F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – 2014/2015 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 0248/CGF del 28 Marzo 2014 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 031/CGF del 28 Agosto 2014 e su www.figc.it 3. RICORSO PROCURATORE FEDERALE AVVERSO IL PROSCIOGLIMENTO: – DEL CALCIATORE FABRIZIO MICCOLI (ALL’EPOCA DEI FATTI TESSERATO PER LA SOCIETÀ U.S. CITTÀ DI PALERMO, ATTUALMENTE TESSERATO PER LA SOCIETÀ U.S. LECCE), DALLA VIOLAZIONE DELL’ART. 1, COMMA, 1 C.G.S.; – DELLA SOCIETÀ U.S. CITTÀ DI PALERMO A TITOLO DI RESPONSABILITÀ OGGETTIVA AI SENSI DELL’ART. 4, COMMA 2, C.G.S., SEGUITO PROPRIO DEFERIMENTO (nota n. 4219/1068 pf 12-13/SP/blp del 12.2.2014) (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n.56/CDN del 27.2.2014)

F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – 2014/2015 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 0248/CGF del 28 Marzo 2014 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 031/CGF del 28 Agosto 2014 e su www.figc.it 3. RICORSO PROCURATORE FEDERALE AVVERSO IL PROSCIOGLIMENTO: - DEL CALCIATORE FABRIZIO MICCOLI (ALL’EPOCA DEI FATTI TESSERATO PER LA SOCIETÀ U.S. CITTÀ DI PALERMO, ATTUALMENTE TESSERATO PER LA SOCIETÀ U.S. LECCE), DALLA VIOLAZIONE DELL’ART. 1, COMMA, 1 C.G.S.; - DELLA SOCIETÀ U.S. CITTÀ DI PALERMO A TITOLO DI RESPONSABILITÀ OGGETTIVA AI SENSI DELL’ART. 4, COMMA 2, C.G.S., SEGUITO PROPRIO DEFERIMENTO (nota n. 4219/1068 pf 12-13/SP/blp del 12.2.2014) (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n.56/CDN del 27.2.2014) Il Procuratore Federale presso la F.I.G.C. deferiva alla Commissione Disciplinare Nazionale il sig. Fabrizio Miccoli, calciatore tesserato, all’epoca dei fatti, per la Società U.S. Città di Palermo, nonché la medesima società, all’uopo formulando i seguenti addebiti: quanto al primo, per rispondere della violazione di cui all’art. 1, comma 1 C.G.S., per avere offeso la memoria del Giudice Dr. Giovanni Falcone, pronunciando la frase, poi riportata da vari quotidiani, “quel fango di Falcone”, così gettando discredito sull’intero movimento calcistico e contrastando i valori fondanti l’attività sportiva, che dovrebbero ispirare in maniera ancora maggiore i tesserati che rivestono un ruolo di spicco nelle rispettive società, come nel suo caso, essendo capitano della squadra; deferiva, inoltre, la Società U.S. Città di Palermo per responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 4, comma 2, C.G.S., per le violazioni addebitate al proprio calciatore. Nel corso del procedimento di primo grado, il rappresentante della Procura Federale integrava l’originario capo di incolpazione con le parole “comportamento rilevante per l’ordinamento federale in quanto posto in essere quale capitano della soc. Città di Palermo e nei rapporti con soggetti che frequentavano gli allenamenti della Società” da aggiungere nell’atto di deferimento dopo le parole “capitano della squadra”. Il procedimento di primo grado proseguiva ed, all’esito del dibattimento, il giudice di prime cure proscioglieva i deferiti dagli addebiti loro contestati, ritenendo la condotta del Miccoli, ancorchè inqualificabile sotto profili civili e morali, non rilevante disciplinarmente nell’ambito dell’ordinamento sportivo. Avverso la suddetta decisione ha interposto ricorso il Procuratore Federale il quale, muovendo da una diversa lettura dell’ar. 1 C.G.S., che troverebbe conforto anche in precedenti pronunce di questa Corte (CCUU della CGF nn° 211 del 5.5.2008 e 78 del 2.4.2012) ritiene, viceversa, che resti sindacabile la condotta di ogni tesserato, sia in campo che fuori dal campo, con riguardo a tutte le manifestazioni della propria personalità in qualche modo astrattamente riferibili all’attività dal medesimo svolta. Segnatamente, avuto riguardo al caso di specie, l’organo requirente conclude nel senso che il sig. Miccoli, all’epoca dei fatti capitano della squadra del Palermo, in ragione della rappresentatività del proprio ruolo, avrebbe dovuto adottare una condotta integerrima, scevra da qualsivoglia ipotizzabile coinvolgimento con l’ambiente della criminalità organizzata palermitana, per essere d’esempio, quale personaggio pubblico, alla cittadinanza tutta e ai giovani. Di contro, il prevenuto – nel costrutto accusatorio – avrebbe mostrato, anzitutto, un’allarmante vicinanza all’ambiente mafioso, stanti le assidue frequentazioni di esponenti comunque contigui allo stesso e che, essendo soliti frequentare gli allineamenti della squadra, costituirebbero, dunque, secondo la Procura Federale, il trait d’union tra il capitano del Palermo e la tifoseria. Inoltre, il predetto calciatore in alcune situazioni avrebbe avvisato le stesse persone di non recarsi al campo di allenamento del Palermo in quanto “erano cambiati gli sbirri”, circostanza che – assume la Procura – sarebbe stata confermata dallo stesso calciatore durante l’audizione resa innanzi ai rappresentanti della Procura Federale. Peraltro, e proprio in ragione dell’espressione intercettata e fatta oggetto di contestazione, il sig. Miccoli avrebbe mostrato di condividere il pensiero degli appartenenti al cd. antistato. Secondo la Procura Federale la condotta di Miccoli deve ritenersi connessa all’attività sportiva sia per il suo ruolo di particolare preminenza all’interno della squadra sia per aver posto in essere quanto contestatogli nei rapporti con soggetti che frequentavano gli allenamenti della squadra stessa. Sulla scorta delle suddette premesse la Procura Federale ha, dunque, concluso per la riforma della decisione della Commissione Disciplinare Nazionale resa pubblica con Com. Uff. n. 56/CDN del 27.2.2014 e, quindi, per l’applicazione delle sanzioni richieste in primo grado (1 giornata di squalifica ed € 50.000,00 di ammenda per Miccoli Fabrizio e € 50.000,00 di ammenda per la Società U.S. Città di Palermo) ovvero di quelle ritenute di giustizia. I deferiti hanno controdedotto, con memorie, ai rilievi dell’organo d’accusa, esponendo le ragioni per cui merita, invece, conferma la decisione della Commissione Disciplinare Nazionale. All’udienza del 28.3.2014 il rappresentante della Procura Federale ha illustrato i motivi di doglianza compendiati nell’atto di reclamo, riportandosi alle conclusioni già rassegnate nell’atto di ricorso. I difensori dei deferiti hanno replicato, chiedendo la conferma della decisione di prime cure. La Corte di Giustizia Federale, Prima Sezione, all’esito della discussione ha reso la seguente decisione. Motivi della decisione La Corte, letto l’atto di gravame, sentiti i difensori delle parti ed esaminati gli atti ufficiali, ritiene che il ricorso sia infondato e che, pertanto, vada respinto. Preliminarmente, ai fini di una corretta delimitazione della res iudicanda, mette conto evidenziare che il deferimento della Procura Federale ha, fin dall’origine, attratto nel fuoco della contestazione esclusivamente la frase offensiva rivolta dal Miccoli alla memoria del Giudice Giovanni Falcone e, del tutto coerentemente con la suddetta perimetrazione dell’oggetto del giudizio, la Commissione Disciplinare Nazionale ha incentrato il suo decisum sui soli fatti in addebito. Appare, dunque, di tutta evidenza che le valutazioni rimesse in seconde cure a questa Corte non possono che svilupparsi in coerenza con l’ambito cognitivo del giudizio come irreversibilmente cristallizzato in primo grado. Non possono, dunque, costituire ulteriori fattori di addebito qui valutabili le condotte descritte nell’atto di ricorso e che, nella prospettiva dell’organo di accusa, contribuirebbero a delineare quel “modus agendi” del ricorrente ritenuto incompatibile con i principi sottesi dall’art. 1 C.G.S.. In altri termini si collocano all’esterno del perimetro della res iudicanda la presunta vicinanza del Miccoli all’ambiente mafioso ed il ruolo di favoreggiamento dallo stesso asseritamente esplicato in favore di soggetti espressione del suddetto ambiente o, comunque, ad esso contigui avvisandoli di non recarsi al campo di allenamento del Palermo in quanto “erano cambiati gli sbirri”. Così perimetrato l’ambito cognitivo del presente procedimento deve rilevarsi come alcun dubbio residui sull’esatta dinamica dei fatti, che nella loro materialità possono essere ritenuti pacifici ed incontestati, ancorchè non risultino acquisite agli atti le fonti di prova (id est trascrizioni o brogliacci delle intercettazioni ambientali) che rappresentano in via diretta le condotte in addebito. Ed, invero, a tal riguardo, mette conto evidenziare che la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, Ufficio della D.D.A., opponeva, con nota del 18.6.2013, il vincolo del segreto istruttorio, evidenziando al contempo che “gli episodi oggetto di indagine non sono attinenti ad eventi sportivi”. Il procedimento, dopo aver preso abbrivio da notizie di stampa, si è, dunque, avvalso – in assenza degli elementi di prova acquisiti nel corso del coevo procedimento penale – delle dichiarazioni rese dallo stesso Miccoli. Questi, nel corso della sua audizione del 17.12.2013, ammetteva di aver pronunciato la frase in contestazione “Ci vediamo sotto l’albero di quel fango di Falcone” nel corso di un colloquio privato con il soggetto non tesserato Mauro Lauricella, figlio del presunto boss di mafia Antonio Lauricella, sostenendo però di essersi ripetutamente scusato, anche pubblicamente, e che detta frase non rappresentava il suo pensiero. Orbene, in disparte ogni giudizio sul disvalore della condotta in addebito, la decisione qui impugnata merita conferma per il rilievo pregiudiziale che assume la sua palese estraneità rispetto all’ambito di operatività dell’ordinamento sportivo. Come efficacemente evidenziato dal giudice di prime cure il soggetto deferito ha pronunciato le parole in questione nel corso di una conversazione privata, venuta alla luce solo perché captata nel corso di un’intercettazione ambientale. L’interlocutore è un soggetto non tesserato e la conversazione è avvenuta all’interno di un’autovettura, alle cinque del mattino in periodo estivo (13 agosto), in un contesto definito dal Miccoli “goliardico”. Tale definizione può essere messa in dubbio, ma è certo che in ogni caso i due si trovavano in un contesto privato, non definibile, neppure in senso lato, sportivo. Sul punto, giova riprodurre il disposto dell’art. 1 comma 1 C.G.S., la cui violazione è contestata al deferito, a mente del quale “Le società, i dirigenti, gli atleti, i tecnici, gli ufficiali di gara e ogni altro soggetto che svolge attività di carattere agonistico, tecnico, organizzativo, decisionale o comunque rilevante per l’ordinamento federale, sono tenuti all'osservanza delle norme e degli atti federali e devono comportarsi secondo i principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”. Nella declinazione che siffatta disposizione ha avuto sul versante applicativo si è condivisibilmente posta in risalto, come peraltro rilevato dal Procuratore Federale, la struttura di norma a contenuto libero, non vincolato, con la conseguenza che può realizzarsi una violazione del precetto in essa contenuto con una molteplicità di comportamenti non altrimenti tipizzabili, e, forse, potrebbe fondatamente sostenersi anche che essa costituisce norma di chiusura nei confronti di attività non sussumibili in differenti tipi di illecito disciplinare. Ne deriva che può aversi violazione dell’art. 1, comma 1, C.G.S. sia con comportamenti collegati alle attività tecnicamente proprie del deferito, sia a seguito di attività poste in essere come semplice tesserato e, quindi, non rapportabili alle funzioni specifiche od alla professione del soggetto da giudicare (cfr. CU della CGF, Sezione I, n°211 del 5.5.2008). Ciò nondimeno la latitudine operativa della divisata norma è perimetrata, in apice, dalla necessità di un collegamento qualificato tra la condotta del soggetto e l’ordinamento di settore, com’è fatto palese dalla specificazione normativa che richiede la sua ascrivibilità a “..ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”. In altri termini, il chiaro contenuto precettivo della disposizione regolamentare in esame, direttamente evincibile dallo stesso valore semantico della relativa proposizione letterale, qualifica la condotta disciplinarmente rilevante (oltre che per il contrasto con i principi di lealtà, correttezza e probità) anche in ragione del suo inquadramento all’interno di rapporti che riflettono, in via obiettiva, un nesso con l’attività sportiva. Tale connotazione, pur non identificandosi con le sole manifestazioni proprie dello specifico ruolo tecnico cui appartiene il singolo soggetto (dirigente, atleta, tecnico etc..), evoca, comunque, quale condizione imprescindibile per la sua rilevanza disciplinare che il singolo addebito possa essere posto in rapporto di connessione quantomeno con la qualità soggettiva di tesserato. Di contro, nel caso di specie, il contesto in cui è maturata la condotta in contestazione consente di assegnare alla suddetta qualità di soggetto tesserato una valenza del tutto neutra venendo in risalto, piuttosto che un rapporto riferibile all’attività sportiva, una conversazione privata tra amici in ambito riservato, seppur esplicatasi in termini obiettivamente deprecabili ed infamanti, dove la stessa appartenenza di uno essi al mondo sportivo non esplicava alcun rilievo. Né, peraltro, sotto diverso profilo, è possibile recuperare la rilevanza disciplinare della condotta in addebito in ragione della risonanza mediatica che essa ha successivamente avuto siccome resa pubblica da diversi quotidiani. E’, infatti, di tutta evidenza che tale divulgazione – sottratta alla sfera di signoria del ricorrente - è avvenuta esclusivamente per una fuga di notizie tuttora coperte dal segreto istruttorio. Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, il ricorso deve essere respinto. Per questi motivi la C.G.F. respinge il ricorso come sopra proposto dal Procuratore Federale.
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