CONI – Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it Lodo Arbitrale del 28 gennaio 2013 promosso da: Sig. Emanuele Pesoli / Federazione Italiana Giuoco Calcio

CONI – Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it Lodo Arbitrale del 28 gennaio 2013 promosso da: Sig. Emanuele Pesoli / Federazione Italiana Giuoco Calcio I L C O L L E G I O A R B I T R A L E Avv. Enrico De Giovanni Presidente Prof. avv. Tommaso Edoardo Frosini Arbitro Avv. Aurelio Vessichelli Arbitro nominato ai sensi dell’art. 6 comma 3 del Codice dei giudizi innanzi al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport, riunito in conferenza personale in Roma, presso la sede dell’arbitrato, in data 28 gennaio 2013 ha deliberato all’unanimità il seguente L O D O A R B I T R A L E nel procedimento di arbitrato n. 675 promosso con istanza prot. n. 2796 del 16/10/2012 da: sig. Emanuele Pesoli, rappresentato e difeso dagli avv.ti Paolo Rodella e Giampiero Vellucci, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo, in Roma, via Giuseppe Ferrari , n. 4 , giusta delega rilasciata in calce all’istanza di arbitrato datata 15 ottobre 2012 ricorrente contro Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.), con sede in Roma, via Allegri n. 14, in persona del dott. Giancarlo Abete, rappresentata e difesa dagli avv.ti Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, via Panama 9, giusta delega in calce alla memoria di costituzione del 12 settembre 2012 resistente FATTO E SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO ARBITRALE A. Le parti 1. Il sig. Emanuele Pesoli (d’ora in poi l’istante o il ricorrente) è un calciatore professionista attualmente tesserato presso la Federazione Italiana Giuoco Calcio (la “FIGC” o la “Resistente”), associazione delle società e delle associazioni sportive che praticano, promuovono od organizzano lo sport del calcio, agonistico e amatoriale, in Italia. B. La controversia Il sig. Emanuele Pesoli ha formulato istanza di arbitrato per ottenere la riforma integrale della delibera , emessa in grado di appello dalla corte di Giustizia Federale Sezioni Unite della FIGC del 17/09/2012, resa con Comunicato Ufficiale n. 049/CGF del 4 settembre 2012, contenente le motivazioni del dispositivo di cui al C.U. n. 029/CGF del 20 agosto 2012, che ha respinto l’appello del Pesoli proposto avverso la delibera della Commissione Disciplinare Nazionale pubblicata sul Com. Uff. n. 11/CDN del 10.08.2012 con la quale gli era stata comunicata la sanzione della squalifica per anni tre in relazione alla gara SIENA – VARESE del 21.05.2011. C. Il procedimento arbitrale Con istanza prot. n. 2796 del 16/10/2012 , rivolta al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport (d’ora in poi il “TNAS”) ai sensi degli art. 9 ss. del Codice dei giudizi innanzi al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport (d’ora in poi il “Codice TNAS”), l’istante introduceva il presente arbitrato per contestare la Decisione della CGF sopra citata; nella stessa istanza di arbitrato il ricorrente proponeva quale arbitro l’avv. prof. Tommaso Edoardo Frosini. Con memoria datata 23/10/2012, prot. 2985, dep. il 02/11/2012, la FIGC si costituiva nel procedimento arbitrale, chiedendo il rigetto dell’istanza e indicando quale arbitro l’ avv. Aurelio Vessichelli. Gli arbitri designati dalle parti nominavano quale Presidente del Collegio Arbitrale l’avv. Enrico De Giovanni, il quale accettava l’incarico. Il In data 29/11/2012 si teneva la prima udienza e, esperito senza successo il tentativo di conciliazione, il Collegio concedeva termini per memoria all’istante e repliche al resistente. Nei termini stabiliti, le parti depositavano le memorie autorizzate. Il 28 gennaio 2013, si teneva la seconda udienza dell’arbitrato: in tale occasione il Collegio Arbitrale invitava le parti alla discussione sul merito della controversia. Le parti svolgevano le proprie difese, anche in replica; il sig. Pesoli rendeva dichiarazioni spontanee. Veniva autorizzato il deposito del dispositivo separatamente dalle motivazioni. All’esito dell’udienza, il Collegio si ritirava in Camera di consiglio e depositava il dispositivo del presente lodo. D. Le deduzioni e domande delle parti Con la citata istanza al TNAS ai sensi degli art. 9 ss. del Codice TNAS, il signor Pesoli, tesserato, all’epoca dei fatti con la società Varese, ha impugnato la citata decisione della CGF, di conferma di quella della CDN, con la quale, affermata la sua responsabilità in ordine al tentativo di illecito sportivo riguardante la gara di campionato di calcio di serie B Siena- Varese del 21 maggio 2011, fu irrogata la sanzione della inibizione per anni 3 in applicazione dell’art. 7, commi 1,2 e5 C.G.S.. I fatti all’esame del Collegio sono i seguenti. Durante l’interrogatorio di garanzia del sig. Gervasoni svoltosi dinanzi al GIP di Cremona in data 12 marzo 2011, il predetto, all’epoca dei fatti tesserato con il Piacenza, il medesimo confessava di avere contattato il giocatore del Varese Pesoli, sia a mezzo telefono sia a mezzo Skype, per combinare il risultato della partita del 29 marzo Varese – Piacenza; in particolare per verificare se il Varese fosse disposto a perdere. Il Gervasoni precisava che secondo il Pesoli “astrattamente il Varese sarebbe stato anche disponibile a combinare una sconfitta , ma era loro necessario verificare prima il risultato della partita precedente Siena - Varese.”. Secondo il Gervasoni a questo punto il Pesoli, gli chiese se conosceva “qualcuno del Siena per verificare se loro fossero disposti a loro volta a pareggiare con il Varese”, per rendere in tal modo realizzabile anche la combine della successiva gara; proseguiva il Gervasoni affermando di aver contattato “Carobbio per verificare questa possibilità”. Il sig. Carobbio avrebbe escluso la possibilità di tale accordo “ in quanto si trattava dell’ ultima partita casalinga del Siena” e per altri motivi. Afferma ancora il Gervasoni che dopo la sconfitta per 5 a O con il Siena, contattò nuovamente Pesoli per vedere “se aveva ancora la disponibilità a perdere, ma lo trovò piuttosto indeciso ed alle fine contro propose un pareggio che al Piacenza purtroppo non interessava”. Il Pesoli fu quindi udito dalla Procura federale circa quindici giorni dopo l’interrogatorio del Gervasoni; egli rese varie dichiarazioni affermando di conoscere Gervasoni e Carobbio ‘solo per averci giocato come avversario e di non avere mai giocato nella loro stessa squadra”; egli ammise : di conoscere l’utenza telefonica del Gervasoni; di essere stato contattato “circa 1O giorni prima della gara Varese – Piacenza” dal Gervasoni, e che il medesimo lo “avrebbe richiamato in prossimità della gara, per avere informazioni sulla formazione, lo stato e gli umori della squadra”; di avere ricevuto nel periodo dal 17 al 29 maggio dal Gervasoni circa 20 sms nonché ulteriori telefonate. Nel corso della audizione del 13 aprile 2012 il Gervasoni ribadiva alla Procura federale quanto dichiarato dinanzi all’AG; ascoltato dalla Procura federale; il Carobbio ammetteva di essere stato contattato prima di Siena -Varese da Gervasoni,il quale gli parlava di “una iniziativa del Pesoli, che giocava nel Varese, ai fini della manipolazione della partita”; il Carobbio confermava di avere opposto un motivato rifiuto. In relazione ai descritti fatti veniva inflitta al Pesoli la sanzione della squalifica per anni tre in riferimento alla gara SIENA – VARESE del 21.05.2011 per violazione dell’art. 7, commi 1,2 e5 del CGS. Avverso la decisione l’istante solleva numerosi motivi di doglianza. Lamenta la laconicità della motivazione e la frettolosità della procedura del giudizio disciplinare; contesta la credibilità di Gervasoni e Carobbio; in via istruttoria chiede di escutere i due predetti; fornisce una ricostruzione dei fatti nettamente divergente , su molti punti, da quella accolta dai giudici; si avrà comunque qui per richiamato il contenuto dell’ampia istanza di arbitrato. In sostanza, pur ammettendo che sono intervenuti contatti tra il Pesoli e il Gervasoni, l’istante esclude di avere preso qualsiasi iniziativa volta ad alterare il risultato della partita Siena- Varese. La FIGC resiste contestando integralmente l’avversa istanza con ampie difese in fatto e in diritto che si avranno anch’esse per trascritte; svolge tra l’altro ampie deduzioni in diritto in merito alla natura devolutiva del giudizio dinanzi al TNAS e circa il livello di prova necessario per attingere ad una condanna nell’ordinamento sportivo: la Federazione, richiamati precedenti giurisprudenziali, affermava l’autonomia dell’ordinamento sportivo sancita dalla legge 280/2003, con la conseguente niente affatto obbligata permeabilità del medesimo rispetto alle norme dell’ordinamento generale e il corollario della inapplicabilità del principio del superamento di ogni ragionevole dubbio, proprio del processo penale, per poter addivenire alla condanna disciplinare sportiva, per la quale appare sufficiente “un grado di prova …superiore alla semplice valutazione delle probabilità ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio”. Nel merito pone in luce che le emergenze probatorie a carico del Pesoli erano rilevanti e idonee a fondare la sanzione. E) Le motivazioni della decisione Il Collegio Arbitrale ha attentamente preso in esame tutti gli atti dell’arbitrato, e ritiene di dover muovere nella propria analisi dalle seguenti premesse riguardanti: la funzione e le caratteristiche del giudizio dinanzi al TNAS; l’identificazione dello standard probatorio necessario per accedere al riconoscimento della responsabilità disciplinare; i criteri di acquisizione e valutazione delle prove. Al riguardo il Collegio, in piena adesione a pregresse pronunzie del TNAS ritiene quanto segue. 1) Sul primo tema, in merito ai poteri dell’organo giudicante il Collegio ritiene che il Codice TNAS abbia effetto pienamente devolutivo della controversia, come da consolidata giurisprudenza; in altri termini esso conferisce all’arbitro un potere di integrale riesame del merito della controversia, senza subire limitazioni, se non quelle derivanti dal principio della domanda e dai quesiti ad esso proposti dalle parti, ovvero dalla clausola compromissoria sulla quale i suoi poteri sono di volta in volta fondati. Pertanto eventuali e ipotetiche irregolarità procedurali, che possano essersi verificate di fronte agli organi disciplinari federali o endoassociativi, non comportano di per sé l’annullamento del provvedimento impugnato (ed eventualmente la rimessione della questione agli organi disciplinari per un nuovo giudizio), se (e nella misura in cui) lo svolgimento dell’arbitrato TNAS (e la piena osservanza in esso dei diritti della difesa) consente di ritenere sanato il dedotto vizio (cfr. per tutti il lodo del 2 maggio 2012, Atalanta/ FIGC; lodo10 ottobre 2012). 2) La seconda e la terza tra le questioni segnalate riguardano l’identificazione dello standard probatorio necessario per accedere al riconoscimento della responsabilità disciplinare e i criteri di acquisizione e valutazione delle prove; esse si prestano ad un esame unitario. Al riguardo va senz’altro condivisa l’osservazione della parte resistente circa le connotazioni di peculiarità che caratterizzano il sistema giustiziale sportivo, ma con le precisazioni che seguono. Punto di partenza e base normativa di siffatta considerazione è la chiara affermazione dell’autonomia dell’ordinamento sportivo contenuta nella vigente normativa primaria e, segnatamente, negli artt. 1 e 2 del d.l 19/8/2003, n. 220, conv. con modif. dalla l. 17/10/2003, n. 280: per quanto qui interessa, in virtù delle norme citate, la Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione di quello internazionale facente capo al C.I.O.; i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio dell’autonomia (salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento generale di situazioni giuridiche connesse); è riservata all’ordinamento sportivo la disciplina dei comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione e applicazione delle relative sanzioni disciplinari, materia in cui società e tesserati hanno l’onere di adire gli organi di giustizia sportiva. Da ciò indubbiamente discende l’autonomia dell’ordinamento sportivo anche nel determinare valori e principi che devono ispirare la condotta dei soggetti che partecipano all’ordinamento sportivo e che in quell’ambito agiscono, e conseguentemente stabilire i limiti e i divieti la cui violazione costituisce illecito disciplinare nonché le sanzioni che ne conseguono. Inevitabile corollario di tali principi è l’esistenza dell’autonomia dell’ordinamento sportivo nell’apprestare gli strumenti necessari per garantire il rispetto delle regole, e quindi nel predisporre le regole e gli apparati della giustizia sportiva. E’ dunque, a normativa vigente, innegabile che le regole del procedimento disciplinare, e fra queste le regole sugli standard probatori e sulla acquisizione e valutazione delle prove, non debbano necessariamente essere vincolate al rispetto dei principi e delle discipline specifiche inerenti i giudizi penali, civili e amministrativi. Tanto osservato non è tuttavia possibile omettere di segnalare che la stessa possibilità di esistenza di un ordinamento sportivo nonché la sua autonomia trovano fondamento nella Costituzione ed in particolare negli artt. 2 e 18 ; nell’art. 2 vengono riconosciuti e garantiti i diritti inviolabili dell’uomo “sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, nell’art. 18 viene riconosciuto ai cittadini il diritto di associarsi liberamente. Dunque la libertà di associarsi al fine di svolgere la pratica sportiva nell’ambito di una struttura organizzativa basata su regole autoprodotte trova certa base costituzionale, ma essa non può comunque in alcun modo giungere a negare o disapplicare “i diritti inviolabili dell’uomo”. Pertanto le regole (scritte o semplicemente seguite nella prassi) del procedimento disciplinare, e fra esse quelle inerenti allo standard probatorio e all’ acquisizione e valutazione delle prove, pur non risultando direttamente permeabili da parte delle regole processuali dell’ordinamento statuale, devono comunque rispettare i principi supremi volti a garantire i diritti inviolabili della persona rinvenibili nella Carta Costituzionale. Rispetto che deve essere tanto più puntuale qualora la sanzione da infliggersi o inflitta comprima posizioni giuridiche soggettive che trovano puntuale tutela costituzionale, come il diritto di esplicare la propria personalità nelle formazioni sociali ( art. 2) e di svolgere un’attività di lavoro (art.4) , diritti certamente colpiti dalla lunga squalifica irrogata all’odierno istante. Fra i principi costituzionali che possono certamente essere invocati quali direttamente applicabili nei procedimenti disciplinari rientrano, a giudizio del Collegio, i principi del pieno esercizio del diritto di difesa ( art. 24) e del giusto processo (art. 111), da declinare in concreto, nell’ambito dell’ordinamento sportivo, con criteri applicativi attenuati rispetto a quelli (più rigorosi) processualpenalistici ma comunque in modo tale da non intaccare le ricordate prescrizioni di ordine generale. A conferma di quanto sopra in merito alla necessità del rispetto da parte dell’ordinamento disciplinare sportivo dei diritti fondamentali riconosciuti e garantiti dalla Carta costituzionale deve rammentarsi la recente decisione dell’Alta Corte n.9/2012 secondo cui “ l’ordinamento della giustizia sportiva, per quanto autonomo ed indipendente, non può sottrarsi ai principi fondamentali irrinunciabili contenuti nella Costituzione Italiana e negli atti anche essi fondamentali della Unione europea, dovendo, invece, interpretare ed applicare le norme dello stesso ordinamento sportivo alla luce degli anzidetti principi fondamentali soprattutto quelli attinenti alla persona umana e alla sua tutela”, principio a cui il Collegio intende attenersi , anche in ossequio all’ art. 12 bis dello Statuto del CONI , secondo il quale “il principio di diritto posto a base della decisione dell’Alta Corte che definisce la controversia deve essere tenuto in massimo conto da tutti gli organi di Giustizia sportiva”. Secondo il Collegio, quindi, pur in difetto di specifiche e puntuali norme procedurali, gli orientamenti della giurisprudenza in tema di standard probatori e acquisizione e valutazione delle prove dovranno attenersi al rispetto dei ricordati principi. Si condivide, sotto tale profilo, il recente arresto della giurisprudenza del TNAS ( lodo Alberto Fontana/ FIGC, del 19/12/2012) laddove si afferma che “non si può negare…l’applicazione di regole di garanzia di diritto comune ispirate ai principi di dignità ed effettività di esercizio dei diritti, (compresi quelli di difesa) della persona”. .............. Tanto premesso in generale, ritiene il Collegio, sul piano degli standard probatori, in piena adesione alla giurisprudenza del TNAS, che per ritenere la responsabilità da parte del soggetto incolpato di una violazione disciplinare sportiva non sia necessaria la certezza assoluta della commissione dell’illecito né il superamento di ogni ragionevole dubbio, come nel diritto penale, ma che, nel rispetto dei ricordati principi costituzionali, debba comunque sussistere, e possa ritenersi sufficiente, un grado inferiore di certezza, ottenuta comunque sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, in modo tale da acquisire una ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito (cfr. ex multis i lodi del 23 giugno 2009, Ambrosino c. FIGC; 26 agosto 2009, Fabiani c. FIGC; 3 marzo 2011, Donato c. FIGC; 31 gennaio 2012, Saverino c. FIGC; 2 aprile 2012, Juve Stabia e Amodio c. FIGC; 24 aprile 2012, Spadavecchia c. FIGC; 26 aprile 2012, Signori c. FIGC; 10 ottobre 2012 Alessio c. FIGC). In particolare ritiene che, come già osservato in precedenti lodi, “tale definizione dello standard probatorio ha ricevuto, nell’ordinamento sportivo, una codificazione espressa in materia di violazione delle norme anti-doping, laddove si prevede che il grado di prova richiesto, per poter ritenere sussistente una violazione, deve essere comunque superiore alla semplice valutazione delle probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio (cfr., ad es., le Norme Sportive Antidoping del CONI). Siffatto principio ha una portata generale, in quanto non collegata alle specificità della normativa anti-doping: esso, infatti, rileva nel quadro di essa per tutti i casi in cui l’organizzazione sportiva debba provare elementi a fondamento della propria pretesa punitiva.” ( cfr. lodo Alessio / FIGC) Alla luce di ciò si tratta di verificare in questo arbitrato, attraverso l’ esercizio del potere di revisione dei fatti controversi, se gli elementi di prova raccolti consentono di ritenere, secondo lo standard probatorio enunciato, la integrazione dei presupposti per l’affermazione di responsabilità dell’istante. Sul piano dell’ acquisizione e della valutazione degli elementi probatori, con più specifico riferimento ai criteri di valutazione della chiamata in correità, il Collegio osserva che la circostanza che vada condivisa la posizione manifestata dalla giurisprudenza e fatta propria Federazione volta a ritenere la “niente affatto obbligata permeabilità” dell’ordinamento sportivo rispetto alle norme dell’ordinamento generale, non impedisce al giudice sportivo, nel formare il proprio libero convincimento, di tenere presenti norme e principi propri dell’ordinamento processual-penalistico e orientamenti elaborati dalla giurisprudenza ordinaria, in particolare quando ciò consenta il sostanziale rispetto dei principi costituzionali secondo quanto sopra osservato. Il Collegio, in merito ai temi sopra ricordati, ritiene di dover tenere presenti le disposizioni di cui all’art. 192 c.p.p., secondo cui le chiamate in correità vanno valutate “unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità”. Il Collegio ritiene che tale regola sia da applicare al giudizio disciplinare sportivo con la dovuta ponderazione proprio per la segnalata autonomia dell’ordinamento sportivo, ma che non per questo siano eludibili poiché esse sono chiara espressione del principio secondo il quale i diritti fondamentali della persona possono essere sacrificati solo qualora la pretesa punitiva, penale o disciplinare che sia, risulti sostenuta da idonei elementi di prova e possa essere contrastata dell’accusato con l’esercizio di una congrua attività difensiva. Anche sotto questo profilo si richiamano le considerazione svolte nel citato lodo Fontana / FIGC , secondo il quale “il regime di formazione,acquisizione e valutazione della prova…deve comunque e sempre essere ispirato a criteri (se non di certezza oltre ogni ragionevole dubbio o di rigoroso rispetto di precise fasi e modalità di formazione ed acquisizione) almeno di ragionevolezza, plausibilità e verisimiglianza, oggettività specificità non apoditticità e riscontrabilità”, Dunque la chiamata in correità, secondo il Collegio, per assurgere a elemento probatorio decisivo deve essere corroborata da qualche elemento di riscontro, oggettivo o soggettivo, o provenire da soggetto da elevata e indiscutibile attendibilità. ........... Alla luce di tali orientamenti, dunque, il Collegio ha proceduto all’esame del presente caso. Va premesso che il collegio ha ritenuto di non accogliere le istanze istruttorie poiché il materiale probatorio già disponibile appare idoneo a fondare una motivata decisione. Deve innanzi tutto osservarsi che non è controverso il verificarsi di contatti fra i giocatori delle due squadre ( Pesoli e Gervasoni) prima dell’incontro tra Varese e Piacenza; stante il tenore dei colloqui come ammessi dallo stesso istante va affermato che non poteva sfuggire al Pesoli che quei contatti, avvenuti su iniziativa del Gervasoni, erano volti ad alterare il risultato finale dell’incontro. Va tuttavia ritenuto, e ciò va precisato anche se i fatti addossati al Pesoli non riguardano quell’incontro, che nulla conferma, al di fuori di quanto affermato dal Gervasoni, che il Pesoli abbia mostrato qualche disponibilità per concordare l’alterazione del risultato di tale partita ; detto ciò occorre occuparsi dell’incontro in relazione al quale il Pesoli è stato incolpato, cioè Siena- Varese. Al riguardo si ritiene di dover giungere alla conclusione che non sia raggiunto un grado di ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito volto ad alterare il risultato della (diversa) partita fra Siena e Varese da parte del Pesoli. Infatti si ritiene che sulla base del materiale probatorio acquisito a carico del Pesoli non possa raggiungersi una ragionevole certezza sulla effettiva partecipazione e quindi colpevolezza del predetto nel tentativo ( peraltro presunto anch’esso) di combine dell’incontro Siena-Varese. Il Collegio ritiene cioè che non si possa non solo raggiungere la certezza assoluta della commissione dell’illecito e il superamento di ogni ragionevole dubbio, come nel diritto penale, ma neanche quel grado inferiore di certezza, ottenuta sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, che consenta di acquisire la ricordata ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito. Si tratta, ovviamente, di una valutazione di ordine discrezionale che il Collegio ritiene di poter svolgere, in diverso avviso rispetto agli organi di giustizia federale, pur se si è in presenza di elementi che, sempre a giudizio del Collegio, hanno condotto in modo non abnorme ed irrazionale alle diverse conclusioni che si leggono nelle decisioni endofederali. Il Collegio ha valutato un quadro che tiene conto dell’esistenza di eventuali riscontri, oggettivi o soggettivi, degli elementi di accusa e che tiene conto del grado di specifica attendibilità del ricordo del Gervasoni medesimo, anche in considerazione della circostanza che egli nel contesto delle indagini svolte in varie sedi sul c.d. “calcio – scommesse”, ha reso dichiarazioni su molteplici circostanze ed eventi (ha infatti nel complesso riferito su oltre 60 partite), cosicché tali dichiarazioni richiedono un vaglio proprio perché è ragionevole ritenere che il numero e la distanza nel tempo dei fatti riferiti possano talvolta determinare ricostruzioni non del tutto esatte nei particolari. Va al riguardo precisato che il Collegio non ritiene di dover esprimere valutazioni di ordine generale sulla credibilità del Gervasoni, personaggio centrale nelle complesse vicende disciplinari e processuali legate al c.d. “calcio-scommesse”; infatti , fermo restando che ogni valutazione al riguardo sarebbe certamente opinabile giacché le numerosissime dichiarazioni etero e autoaccusatorie rese dal Gervasoni dinanzi all’Autorità giudiziaria penale e davanti agli organi disciplinari della FIGC hanno trovato talora pieni riscontri e conferme e in altre occasioni smentite, cosicché non è possibile ritenere a priori la piena attendibilità o inattendibilità delle medesime, va comunque considerato che non appare opportuno né possibile esprimere valutazioni generali di tipo soggettivo in merito alla personalità e alla credibilità del Gervasoni perché sul piano metodologico la valutazione del giudicante non può essere soggettiva e generalizzata ma deve essere oggettiva e puntuale, deve cioè riguardare i singoli e specifici fatti oggetto del giudizio e i singoli elementi probatori letti in un quadro complessivo e coerente. Dunque il Collegio ritiene che vadano prese in considerazione non la (presunta) personalità del dichiarante per dedurne la fondatezza o meno delle accuse di volta in volta dirette ad altri soggetti, bensì vadano esaminate le singole dichiarazioni, relative ad ogni specifico caso, e valutate alla luce degli ulteriori elementi probatori o indizianti acquisiti al medesimo giudizio, con una prudente applicazione dei generali principi recati dall’ordinamento e dalla giurisprudenza processualpenalistici, nella misura in cui essi siano funzionali al rispetto dei principi costituzionali sopra ricordati. Nel caso di specie il Collegio ritiene che sia l’effettivo verificarsi di un tentativo di alterazione del risultato di Siena-Varese, sia il coinvolgimento del sig. Pesoli nella presunta combine non possano ritenersi adeguatamente accertati, poiché il suo coinvolgimento pur se segnalato dal Gervasoni non è supportato da alcun ulteriore, seppur modesto, riscontro alla dichiarazione accusatoria. In sostanza il Collegio ritiene che l’insieme di tali circostanze, idonee a determinare incertezza sulla ricostruzione dei fatti faccia venir meno l’esistenza dello standard probatorio necessario per la condanna disciplinare. In sostanza e riassumendo, pur senza tacere che le affermazioni del Gervasoni non sono prive di verosimiglianza, il che ha determinato il non irrazionale orientamento degli organi federali di giustizia, tuttavia il Collegio, diversamente opinando, ritiene di non poter ritenere raggiunta una ragionevole certezza circa la responsabilità del sig. Pesoli, dal che deriva l’accoglimento della domanda di annullamento della sanzione inflitta non essendo accertata la violazione contestata; e ciò sostanzialmente perché il Collegio ritiene che nel caso di specie ci si trovi dinanzi ad una semplice chiamata in correità sfornita dei necessari riscontri, che pertanto non può da sola fondare una condanna. Per quanto concerne poi le dichiarazioni del Carobbio esse non costituiscono un riscontro a quelle del Gervasoni, poiché egli si limita a dichiarare che fu il Gervasoni medesimo a riferirgli che il tentativo di manipolazione della partita Siena-Varese veniva da Pesoli; il Carobbio dunque riferisce de relato quanto affermato dal medesimo chiamante in correità e tale circostanza non costituisce idoneo riscontro esterno alle dichiarazioni del medesimo Gervasoni. ........... Dunque il Pesoli va assolto dall’accusa di frode sportiva; tuttavia la medesima condotta sopra descritta, consistita nell’avere intrattenuto ripetuti e reiterati rapporti a mezzo telefono e sms con il sig. Gervasoni, pur avendo percepito che le iniziative assunte dal medesimo erano finalizzate all’alterazione del risultato degli incontri Varese-Piacenza e Siena-Varese , configurano certamente l’illecito sportivo di cui agli artt. 1, comma 1, e 19, comma 1, del Codice di Giustizia Sportiva , per violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità ; ai sensi di tali disposizioni viene pertanto inflitta la squalifica di mesi 10. Lo stesso Pesoli ha dichiarato alla procura Federale di aver detto al Gervasoni” che il Varese era intenzionato a mantenere l’imbattibilità in casa e che avrebbe giocato alla morte come sempre”; frase che segnala in modo inequivocabile la consapevolezza del Pesoli rispetto alla gravità del tentativo del Gervasoni e che avrebbe dovuto indurre il Pesoli a cessare immediatamente ogni rapporto con il Gervasoni medesimo e a segnalare agli organi federali l’anomala condotta del predetto. Il che non è avvenuto e tale omissione configura certamente gli illeciti segnalati, in tal senso va quindi derubricata la condanna del Pesoli, il cui ammontare quantitativo va individuato in una squalifica di mesi 10, misura che si ritiene congrua rispetto all’indubbia gravità della violazione nel rispetto del principio dell’afflittività della sanzione. ........................ Atteso l’accoglimento solo parziale del ricorso, appare quindi equo al Collegio disporre la compensazione parziale tra le parti delle spese di lite e porre le spese arbitrali, per onorari e spese del Collegio Arbitrale e le spese amministrative a carico di entrambe la parti nella misura di cui al dispositivo; considerando il numero delle ore dedicate a questo arbitrato, nonché l’importanza e l’urgenza delle questioni nello stesso dedotte, si liquidano in EURO 5.000,00 gli onorari del Collegio Arbitrale. P.Q.M. Il Collegio arbitrale, definitivamente pronunciando, nel contraddittorio delle parti, disattesa ogni altra istanza, deduzione ed eccezione, così provvede: 1. in parziale accoglimento della domanda formulata dal sig. Emanuele Pesoli, in riforma della impugnata delibera della Corte di Giustizia Federale Sezioni Unite della FIGC, resa con dispositivo in C.U. n. 029/2012, riunione del 20 agosto 2012, e con motivazione in C.U. n. 049/ CGF ( 2012/2013) pubblicato il 17 settembre 2012, visti gli artt. 1, comma 1, e 19, comma 1, del Codice di Giustizia Sportiva applica al sig. Emanuele Pesoli la sanzione di mesi 10 (dieci) di squalifica . 2. Compensa per due terzi le spese del giudizio tra le parti e condanna il sig. Emanuele Pesoli alla rifusione del restante terzo in favore della FIGC, liquidandolo in euro 1.500,00, oltre IVA e CPA. 3. Pone a carico del sig. Emanuele Pesoli nella misura di due terzi e della FIGC nella misura di un terzo gli onorari del Collegio Arbitrale, liquidati come in motivazione. 4. Pone a carico del sig. Emanuele Pesoli nella misura di due terzi e della FIGC nella misura di un terzo il pagamento dei diritti amministrativi. 5. Dichiara incassati dal Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport i diritti amministrativi versati dalle parti. Così deliberato all’unanimità in data 28 gennaio 2013 e sottoscritto in numero di tre originali nel luogo e nella data indicati. F.to Enrico De Giovanni F.to Tommaso Edoardo Frosini F.to Aurelio Vessichelli
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