CONI – Alta Corte di Giustizia Sportiva – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it – Decisione n. 16 del 11/06/2013 – Società Guerino Vanoli Cremona/Federazione Italiana Pallacanestro

CONI – Alta Corte di Giustizia Sportiva - Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it – Decisione n. 16 del 11/06/2013 - Società Guerino Vanoli Cremona/Federazione Italiana Pallacanestro L’Alta Corte di Giustizia Sportiva Composta da Dott. Riccardo Chieppa, Presidente, Dott. Giovanni Francesco Lo Turco, Prof. Massimo Luciani, Relatore, Prof. Roberto Pardolesi, ha pronunciato la seguente DECISIONE nel giudizio introdotto dal ricorso iscritto al R.G. n. 9/2013, depositato in data 15 aprile 2013, proposto dalla Società Guerino Vanoli Cremona contro la Federazione Italiana Pallacanestro (FIP), per l’annullamento e/o la riforma - della decisione della Corte Federale della FIP 12 marzo 2013, n. 29, Comunicato Ufficiale 12 marzo 2013, n. 1093, con dispositivo comunicato tramite messaggio di posta elettronica del 9 aprile 2013; - di tutti gli atti presupposti, preparatori, connessi e consequenziali, con particolare riferimento alla Nota del Segretario generale della FIP 1° febbraio 2013, prot. n. 897, nonché per l’adozione di ogni provvedimento utile all’accoglimento dell’istanza presentata dalla ricorrente in data 1° febbraio 2013 all’ufficio tesseramenti della FIP, volta ad ottenere il tesseramento dell’atleta Jarrius Glenn Jackson nella quota di atleti di formazione italiana per la stagione sportiva in corso e per le successive. Vista la memoria di costituzione in giudizio della resistente Federazione Italiana Pallacanestro - FIP; Uditi, all’udienza pubblica del 23 maggio 2013, l’Avv. Florenzo Storelli per la ricorrente Società Guerino Vanoli Cremona e gli Avv.ti Prof. Guido Valori e Paola Maria Angela Vaccaro per la resistente Federazione Italiana Pallacanestro - FIP; Visti tutti gli atti e i documenti di causa; Udito il relatore, Prof. Massimo Luciani; Ritenuto in fatto 1.- Con atto depositato presso la Segreteria di questa Alta Corte in data 15 aprile 2013, la Società Guerino Vanoli Cremona (di seguito: anche Società Vanoli o Vanoli) proponeva ricorso avverso la decisione della Corte Federale FIP del 12 marzo 2013, Comunicato Ufficiale 12 marzo 2013, n. 1093, con dispositivo comunicato tramite messaggio di posta elettronica del 9 aprile 2013, e avverso tutti gli atti presupposti, preparatori, connessi e consequenziali, con particolare riferimento alla Nota del Segretario generale della FIP 1° febbraio 2013, prot. n. 897. La ricorrente chiedeva altresì l’adozione di ogni provvedimento utile all’accoglimento dell’istanza presentata in data 1° febbraio 2013 all’Ufficio Tesseramenti della FIP, volta ad ottenere il tesseramento dell’atleta Jarrius Glenn Jackson nella quota di atleti di formazione italiana per la stagione sportiva in corso e per le successive, con vittoria di spese ed onorari del presente giudizio e di tutti i gradi precedenti. 1.1.- Rileva in punto di fatto la ricorrente che all’inizio della stagione 2012/2013 la Società Vanoli tesserava l’atleta Jarrius Glenn Jackson come atleta extracomunitario. In data 15 gennaio 2013 il giocatore acquisiva la cittadinanza italiana. In data 16 gennaio 2013, l’Ufficio Tesseramento della Federazione Italiana Pallacanestro (di seguito: anche FIP ovvero Federazione) comunicava il riconoscimento da parte della Federazione del cambio di cittadinanza. 1.1.2.- Con istanza del 1° febbraio 2013 veniva chiesta al medesimo Ufficio Tesseramento della FIP l’autorizzazione a schierare l’atleta sopra indicato nella quota degli atleti di formazione italiana, in applicazione del capitolo II delle Disposizioni Organizzative Annuali per l’anno sportivo 2012/2013 - Settore professionistico (d’ora innanzi, anche DOA), ai sensi del quale “ciascun club può schierare nella quota degli atleti di formazione italiana al massimo un atleta di cittadinanza italiana non formato che sia stato tesserato in Italia per un Campionato professionistico entro la data di approvazione della delibera n. 451/2012”. La richiesta si basava, per un verso, sulla cittadinanza italiana dell’atleta; per l’altro, sulla sua partecipazione a campionati professionistici italiani di Legadue per tre stagioni sportive prima dell’approvazione della delibera n. 451 del 2012. 1.1.3.- Con Nota 1° febbraio 2013, prot. n. 897, il Segretario Generale della FIP comunicava “l’impossibilità a dar seguito all’istanza, in quanto l’atleta, alla data della delibera n. 451/2012 (Consiglio Federale n. 6 del 14 aprile 2012), non era in possesso della cittadinanza italiana”. Contestualmente egli rimetteva la questione all’attenzione del Consiglio Federale FIP, il quale si pronunciava con deliberazione 2 febbraio 2013, n. 364, confermando l’interpretazione delle DOA data dal Segretario Generale, nel senso che solo gli atleti professionisti già cittadini italiani al momento dell’approvazione della delibera n. 451 del 2012 potessero essere iscritti all’interno della quota riservata agli atleti formati. 1.1.4.- Con reclamo del 3 febbraio 2013 la Società Vanoli chiedeva alla Commissione Giudicante Nazionale della FIP di “annullare, revocare e/o dichiarare nulla o inefficace la comunicazione prot. n. 897 del 1° febbraio 2013 del Segretario Generale della FIP e per l’effetto, adottare ogni più utile provvedimento per consentire alla Società ricorrente di inserire l’atleta Jackson nella quota di atleti di formazione italiana”. 1.1.5.- Con reclamo del 4 febbraio 2013, l’odierna ricorrente impugnava, altresì, la sopra menzionata delibera FIP n. 364 del 2013, chiedendo di “annullare, revocare e/o dichiarare nullo o inefficace il provvedimento del Consiglio Federale FIP del 2 febbraio 2013, nonché per quanto occorrer possa, la conseguente comunicazione del Segretario Generale FIP in pari data e, per l’effetto, adottare ogni più utile provvedimento volto a consentire alla Società Vanoli Basket Cremona di inserire l’atleta Jackson nella quota degli atleti di formazione italiana”. 1.1.6.- In data 13 febbraio 2013, la Commissione Giudicante Nazionale riuniva i ricorsi presentati dalla Società Vanoli e respingeva le domande proposte. La Commissione osservava, in particolare, che la disciplina la cui interpretazione era oggetto di contestazione era intervenuta “a garanzia di quegli atleti stranieri di cittadinanza italiana che avevano in precedenza goduto dello status di giocatori formati e che per tale motivo erano stati schierati in tale quota nei Campionati professionistici di serie A precedenti alla delibera 451/12”. La norma, dunque, sarebbe stata introdotta con il precipuo scopo di permettere a tale esiguo numero di atleti di continuare a essere schierati come giocatori formati, in deroga alle nuove disposizioni sull’impiego degli atleti nei campionati professionistici. 1.1.7.- Con ricorso del 15 febbraio 2013, la Società Vanoli impugnava la decisione della Commissione Giudicante Nazionale dinanzi la Corte Federale FIP, lamentando l’erronea interpretazione delle Disposizioni Organizzative Annuali per l’anno sportivo 2012/2013 - Settore professionistico, l’eccesso e lo sviamento di potere. In particolare, rilevava la ricorrente che “il dato letterale della norma in questione è assolutamente chiaro nel collegare il limite temporale relativo alla data di approvazione della delibera n. 451/2012 al solo requisito del tesseramento per un campionato professionistico italiano” e che la delibera del Consiglio Federale n. 364 del 2013, pretendendo di modificare - sotto le spoglie di un’interpretazione autentica - la portata letterale della norma, “incorre nei vizi di eccesso di potere e sviamento delle proprie prerogative istituzionali”. 1.1.8.- Con decisione 12 marzo 2013, n. 29, inserita nel Comunicato Ufficiale 12 marzo 2013, n. 1093, e pervenuta alla Società Vanoli in data 9 aprile 2013, la Corte Federale respingeva il ricorso. In via preliminare, la Corte osservava che “non può essere oggetto di valutazione, ai fini della decisione, la delibera del Consiglio Federale n. 364/2013 che ha natura confermativa, sul piano della politica federale, della delibera assunta dal Segretario Generale, quest’ultima di natura applicativa e interpretativa della disposizione delle DOA già richiamata (applicativa della delibera del Consiglio Federale n. 451 del 2012). Peraltro, se tale delibera consiliare avesse natura regolamentare - fosse cioè espressione della potestà normativa, sia pure d’interpretazione autentica, endofederale spettante al Consiglio Federale - essa si sottrarrebbe (normalmente) al sindacato di questa Corte, così come di ogni altro organo della giustizia sportiva anche esofederale, in quanto esercizio di potestà normativa (sia pure endofederale) di carattere ampiamente discrezionale”. La pronuncia della Corte Federale proseguiva, poi, rilevando la correttezza dell’interpretazione offerta dal Segretario Generale, stante i) la natura derogatoria della norma in questione e la conseguente necessità di farne oggetto di stretta interpretazione; ii) il tenore letterale della disposizione e, in particolare, “la mancanza di una disgiunzione tra le parole «non formato» e «che sia stato tesserato»”; iii) la ratio della norma, individuata nella necessità di “rispettare […] i diritti quesiti degli atleti interessati, nel momento in cui venivano introdotti, per una scelta di politica federale, requisiti più restrittivi”. 1.1.9.- Il 15 aprile 2013 la Società Vanoli proponeva ricorso a questa Alta Corte “con espressa riserva di proporre motivi aggiunti e con ogni più ampia riserva istruttoria e di merito”. La ricorrente chiedeva l’annullamento e/o la riforma della decisione della Corte Federale 12 marzo 2013 n. 29, Comunicato Ufficiale 12 marzo 2013 n. 1093, con dispositivo comunicato tramite messaggio di posta elettronica del 9 aprile 2013, e di tutti gli atti presupposti, preparatori, connessi e consequenziali, con particolare riferimento alla Nota del Segretario Generale della FIP 1° febbraio 2013, prot. n. 897. La ricorrente chiedeva altresì l’adozione di ogni provvedimento utile all’accoglimento dell’istanza presentata in data 1° febbraio 2013 all’Ufficio Tesseramenti della FIP, volta ad ottenere il tesseramento dell’atleta Jarrius Glenn Jackson nella quota di atleti di formazione italiana per la stagione sportiva in corso e per le successive, con vittoria di spese ed onorari del presente giudizio e di tutti i gradi precedenti. 1.2.- A sostegno del proprio ricorso la Società Vanoli propone due motivi di ricorso (lamentando l’erronea interpretazione delle Disposizioni Organizzative Annuali per l’anno sportivo 2012/2013; l’eccesso e sviamento di potere) e così li articola. 1.2.1.- In via preliminare, la ricorrente premette di condividere l’opinione della Corte Federale in merito all’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, la deliberazione del Consiglio Federale 2 febbraio 2013, n. 364, in quanto successiva allo svolgimento dei fatti di causa e dunque ad essi inapplicabile ratione temporis. 1.2.2.- Quanto all’interpretazione delle disposizioni organizzative annuali per l’anno sportivo 2012/2013 - Settore professionistico, la ricorrente contesta che la regola secondo cui “ciascun club può schierare nella quota degli atleti di formazione italiana al massimo un atleta di cittadinanza italiana non formato che sia stato tesserato in Italia per un Campionato professionistico entro la data di approvazione della delibera n. 451/2012” possa essere interpretata nel senso di riferire la clausola “entro la data di approvazione della delibera n. 451/2012” (non solo al tesseramento in Italia per un campionato professionistico, ma anche) all’acquisto della cittadinanza italiana. In primo luogo, le limitazioni alla facoltà di iscrizione quali atleti di formazione costituirebbero disciplina derogatoria rispetto ai generali principi eurounitari di libertà di circolazione e di stabilimento, sicché le eccezioni a tale deroga andrebbero interpretate estensivamente. In secondo luogo, l’interpretazione prospettata troverebbe conferma nella piana lettura della disposizione in esame. A tutt’altri risultati ermeneutici, invece, condurrebbe l’inserimento di una disgiuntiva tra le due condizioni, secondo quanto indicato nella pronuncia della Corte Federale. Quanto alla ratio della norma, la Società Vanoli rileva che, anche a voler ammettere che l’intenzione del Consiglio Federale fosse stata quella di limitare l’applicazione della norma ad atleti che, alla data della delibera n. 451 del 2012, avessero già acquisito la cittadinanza italiana, l’interpretazione storica non potrebbe comunque prevalere su quella letterale, a meno di essere consacrata in un successivo intervento normativo. Quest’ultimo, però, non potrebbe che avere effetti ex nunc e risultare pertanto non applicabile ai fatti di causa. 1.2.3.- Con il motivo di ricorso rubricato “Eccesso di potere. Sviamento”, la ricorrente prende in considerazione la deliberazione del Consiglio Federale 2 febbraio 2013, n. 364. La ricorrente rileva il carattere innovativo e non meramente interpretativo della delibera. Quanto alla presunta ratio della norma, individuata dal Consiglio Federale nella necessità di fare salvi i diritti di un ristretto numero di giocatori che già godevano dello status di atleti formati, la ricorrente osserva che l’interpretazione da essa offerta risulta più idonea al perseguimento di questo scopo. Premesso, infatti, che “il numero degli atleti che, pur avendo acquistato la cittadinanza italiana in data successiva alla delibera n. 451 del 2012, hanno giocato in un campionato professionistico italiano prima di tale data è certamente limitatissimo e va diminuendo, per ragioni anagrafiche”, l’inserimento di questi giocatori nell’ambito di applicazione della norma avrebbe il pregio di non lasciare lacune nella disciplina. Sottolinea ancora la ricorrente che la volontà di limitare l’applicazione della norma ai soggetti già cittadini italiani alla data della delibera n. 451 del 2012 non risulterebbe né dai lavori preparatori all’adozione della citata delibera, né dalle note esplicative fornite nella Relazione U.E. in occasione dell’incontro tenutosi a Bruxelles il 16 ottobre 2012 (depositate dalla Federazione in sede di udienza dinanzi alla Commissione Giudicante Nazionale). Infine, la ricorrente rileva che anche a voler ritenere che l’intenzione del legislatore federale fosse stata quella di restringere nei termini descritti l’applicazione della norma in esame, “la stessa avrebbe dovuto tradursi, da subito, in un testo coerente ad essa e, soprattutto, interpretabile, in quella guisa, in base agli ordinari canoni ermeneutici”. Questa Alta Corte, ad avviso della ricorrente, avrebbe del resto già chiarito l’inidoneità degli atti degli Uffici federali a modificare una norma regolamentare o a vincolarne l’interpretazione (decisione n. 22 del 2011). 2. Con atto pervenuto a questa Alta Corte in data 24 aprile 2013 si costituiva in giudizio la Federazione Italiana Pallacanestro - FIP, concludendo per l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso avversario. 2.1.- Nella memoria di costituzione, la Federazione eccepisce innanzitutto l’inammissibilità del gravame per difetto di competenza di questo Collegio ai sensi dell’art. 1 del Codice dell’Alta Corte di Giustizia sportiva, in quanto mancherebbero sia il carattere indisponibile del diritto fatto valere sia la particolare rilevanza della controversia per l’ordinamento sportivo. Il ricorso sarebbe inammissibile, ad avviso della FIP, anche perché la disciplina in esame non sarebbe volta a garantire uno status al giocatore in possesso delle richiamate caratteristiche, ma si limiterebbe a concedere ad un ristretto gruppo di atleti non formati di essere schierati come giocatori formati per il solo campionato 2012/2013. Difetterebbe quindi l’interesse a ricorrere con riferimento all’anno sportivo in corso, in quanto giunto ormai al termine, mentre inammissibile sarebbe la domanda rispetto ai campionati successivi, in quanto con riferimento ad essi nessun diritto sarebbe mai sorto. 2.2.- Nel merito, la Federazione conclude per la manifesta infondatezza del ricorso. Innanzitutto, ad avviso della FIP, la delibera del Consiglio Federale n. 364 del 2013 avrebbe carattere confermativo dell’interpretazione offerta dal Segretario Generale. Essa, pertanto, non avrebbe natura normativo-innovativa, ma sarebbe direttamente applicabile alla fattispecie in esame. Quanto all’interpretazione delle Disposizioni Organizzative Annuali per l’anno sportivo 2012/2013 - Settore professionistico, la Federazione rileva che i) la previsione normativa in questione dovrebbe essere oggetto di stretta interpretazione, quale deroga ad un principio generale; ii) la circostanza che la clausola temporale sia stata posta a chiusura del periodo varrebbe ad indicare l’applicabilità della medesima a entrambi i requisiti elencati; iii) l’analisi dei lavori preparatori e la pacifica e costante applicazione della norma confermerebbero le conclusioni così raggiunte. Anche ove si riscontrasse una contrapposizione tra interpretazione letterale e volontà del legislatore, poi, errata sarebbe l’opinione della ricorrente secondo cui dovrebbe prevalere la prima sulla seconda. A prevalere, invece, dovrebbe essere l’interpretazione logico-sistematica, per cui “non si potrebbe dare ingresso a tesi che tenderebbero a privilegiare la sostituzione degli atleti formati con atleti di sola cittadinanza acquisita in qualunque momento” (p. 15 della memoria). A nulla rileverebbe, inoltre, il numero esiguo di giocatori con cittadinanza italiana acquisita dopo la delibera n. 451 del 2012, ma già iscritti a quella data ad un campionato professionistico, in quanto le scelte di politica normativa sono comunque rimesse alla Federazione. Né tale categoria di soggetti potrebbe essere assimilata a quella dei giocatori aventi entrambi i requisiti alla data della delibera n. 451 del 2012, in quanto solo questi ultimi potevano già essere schierati come giocatori equiparati agli atleti formati in Italia al momento di entrata in vigore della disciplina in esame. 3.- In prossimità dell’udienza la FIP depositava memoria illustrativa. Richiamate le precedenti difese, la FIP osservava che, in data 7 maggio 2013, la ricorrente e il giocatore Jackson avevano stipulato un atto di risoluzione consensuale del rapporto contrattuale. L’atto in questione veniva depositato contestualmente alla memoria d’udienza. A questo proposito la FIP, rilevando che l’atleta per il quale la ricorrente aveva chiesto la qualifica di “giocatore di formazione italiana” non risultava più tesserato per la Società Vanoli, eccepiva il sopravvenuto difetto di interesse in capo alla ricorrente. 4.- Il ricorso è stato ritualmente discusso all’udienza del 23 maggio 2013. In tale sede la ricorrente depositava copia della scrittura privata intervenuta tra la medesima società e l’atleta Jackson, recante accordi circa il tesseramento del giocatore per le annualità 2013/2014 e 2014/2015, e contestava la cessazione della materia del contendere. Si opponeva la resistente, eccependo l’intempestività e l’inammissibilità del deposito dei documenti e insistendo per la declaratoria di sopravvenuta carenza d’interesse al ricorso. Considerato in diritto 1.- Con ricorso depositato presso questa Alta Corte in data 15 aprile 2013 e iscritto al R.G. n. 9/2013, la Società Guerino Vanoli Cremona conveniva in giudizio la Federazione Italiana Pallacanestro - FIP per l’annullamento e la riforma della decisione della Corte Federale della FIP 12 marzo 2013, n. 29, Comunicato Ufficiale 12 marzo 2013, n. 1093, con dispositivo comunicato tramite messaggio di posta elettronica del 9 aprile 2013. L’atto impugnato, nel definire la controversia tra l’odierna ricorrente e la FIP nelle competenti sedi della giustizia federale, rigettava definitivamente l’istanza della Società Vanoli, volta ad ottenere l’autorizzazione ad utilizzare l’atleta Jarrius Glenn Jackson, straniero naturalizzato italiano in data 15 gennaio 2013, quale “atleta di formazione italiana” in ossequio alle prescrizioni del capitolo II delle Disposizioni Organizzative Annuali per l’anno sportivo 2012/2013 - settore professionistico. Ivi, infatti, si prevede che “ciascun club può schierare nella quota degli atleti di formazione italiana al massimo un atleta di cittadinanza italiana non formato che sia stato tesserato in Italia per un Campionato professionistico entro la data di approvazione della delibera n. 451/2012”. Alla richiesta della ricorrente si erano opposti gli organi della FIP, rilevando che la citata disposizione delle DOA andava applicata ai soli giocatori che, alla “data di approvazione della delibera 451/2012” della FIP, non solo risultassero già tesserati in Italia per un campionato professionistico, ma avessero già acquisito la cittadinanza italiana (circostanza, quest’ultima, non riscontrabile in capo al Jackson, come risulta dagli atti di causa e come è pacifico tra le parti). La tesi della Federazione, avversata con i prescritti rimedi di giustizia endofederale dall’odierna ricorrente, è stata avallata dalla Commissione Giudicante Nazionale della FIP (provvedimento 13 febbraio 2013) e confermata con l’atto qui impugnato. 2.- La ricorrente affida il gravame a due motivi di ricorso, con i quali, in estrema sintesi, lamenta la violazione e la falsa applicazione della menzionata disposizione delle DOA, affermandosi che la norma derogatoria in esame si dovrebbe applicare anche agli atleti che abbiano conseguito la cittadinanza italiana successivamente all’approvazione della menzionata delibera n. 451 del 2012. Essi, dunque, possono essere esaminati congiuntamente. 3.- Prima, però, stante la loro priorità logica, è necessario esaminare le eccezioni formulate dalla resistente. 3.1.- La Federazione eccepisce l’inammissibilità del gravame per difetto di competenza di questo Collegio ai sensi dell’art. 1 del Codice dell’Alta Corte di Giustizia sportiva, perché la controversia difetterebbe dei requisiti dell’indisponibilità del diritto vantato e della particolare rilevanza per l’ordinamento sportivo. L’eccezione deve essere respinta. Come questa Alta Corte ha affermato nella dec. n. 2 del 2011, le disposizioni che regolano l’utilizzo dei giocatori sulla base del criterio della formazione italiana, anche se “non dettano norme direttamente riguardanti il tesseramento alla Federazione o l’ingaggio (a titolo oneroso o gratuito) nelle società che militano nei campionati nazionali, né la possibilità in linea teorica per un giocatore di formazione non italiana di praticare” la disciplina sportiva di elezione, “impongono i c.d. «limiti di utilizzazione»” e “possono essere idonee a generare effetti discriminatori indiretti, tali da poter impedire di fatto l’esercizio concreto della pratica sportiva agonistica”, sicché la presente controversia concerne un diritto (della società come dell’atleta) che “non è arbitrabile e non è disponibile”. Deve altresì dirsi che, attenendo a diritti della persona e a valori di pregio costituzionale, le controversie relative ai c.d. “limiti di utilizzazione” dei giocatori sulla base della loro formazione sportiva sono, in via di principio, rilevanti per l’ordinamento sportivo nazionale e fondano la competenza di questa Alta Corte. 3.2.- La Federazione ha anche eccepito il sopravvenuto difetto di interesse in capo alla ricorrente, in ragione dell’intervenuta risoluzione consensuale del rapporto contrattuale tra l’atleta Jackson e la Società Vanoli. Anche questa eccezione, pur seriamente argomentata, è infondata. Sul punto, invero, non rilevano i documenti depositati in udienza dalla ricorrente. La produzione documentale è stata intempestiva e irrituale e, di conseguenza, è fondata l’opposizione formulata in udienza dalla resistente. Ciò che più conta, però, è che la scrittura privata tra la Società Vanoli e l’atleta Jackson che è stata depositata è priva di data certa e, pertanto, irrilevante ai fini probatori. In ogni caso, questa Alta Corte ritiene di dover seguire l’orientamento consolidato della giurisprudenza amministrativa, giusta il quale “la declaratoria di improcedibilità del ricorso, per sopravvenuta carenza di interesse, consegue esclusivamente ad una modificazione della situazione di fatto o di diritto esistente al momento della domanda, tale da rendere certa e definitiva l’inutilità della sentenza, anche sotto un profilo meramente strumentale - ravvisabile in prospettiva risarcitoria - o morale”, sicché “la relativa indagine deve essere condotta dal giudice con il massimo rigore, onde evitare che la declaratoria in argomento si risolva in una sostanziale elusione dell’obbligo di pronunciarsi sulla domanda (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12/06/2003, n. 3318; Cons. Stato, Sez. V, 06/02/2003, n. 632; Cons. Stato, Sez. IV, 01/08/2001, n. 4206)” (Cons. Stato, Sez. V, 23 gennaio 2006, n. 161). Nel caso che ne occupa, la cessione del giocatore da parte della Società Vanoli non esclude in radice l’utilità della pronuncia richiesta dalla ricorrente, sicché si deve ritenere che l’interesse a ricorrere sia tuttora sussistente. 4.- Nel merito, il ricorso è infondato. 4.1.- La regola delle Disposizioni Organizzative Annuali settore professionistico - DOA per il 2012/2013 che si assume violata prevede che “ciascun club può schierare nella quota degli atleti di formazione italiana al massimo un atleta di cittadinanza italiana non formato che sia stato tesserato in Italia per un Campionato professionistico entro la data di approvazione della delibera n. 451/2012”. Preliminarmente è opportuno osservare che la disposizione ora citata è di carattere transitorio, essendo volta ad agevolare il passaggio alla nuova disciplina dei limiti di utilizzazione dei giocatori di formazione italiana senza pregiudicare gli interessi di alcuni giocatori che, pur non essendo di formazione italiana, erano a questi assimilati nelle stagioni sportive precedenti. Già questa considerazione indirizza la prospettiva ermeneutica della disciplina federale. È evidente, infatti, che una disciplina derogatoria di favore, limitata nel tempo, deve applicarsi solo ai soggetti che, entro l’arco temporale definito, hanno già maturato tutte le condizioni previste dalla disciplina stessa. Anche prescindendo da quanto ora osservato, peraltro, la regola in esame si deve interpretare nel senso che, alla scadenza del limite temporale indicato, può essere schierato come “atleta di formazione italiana” anche un giocatore che non sia “di formazione italiana”, ma che abbia già maturato sia il requisito della cittadinanza italiana che il requisito dell’esperienza in un campionato professionistico. Si deve considerare che la regola in esame risulta applicabile al ricorrere di tre condizioni. Occorre, infatti, che si sia in presenza di un atleta che: a) sia “di cittadinanza italiana”; b) sia “non formato” in Italia; c) “sia stato tesserato in Italia per un Campionato professionistico entro la data di approvazione della delibera n. 451/2012”. Le condizioni sub b) e sub c) devono ricorrere in data anteriore alla delibera n. 451/2012. Per quella sub c) la cosa è evidente e non sembra esservi dissidio fra le parti. Anche per quella sub b), però, non possono esservi dubbi. Il problema che la disposizione in esame ha inteso risolvere, infatti, concerne giocatori che risultavano “non formati” alla data della delibera, poiché per i “non formati” successivamente si applica il nuovo regime introdotto con la delibera FIP n. 451 del 2012. Né - ovviamente - potrebbe verificarsi l’ipotesi di un atleta “non formato” successivamente, ma che fosse “di formazione italiana” alla data della menzionata delibera, per l’evidente ragione che la qualifica di atleta formato in Italia è permanente. Tale essendo il regime delle condizioni sub b) e sub c), non sarebbe coerente che il regime della condizione sub a) fosse diverso, ipotizzandosi ch’essa possa sopravvenire anche dopo la data di approvazione della delibera n. 451/2012. Una simile ipotesi, invero, non considererebbe la lettera, lo schema normativo (e logico) e la stessa ragione fondante della disposizione in esame. La clausola che fissa un termine al trattamento di maggior favore per il giocatore che sia italiano per cittadinanza, ma non per formazione, pertanto, deve essere applicata solo al ricorrere di entrambe le indicate condizioni. È, dunque, priva di fondamento la tesi della ricorrente che “il tenore letterale delle Disposizioni anzidette” sarebbe “chiaro nel sottoporre alla condizione temporale anzidetta (entro la data di approvazione della delibera n. 451/2012) soltanto il secondo dei requisiti prescritti” (p. 5 del ricorso). Correttamente, invece, la Corte federale e la Commissione Giudicante Nazionale FIP hanno rilevato che il “dato testuale” delle DOA conduce ad “un’interpretazione antitetica a quella sostenuta dalla ricorrente” (così, in particolare, la decisione della Corte federale FIP 12 marzo 2013, n. 29). 4.2.- Per le medesime ragioni è priva di fondamento l’affermazione della ricorrente che la deliberazione FIP n. 364 del 2013, nel precisare che la deroga prevista dalle DOA vale solo se il giocatore ha maturato entro la data di approvazione della delibera n. 451 del 2012 entrambi i requisiti della cittadinanza italiana e dell’esperienza nel campionato professionistico, si risolverebbe in “una vera e propria norma dispositiva a carattere innovativo” (p. 9). Al contrario, la delibera n. 364 del 2013 si è limitata a confermare il contenuto precettivo della precedente delibera n. 451 del 2012, senza modificare la precedente regolamentazione e senza ledere i diritti acquisiti dei tesserati e dei rispettivi club di appartenenza. La questione della qualificazione giuridica di tale delibera, peraltro, è di modesta rilevanza nella presente controversia, atteso che le DOA dovevano essere interpretate sin dall’inizio come prospettato dagli organi della giustizia endofederale. 4.3.- Afferma ancora la ricorrente che la sua opzione interpretativa andrebbe preferita perché conforme ai “principi di libertà di circolazione e di stabilimento che ormai vigono stabilmente in tutti i Paesi della U.E.” (p. 4). Anche questo argomento è infondato. Come questa Alta Corte ha già avuto modo di rilevare ancora di recente, si deve considerare in primo luogo che le norme che fissano limiti di utilizzazione per i giocatori di formazione nazionale tutelano interessi che trovano uno specifico riconoscimento nel diritto dell’Unione europea (dec. n. 4 del 2013). Si deve ricordare, infatti, che la finalità di protezione dei vivai giovanili e di cura della formazione dei giovani atleti è pacificamente ritenuta meritevole dallo stesso ordinamento eurounitario. Già la Corte di giustizia UE, nella sent. 15 novembre 1995, C-415/93, Bosman, peraltro argomentando in tema di compatibilità con il Trattato CE delle norme sui trasferimenti dei giocatori e non delle norme sulla cittadinanza, ammetteva che “la prospettiva di percepire indennità di trasferimento, di promozione o di formazione è effettivamente idonea ad incoraggiare le società a cercare calciatori di talento e ad assicurare la formazione dei giovani calciatori” (§ 108) (decc. n. 2 del 2011 e 4 del 2013). Più di recente, analoghi concetti si rinvengono nella Comunicazione della Commissione Europea 11 luglio 2007, COM(2007) 391, recante il Libro Bianco sullo Sport, nel quale si afferma che “Gli investimenti e la promozione della formazione dei giovani sportivi di talento nelle condizioni adeguate rappresentano un elemento fondamentale per uno sviluppo sostenibile dello sport a tutti i livelli. […] Le regole che impongono alle squadre una quota di giocatori formati sul posto possono ritenersi compatibili con le disposizioni del trattato sulla libera circolazione delle persone se non causano una discriminazione diretta basata sulla nazionalità e se gli eventuali effetti discriminatori indiretti possono essere giustificati come proporzionati a un obiettivo legittimo perseguito, ad esempio potenziare e tutelare la formazione e lo sviluppo dei giovani giocatori di talento” (§ 8). Ancora più di recente, nella Comunicazione della Commissione Europea 18 gennaio 2011, COM(2011) 12, si afferma che “rules which are indirectly discriminatory (such as quotas for locally trained players), or which hinder free movement of workers (compensation for recruitment and training of young players), may be considered compatible if they pursue a legitimate objective and insofar as they are necessary and proportionate to the achievement of such an objective” (decc. cit. nn. 2 del 2011 e 4 del 2013). Ciò significa che, se si vuole (come si deve, ormai, per ius receptum) interpretare le DOA della FIP “per quanto possibile alla luce del testo e dello scopo” del diritto dell’Unione europea, “onde conseguire il risultato perseguito” dall’ordinamento sovranazionale (così, tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 31 luglio 2009, n. 4829; Corte cost., sent. n. 75 del 2012; Corte di giustizia U.E., Gr. Sez., 15 aprile 2008, C-268/06, Impact), allora si deve tenere in debito conto proprio la finalità di tutela dei vivai giovanili, valorizzata dalle fonti, dalla prassi e dalla giurisprudenza dell’Unione europea. L’ordinamento sportivo nazionale ha recepito l’orientamento eurounitario già nel 2004, attraverso la delibera del CONI n. 1276, (“Promozione e tutela dei vivai giovanili - Direttiva alla Federazioni sportive nazionali e alle Discipline sportive associate”), poi confermata nella successiva delibera 3 novembre 2005, n. 474 (cfr. dec. n. 4 del 2013). Detta delibera (se ne vedano i considerando nn. 6, 7, 9, 10, 11 e 12) è stata adottata richiamando: a) l’art. 2, comma 4-bis dello Statuto del CONI, in base al quale l’attività del Comitato è finalizzata, tra l’altro, a salvaguardare il patrimonio sportivo nazionale e a tutelare i vivai giovanili; b) l’art. 22 della l. 30 luglio 2002, n. 189, il quale ha attributo al CONI anche il compito di “assicurare la tutela dei vivai giovanili”; c) il fatto che “la formazione e la tutela dei vivai costituisce presupposto indispensabile […] per salvaguardare la scuola tecnico-sportiva nazionale”; d) la circostanza per cui “in questi ultimi anni si è assistito, in particolare negli sport di squadra, ad un progressivo depauperamento dei vivai giovanili, con conseguente venir meno della funzione formativa ed educativa delle società sportive e relativa dispersione dello specifico patrimonio culturale della scuola tecnico-sportiva” (cfr. decc. nn. 2 del 2011 e 4 del 2013). Per quanto qui maggiormente interessa, la delibera CONI 15 luglio 2004, n. 1276, ha imposto alle Federazioni sportive nazionali e alle Discipline sportive associate, entro il termine della stagione agonistica 2004/2005, la presentazione di “proposte e progetti dettagliati relativi alla promozione e tutela dei vivai giovanili al fine di pervenire [...] al perseguimento del seguente obiettivo: nelle squadre che partecipano ai campionati di livello nazionale dovrà essere garantita una presenza di giocatori formati nei vivai giovanili nazionali non inferiore al 50 per cento del totale dei giocatori compresi nel referto arbitrale” (cfr. dec. n. 2 del 2011). Ciò considerato, è evidente che la previsione delle DOA per cui in gara devono essere schierati almeno cinque giocatori di formazione italiana su dieci è coerente con il criterio del “50 per cento” fissato dal CONI, criterio che appare contemperare ragionevolmente tutte le esigenze rilevanti. A questo proposito si deve ricordare che questa Alta Corte, nella dec. n. 2 del 2011, ha censurato disposizioni regolamentari che fissavano limiti di utilizzazione di giocatori di formazione italiana molto più alti rispetto al criterio del “50 per cento” e - soprattutto - innalzati tra una stagione sportiva e l’altra in maniera non graduale. Con la dec. n. 4 del 2013, poi, ha censurato l’irragionevolezza, nella prospettiva della tutela del vivaio sportivo nazionale, della mancata equiparazione al giocatore di nascita italiana di un atleta, che “pur in presenza della cittadinanza, residenza e primo tesseramento in Italia, abbia, fin da età prescolare, iniziato e continuato effettivamente il proprio processo educativo, formativo culturale ed insieme sportivo (con il primo tesseramento) in Italia, ove si era trasferito, anche con la residenza, a seguito di adozione”. Entrambe le fattispecie, come si vede, non sono sovrapponibili a quella che ne occupa. 4.4.- Sempre con riferimento alla compatibilità dei limiti di utilizzazione dei giocatori di formazione italiana col diritto dell’Unione europea, la ricorrente contesta l’interpretazione della disposizione in esame fatta propria dalla FIP nella Nota del Segretario Generale prot. n. 897 del 2013 e ribadita nella delibera n. 364 del 2013 anche per un altro profilo. In particolare, la ricorrente censura la delibera n. 364 del 2013 nella parte in cui si dà atto che la “volontà di sottoporre il requisito della cittadinanza italiana allo stesso limite temporale pacificamente esistente per l’altro requisito (l’aver giocato in campionati professionistici italiani) emergerebbe chiaramente dalla lettura dei lavori preparatori all’adozione della delibera n. 451/2012 nonché nelle successive comunicazioni e relazioni della FIP in materia di regole di utilizzo degli atleti dirette alla Commissione europea, condivise dal Consiglio Federale anche nella riunione del 24.11.2012” (così, testualmente, p. 8 del ricorso). Ad avviso della ricorrente, infatti, tale circostanza sarebbe “testualmente smentita dalla lettura delle note esplicative fornite nella Relazione U.E. in occasione dell’incontro tenutosi a Bruxelles il 16.10.2012 e depositate dalla convenuta Federazione in sede di udienza dinanzi alla Commissione Giudicante Nazionale”, nelle quali non emergerebbe “l’intenzione di sottoporre al vincolo temporale anche il requisito della cittadinanza” (p. 8 del ricorso). L’argomento è destituito di fondamento. Nel documento richiamato, depositato in atti sub 12 dalla Società Vanoli, si fa esplicito riferimento alla “possibilità di schierare nella quota di giocatori formati al massimo un atleta di cittadinanza italiana non formato che sia stato tesserato in Italia per un campionato professionistico entro la data di approvazione della delibera 451/2012”. È dunque evidente che la FIP, nel dedurre sulla legittimità della delibera n. 451 del 2012, ha prospettato alla Commissione europea proprio la soluzione che è stata poi applicata dal Segretario Generale al caso dell’atleta Jackson e che è stata ribadita con la delibera n. 364 del 2013 e confermata nelle competenti sedi della giustizia federale. 5. In considerazione della complessità della controversia, sussistono le ragioni per la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. L’ALTA CORTE DI GIUSTIZIA SPORTIVA nel giudizio iscritto al R.G. ricorsi n. 9/2013, depositato in data 15 aprile 2013, proposto dalla Società Guerino Vanoli Cremona contro la Federazione Italiana Pallacanestro - FIP per l’annullamento e/o la riforma della decisione della Corte Federale della FIP 12 marzo 2013, n. 29, Comunicato Ufficiale 12 marzo 2013, n. 1093, con dispositivo comunicato tramite messaggio di posta elettronica del 9 aprile 2013; di tutti gli atti presupposti, preparatori, connessi e consequenziali, con particolare riferimento alla Nota del Segretario Generale della FIP 1° febbraio 2013, prot. n. 897, nonché per l’adozione di ogni provvedimento utile all’accoglimento dell’istanza presentata dalla ricorrente in data 1° febbraio 2013 all’ufficio tesseramenti della FIP, volta ad ottenere il tesseramento dell’atleta Jarrius Glenn Jackson nella quota di atleti di formazione italiana per la stagione sportiva in corso e per le successive, RESPINGE il ricorso, SPESE compensate, DISPONE la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro difensori anche con il mezzo della posta elettronica. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 maggio 2013 e nella camera di consiglio dell’11 giugno 2013. Il Presidente Il Relatore F.to Riccardo Chieppa F.to Massimo Luciani Depositato in Roma l’11 giugno 2013 Il Segretario F.to Alvio La Face
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