CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it – Decisione n. 15 del 22/05/2015 – Valter Capitani/ Federazione Italiana Giuoco Calcio/Associazione Italiana Arbitri

CONI – Collegio di Garanzia dello Sport - Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it – Decisione n. 15 del 22/05/2015 – Valter Capitani/ Federazione Italiana Giuoco Calcio/Associazione Italiana Arbitri IL COLLEGIO DI GARANZIA SECONDA SEZIONE composta da - Attilio Zimatore - Presidente - Ferruccio Auletta - Ermanno de Francisco - Relatore - Francesco Delfini - Oreste Michele Fasano ha pronunciato la seguente DECISIONE nel giudizio iscritto al R.G. n. 6/2015 sul ricorso, del 5 marzo 2015, proposto da - Valter CAPITANI, nato a Montese (MO) il 7 marzo 1947, rappresentato e difeso come da mandato in calce al ricorso dall’Avv. Mattia GRASSANI ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Bologna, via De’ Marchi 4/2, contro - l’A.I.A. – Associazione Italiana Arbitri della F.I.G.C. con sede in Roma, Via Campania n. 47, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Mario Gallavotti e Stefano La Porta ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, Via Po n. 9; nonché nei confronti della F.I.G.C. – Federazione Italiana Giuoco Calcio, con sede in Roma, Via Allegri n. 14, in persona del legale rappresentante pro-tempore, non costituita; per la riforma della decisione della Commissione di Disciplina d’Appello dell’A.I.A. 20 gennaio 2015, n. 29. - Uditi, nell’udienza del 13 maggio 2015, l’Avv. Grassani e l’Avv. La Porta; - Viste le difese scritte e la documentazione prodotta dalle parti costituite; - Udito il relatore, Cons. Ermanno de Francisco; Ritenuto in fatto Con il ricorso in trattazione è stata impugnata davanti a questo Collegio di Garanzia dello Sport la decisione della Commissione di Disciplina d’Appello dell’A.I.A. 20 gennaio 2015, n. 29, comunicata al ricorrente il 4 febbraio 2015, recante reiezione dell’appello avverso la decisione della Commissione di Disciplina Nazionale dell’A.I.A. 13 ottobre 2014, n. 12, con cui all’odierno ricorrente è stata inflitta la sanzione disciplinare del “ritiro tessera”, per violazione dell’art. 8, comma 6, lett. m), e dell’art. 51, comma 1, del Regolamento A.I.A., “in quanto svolge attività di Ispettore di Lega Pro nella corrente stagione 2013-2014, nonostante «non avere ricevuto regolare autorizzazione» alla domanda inviata al Presidente dell’A.I.A.”. Si espongono di seguito, sinteticamente, i fatti occorsi. L’odierno ricorrente deduce di essere un Arbitro Benemerito iscritto all’A.I.A. dal 1971, di svolgere da circa 20 anni attività di Ispettore presso la Lega Italiana Calcio Professionistico (Lega Pro) a titolo gratuito e di non aver mai subito sanzioni; fino alla stagione 2012/2013 inclusa, lo svolgimento di detta attività presso la Lega Pro non avrebbe dato luogo ad alcun rilievo da parte dell’A.I.A.. Risulta dagli atti che il 9 settembre 2013 il ricorrente ha formulato richiesta al Presidente dell’A.I.A., ai sensi dell’art. 8, comma 6, lett. m), del vigente Regolamento A.I.A., per essere autorizzato a svolgere il medesimo incarico di Ispettore Lega Pro nella successiva stagione 2013/2014. Il 16 settembre 2013 il Presidente dell’A.I.A. ha provveduto su tale richiesta come testualmente segue: “ritengo di non autorizzarti a ricoprire l’incarico di Ispettore Lega Pro. Di conseguenza, dalla corrente stagione sportiva, sarai a disposizione dell’O.T.S. previo superamento del corso previsto dall’articolo 51, comma 5, del Regolamento associativo”. Nondimeno, l’odierno ricorrente ha continuato a svolgere detta attività anche nella successiva stagione 2013/2014. Per tal ragione, il 16 luglio 2014 è stato deferito dalla Procura Arbitrale Nazionale alla Commissione di Disciplina Nazionale “in relazione alla violazione dell’art. 8 comma 6 lett. m ed art. 51 comma 1 Reg. A.I.A., in quanto svolge attività di Ispettore di Lega Pro nella corrente stagione 2013-2014, nonostante «non avere ricevuto regolare autorizzazione» alla domanda inviata al Presidente dell’A.I.A.”. Ritenendo fondata la contestazione, la Commissione di Disciplina Nazionale con delibera 13 ottobre 2014, n. 12, gli ha irrogato la sanzione del “ritiro tessera” (ossia la più grave delle sanzioni previste dall’art. 54, comma 1, del Regolamento A.I.A.). Tale decisione di primo grado è stata integralmente confermata in appello dalla decisione della Commissione di Disciplina d’Appello dell’A.I.A. 20 gennaio 2015, n. 29, che a sua volta è stata fatta oggetto di gravame davanti a questo Collegio. Considerato in diritto 1. – Il ricorso in trattazione è affidato a due motivi. Il primo deduce la “Violazione dell’art. 51 del Regolamento A.I.A. – Erronea interpretazione della norma di diritto”. Ivi si assume, in sostanza, che l’autorizzazione disciplinata da tale norma altro non sarebbe, a ben vedere, che una mera presa d’atto, occorrente unicamente per rendere noto all’Associazione che il richiedente, in quanto occupato in altra attività esterna, non possa svolgere funzioni interne all’A.I.A.. In tesi di parte, conseguentemente, poiché nessun effettivo potere di diniego sussisterebbe in capo al Presidente, parimenti nessun effetto impeditivo sarebbe derivato dal diniego da costui opposto all’odierno ricorrente rispetto allo svolgimento della predetta attività esterna, sicché il proseguimento di quest’ultima non potrebbe giammai essere legittimamente sanzionato. Tale primo motivo di ricorso è destituito d’ogni fondamento. È, infatti, pienamente evidente come l’art. 51 del Regolamento A.I.A. preveda un potere presidenziale, in certa misura discrezionale, di autorizzare o meno lo svolgimento delle attività esterne ivi indicate, mentre di nessun peso sono le argomentazioni in contrario svolte dal ricorrente. In proposito va osservato che è insito nel potere di autorizzare anche quello di non autorizzare; che la norma espressamente prevede il potere di revoca, che del tutto irrazionalmente la parte ricorrente vorrebbe sganciare da quello di denegare ab initio l’autorizzazione; che non rileva che l’attività esterna svolta dal ricorrente non rientri tra quelle vietate dall’art. 40 dello stesso Regolamento A.I.A., essendo notoriamente tipica d’ogni provvedimento autorizzatorio l’attitudine a rimuovere i limiti all’esercizio di attività in sé lecite, dunque permesse e non già vietate. Altro discorso sarebbe quello – su cui scivola, a seguire, l’ulteriore svolgimento del motivo di ricorso in trattazione – della verifica della sussistenza di un onere motivazionale da cui sarebbe stato gravato il provvedimento di diniego, vieppiù a fronte della duplice considerazione che trattavasi, nella specie, di un’attività che il ricorrente già svolgeva da molto tempo e che si assume essere stata autorizzata nei confronti di altri soggetti richiedenti. Nondimeno, essendo incontroverso che detto diniego di autorizzazione non sia stato tempestivamente impugnato dal ricorrente (costui essendosi limitato a tenerlo in perfetto non cale, ma senza censurarlo in alcuna sede), è certamente precluso in questa sede indagare della legittimità, o meno, di un atto oggettivamente non sorretto da alcuna motivazione espressa. Giacché – quand’anche se ne fosse potuta argomentare, nella competente sede, l’illegittimità sotto il profilo motivazionale, o per qualunque altra ragione – non può certamente revocarsi in dubbio che il diniego del Presidente A.I.A. sia, comunque, un atto esistente, e come tale efficace nei confronti del suo destinatario; il quale, non essendosene tempestivamente gravato, ne riscontra ora ineluttabilmente l’inoppugnabilità. 2. – Il secondo motivo di ricorso deduce la “Omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia che ha formato oggetto di disputa tra le parti, contestata congruità della sanzione irrogata (“ritiro tessera”); violazione dell’art. 54 del Regolamento A.I.A.”. Con tale motivo il ricorrente deduce, in sostanza, “la sproporzione della sanzione irrogata rispetto al comportamento posto in essere”, anche in considerazione del fatto che la motivazione confermativa della sentenza di secondo grado sembra prevalentemente fondarsi, più che sul comportamento contestato (attività esterna svolta senza autorizzazione) sulle dichiarazioni rese dalla parte, in cui si sarebbe ravvisata un’espressa volontà di perpetuare comunque in futuro la violazione. Tale secondo motivo è parzialmente fondato, nei sensi e limiti di cui infra. È certamente vero che la sanzione disciplinare deve avere la propria base essenziale nell’oggettiva gravità della condotta contestata. È vero altresì che la condotta dell’incolpato – precedente, contestuale e successiva al fatto disciplinarmente rilevante – va tenuta in considerazione, potendo esprimere indici di maggiore o minore gravità della colpa, ovvero (in questo caso, in cui è fuor di dubbio che si tratti di violazione intenzionale) intensità del dolo. Nondimeno – in conformità al fondamentale paradigma normativo circa la graduazione della sanzione concretamente irrogabile, nell’ambito di quelle edittalmente comminate, che è costituito dall’art. 133 del codice penale – siffatti elementi non possono che essere apprezzati come vicende per così dire di contorno; che, pur potendo certamente incidere sull’entità della sanzione, giammai possono integrare il parametro esclusivo di individuazione e graduazione della pena inflitta. Invero, anche nell’ordinamento sportivo, un’eventuale dichiarazione di prava volontà futura (che, peraltro, nella specie il ricorrente nega di aver mai espresso, contestando l’interpretazione delle sue parole che è stata resa dalla Commissione di seconde cure) se da un lato può concorrere a integrare un parametro accessorio ai fini della corretta determinazione della sanzione, giammai può costituire oggetto primario della sanzione irroganda. I principi di civiltà giuridica, secondo cui cogitationis poenam nemo patitur, devono dunque trovare applicazione anche nel diritto sportivo. Se vi sarà una reiterazione della condotta, certamente il prevenuto – come recidivo, e previa contestazione della recidiva – potrà essere assoggettato a sanzioni più gravi, nei congrui casi anche espulsive; ma non può legittimamente sanzionarsi in modo esemplare una prava volontà futura, meramente dichiarata (ove mai nella specie lo sia stata, il che peraltro è controverso), ma in nessun modo tradotta in atto. È alla stregua di tali principi che questo Collegio ritiene di dover scrutinare, come parzialmente fondato, il motivo di ricorso ora in esame. Tornando, dunque, alla concreta vicenda sottoposta al Collegio, è ben possibile che alla voluntas perserverandi sia attribuita valenza di circostanza “aggravante” (c.d. in senso atecnico, ossia in base ai parametri forniti dall’art. 133, I comma, n. 3, e II comma, n. 3, del codice penale) rispetto al fatto da sanzionare. Nondimeno, valenza uguale e contraria (di circostanza impropriamente “attenuante”) è da riconoscersi alla “primarietà” della violazione, non constando – né, comunque, essendo stato contestato – alcun precedente disciplinare di rilievo a carico dell’odierno ricorrente. Tali circostanze avrebbero dovuto valutarsi comparativamente tra loro; e – salvo adeguata motivazione di segno diverso – esse tendenzialmente si bilanciano. Quanto alla condotta sanzionata, è certamente grave tenere in perfetto non cale un provvedimento del presidente dell’Associazione di appartenenza, svolgendo comunque un’attività soggetta ad autorizzazione dopo che quest’ultima sia stata denegata; né può invocarsi a giustificazione di tale condotta il fatto che il diniego sia stato immotivato, perché condizione necessaria per far valere tale ipotetico vizio di legittimità dell’atto denegativo – giammai, però, causa di inesistenza giuridica – sarebbe stata la sua tempestiva impugnazione, nella specie viceversa non proposta. Non sarebbe però giuridicamente corretto consentire l’applicazione della più grave di tutte le sanzioni – quella del “ritiro tessera”, definitivamente espulsiva, che nella specie è stata applicata dai giudici sportivi di prime e di seconde cure – a fronte di ogni condotta intrinsecamente grave; perché la sanzione espulsiva, per sua natura intrinseca, deve essere riservata ai soli casi in cui il tesserato ha dimostrato un distacco assoluto e totale dai valori dello Sport, tale da non consentire la ragionevole formulazione di una prognosi di piena recuperabilità di tali valori. In ogni altro caso – fra cui certamente rientra quello in esame – il giudice sportivo deve applicare una sanzione non espulsiva, adeguatamente scelta nel tipo e nell’entità tra quelle previste dal diritto sportivo. Con riguardo alla pur grave violazione che si è sanzionata nel caso di specie – e in considerazione delle sanzioni disciplinari comminate dall’art. 54, comma 1, del Regolamento dell’A.I.A. (in ordine crescente: a) il rimprovero; b) la censura; c) la sospensione sino ad un massimo di due anni; d) il ritiro della tessera) – questo Collegio ritiene ictu oculi incongruente, sproporzionata e violativa dei principi di diritto ai quali si è fatto richiamo, l’irrogazione della sanzione espulsiva, di cui alla lett. d) del comma 1 del prefato Regolamento. Più in particolare, tale irrogazione – che, in ipotesi, avrebbe potuto trovare congrua motivazione in caso di recidiva reiterata – non appare sostenibile a fronte della violazione primaria del diniego opposto dal Presidente A.I.A. nell’esercizio dei suoi poteri autorizzatori di cui al combinato disposto degli artt. 51, comma 1, e 8, comma 6, lett. m), del cit. Regolamento. Né, rispetto alla violazione di cui trattasi, appare sufficiente a sorreggere una sanzione espulsiva il richiamo motivazionale operato dalla decisione 20 gennaio 2015, n. 29, della Commissione di Disciplina d’Appello dell’A.I.A. alla mera volontà di continuare a non osservare il diniego dell’autorizzazione richiesta (ove pure fosse questo il corretto significato da attribuire alle dichiarazioni rese dal ricorrente al Giudice di seconde cure), per le già evidenziate ragioni di principio circa la tendenziale irrilevanza degli illeciti di pura opinione, prima e senza che quest’ultima sia stata tradotta in atti materiali debitamente contestati al tesserato. Escluso, dunque, che all’odierno ricorrente possa essere applicata – per i fatti per i quali è stato deferito, e con salvezza invece dell’eventuale più grave sanzione in caso di reiterazioni future – la sanzione espulsiva di cui alla lettera d) del comma 1 del cit. art. 54 del Regolamento A.I.A., in parziale accoglimento del secondo motivo del proposto ricorso questo Collegio deve annullare, ai sensi dell’art. 62, comma 2, del Codice della giustizia sportiva, l’impugnata decisione resa dalla Commissione di Disciplina d’Appello dell’A.I.A. 20 gennaio 2015, n. 29, rinviando l’ulteriore cognizione sull’affare in trattazione alla stessa Commissione, ai fini della rideterminazione della sanzione concretamente da irrogarsi, enunciando il principio di diritto di cui infra, cui il giudice di rinvio dovrà attenersi. «In caso di irrogazione di sanzione disciplinare palesemente incongruente rispetto alla gravità giuridica della condotta sanzionata, il Collegio di garanzia dello Sport annulla la decisione impugnata e rinvia la cognizione dell’affare alla Corte federale di appello che ebbe a pronunciarla, affinché essa proceda a rideterminare la tipologia di sanzione irroganda (con esclusione, nel caso di specie, di quella espulsiva), altresì congruamente motivando – ove ritenga di applicare quella di durata variabile di cui all’art. 54, comma 1, lett. c), del Regolamento dell’Associazione Italiana Arbitri – in ordine alla relativa misura (che, nella specie, andrà rideterminata in un’entità tendenzialmente intermedia tra il minimo e il massimo edittale)». La parziale soccombenza reciproca consiglia la compensazione delle spese del presente giudizio per metà, con condanna dell’A.I.A. a rifondere al ricorrente la residua frazione, liquidata nella misura di cui in dispositivo. P.Q.M. il Collegio di Garanzia dello Sport, II Sezione, definitivamente pronunziando sulla controversia di cui in epigrafe, ACCOGLIE IN PARTE il ricorso, nei sensi e limiti di cui in motivazione, e, per l’effetto, annulla la decisione della Commissione di Disciplina d’Appello A.I.A. 20 gennaio 2015, n. 29, con rinvio dell’affare alla stessa Commissione per la rideterminazione del tipo e dell’entità della sanzione irroganda, secondo i criteri di cui in parte motiva. Compensa le spese del presente grado per metà e condanna l’A.I.A. a rifondere al ricorrente la residua frazione, liquidata in complessivi € 1.000,00, oltre accessori di legge. Così deciso in Roma, nella sede del Coni, in data 13 maggio 2015. Il Presidente F.to Attilio Zimatore Il Relatore F.to Ermanno de Francisco Depositato in Roma in data 22 maggio 2015. Il Segretario f.to Alvio La Face
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