel tempo dei fatti riferiti possano talvolta determinare ricostruzioni non del tutto esatte nei particolari. Va al riguardo precisato che il Collegio non ritiene di dover esprimere valutazioni di ordine generale sulla credibilità del Gervasoni, personaggio centrale nelle complesse vicende disciplinari e processuali legate al c.d. “calcio-scommesse”; infatti , fermo restando che ogni valutazione al riguardo sarebbe certamente opinabile giacché le numerosissime dichiarazioni etero e auto-accusatorie rese dal Gervasoni dinanzi all’Autorità giudiziaria penale e davanti agli organi disciplinari della FIGC hanno trovato talora pieni riscontri e conferme e in altre occasioni smentite, cosicché non è possibile ritenere a priori la piena attendibilità o inattendibilità delle medesime, va comunque considerato che non appare opportuno né possibile esprimere valutazioni generali di tipo soggettivo in merito alla personalità e alla credibilità del Gervasoni perché sul piano metodologico la valutazione del giudicante non può essere soggettiva e generalizzata ma deve essere oggettiva e puntuale, deve cioè riguardare i singoli e specifici fatti oggetto del giudizio e i singoli elementi probatori letti in un quadro complessivo e coerente. Dunque il Collegio ritiene che vadano prese in considerazione non la (presunta) personalità del dichiarante per dedurne la fondatezza o meno delle accuse di volta in volta dirette ad altri soggetti, bensì vadano esaminate le singole dichiarazioni, relative ad ogni specifico caso, e valutate alla luce degli ulteriori elementi probatori o indizianti acquisiti al medesimo giudizio, con una prudente applicazione dei generali principi recati dall’ordinamento e dalla giurisprudenza processual-penalistici, nella misura in cui essi siano funzionali al rispetto dei principi costituzionali sopra ricordati. Nel caso di specie il Collegio ritiene che il coinvolgimento del sig. Alberti nella ricordata combine non possa ritenersi adeguatamente accertata, poiché il suo coinvolgimento non è stato riscontrato direttamente dal Gervasoni tramite diretto contatto, ma solo a questi riferito da terza persona, e già tale circostanza può rendere il ricordo del Gervasoni meno certo e attendibile; in secondo luogo tale partecipazione è stata smentita dal sig. Stefani, cioè da chi , secondo il Gervasoni, gli aveva riferito della partecipazione all’illecito dell’Alberti, cosicché viene a mancare il riscontro alla dichiarazione accusatoria; va infine sottolineato che anche il concreto realizzarsi sul campo della pur certamente tentata combine che avrebbe alterato il risultato non risulta accertato con sicurezza; che le circostanze in cui si è svolto l’incontro ben possono spiegarne l’esito sportivo; che comunque il limitato impegno dell’Alberti nell’incontro (impegno terminato poco dopo l’inzio della ripresa) sono circostanze che non sembrano offrire riscontro alle dichiarazioni accusatorie. A ciò si aggiunga che effettivamente lo Stefani, come dedotto dall’istante, nell’ambito del rapporto con il Gervasoni relativo all’incontro di calcio de quo poteva avere motivi di interesse nel mentire affermando infondatamente la partecipazione di vari giocatori del Monza alla combine, proprio al fine di giustificare, dinanzi al primo e ai suoi referenti, il rilevante guadagno di euro 40.000,00 a lui solo derivatone. Inoltre quanto affermato successivamente dallo Stefani circa il non coinvolgimento dell’Alberti nella combine introduce comunque un ulteriore elemento di dubbio; è infatti astrattamente ipotizzabile che egli, avendo a suo tempo mentito al Gervasoni al riguardo, abbia poi ritenuto di dire il vero al fine di elidere le conseguenze di quella sua affermazioni a danno dell’Alberti una volta avuta la consapevolezza del danno che avrebbe subito la carriera sportiva del medesimo in caso sanzione disciplinare; oppure che il Gervasoni, pur se in buona fede, possa avere interpretato non correttamente quanto appreso dallo Stefani o ricordato (si rammenta che le dichiarazioni auto e etero accusatorie del Gervasoni sono intervenute oltre un anno dopo la partita e che comunque il Gervasoni ha riferito all’A.G. su numerosissime partite, con il conseguente già segnalato rischio di qualche imprecisione) quanto a suo tempo appreso in modo non corretto. In sostanza il Collegio ritiene che l’insieme di tali circostanze, idonee a determinare incertezza sulla ricostruzione dei fatti e in particolare sulla partecipazione alla combine dell’Alberti, faccia venir meno l’esistenza dello standard probatorio necessario per la condanna disciplinare. Va comunque sottolineato che l’insieme degli elementi accusatori rinvenibili nei confronti dell’Alberti, considerate anche le circostanze dedotte negli scritti difensivi della Federazione, costituiscono elementi di rilievo non trascurabile cosicché la decisione impugnata, pur se non condivisibile e quindi meritevole di riforma per i motivi sopra illustrati, non appare connotata da “la superficialità, la illogicità, la totale mancanza di motivazione” denunciati dall’istante, difetti scaturiti, sempre secondo l’istante “dal non avere mai letto le memoria difensive presentate dalla difesa”, affermazione rispetto alla quale la difesa dell’Alberti è “cosciente della gravità dell’accusa” ( pag. 4 della memoria). Ritiene infatti il Collegio che il giudice federale, letti gli atti processuali, abbia invece semplicemente esercitato in modo difforme da quello oggi seguito dal TNAS il proprio potere-dovere di pronunciarsi sulla base del libero convincimento . In sostanza e riassumendo, pur senza tacere che le affermazioni del Gervasoni non sono prive di verosimiglianza, il che ha determinato il non irrazionale orientamento degli organi federali di giustizia, tuttavia il Collegio, diversamente opinando, ritiene di non poter ritenere raggiunta una ragionevole certezza circa la responsabilità del sig. Alberti, dal che deriva l’accoglimento della domanda di annullamento della sanzione inflitta non essendo accertata la violazione contestata; e ciò sostanzialmente perché il Collegio ritiene che nel caso di specie ci si trovi dinanzi ad una semplice chiamata in correità de relato, sfornita dei necessari riscontri, che pertanto non può da sola fondare una condanna. Va invece dichiarata inammissibile e improponibile e quindi respinta la domanda risarcitoria formulata dall’Alberti nelle definitive conclusioni; anche a voler prescindere dalla circostanza che nessuna argomentazione in fatto e in diritto è stata articolata dalla difesa dell’Alberti al fine di dimostrare l’esistenza e l’entità del danno e la responsabilità della FIGC, va comunque sottolineato che la condanna risarcitoria esula dalle competenze del TNAS, chiamato solo a giudicare delle controversie disciplinari interne all’ordinamento sportivo. E’ che ciò avvenga è ben noto, giacché è stato ripetutamente affermato e confermato in modo chiarissimo dalla Corte Costituzionale nella recente (e ben nota a tutti gli operatori del settore) sentenza n. 49 del 2011, la quale, nel richiamare testualmente una decisione del Consiglio di Stato, afferma che “ laddove il provvedimento adottato dalle federazioni sportive...abbia incidenza anche su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale, la domanda rivolta ad ottenere non la caducazione dell’atto, ma il conseguente risarcimento del danno, debba essere proposta innanzi al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva non operando alcuna riserva a favore della giustizia sportiva, innanzi alla quale nessuna pretesa risarcitoria può essere fatta valere”. E’ questa la “chiave di lettura che fuga i dubbi di costituzionalità” dell’art. 2, commi 1, lett. b) e 2 del d.l. 220/2003. A tali principi affermati dalla Corte Costituzionale, ovviamente, si attiene il Collegio, che ritiene quindi che la spiegata domanda risarcitoria non possa essere fatta valere dinanzi al TNAS; pertanto la relativa domanda va respinta poiché improponibile. Su tale domanda, quindi, la parte istante risulta soccombente, circostanza che determina, appunto, una soccombenza reciproca, circostanza che, unita alla obiettiva incertezza della lite e alla non irragionevolezza della decisione della CGF e alla conseguente non censurabilità della resistenza in giudizio della Federazione, induce il Collegio a ritenere equa la compensazione tra le parti delle spese di lite. Deve pertanto ritenersi che le conclusioni dell’istante Alberti debbano essere accolte con riferimento alla richiesta di riforma della decisione impugnata, giacché non può dirsi raggiunto, a giudizio del Collegio, quel grado di ragionevole convinzione identificabile come standard probatorio minimo, ma respinte con riferimento alla richiesta risarcitoria.. Atteso l’accoglimento solo parziale del ricorso, appare quindi equo al Collegio disporre la compensazione tra le parti delle spese di lite e porre le spese arbitrali, per onorari e spese del Collegio Arbitrale e le spese amministrative a carico della FIGC; considerando il numero delle ore dedicate a questo arbitrato, nonché l’importanza e l’urgenza delle questioni nello stesso dedotte, si liquidano in EURO 5.000,00 gli onorari del Collegio Arbitrale. P.Q.M. Il Collegio arbitrale, definitivamente pronunciando, nel contraddittorio delle parti, disattesa ogni altra istanza deduzione ed eccezione, così provvede:
1. In parziale accoglimento della domanda formulata dal Sig. Andrea Alberti, in riforma della delibera della Corte di Giustizia Federale Sezioni Unite della FIGC, C.U. n. 002/ CGF del 6 luglio 2012, annulla la sanzione della squalifica di tre anni e sei mesi;
2. Rigetta la domanda di risarcimento dei danni.
3. Dichiara integralmente compensate le spese del giudizio tra le parti.
4. Pone a carico della FIGC gli onorari del Collegio Arbitrale, liquidati in euro 5.000,00 (CINQUEMILA) , oltre IVA e CPA, se dovuti.
5. Pone a carico della FIGC il pagamento dei diritti amministrativi.
6. Dichiara incassati dal Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport i diritti amministrativi versati dalle parti.
Così deliberato all’unanimità in data 10 dicembre 2012 e sottoscritto in numero di tre originali nel luogo e nella data indicate.
F.to Enrico De Giovanni
F.to Guido Calvi
F.to Massimo Zaccheo